Rapporto Italiani nel Mondo 2019 di Migrantes: PER L’ITALIA È IL TEMPO DELLE SCELTE

I dati statistici del RIM 2019

 

ROMA- Sono 5.288.281 gli iscritti all’AIRE al 1° gennaio 2019, con un aumento in 13 anni, dal 2006 al 2019, del 70,2% (erano 3,1 milioni). Quasi la metà degli iscritti all’Aire è originaria del Meridione d’Italia (48,9%, di cui il 32,0% Sud e il 16,9% Isole), il 35,5% proviene dal Nord (il 18,0% dal Nord-Ovest e il 17,5% dal Nord-Est) e il 15,6% dal Centro. Oltre 2,8 milioni (54,3%) risiedono in Europa ed oltre 2,1 milioni (40,2%) in America. Nello specifico, però, sono l’Unione Europea (41,6%) e l’America Centro-Meridionale (32,4%) le due aree continentali maggiormente interessate dalla presenza dei residenti italiani. Le comunità più consistenti si trovano, nell’ordine, in Argentina (quasi 843 mila), in Germania (poco più di 764 mila), in Svizzera (623 mila), in Brasile (447 mila), in Francia (422 mila), nel Regno Unito (327 mila) e negli Stati Uniti d’America (272 mila).

Sono solo alcuni dei dati illustrati oggi a Roma in occasione della presentazione della XIV edizione del “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes, che si è tenuta presso l’Auditorium Bachelet del Church Palace. Ad illustrare i dati la curatrice del Rapporto Delfina Licata insieme al presidente delle Acli, Roberto Rossini. In sala il direttore generale della Farnesina Luigi Maria Vignali, i parlamentari eletti all’estero Raffaele Fantetti e Massimo Ungaro e tanti volti noti del Cgie e dell’associazionismo italiano nel mondo.
Una edizione “della maturità” questa del Rapporto 2019, come è stata definita oggi da Licata e come si coglie sin dal titolo del volume: “La mobilità italiana. Il tempo delle scelte”.

Introdotto dal video di Tv2000, realizzato da Giampaolo Marconato e presentato dal direttore della testata Vincenzo Morgante, lo studio è stato realizzato con il contribuito di circa 70 ricercatori che hanno analizzato la mobilità dall’Italia e nell’Italia partendo dai dati quantitativi (socio-statistici), ma andando anche oltre. L’approfondimento di questa edizione è dedicato infatti alla percezione delle comunità italiane nel mondo: “Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiudizi all’amore per il made in Italy” è il titolo dello “Speciale 2019”, che invita a riflettere sulla percezione e sulla conseguente creazione di stereotipi e pregiudizi rispetto al migrante, italiano all’estero ieri e straniero in Italia oggi.

Lo stretto legame tra le due facce della migrazione è stato oggi evidenziato da tutti gli interventi, a partire dalle voci della Chiesa, ovvero il presidente della Migrantes monsignor Guerino Di Tora e il segretario generale della Cei monsignor Stefano Russo, ma anche delle istituzioni, con l’intervento del ministro per il Sud e la Coesione Sociale, Giuseppe Provenzano, ed il video messaggio del presidente del Parlamento europeo, David Sassoli.

“Il fenomeno migratorio è epocale e riguarda il mondo intero”, ha osservato monsignor Di Tora. “La mobilità è globale e gli italiani ne fanno parte da protagonisti”. Nel nostro Paese non si è “mai smesso di emigrare”, ha precisato Di Tora, piuttosto sono mutati i soggetti dell’emigrazione: oggi più giovani, ma non solo, perchè a partire ci sono anche i pensionati o i “nonni ricongiunti”. Questa realtà fotografa il rapporto, ma non si tratta solo di dati, ha spiegato il presidente della Fondazione Migrantes. “Ci sono volti e storie incontrati in giro per il mondo e che ci dicono che è possibile abbattere ogni barriera, stare insieme oltre le differenze e realizzare qualcosa di bello e costruttivo”.

Lo ha detto anche il Papa: “non mi piace parlare di migranti, preferisco parlare di persone migranti”, dando così “dignità al racconto di un cammino”. A sottolinearlo, prendendo la parola, monsignor Stefano Russo, che pure ha parlato di “accoglienza”, “rispetto delle differenze” e “comunione fra i popoli”.

Il dibattito, moderato dal giornalista Paolo Pagliaro, è proseguito con l’intervento del ministro Provenzano, attivo ricercatore presso la Svimez prima dell’impegno in politica e per questo ben consapevole del valore “prezioso” di un Rapporto che, in tempi in cui si parla “solo di invasione”, spesso utilizzando il “linguaggio dell’odio”, l’opinione pubblica si è invece dimenticata della vera “emergenza” di questo Paese: l’emigrazione come “unica via di mobilità sociale”. “L’unica possibilità per migliorare la propria vita è andarsene” e non sono solo i “cervelli in fuga” a partire. “Sono le persone che fuggono”, che si tratti di talenti o meno. Certo è che spesso è la fascia più istruita della popolazione ad emigrare con un costo sociale pari a 30 miliardi solo al Sud. L’emigrazione è “sempre più precoce”, ha continuato il ministro, perché i giovani vanno alla ricerca di lavori che rispondano alle loro competenze e per realizzare “legittime aspirazioni”. Bando alla retorica, il problema non è allora che i giovani se ne vadano, ma “la mancanza di circolarità”; il problema è che si va via “non per libera scelta ma per necessità”, ha denunciato il ministro. “La mobilità è il canto di Ulisse, ma oggi si combina con quelle fratture sociali che abbiamo bisogno di ricucire”. L’Italia vive un “inverno demografico” – siamo il Paese con la più bassa natalità al mondo – e “i disequilibri sociali attraversano tutta la dorsale appenninica, da nord a sud”, colpendo le “periferie urbane” anche delle Regioni più ricche.

Lo si legge anche nel Rapporto della Migrantes. Nel 2018 sono espatriati 128.583 italiani (su un totale di 242.353 iscritti all’AIRE), prevalentemente giovani tra i 18 e 34 anni (40,6%) e giovani adulti tra i 35 e 49 anni (24,3%).
Il 71,2 ha scelto l’Europa e il 21,5% le Americhe (il 14,2% l’America Latina), per un totale di 195 destinazioni in tutti i continenti. Il Regno Unito, con oltre 20 mila iscrizioni, risulta essere la prima meta scelta nell’ultimo anno (+11,1% rispetto all’anno precedente), al secondo posto, con 18.385 connazionali, vi è la Germania, a seguire la Francia (14.016), il Brasile (11.663), la Svizzera (10.265) e la Spagna (7.529).

Quasi la metà degli italiani iscritti all’Aire è originaria del Meridione d’Italia (48,9% di cui il 32% dal Sud e il 16,9 dalle isole), il 35,5% dal Nord Italia e il 15,6% dal Centro. Se però si guarda alle partenze nel solo 2018 si può notare che, con 22.803 partenze, il solido “primato” è quello della Lombardia, seguita dal Veneto (13.329), dalla Sicilia (12.127), dal Lazio (10.171) e dal Piemonte (9.702). Le partenze nell’ultimo anno hanno riguardato 107 province italiane: le prime dieci, in ordine, sono Roma, Milano, Napoli, Treviso, Brescia, Palermo, Vicenza, Catania, Bergamo e Cosenza, a dimostrazione di quella trasversalità di cui ha parlato Provenzano.

“Dobbiamo fare i conti con chi bussa alla nostra porta, mentre c’è chi quella porta la apre per andarsene”: è questo il tema che “la politica deve mettere a fuoco”, puntando, ha aggiunto il ministro, su politiche di assistenza alla famiglia come gli asili nido e l’assegno unico, ma anche su “politiche di sviluppo” che garantiscano “servizi e investimenti” laddove “il mercato e la logica del profitto non arrivano”. Da questa “sfida”, secondo il ministro Provenzano, “la generazione che emigra non è esclusa”. Può parteciparvi sia mettendo “in rete” le “rimesse di know how e competenze” – il denaro no, perché oggi sono piuttosto le famiglie a sostenere economicamente i propri figli all’estero – sia puntando sul “ruolo straordinario delle comunità italiane nel mondo”.

Anche l’Europa ha bisogno di nuove politiche che accompagnino gli Stati membri nelle scelte di accoglienza e integrazione legate alla mobilità, dimostrandosi “più attenta alle persone” e fornendo “condizioni favorevoli” per realizzare “insediamenti solidali”, ha affermato David Sassoli nel suo contributo video alla presentazione.

D’altro canto oltre la metà della totalità di iscritti all’Aire – parliamo di 2,8 milioni di italiani, pari al 54,3% – risiede in Europa e nello specifico il 41,6% si trova nell’Unione Europea, che rappresenta l’area continentale maggiormente interessata dalla presenza di connazionali.

Delfina Licata ha parlato di “mobilità strutturale”, poiché “ogni anno perdiamo un corposo numero di cittadini nel pieno della loro vitalità umana e professionale”. Si tratta di “capacità e competenze che, invece di essere impegnate al progresso e all’innovazione dell’Italia, vengono disperse a favore di altre realtà nazionali, che, più lungimiranti del nostro Paese, le attirano a sé, investono su di esse e le trasformano in protagoniste dei processi di crescita e sviluppo”.

A dimostrazione di ciò ha citato alcuni dati il presidente delle Acli Rossini. In una ricerca che ha messo a confronto “stayers” e “movers” laureati, è emerso che il grado di soddisfazione tra chi resta è decisamente più basso (23%) rispetto a quello rilevato fra chi se n’è andato (49%) e si è giocato la carta del proprio titolo di studio in un altro Paese. Questo perché all’estero è più facile che i ragazzi abbiano non solo un lavoro coerente con i loro studi, ma una “progressione di carriera”. Ciò vale anche per le donne, che all’estero hanno più alte possibilità di avere pari trattamento anche in termini economici. Queste condizioni spingono intere famiglie ad emigrare. Spesso si tratta di “famiglie non tradizionali”, cioè non sposate ma con figli: i minori sono il 20,2% degli oltre 128mila registrati all’Aire nel 2018, ovvero quasi 26mila. Oltre la metà di loro ha meno di dieci anni. Solo il 15% di questi giovani (coppie e single) ha espresso il desiderio di tornare in Italia, perché la condizione di vita che trovano all’estero per sé e per i propri figli è migliore.

Continua così la dispersione del grande patrimonio umano giovanile italiano e torna la questione che il Rapporto mette in luce ormai da diversi anni. “La migrazione deve essere una scelta e non una necessità”, ha ribadito Delfina Licata, che alla politica ha rivolto l’appello suo e dei colleghi ricercatori: “vogliamo cominciare a parlare di ritorni, non solo di costi, ma anche di ricavi e di valore aggiunto dei percorsi di mobilità”. Per far questo però bisogna mettere al centro del discorso, anche politico, “la persona umana” ed avere “memoria del passato” per collegarlo al presente per fare le nostre scelte. “Scegliere non solo da che parte stare, ma anche che tipo di persone vogliamo essere e in che tipo di società vogliamo vivere noi e far vivere i nostri figli, le nuove generazioni”.

 

FONTE: r.aronica\Aise\EmiNews

 


 

I DATI STATISTICI DEL RAPPORTO RIM 2019

 

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