Francia: cosa significa il risultato del voto.

Il desiderio di scrivere alcune riflessioni sulla situazione politica francese delle ultime settimane si è apparentato quasi a una necessità, dopo la lettura di molte analisi superficiali o imprecise. Sono quindi felice dell’invito della Filef a scrivere di quest’ultimo voto francese, di portare il mio modesto contributo alla comprensione del momento politico, della possibilità di condividerlo con un pubblico più ampio di quello altrimenti toccato dal nostro piccolo collettivo.

La Francia è sotto i riflettori di tutti gli analisti e proposta come un laboratorio politico in fieri per tutta l’Europa, se non per l’Occidente. Il 9 giugno (8 giugno, per i Francesi residenti nei dipartimenti d’Oltre mare e all’estero), gli elettori francesi sono stati chiamati alle urne per eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo.

Come largamente preannunciato, ad arrivare in testa nelle preferenze è stata la lista La France revient !, formata dal partito di ultra-destra Rassemblement National (RN) e altre formazioni politiche minori, con poco più del 31% delle preferenze. Questo risultato ha confermato una tendenza storica per il partito guidato da Marine Le  Pen e che presentava come capolista un volto nuovo, il giovane delfino Jordan Bardella, eletto presidente del RN nel 2022.

In seconda posizione, nettamente distanziata, con il 14,60% di preferenze, la lista capeggiata da Valérie Hayer, Besoin d’Europe, che vedeva assieme Renaissance, il partito del presidente della repubblica francese, Emanuel Macron (in forte calo dei consensi) con altre forze politiche di tipo personalistico, come il partito di centro Mouvement démocrate (abbreviato in MoDem) dell’ex ministro François Bayrou.

In terza posizione, la lista Réveiller l’Europe, unione elettorale formata dal Parti Socialiste (PS) e dal movimento Place publique di Raphaël Glucksmann, che ne era il capolista. Nessuna altra lista raccoglieva più del 10% dei voti, compresa La France insoumise (LFI) di Jean-Luc Mélenchon, ferma al 9.89% delle preferenze espresse.

La partecipazione al voto europeo ha visto il 51,49 % degli aventi diritto esprimere le proprie preferenze, un dato fondamentalmente in linea con quello delle precedenti elezioni europee del 2019, con un aumento di affluenza alle urne di 1,4%, probabilmente legato a una sentita mobilizzazione degli elettori di destra.

Come scritto sopra, infatti, tutti i sondaggi erano concordi, da diverse settimane, nel dare vincente il RN, partito da sempre favorito dal sistema di voto per le elezioni del Parlamento europeo (scrutinio proporzionale, con soglia di sbarramento al 5%) e dall’euroscetticismo diffuso e trasversale nella società francese.

Già nel 2019 il RN era risultato, correndo da solo, il partito più votato, con un risultato del 23,34% delle preferenze dei votanti (allora, secondo, il cartello elettorale guidato da La Republique En Marche di Emanuel Macron, con il 22,42%). O, ancora, nel 2014, con il 24,86% (e il nome di Front National). Quello del 2014 un exploit ancora più incredibile e straniante di quest’ultimo del 2024, se pensiamo che nel 2009 il FN ebbe solo il 6,34% delle preferenze.

Il successo dell’ultra-destra in Francia alle europee non è stato quindi un evento improvviso, un fulmine a ciel sereno, l’irruzione di un nuovo soggetto politico come un imponderabile cigno nero, ma un evento previsto, atteso, confermato e in linea, come vedremo, con la crescita del FN prima e del RN poi in altre consultazioni elettorali in Francia.

Ci sono già alcune lezioni, in questi dati, che molti commentatori, specialmente all’estero non hanno colto. Una prima lezione, è il mimetismo dei simpatizzanti per il RN. Un partito capace di intercettare così tanti voti, di crescere così ampiamente nei consensi nel giro di pochi anni, è un partito i cui simpatizzanti, militanti, elettori sono presenti ovunque; nei luoghi di lavoro, nell’associazionismo, nei comitati cittadini, nelle pubbliche amministrazioni.

Se è pur vero che esistono gruppuscoli neonazisti e neofascisti organizzati e violenti e vecchi nostalgici, la politica di normalizzazione del FN (la “dédiabolisation du FN”, secondo la fortunata espressione retorica rivendicata dalla stessa Le Pen), a partire dalle pubbliche prese di distanza dal fondatore Jean-Marie Le Pen e dalle sue posizioni fasciste e antisemite, vera e propria uccisione edipica, ha ampiamente ripagato in termini di crescita dei consensi (in analogia, mutatis mutandis, a quanto avvenuto in Italia con Gianfranco Fini e la “svolta di Fiuggi” e la transizione dal MSI – Movimento Sociale Italiano – a AN – Alleanza nazionale – e ora a FdI – Fratelli d’Italia – di Giorgia Meloni).

Secondo un sondaggio pubblicato a febbraio 2024 dalla Fondation Jean-Jaurès, la percentuale di Francesi che giudicano il RN un partito xenofobo è passata dal 61% al 50%, dal 2015 a oggi; analogamente, si sono ridotte le percentuali di chi riteneva questa formazione un partito di estrema destra (dal 78% al 66%) o pericolosa per la tenuta democratica del Paese ( dal 60% al 52%): per analogia, ma in senso inverso,  sono cresciute le percentuali di quanti giudicano il RN un partito vicino alle loro preoccupazioni (dal 32% nel 2015 al 40% nel 2024), di quanti dichiarano di riconoscersi nel modello societale tratteggiato dal RN ( cresciuti dal 27% al 36%) o che ritengono il RN capace di assumere un impegno di governo (passati dal 31% al 44%).

La conseguenza di questo aumento dei consensi (e delle parole d’ordine) del RN è stata evidente in campagna elettorale,  con il RN che è stato il solo partito a presentare nei propri punti programmatici istanze sociali, come l’abbassamento dell’età pensionabile o la riduzione dell’inflazione contro i rincari per energia e carburanti.

Di fronte al successo elettorale del RN del tutto inattesa è stata la decisione di Macron, non appena comunicati al grande pubblico i risultati delle consultazioni europee, di sciogliere l’assemblea nazionale e indire immediatamente nuove elezioni legislative, una mossa possibile grazie alle prerogative regaliane attribuite dalla costituzione del 1958 al presidente della repubblica francese e presa, a detta di molti commentatori politici, a dispetto del parere contrario  di diverse personalità a lui vicine, in particolare del primo ministro Gabriel Attal.

Una decisione che da subito ha fatto temere la concreta possibilità per la destra neofascista di arrivare al governo e di ottenere, se non la maggioranza assoluta, quanto meno una maggioranza relativa nel futuro parlamento. Difficile spiegare le motivazioni di una scelta simile, che, è bene ribadirlo, non era in nessun modo un atto dovuto.

È opinione di chi scrive che si sia trattato di un atto spregiudicato; anziché riconoscere personalmente la colpa e le responsabilità dell’esito delle elezioni europee e in particolare del pessimo risultato elettorale della lista capeggiata da Renaissance (chiaramente un voto di dissenso per le sue politiche neoliberiste), Macron, forte di una lettura miope dell’attuale società francese (in cui, come scritto sopra, almeno un 10% degli elettori negli ultimi dieci anni si è posizionato su idee vicine alle parole d’ordine del RN, pronto a sostenerlo nelle urne) ha creduto di poter capitalizzare, come fu per le ultime presidenziali del 2022, l’avversione di tutti gli elettori e partiti dell’ “arco costituzionale” per la Le Pen e il suo partito, trasformandola in un voto a suo favore e contro il RN.

Ecco quindi la decisione di sciogliere l’assemblea nazionale, con l’obiettivo di ribaltare la debacle subita da Ensemble, il partito personale di Macron, nello scrutinio europeo. A favore di un tale calcolo elettoralistico da parte di Macron hanno giocato, nell’analisi del voto per il rinnovo del parlamento europeo, il brutto risultato ottenuto dal partito di destra Les Républicains (LR) e la frammentazione della galassia delle sinistre, particolarmente litigiose dopo la conclusione dell’esperienza della NUPES (Nouvelle Union Populaire, Écologique et Sociale), coalizione elettorale formatasi in occasione delle precedenti elezioni legislative del 2022 e de facto scioltasi a fine 2023.

Se realmente fossero state queste le intenzioni di Macron (e la conferenza della settimana successiva al risultato europeo questo lascia intendere, con un appello da capo dell’esecutivo e leader in campagna elettorale a non votare per i partiti degli “estremismi”, mettendo nello stesso calderone FI e RN), dovremo trarne l’idea di un apprendista stregone (e non quella dell’abile politico che in Italia molti commentatori, specie di area PD, hanno cercato di cucirgli addosso).

Il primo risultato ottenuto è stato, infatti, far saltare l’accordo implicito, valido da decenni, tra le varie forze dello scacchiere politico parlamentare per impedire la vittoria alle elezioni della destra neonazista del RN, con il presidente del partito LR, Eric Ciotti, che, a costo di una frattura nel partito (comunque uscito malconcio dal voto europeo) ha cercato un’inedita alleanza col partito di Bardella e Le Pen, anziché rivolgersi al campo presidenziale.

Il secondo risultato, inaspettato e inatteso dal presidente della repubblica francese, è stato il rapido ricompattarsi delle forze di sinistra precedentemente federate nella NUPES in una nuova alleanza elettorale, sotto il nome di Nouveau Front Populaire (NFP), con  l’ambizione di concorrere come soggetto politico a sè, con un proprio programma elettorale (per  la verità,  un poco raffazzonato, poco più della somma dei punti programmatici compatibili delle forze politiche che hanno composto l’alleanza) e di non porsi in posizione subordinata rispetto al movimento politico del presidente Macron.

Per la verità non sono mancate, nel campo delle sinistre, lotte intestine, redde rationem e vari distinguo, anche se, soprattutto da parte di Jean-Luc Mélenchon sembra aver prevalso il senso di responsabilità di fronte a unl momento storico così drammatico.

In questa situazione, e con una mobilizzazione per il voto alle legislative che ha visto una netta inversione di tendenza rispetto all’astensionismo degli ultimi decenni (ha votato il 66% degli aventi diritto, contro il 47% delle precedenti elezioni del 2022), al primo turno si confermano vincitori i candidati del RN e i loro alleati, con un inedito 33% delle preferenze espresse, seguito dal NFP (al 28%), mentre si confermava, in percentuali assoluta, il calo di consensi dei LR e di Ensemble. Con percentuali tanto elevate, su 577 circoscrizioni elettorali, i candidati RN sono stati eletti direttamente al primo turno in 38 di esse e hanno avuto accesso al secondo turno in altre 451, spesso come candidati col numero più alto di preferenze al primo turno.

Il tasso di partecipazione al voto così elevato, nel sistema maggioritario a doppio turno francese (che prevede l’iscrizione al secondo turno, nel caso in cui al primo nessun candidato abbia raggiunto la maggioranza assoluta dei suffragi espressi e un numero di voti pari a almeno un quarto degli elettori iscritti nella lista elettorale di una data circoscrizione) ha inoltre generato all’indomani del voto al primo turno un numero di potenziali confronti tra tre o quattro candidati assolutamente inedito (più di trecento confronti a tre, quattro volte il precedente record registrato in occasione delle elezioni del 1997).

Nelle quarantotto ore successive al primo turno, la confusione ha regnato sovrana. La strategia della desistenza, per impedire la nomina dei candidati RN, non è stata seguita dalla destra di LR; nel campo presidenziale inizialmente ha prevalso l’idea, apertamente espressa da Darmanin, il ministro degli interni, e Edouard Philippe, ex primo ministro, di osteggiare in ogni caso i candidati FI e una campagna giocata sulle accuse di antisemitismo rivolte alla FI; in un secondo tempo ha prevalso l’opinione del primo ministro Gabriel Attal di giocare la carta della desistenza di concerto con il NFP (desistenza che, va detto, ha favorito soprattutto Ensemble).

Solo i leader del NFP hanno chiaramente invitato da subito i propri elettori a votare in ogni caso contro i nomi del RN e a non astenersi, oltre ad annunciare la desistenza dei propri candidati nei collegi in cui la propria vittoria fosse incerta a favore dei candidati LR e Renaissance. La settimana tra primo e secondo turno ha visto una campagna elettorale basata soprattutto sulla disqualificazione del RN, e alcune posizioni assunte dal Bardella non hanno aiutato (in particolare, il progetto RN di precludere determinate posizioni chiave in settori strategici ai Francesi con doppia nazionalità).

Anche il tema dell’antisemitismo ha tenuto banco, con le posizioni di Mélenchon e della FI additate dal centro-destra come estremiste. È stato quindi nella più grande incertezza dei risultati finali che i francesi hanno votato al secondo turno. Prima formazione per numero di seggi, l’alleanza elettorale NFP, con 193 deputati eletti (ne occorrono 258, per formare una maggioranza in parlamento): all’interno del NFP, il primo partito per numero di seggi è la FI (72), seguita dal PS (66) e dai verdi di Ecologiste et Social (38) e le altre formazioni minori. Il campo presidenziale ottiene in totale 166 seggi (di cui 99 per Ensemble). Il RN e alleati 142 (126 per il solo RN).

Il risultato finale è quello di una assemblea nazionale divisa in tre blocchi, in cui nessun partito a oggi sembra capace di spezzare gli schemi delle alleanze messe in campo per allargare il proprio campo e formare un nuovo governo. Indubbiamente si è evitata la formazione di un governo a maggioranza neofascista, ma molte questioni restano sul tavolo, questioni che in molti casi coinvolgono la forma stessa della democrazia parlamentare e come si è evoluta in questi ultimi decenni.

Innanzitutto c’è una questione aperta sulle derive leaderistiche delle forme-partito. I partiti personali sono ormai sempre più dei comitati elettorali che rispondono a interessi economici specifici che non ai partiti di massa del ventesimo secolo, con dubbi enormi su quanto questa declinazione della forma-partito possa favorire la partecipazione popolare anziché mortificarla.

Se questo aspetto è particolarmente evidente per Ensemble di Emmanuel Macron (e la girandola dei cambi di nome, da En Marche a Ensemble passando per Renaissance) è un aspetto di questa ricerca di un consenso che non ha solide basi nella società,  di una politica che diventa marketing), resta una constatazione valida per tutti i principali partiti, compresi, agli opposti estremi dell’arco politico, la FI di Mélenchon e il RN di Le Pen.

Subito dopo, occorrerebbe una riflessione sull’importanza del disegno costituzionale e della legge elettorale nella costruzione delle maggioranze parlamentari. In due anni, dal 2022 al 2024, la percentuale di votanti per il RN è passata dal 17% al 37%. E solo una costituzione presidenzialista ha permesso di trasformare un voto per il rinnovo del parlamento europeo in una carnacialata elettorale. Il sistema elettorale francese ha permesso di scrivere, come in troppi hanno fatto, che il RN ha perso.

E proprio in queste ore, mentre scrivo, Marine Le Pen può accumulare futuro consenso denunciando gli “inciuci” nelle nomine degli incarichi all’assemblea nazionale (da cui sono finora stati esclusi i deputati deputati RN). Il RN cresce, anche adesso. Ed è il solo partito rimasto a parlare apertamente di modifiche costituzionali.

Tra le ragioni della crescita del RN, gioca senz’altro anche una questione “geografica”. Il voto RN, per quanto sempre più trasversale e esteso, riconosce ancora uno zoccolo duro nelle zone più rurali, decentralizzate e spopolato della Francia (l’equivalente per l’Italia delle cosiddette “aree interne”). E il RN è cresciuto nei consensi da forza politica che in questi territori si è radicata a livello amministrativo,  guadagnando consensi negli ultimi quindici anni da elezione comunale in elezione comunale, facendosi portavoce delle istanze sociali di queste aree ai margini (per quanto manipolando e strumentalizzando) e creando solide basi con le realtà economiche e finanziarie locali.

Sapersi radicare in un territorio,  alla lunga, ha ripagato il RN. Specialmente perché i suoi amministratori hanno saputo essere i soli interlocutori di fronte a un disagio sociale che la politica di Parigi non riesce a decifrare. Di fronte all’estrazione di ricchezza dai territori poveri a quelli più ricchi, sembra quasi che solo il RN riesca a dare sfogo politico al malcontento.

Un altro punto: occorre fare attenzione a non liquidare, in maniera moralista, il voto è le idee dell’estrema destra come il risultato variamente combinato di stupidità e ignoranza. Occorrerebbe invece capire, in Francia come altrove, che la forza dell’ultra-destra fascista è razzista è la capacità mimetica di additare di volta in volta ai suoi elettori un colpevole, un responsabile che sia “altro”. L’immigrato, il figlio di immigrati, il binazionale…

Comunque un soggetto “diverso”, in una continua ridefinizione di un’identità che non può mai essere definita. Una tentazione, in verità, a cui anche Mélenchon ha ceduto, in passato, sbagliando contro i lavoratori immigrati dall’est-Europa, colpevoli a suo avviso di fare dumping salariale.

Ed ecco, infine, l’ultimo punto. Occorre fare attenzione a non applicare categorie politiche di un Paese a un altro, senza il necessario spirito critico. Si rischia altrimenti per considerare Emanuel Macron un fine animale politico. E magari di prenderlo anche per un politico di sinistra.

G. Causapruna

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