L’ex segretario del PCI e poi del PDS, in una lettera su La Repubblica del 14 febbraio, pone alcune questioni di notevole rilevanza politica e degne di attenzione; in particolare ci sembra significativo il richiamo (alle sinistre) a ricostruire un pensiero coerente e in grado di fare sintesi tra le differenziate sollecitazioni che emergono dai diversi settori dalla società e del mondo del lavoro, evitando contrapposizioni illogiche e non fondate. Sottolineando che il problema centrale sono le crescenti disuguaglianze prodotte dal sistema neoliberista e dallo strapotere delle grandi corporation, in questo caso, agroindustriali, sui contadini, i quali, come altre classi sociali, stanno in realtà pagando le scelte politiche e ideologiche che ne hanno consentito (a destra e a sinistra), l’affermazione illimitata.
In Europa colpevoli silenzi, ora smetta di sentirsi estranea al mondo agricolo
di Achille Occhetto
Caro direttore, circa un mese prima che l’impetuoso movimento dei trattori attraversasse le campagne e le città d’Europa, in un mio articolo apparso su questo giornale, sottolineando come le catastrofi indotte dal riscaldamento globale colpiscono principalmente l’agricoltura, esprimevo l’esigenza di suscitare un nuovo movimento nelle campagne più sensibile alla lotta ambientalista.
Oggi non possiamo non accorgerci che siamo ancora molto lontani da questa aspirazione, sia per il modo burocratico e indifferenziato con il quale l’Ue affronta la transizione ecologica e sia per le evidenti incertezze delle sinistre europee, che, come al solito, si dividono sul mettere di più l’accento sui temi dello sviluppo o su quelli dell’ambiente. Ciò comporta un balbettio, ricco di buoni propositi ma povero di capacita di sintesi.
Circostanza che è figlia del vizio di mantenere distinte, in modo corporativo, le singole rivendicazioni. A mio avviso dovrebbe essere compito primario e unitario di tutte le sinistre porsi il problema centrale di risolvere il dilemma, canagliescamente proposto dalla destra, tra sviluppo economico e rischio ecologico. Operando con saggezza e decisione sui due lati del corno.
Dal lato economico muovendo con maggiore decisione nella direzione della “qualità” dello sviluppo, e dal lato ecologico, accompagnando anche gli obbiettivi ecologici con misure sociali che investano le politiche agro-industriali, e quelle del mercato del lavoro. Ma accanto ai vincoli legali occorre mettere mano alle riconversioni.
Una tale consapevolezza dovrebbe guidarci in due direzioni: quella di non allontanare nel tempo gli impegni per la salvezza del Pianeta e quella di non definirli burocraticamente, senza corredarli, sia pure a grandi linee, di obbiettivi di riconversione produttiva e di sostenibilità sociale.
Invece l’Europa si sta ritirando su una linea di autodifesa elettorale del tutto irresponsabile. Ed è proprio a questo punto che tutta la sinistra europea dovrebbe, se c’è, battere un colpo. Mettendo a fuoco il tema centrale su cui dovrebbe fare il suo mestiere. E cioè sul fatto che la crisi agricola sta lì a dimostrare che non ci sarà nessuno sviluppo effettivo senza una riduzione reale delle diseguaglianze sociali.
Questo è il vero messaggio che avevamo il dovere di fare affiorare dal polverone delle ruote dei trattori e dalle diverse rivendicazioni di un movimento articolato, che si è cercato di unificare ideologicamente e indistintamente contro l’Europa.
Ma l’Europa cosa sta facendo? Invece di entrare nel merito delle ingiustizie interne alla filiera che scorre tra produzione, trasformazione industriale, distribuzione e il banco del consumatore che nulla ha a che vedere con i vincoli ambientali — ha abdicato sui pesticidi.
Qui, la sinistra non dovrebbe fare fatica a capire che siamo di fronte a una precisa scelta sociale: meglio chiudere un occhio sui pesticidi che aprirlo sui miti liberisti del libero mercato, sulle vessazioni delle grandi corporations agro-industriali verso i veri contadini.
Tuttavia per parlare a questo mondo occorre che tutte le sinistre europee, al governo o all’opposizione, si liberino da antichi pregiudizi ideologici che le conducono a guardare con occhi diversi i poveri, gli operai, gli agricoltori e le più complessive esigenze del mondo produttivo e delle professioni. E cioè affrontandole tutte separatamente con ammirevole interesse ma senza collegarle in una visione complessiva di società.
Ma una simile visione la sinistra la può fornire solo se non si sente estranea al mondo agricolo, se cerca di individuare le differenze interne, gli interessi contrapposti, gli evidenti conflitti sociali. In sostanza si tratta di stare dentro il conflitto sociale, scegliendo da che parte stare. Comprendendo le ragioni del conflitto. Non lanciando solo volantini dall’esterno, dove, probabilmente si scriveranno cose analoghe a quelle che sto sostenendo. Ma favorendo la formazione di una nuova rappresentanza interna, guidata da una più avanzata consapevolezza culturale, capace di collegare le esigenze immediate del mondo contadino al destino della sua terra.
In sostanza, i vecchi capi del popolo che sono del popolo. Senza i quali non c’è nessun stato maggiore che tenga. Gli stati maggiori della politica hanno, invece, il dovere di collegare la più generale cultura ecologista alle rivendicazioni concrete, cercando di non far pagare i costi, inevitabili, della transizione, ai più deboli.
Un esempio semplice, semplice.
In Italia uno dei pochi punti su cui le sinistre si sono unite è quello del salario minimo. Ebbene, in agricoltura le grandi aziende di trasformazione impongono a chi lavora la terra un prezzo sotto i loro costi di produzione. A dir poco c’è un tema di prezzo minimo da difendere. Ma bisogna porre questo tema, sia pure in modo diverso, non come se si entrasse in un campo destinato a essere coltivato da altri, ma con la stessa empatia con cui si è affrontato il reddito di cittadinanza.
La sinistra può rappresentare meglio i poveri, gli sfruttati solo se sa collegare la loro sorte a quella di chi soffre per altri motivi, anche se sono dei “padroncini”. Se saprà collegarsi a tutti coloro che sono vittime di regolamenti fuori misura, di quote che non tengono conto delle diversità agricole, a quanti subiscono la concorrenza sleale di altri paesi e che sono, ancor più di altri settori, soggetti alle drammatiche sorprese climatiche.
Certo, difendere il Pianeta, significa difendere la Terra e difendere la terra significa difendere l’agricoltura, il nostro ricambio organico con la natura. Cioè, la vita. Non tutto il mondo agricolo è ancora consapevole di questa cosmica filiera? Si, ma è anche colpa nostra, perché non siamo stati capaci di stare fino in fondo vicini a quel mondo.
La consapevolezza che le catastrofi indotte dal riscaldamento globale colpiscono maggiormente l’agricoltura e la pesca non può viaggiare solo sulle ali della predicazione ecologista. Deve innestarsi sulle condizioni materiali di chi è vessato dalla grande distribuzione e dall’industria alimentare, da una distribuzione dei sussidi, esattamente come avviene per gli operai con le tasse, che favorisce i grandi proprietari. Ancora una volta il demone della diseguaglianza!
E chi se non la sinistra, qualora sappia ritrovare le sue radici, dovrebbe capire questo? Dovrebbe farlo capire anche alle istituzioni europee.
E come cofondatore del Partito del socialismo europeo mi permetto di suggerirgli di far sospettare a Ursula von der Leyen che non deve preoccuparsi solo del sostegno della destra del suo partito o di Giorgia Meloni, ma anche della sinistra. Perché siamo europei per andare avanti sul progetto di una autonomia strategica dell’Europa e sulla difesa dell’ambiente. E non per tornare indietro.
FONTE: La Repubblica di mercoledì 14 febbraio 2024
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