n°47 – 20/11/2021 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – Schirò (Pd): l’aula del senato corregga la sconcertante decisione  della commissione per le autorizzazioni sulla elezione del senatore Cairo

02 – Schirò (Pd): La Brexit e i diritti alle prestazioni assistenziali italiane.

03 – La Marca (Pd): ho presentato in commissione esteri la risoluzione del pd sul miglioramento dei servizi consolari . “Ho illustrato oggi, giovedì 18 novembre, nella commissione Esteri della Camera, la risoluzione sulla riorganizzazione e il rilancio dei servizi consolari che il gruppo del PD ha presentato nelle scorse settimane, con le firme di La Marca, Schirò e Quartapelle.

04 – A. Piemontesi – L. Zorloni *: Gli accordi della Cop26 di Glasgow sul clima spiegati in 10 punti – Il blitz di India e Cina per annacquare lo stop al carbone. I 100 miliardi di aiuti ai Paesi meno sviluppati rimandati al 2023. L’avvio del mercato del carbonio: ecco cosa si è deciso in Scozia, con tanti mal di pancia

05 – Schirò *(Pd): L’iva (e non solo) ridotta dal 10 al 4% per emigrato che acquista una “prima casa” in Italia, ma per quanto?

06 –  Giovanna Chioini*:  La quarta ondata in Europa e le altre notizie sul virus.

07 – Lelio La Porta*: Quell’apparente paradosso che spiega la realtà dell’America Latina – Il saggio . «Cinque tesi sul populismo», dell’intellettuale argentino Enrique Dussel, per Castelvecchi.

08 – Giovanni De Mauro*. Radici.

09 – Alfiero Grandi*: Cop 26, Glasgow ha deluso, ma ora evitare sbandamenti e assumersi più responsabilità sul clima.

10 – COSA SUCCEDE NEL MONDO.(ndr)

 

 

01 – Schirò (Pd): L’AULA DEL SENATO CORREGGA LA SCONCERTANTE DECISIONE  DELLA COMMISSIONE PER LE AUTORIZZAZIONI SULLA ELEZIONE DEL SENATORE CAIRO

Mi auguro vivamente che l’Aula del Senato voglia correggere la sconcertante decisione della Giunta per le autorizzazioni che ha legittimato l’elezione del Senatore Adriano Cario, nella ripartizione sudamericana della circoscrizione Estero, nonostante l’attestazione di una perizia calligrafica disposta dalla Procura di Roma provi l’irregolarità di espressione di oltre duemila schede su un campione per altro limitato.

Me lo auguro prima di tutto perché è giusto che chi compete lealmente sia tutelato rispetto a chi usa mezzi illeciti. Difendendo le regole, in realtà si difendono non sole le persone oneste, ma la democrazia e la sua credibilità.

Me lo auguro ancora perché il voto all’estero deve essere una volta per tutte liberato dalle ombre che portano molti, troppi a concludere che sia uno strumento di irregolarità e di prevaricazione. Magari nella prospettiva di rimettere in discussione l’intera rappresentanza. Come la forte riduzione del numero dei parlamentari e gli ostacoli frapposti alla partecipazione al voto degli istituti di rappresentanza sembrano preannunciare, quasi tappe di avvicinamento a questo iniquo obiettivo.

Il voto all’estero, certo intrinsecamente più esposto per la complessità del suo impianto organizzativo e per le modalità con cui si svolge, ha dato comunque cittadinanza reale a milioni di persone che prima l’avevano solo sulla carta.

È scritto nella Costituzione. Per questo, deve essere applicato con la correttezza che la legge impone e tutelato con fermezza, ad iniziare dagli stessi eletti all’estero che hanno la responsabilità di onorare una responsabilità democraticamente elevata, visto che essa riguarda milioni di persone che vivono lontano dalla vita civile nazionale.

Per questo, auspico che le colleghe Senatrici e i colleghi Senatori siano consapevoli e partecipi di questa particolare responsabilità e si esprimano con la chiarezza e la trasparenza che la legalità e la democrazia richiedono.

*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42 – 00186 ROMA)

 

 

02 – SCHIRÒ (PD): LA BREXIT E I DIRITTI ALLE PRESTAZIONI ASSISTENZIALI ITALIANE . A SEGUITO DEL RECESSO DALL’UNIONE EUROPEA E DAI REGOLAMENTI COMUNITARI DI SICUREZZA SOCIALE IL REGNO UNITO HA STIPULATO CON LA STESSA UNIONE UN ACCORDO AL FINE DI TUTELARE LA PROTEZIONE SOCIALE RECIPROCA (DIRITTI PREVIDENZIALI E ASSISTENZIALI) DEI CITTADINI DELLE DUE PARTI E DEI LORO FAMILIARI. 18 NOVEMBRE 2021

Si è cercato con l’accordo di tutelare, senza soluzione di continuità, i diritti acquisiti in materia di sicurezza sociale.

L’accordo aveva previsto un periodo di transizione – dal 1° febbraio 2020 al 31 dicembre 2020 – durante il quale i Regolamenti comunitari hanno continuato ad applicarsi al Regno Unito.

In questa complessa materia, peraltro secondo molti addetti del settore non pubblicizzata e spiegata adeguatamente, l’Inps aveva fornito istruzioni operative in materia di prestazioni pensionistiche e a sostegno del reddito, di legislazione applicabile, di distacchi di lavoratori all’estero, di recuperi di contributi e prestazioni indebite a favore di tutti coloro i quali hanno vissuto, lavorato e versato i contributi nell’Unione europea e nel Regno Unito fino al 31 dicembre 2020.

Successivamente, esauritosi il periodo di transizione, l’Unione europea e il Regno Unito avevano sottoscritto un accordo sugli scambi commerciali e la cooperazione (Trade and Cooperation Agreement o TCA), ratificato dall’Unione europea in data 29 aprile 2021.

Il TCA aveva stabilito che gli Stati membri e il Regno Unito coordinano i rispettivi sistemi di sicurezza sociale a norma del Protocollo sul coordinamento della sicurezza sociale (Protocol on social security coordination o PSSC), costituente parte integrante del medesimo accordo, e delle relative disposizioni di applicazione contenute in un allegato del medesimo Protocollo.

Noi avevamo dato subito la notizia e presentato contestualmente una interrogazione parlamentare sollecitando il Ministero del Lavoro e l’Inps ad informare i nostri connazionali che vivono nel Regno Unito o che intendono andare a vivere nel Regno Unito in merito ai loro nuovi diritti e doveri socio-previdenziali.

Infatti l’Inps con una circolare emanata lo scorso aprile aveva chiarito i principi generali del nuovo Protocollo sulla sicurezza sociale tra Regno Unito e Italia (Unione Europea) che si applica dal 1° gennaio 2021 in materia di parità di trattamento, esportabilità delle prestazioni, totalizzazione dei periodi di contribuzione e unicità della legislazione applicabile.

Le prestazioni che rientrano nel campo di applicazione del nuovo Protocollo sono praticamente le stesse previste dai Regolamenti comunitari di sicurezza sociale (ora non più applicabili tra le parti) con alcune eccezioni importanti tra le quali le prestazioni familiari che stranamente non sono più incluse e disciplinate.

Giova ora precisare che nei giorni scorsi l’Inps ha emanato una nuova Circolare (la n. 154) con la quale l’Istituto ha inteso chiarire i criteri per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assistenziali italiane, a sostegno della famiglia e di inclusione sociale (che prevedono il requisito della residenza in Italia del titolare) ai cittadini del Regno Unito residenti in Italia, in applicazione delle nuove disposizioni contenute nei vari accordi.

Nella sua importante circolare l’Inps distingue, in merito ai diritti alle prestazioni assistenziali, due categorie di cittadini: quelli i quali erano presenti in Italia al 31 dicembre 2020 e quelli arrivati (o che arriveranno) in Italia successivamente a tale data.

La differenza sembra essere fondamentale: infatti i primi, sostiene l’Inps, devono considerarsi equiparati ai cittadini dell’Unione europea e mantengono quindi i diritti connessi al soggiorno legale in Italia anche per il periodo successivo a tale data e non devono costituire un nuovo status di soggiorno, ai fini dell’accesso alle prestazioni di assistenza sociale o al mantenimento delle prestazioni già in godimento.

Diversamente, nei confronti dei cittadini del Regno Unito non residenti nel territorio nazionale entro il 31 dicembre 2020, che presentino domanda per le prestazioni considerate assistenziali (come ad esempio l’assegno sociale o il reddito di cittadinanza, quelle a sostegno della famiglia e per l’inclusione sociale e l’invalidità civile, etc.), si applicheranno le disposizioni dettate in materia di documenti di soggiorno per i cittadini extracomunitari che sappiamo essere più complicate.

Sembra quindi che la Brexit abbia (inevitabilmente) creato, con riferimento ai cittadini britannici che vengono in Italia, situazioni e trattamenti giuridici diversi (a seconda della data di arrivo in Italia) in materia di diritto di soggiorno e di riflesso di tutela socio-assistenziale. Si prevede un ampio e complesso contenzioso.

*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42 – 00186 ROMA)

 

 

03 – LA MARCA (PD): HO PRESENTATO IN COMMISSIONE ESTERI LA RISOLUZIONE DEL PD SUL MIGLIORAMENTO DEI SERVIZI CONSOLARI . “HO ILLUSTRATO OGGI, GIOVEDÌ 18 NOVEMBRE, NELLA COMMISSIONE ESTERI DELLA CAMERA, LA RISOLUZIONE SULLA RIORGANIZZAZIONE E IL RILANCIO DEI SERVIZI CONSOLARI CHE IL GRUPPO DEL PD HA PRESENTATO NELLE SCORSE SETTIMANE, CON LE FIRME DI LA MARCA, SCHIRÒ E QUARTAPELLE. 18 novembre 2021

Di fronte alla situazione insostenibile che il sistema dei servizi consolari sta attraversando, si tratta di un atto dovuto.

Negli ultimi 15 anni la comunità di passaporto italiano nel mondo si è raddoppiata, sono cresciuti i compiti messi a carico degli uffici e, nello stesso tempo, sono state chiuse decine di strutture all’estero, mentre la pianta organica del personale MAECI si è asciugata di migliaia di unità, del 35% nelle sole aree funzionali, quelle che portano avanti i servizi ai cittadini e alle imprese.

Tutto questo per le politiche di risanamento finanziario degli scorsi anni e per il blocco del turnover del personale. I concorsi che si sono riaperti da qualche anno non sono ancora sufficienti per coprire i posti vacanti in organico.

Una condizione drammatica, attenuata dal ricorso al personale a contratto che, pur con un trattamento salariale inadeguato, ha consentito di rispondere alle esigenze più immediate e urgenti nei settori nei quali il suo impiego è consentito dalle norme.

Sono in gioco, insomma, i diritti di cittadinanza di milioni di persone e la possibilità di dare un aiuto adeguato alle imprese che tentano di internazionalizzarsi.

Per questo, la nostra risoluzione richiede al Governo un intervento di emergenza per ripristinare la normale efficienza minata dalle norme restrittive contro la pandemia e per recuperare gli arretrati che si sono creati. Chiede inoltre un programma di più largo respiro per reintegrare almeno in parte il personale venuto a mancare e per accelerare i programmi di digitalizzazione che stentato ad entrare a regime.

La necessità di attendere altri atti preannunciati da qualche altro gruppo parlamentare ha determinato lo slittamento del voto alla prossima settimana.

Per quanto ci riguarda, ribadisco la nostra apertura ad ogni apporto leale e costruttivo, a condizione che si faccia presto per cogliere l’occasione della legge di bilancio.

*(On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. – Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America – Electoral College of North and Central America – Ufficio/Office: – 00186 – Roma, Piazza Campo Marzio, 42)

 

 

04 – GLI ACCORDI DELLA COP26 DI GLASGOW SUL CLIMA SPIEGATI IN 10 PUNTI – IL BLITZ DI INDIA E CINA PER ANNACQUARE LO STOP AL CARBONE. I 100 MILIARDI DI AIUTI AI PAESI MENO SVILUPPATI RIMANDATI AL 2023. L’AVVIO DEL MERCATO DEL CARBONIO: ECCO COSA SI È DECISO IN SCOZIA, CON TANTI MAL DI PANCIA

MESSAGGIO ALLA COP26 DI GLASGOW.

Glasgow – Da phase out a phase down. Cop26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite a Glasgow, si chiude il 13 novembre ai tempi supplementari con un colpo di scena finale. E non di quelli positivi: l’accordo c’è ma l’impegno all’uscita dal carbone e lo stop ai sussidi alle fonti fossili, inserito per la prima volta nella storia delle conferenze sul clima delle Nazioni Unite in una bozza iniziale che aveva galvanizzato i negoziati di Glasgow, viene ridimensionato a un rallentamento. Un blitz nelle stanze delle trattative ha modificato in extremis la proposta di accordo che circolava dalla mattina, blindata dalla presidenza britannica per 18 interminabili ore e sulla quale si era raggiunto un consenso a denti stretti.

Una sola parola, ma la differenza è enorme. Il carbone, che doveva essere abbandonato, sarà solo ridotto. E neanche per intero. La formula adottata a Cop26 in quello che è stato ribattezzato il Glasgow Climate Pact (il Patto per il clima di Glasgow) è un rallentamento del solo carbone “unabated”, ossia le cui emissioni non vengono abbattute, per esempio con sistemi di cattura della CO2 (una tecnologia considerata ancora non sostenibile sul fronte dei costi), e uno stop ai sussidi delle fonti fossili “inefficient”, inefficienti. Una formulazione vaga che suona come una pezza.

Il finale inatteso è frutto di un asse tra India, Cina e Stati Uniti. Le tre potenze, tre miliardi di persone, mettono all’angolo gli altri 194 convenuti. Gli Stati più piccoli, quelli meno responsabili ma paradossalmente più colpiti dal cambiamento climatico, denunciano di essere stati messi davanti a un aut aut. Tra i banchi della sala della plenaria circola rassegnazione. E stanchezza. Quattordici giorni di negoziazioni interminabili si chiudono così, con un colpo di martello del presidente britannico Alok Sharma, commosso fino alle lacrime.

“La negoziazione perfetta è quella che scontenta tutti”, ha detto il segretario di Stato americano, John Kerry, per 14 giorni a Glasgow come inviato sul clima plenipotenziario in rappresentanza del presidente Joe Biden. Gli Stati Uniti, però, sorridono. L’Unione europea no: messa all’angolo dei giochi, ingoia la pillola appoggiando un accordo che dice di non condividere, come sostiene il vicepresidente con delega al Green deal, Frans Timmermans. Vediamo nel dettaglio cosa c’è negli accordi finali scozzesi e cosa resta di questa conferenza:

RESTA L’OBIETTIVO A 1,5 GRADI

Via lo stop definitivo a fonti fossili e carbone – Arrivano i 100 miliardi, ma entro il 2023 – La partita persa delle perdite (e danni) – Il mercato del carbonio – Che dati mettere nelle tabelle Excel sulla trasparenza

 

  1. RIBADITO L’OBIETTIVO A 1,5 GRADI

Viene ribadito l’impegno a fare i massimi sforzi per stare “ben sotto i 2 gradi” di aumento delle temperature e nell’intorno di 1,5 gradi, considerato dagli scienziati il valore limite entro cui mantenersi per prevenire conseguenze disastrose della crisi del clima. Il che si traduce in una promessa a tagliare le emissioni del 45% entro il 2030.

 

  1. VIA LO STOP DEFINITIVO A FONTI FOSSILI E CARBONE

Come detto, Cop26 non ha consegnato il carbone alla storia come aveva promesso. Di revisione in revisione l’impegno è stato ridimensionato fino ad arrivare al phasing down, che, peraltro, riguarda solo il carbone “unabated” (senza sistemi di cattura e stoccaggio della CO2, tecnologie ancora non applicabili a una produzione su larga scala).

Rispetto ai sussidi alle fonti fossili si parla di blocco solo a quelli “inefficienti”. Una formula che accontenta Russia e Arabia Saudita e annacqua il testo. Su questo aggettivo si gioca tutto. Cosa significa? Chi definisce cosa è efficiente o no? Sulla base di quali criteri? Un ruolo potrebbe averlo l’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change), che l’accordo eleva a barometro del clima, e quindi pone tra le principali agenzie mondiali per rilevanza, con responsabilità pesanti nel disegnare il mondo che verrà. Come dire: il riferimento non è più la politica, ma la scienza. Dall’altra parte, però, il legame non è esplicitato e ogni paese deciderà per sè.

Bene o male, quindi? Rispetto alla prima formulazione, il compromesso è molto al ribasso. C’era da aspettarselo, considerato anche l’improvviso accordo tra Stati Uniti e Cina, che ha sì sciolto il gelo tra i due Paesi ma anche lasciato intendere che Pechino non avrebbe mollato la presa sul carbone. Il suo inviato sul clima, Xie Zhenhua, lo ritiene necessario per accompagnare la transizione energetica e ha parlato di responsabilità “differenziate”. Tuttavia è anche la prima volta in cui l’accordo prevede formalmente alcune, seppure limitate, forme di uscita. Vedremo se sarà un punto di partenza o una formula per mascherare scappatoie.

 

  1. ARRIVANO I 100 MILIARDI, MA ENTRO IL 2023

È stata una Cop in cui si è parlato molto di denaro. Anche perché chi doveva riceverlo, ossia i Paesi meno sviluppati, è arrivato a Glasgow senza che le economie più ricche avessero raggiunto nel 2020 i 100 miliardi di dollari all’anno a sostegno della transizione energetica promessi nel 2009 a di Copenhagen. L’impegno è di aumentare, persino raddoppiare gli stanziamenti  in futuro tra il 2025 e il 2030. Intanto, però, il traguardo dei 100 miliardi è posticipato al 2023.

I nodi si annidano nel pregresso. Cosa succede con gli arretrati? Si compensano le risorse mancanti o vale la regola: “Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto”? I Paesi meno sviluppati, ovviamente, avrebbero voluto una formula più stringente per recuperare anche le quote non versate in precedenza. Non l’hanno ottenuta. Un capitolo specifico è dedicato alla finanza per l’adattamento, ossia quella serie di azioni messe in campo per adeguarsi agli scenari futuri provocati dalla crisi del clima.

 

  1. LA PARTITA PERSA DELLE PERDITE (E DANNI)

Quello sulle perdite e i danni (loss and damage) è uno dei versanti tecnici del braccio di ferro di Glasgow ma uno dei più eloquenti per capire come è andata. In sostanza, perdite e danni è una formula convenzionale per indicare i risarcimenti che i Paesi meno sviluppati, ma più vulnerabili alla crisi del clima, chiedono alle economie più ricche. Noi soffriamo di più a causa di eventi disastrosi come uragani, siccità o innalzamento dei mari, voi ci compensate. Ci aspettava che da Glasgow si uscisse con impegni concreti, un fondo dedicato e un meccanismo di restituzione. E si riuscisse finalmente a rendere operativo (leggi: metterci i soldi) il Santiago Network, una rete per mettere in contatto i paesi in via di sviluppo con aziende e operatori che possano fornire aiuto nell’affrontare la crisi climatica.

DI GABRIELE NIOLA – Invece l’accordo finale riconosce solo il diritto a perdite e danni. Ma niente soldi. Sono tanti i paesi scontenti, tra Africa, Stati insulari e America Latina. “Manca  un chiaro processo e una chiara decisione sulla finanza per aiutare chi soffre dalle perdite e i danni degli impatti – commenta Luca Bergamaschi, analista del think tank Ecco -. Su questo il testo prevede solamente dei “dialoghi” per i prossimi due anni, risultato ancora insufficiente per tutti i paesi e le comunità che già oggi soffrono tremende perdite e danni. Abbiamo bisogno di vedere più impegni concreti su questo tema nel 2022, anche dall’Europa”.

L’impianto per la cattura di CO2 di Climeworks in Islanda

Cos’è il mercato del carbonio, uno degli accordi più combattuti a Cop26

Previsto dall’articolo 6 degli accordi di Parigi, riguarda un sistema per compensare le emissioni tra i Paesi e per sostenere progetti in quelli in via di sviluppo. Ma le bozze sono vaghe e si rischia che parta senza regole comuni

 

  1. IL MERCATO DEL CARBONIO

Il problema del carbonio è stato chiuso. Dopo sei anni di trattativa, uno dei risultati di Cop26 è stato aver trovato un accordo su come regolamentare il mercato dei crediti, ossia un sistema di scambio delle emissioni tra i Paesi, attraverso cui chi inquina meno compensa chi sfora i limiti o ha bisogno di aiuto per non superarli.

È stato uno degli argomenti più combattuti. E lo si è visto dalle reazioni dei paesi meno sviluppati alla resa dei conti. La delegazione della Bolivia: “Ci rifiutiamo di essere intrappolati nel colonialismo del carbonio. I paesi sviluppati continuano a usare il carbon budget di quelli in via di sviluppo, e questo non è corretto”. Non è stata inserita la trattenuta su queste transazioni destinata a sostenere i paesi in via di sviluppo. E i crediti maturati all’interno dei protocolli di Kyoto fino all’anno scorso (dal 2021 entrano in vigore gli accordi di Parigi) grazie alla riduzione della deforestazione, che sarebbero stati di aiuto per tanti piccoli Paesi, come ricordava l’inviato della Papua Nuova Guinea Kevin Conrad, sono stati espunti. Una beffa. Guardando il bicchiere mezzo pieno, per Rachel Kyte, preside della Fletcher school of diplomacy della Tufts University, viene limitato il ricorso volontario al mercato del carbonio.

COP26

Alla conferenza del clima i tre punti chiave dell’accordo riguardano finanziamenti, tempi di revisione degli impegni e trasparenza delle emissioni. Per questo servono tabelle e report completi, su cui si consuma il braccio di ferro tra le parti

 

  1. CHE DATI METTERE NELLE TABELLE EXCEL SULLA TRASPARENZA

Chi controlla che gli impegni siano rispettati? Una parte dei negoziati ha avuto come tema la trasparenza. E in particolare la trasparenza del sistema di contabilità delle emissioni. Complesse tabelle Excel dove, per attività (per esempio agricoltura o industria) e tipo di gas serra i Paesi dichiarano le loro emissioni e sottopongono i propri sforzi al giudizio altrui. Ma cosa succede se un Paese non riesce a raccogliere i dati necessari, perché manca delle infrastrutture necessarie? O se non vuole rivelare un dato che reputa scomodo?

L’accordo raggiunto a Glasgow prevede che i Paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di flessibilità nella contabilità delle emissioni possono evitare di consegnare alcuni dati e riempire le caselle mancanti o con la sigla Fx (che sta per flessibilità), un modo per dire agli altri che su quella specifica informazione devono portare pazienza. La sigla Fx era il compromesso cercato proprio dai Paesi meno sviluppati per evitare di lasciare il foglio bianco, senza però nascondere gli altri dati. Si parte dal 2024.

Le attività estrattive nel settore oil&gas sono responsabili del 25% delle perdite di metano

Cosa dice l’accordo per limitare le emissioni di metano firmato alla Cop26

Siglano l’impegno 105 paesi. Fuori Cina, Russia e Australia. Principale responsabile è il settore degli allevamenti

 

  1. GLI ACCORDI COLLATERALI E L'”ANNUNCITE”

Nella prima settimana di Cop si sono ricorsi molti accordi multilaterali. Uno su tutti, quello per limitare le emissioni di metano del 30% rispetto a quelle del 2020 entro la fine del decennio. Una iniziativa guidata da Stati Uniti ed Europa e sottoscritta in totale da 105 paesi, salvo Cina, Russia, Australia. È uno dei risultati più importanti ottenuti a Cop26, perché il metano ha la capacità di riscaldare l’atmosfera circa ottanta volte più velocemente dell’anidride carbonica, ma questa capacità cala drasticamente dopo un ventennio.

Tuttavia l’intensità di accordi laterali, pompati dalla presidenza britannica all’avvio di Cop quasi per assicurare al mondo fuori dal centro congressi di Glasgow che dentro si stesse concludendo qualcosa, quasi una febbre da annunci, stride con il risultato finale. Ad ogni modo queste iniziative parallele possono dare i loro frutti, anche per creare alleanze in vista delle prossime conferenze. Come la Beyond oil and gas alliance, un forum internazionale guidato da Danimarca e Costa Rica per mettere fine alle fonti fossili, partecipata da undici componenti tra cui l’Italia (con il grado di impegno più basso, ossia amico). O il fondo da 24 miliardi di dollari per lo stop al finanziamento di ricerca ed estrazione di fonti fossili all’estero, siglato anche dall’Italia.

 

  1. DIAMOCI DEI TEMPI

L’accordo stabilisce che ogni Paese dovrà fornire alle Nazioni unite i suoi piani sul clima per cicli quinquennali. Però manca un impegno stringete. Il patto di Glasgow si limita a “incoraggiare” a presentare nel 2025 il pacchetto di impegni per ridurre le emissioni e centrare gli obiettivi degli accordi di Parigi, detti contributi determinati a livello nazionale (Nationally determined contributions, Ndc) del 2035, nel 2030 quelli del 2040. Troppo poco per chi si aspettava tabelle stringenti.

 

  1. RINVIATO AL 2022

Non tutto si conclude a Glasgow. Entro l’anno prossimo i Paesi che ancora non l’hanno fatto devono consegnare i loro piani nazionali. Poi parte un programma di lavoro per accelerare il taglio delle emissioni, che presenterà i suoi risultati alla Cop27, ospitata dall’Egitto a Sharm-el-Sheik, e una commissione annuale di verifica delle strategie sul clima dei vari Paesi.

Gli inviati del clima di Stati Uniti e Cina, John Kerry e Xie Zhenhua

A Cop26 Cina e Stati Uniti hanno annunciato a sorpresa di voler collaborare sul clima

I due colossi annunciano di voler cooperare su metano, deforestazioni ed emissioni, ma non si tocca il carbone, su cui né Washington né Pechino hanno annunciato l’uscita definitiva

 

  1. IL MONDO CHE ESCE DA COP26

Se c’era bisogno di un’altra prova del fatto che gli equilibri mondiali sono cambiati, questa è Cop26. La mossa di India e Cina cambia in poche ore un testo sulle cui virgole si lavorava da giorni, mettendo la presidenza inglese con le spalle al muro, al punto che Sharma ha chiesto scusa alle altre delegazioni e sollevato lo scontento di vari Paesi, come la Svizzera e il Messico.

L’altro colpo di scena ha avuto sempre Pechino al centro e riguarda l’intesa di cooperazione sul clima con gli Stati Uniti. Un segnale di disgelo in vista del prossimo colloquio, virtuale, tra i rispettivi presidenti, Xi Jinping e Joe Biden, e la prima presa di posizione pubblica della Cina, molto attiva nelle stanze dei negoziati ma poco visibile, complice la pesante assenza proprio di Xi. Prima prova dell’efficacia di questo asse è stato proprio il blitz sul phase down dal carbone.

Il giorno successivo all’accordo Stati Uniti-Cina, il commissario europeo Timmermans ha voluto mettere i puntini sulle i: loro hanno fatto un accordo, noi abbiamo una legge sul clima (il pacchetto Fit for 55, che ambisce a ridurre del 55% le emissioni dei Paesi dell’Unione entro il 2030). Tuttavia il Vecchio continente, che negozia a nome dei 27 (per cui prima di ogni trattativa, i rappresentanti dei Paesi si ritrovano per definire la linea comune), è apparso spompato. E diviso. La pillola amara ingoiata da Timmermans sul voto finale (non mi piace, ma lo appoggio) è il segnale che Bruxelles non ha saputo qualificarsi come un alleato di peso per queste contrattazioni, facendo valere le sue ragioni. Per Jennifer Tollmann, consulente politica del think tank E3G, “a dispetto dell’impegno molto ambizioso, l’Unione europea ha faticato a costruire ponti con gli Stati Uniti, la Cina e i piccoli Stati insulari oltre le divisioni nord-sud”. Il risultato si è visto. Se qualcosa deve cambiare alla prossima conferenza sul clima, è ora di mettersi al lavoro.

*( A. Piemontese – L. Zorloni, giornalisti Wired)

 

 

05 – Schirò *(Pd): L’IVA (E NON SOLO) RIDOTTA DAL 10 AL 4% PER EMIGRATO CHE ACQUISTA UNA “PRIMA CASA” IN ITALIA, MA PER QUANTO? NON È ANCORA CHIARO CHE FINE ABBIA FATTO LA NORMA  PRIMA INSERITA E POI INOPINATAMENTE RIMOSSA DAL DECRETO FISCALE COLLEGATO ALLA LEGGE DI BILANCIO 2022 CON LA QUALE SI CANCELLAVA LA LEGGE CHE PREVEDE UN TRATTAMENTO FISCALE AGEVOLATO A FAVORE DEI SOLI CITTADINI ISCRITTI ALL’AIRE (E NON QUINDI DEGLI ALTRI CITTADINI EUROPEI) PER L’ACQUISTO DI UNA “PRIMA CASA” IN ITALIA.

Sospettavamo che per ragioni inderogabili  (e cioè per evitare una condanna da parte della Corte di Giustizia europea per violazione del Trattato sul Funzionamento dell’Unione  –  dopo il deferimento dell’Italia da parte della Commissione europea – che non ammette trattamenti discriminatori basati sulla cittadinanza) la norma sarebbe stata inserita nella Legge di Bilancio 2022, ma così – almeno finora – non è stato. E l’Agenzia delle Entrate – in attesa di un intervento definitivo da parte del legislatore – continua tuttavia a precisare regole e limiti per gli iscritti all’Aire su come ottenere i benefici fiscali previsti e ancora non cancellati. Infatti con la  risposta n. 751 pubblicata nei giorni scorsi l’Agenzia chiarisce alcuni dubbi inerenti all’applicazione del regime fiscale di favore per i cittadini italiani residenti all’estero che vogliono acquistare una casa in Italia.

Rispondendo ad un interpello di un cittadino italiano residente a Londra intenzionato ad acquistare un immobile in Italia per poi darlo in comodato d’uso alla madre, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che il cittadino iscritto all’Aire  può acquistare l’immobile usufruendo dell’aliquota Iva agevolata anche nell’ipotesi in cui conceda in comodato l’immobile stesso perché la legge stabilisce che l’agevolazione spetti anche nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, a condizione che l’immobile acquistato costituisca la “prima casa” nel territorio italiano e soprattutto senza alcun obbligo di fissare la residenza nel comune di locazione dell’immobile, requisito quest’ultimo previsto invece per i cittadini residenti in Italia.

Ricordiamo che gli iscritti all’Aire quando acquistano una “prima casa” in Italia hanno diritto al versamento di un’imposta di registro del 2 per cento, anziché del 9 per cento, sul valore catastale dell’immobile acquistato, e delle imposte ipotecaria e catastale snella misura fissa di 50 euro o, quando a vendere l’immobile è un’impresa soggetta a IVA, l’applicazione di un’aliquota del 4 per cento, anziché del 10 per cento, e il versamento di imposte di registro, catastale e ipotecaria nella misura fissa di 200 euro ciascuna.

Per ottenere tale agevolazione  è necessario che: a) nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero  l’immobile sia acquistato come “prima casa” sul territorio italiano; b) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare; c) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le stesse agevolazioni.

Un altro quesito che il cittadino italiano residente a Londra poneva  era se l’eventuale plusvalenza derivata dalla rivendita dell’abitazione entro cinque anni, e senza acquisto di altro immobile, avrebbe comportato degli oneri fiscali. L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che non sono previste imposizioni fiscali sulla plusvalenza se l’immobile per la maggior parte del periodo sia (stato) adibito ad abitazione principale dall’acquirente o dai suoi familiari.

*( Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42 – 00186 ROMA)

 

 

06 –   Giovanna Chioini*:  LA QUARTA ONDATA IN EUROPA E LE ALTRE NOTIZIE SUL VIRUS.

  • La pandemia di coronavirus ha causato finora 248.791.346 contagi e ha ucciso 5.033.059 persone in tutto il mondo da quando l’ufficio dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in Cina ha segnalato l’insorgenza della malattia, alla fine di dicembre del 2019. Il 50 per cento della popolazione mondiale ha ricevuto almeno una dose di vaccino, ma nei paesi poveri solo il 4,1 per cento della popolazione ne ha ricevuta almeno una.
  • “Siamo ancora una volta nell’epicentro della pandemia”, ha affermato il direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per l’Europa Hans Kluge durante una conferenza stampa il 4 novembre. “Se si conferma questa tendenza, potremmo registrare un altro mezzo milione di morti causati dal covid-19 nella regione entro febbraio”, ha detto Kluge presentando i dati che parlano di un tasso di trasmissione “molto preoccupante” in Europa, regione che finora ha registrato più di 1,4 milioni di morti. Per l’Oms, l’aumento dei casi può essere spiegato dalla combinazione di una copertura vaccinale insufficiente (nonostante la disponibilità di vaccini) e dell’allentamento delle misure restrittive. Secondo l’agenzia sanitaria, i ricoveri legati al covid-19 “sono più che raddoppiati in una settimana”. Il numero di nuovi casi giornalieri è in aumento da quasi sei settimane consecutive in Europa e il numero di nuovi decessi al giorno è in crescita da poco più di sette settimane consecutive, con circa 250mila casi e 3.600 decessi al giorno, secondo i dati ufficiali per paese elaborati dall’Afp. L’Oms ha raccomandato un uso massiccio e continuo delle mascherine. “Proiezioni affidabili mostrano che se raggiungiamo un tasso di uso delle mascherine del 95 per cento in Europa e in Asia centrale, potremmo salvare fino a 188mila vite su mezzo milione di vite che stiamo per perdere entro il febbraio del 2022”, ha osservato Kluge.
  • Secondo Marco Cavaleri, responsabile vaccini dell’Agenzia europea del farmaco (Ema), “ci troviamo già nella quarta ondata della pandemia”.
  • In Germania il 5 novembre è stato registrato un secondo picco consecutivo di nuovi casi giornalieri, 37.120, con 154 morti, ha reso noto il centro di controllo delle malattie dell’istituto Robert Koch, sottolineando che le persone non vaccinate ora affrontano un rischio “molto alto” di infezione. Il numero di nuovi casi è il più alto dal 18 dicembre 2020. “Per le persone completamente vaccinate, la minaccia è considerata moderata, ma comunque in aumento considerando i crescenti dati sull’infezione”. Il ministro della salute Spahn ha chiesto un incremento delle vaccinazioni di richiamo, controlli più stretti sullo stato vaccinale e sui risultati dei tamponi e test obbligatori al livello nazionale del personale e dei visitatori delle case di cura. I dati ufficiali mostrano che circa i due terzi (il 66 per cento) della popolazione tedesca, 83 milioni di abitanti, hanno completato il primo ciclo di vaccinazione, ma ci sono significative differenze tra le regioni, che sono amministrate in modo autonomo e possono applicare o allentare le restrizioni. Dalla Turingia e dalla Sassonia sono arrivati allarmi per l’aumento dei ricoveri in terapia intensiva.
  • Nell’Europa centrorientale, dove è vaccinato in media meno del 50 per cento della popolazione, Ucraina, Croazia, Slovenia e Slovacchia hanno riportato il numero più alto di sempre di nuovi casi giornalieri, mentre altri paesi hanno registrato il maggior numero di infezioni da mesi.
  • In Lettonia, paese che affronta una delle peggiori ondate di infezioni nell’Ue (1.641 nuovi casi su centomila persone nella settimana terminata il 24 ottobre) ed è appena uscito da un nuovo lockdown, dal 15 novembre le imprese potranno prima sospendere e dopo tre mesi licenziare i lavoratori che rifiutano di vaccinarsi contro il covid-19 o di lavorare a distanza.
  • In Francia il parlamento ha approvato con 118 voti favorevoli, 89 contrari e un astenuto il disegno di legge sulla vigilanza sanitaria che include la proroga al 31 luglio dell’uso del green pass, richiesto dai dodici anni in su per entrare in luoghi pubblici e d’intrattenimento, sui mezzi di trasporto a lunga e media percorrenza e obbligatorio per chi lavora in questi settori. La disposizione era stata contestata dal senato, che voleva il green pass in vigore solo fino al 28 febbraio. La vigilanza sanitaria permette inoltre a presidi e dirigenti scolastici di avere accesso al libretto vaccinale degli alunni, una misura denunciata dalle opposizioni che la considerano una violazione del segreto professionale del personale sanitario.
  • I casi totali di nuovo coronavirus registrati in Africa sono più di 8,5 milioni con 218mila morti, secondo l’ultimo rapporto dell’Oms.
  • Nel Regno Unito medici e scienziati raccomandano di seguire le indicazioni di una campagna del governo che esorta ad aprire le finestre ogni dieci minuti quando si incontrano persone al chiuso, anche e soprattutto con l’arrivo dell’inverno, per disperdere il più possibile le particelle del virus nell’aria.
  • Il Regno Unito è il primo paese ad approvare l’uso della pillola antivirale molnupiravir per il trattamento del covid-19. Da metà novembre nel paese arriverà quasi mezzo milione di trattamenti (due pillole due volte al giorno per cinque giorni) con il farmaco prodotto dall’azienda statunitense Merck Sharp and Dohme in collaborazione con la Ridgeback Biotherapeutics. I trattamenti saranno somministrati inizialmente ai pazienti anziani e a quelli con particolari vulnerabilità, nell’ambito di una sperimentazione clinica gestita dal servizio sanitario nazionale tramite la piattaforma Panoramic creata dall’Istituto nazionale di ricerca sanitaria (Nihr) in collaborazione con l’università di Oxford e altri atenei. La Merck ha accettato di vendere a basso costo le pillole nei paesi più poveri. Al momento il molnupiravir è in attesa di autorizzazione all’uso sia negli Stati Uniti sia nell’Unione europea.
  • Anche la Pfizer afferma che la sua pillola antivirale contro il covid-19 (Paxlovid) ha dimostrato un’efficacia dell’89 per cento in persone adulte ad alto rischio di malattia. L’azienda ha dichiarato che “i risultati estremamente positivi hanno fatto interrompere la sperimentazione”. Il Regno Unito ha già ordinato 250mila cicli del nuovo trattamento della Pfizer.
  • Sul possibile commercio in Italia del molnupiravir, il ministro della salute, Roberto Speranza, ha detto che “come per i vaccini gli acquisti condivisi a livello europeo sono la strada giusta”. Speranza ha dichiarato il 5 novembre che presto aumenterà la platea delle persone che potranno ricevere la terza dose di vaccino, abbassando la soglia di età anagrafica. Nel paese l’86,45 per cento della popolazione sopra i 12 anni risulta vaccinata con almeno una dose, ma, ha ricordato il ministro, il virus non è stato debellato, “il numero dei contagi è in salita, insieme al vaccino dobbiamo continuare sulla strada dei comportamenti corretti, continuare a usare le mascherine al chiuso e in situazioni di assembramento all’aperto, mantenere il distanziamento, osservare le norme igieniche, come il lavaggio delle mani”.
  • In una circolare diffusa alle regioni, il commissario per l’emergenza Francesco Figliuolo ha evidenziato “la necessità di incrementare il ritmo di somministrazione delle terze dosi, anche senza prenotazione”, ipotizzando un “allargamento dell’offerta vaccinale alla platea 5-11 anni” nei prossimi mesi. Il 4 novembre in Italia sono stati registrati 5.905 nuovi casi di coronavirus e 59 decessi a fronte di 514.629 tamponi. Il tasso di positività era all’1,1 per cento.
  • L’Aifa ha dato il via libera al richiamo a 6 mesi dalla prima dose di vaccino J&J, la seconda dose sarà con vaccino a mRna.
  • Il nuovo protocollo del governo italiano per la scuola limita la didattica a distanza facendola scattare solo in caso di tre persone positive in una classe.
  • Negli Stati Uniti il presidente Joe Biden intende far entrare in vigore dal 4 gennaio 2022 l’obbligo di vaccinazione o di tampone settimanale per le lavoratrici e i lavoratori delle aziende private con almeno cento dipendenti (cioè quasi due milioni di imprese). La misura coinvolgerebbe 84 milioni di persone, di cui circa 31 milioni non ancora vaccinate. I governatori repubblicani stanno presentando già ricorsi in tribunale accusando Biden di abusare dei suoi poteri.
  • I centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) hanno approvato la somministrazione del vaccino della Pfizer nella fascia di età tra i 5 e gli 11 anni. Il vaccino è stato approvato all’uso di emergenza il 26 ottobre dalla Food and drug administration.
  • La leader di Hong Kong Carrie Lam ha dichiarato il 4 novembre che probabilmente i confini con la Cina continentale riapriranno nel febbraio 2022, dato che entrambi i governi perseguono la politica “zero contagi” e ancora nessuno dei due ha raggiunto questo obiettivo.
  • In Cina, la famiglia della giornalista Zhang Zhan, 38 anni, arrestata nel dicembre 2020 per aver postato delle inchieste sulla gestione della pandemia a Wuhan nel febbraio 2020, ha denunciato che la donna rischia di morire a causa dello sciopero della fame che sta facendo da alcuni mesi per protestare contro la sua detenzione nel carcere di Shanghai. Come Zhang sono detenuti in Cina per gli stessi motivi Chen Qiushi, Fang Bin e Li Zehua.
  • La Russia ha registrato 40.735 nuovi casi di covid-19 e 1.192 decessi legati al virus il 5 novembre. Il vaccino è obbligatorio per alcune categorie di lavoro in tutte le 85 regioni della federazione, ha dichiarato Anna Popova, direttrice dell’agenzia federale per la tutela dei diritti dei consumatori e della salute (Rospotrebnadzor). Il 4 novembre sulla popolazione vaccinabile risultava aver ricevuto una dose il 39,5 per cento e risultava completamente vaccinato il 33,8 per cento.
  • Nel Regno Unito la pandemia ha fatto peggiorare l’alimentazione dei bambini (che a causa della chiusura delle scuole hanno mangiato, e mangiano tuttora, meno verdure del dovuto), li ha costretti a fare meno esercizio fisico e ha accentuato le loro difficoltà emotive. È quanto emerge da un sondaggio biennale condotto dall’università di Cardiff, nel Galles, che ha messo a confronto le risposte di 1.863 bambini tra i dieci e gli undici anni in 76 scuole raccolte tra aprile e giugno 2019 con quelli degli stessi mesi nel 2021. I bambini provenienti da ambienti più poveri hanno segnalato quasi il doppio delle difficoltà psicologiche e comportamentali rispetto a quelli provenienti da famiglie benestanti. Kelly Morgan, ricercatrice e sociologa a Cardiff, spiega che l’impatto della pandemia potrebbe lasciare un‘“impronta permanente” sulla salute mentale dei bambini mano a mano che crescono, come dimostrano le prove raccolte in precedenti studi internazionali. “I bambini e le loro famiglie sono stati ampiamente colpiti nel corso della pandemia”, ha affermato Morgan. “Oltre al fatto che gli è stato vietato di giocare con i loro coetanei, i bambini erano anche profondamente preoccupati per la salute della loro famiglia e degli altri”. L’indagine ha evidenziato l’importante ruolo svolto dalle scuole durante e dopo la pandemia. Dei bambini intervistati, il 90 per cento ha affermato di sentirsi accudito dagli insegnanti e l’80 per cento ha affermato che c’era almeno un adulto a scuola con cui parlare.

*( Giovanna Chioini, giornalista di Internazionale)

 

 

07 – Lelio La Porta*: QUELL’APPARENTE PARADOSSO CHE SPIEGA LA REALTÀ DELL’AMERICA LATINA – IL SAGGIO . «CINQUE TESI SUL POPULISMO», DELL’INTELLETTUALE ARGENTINO ENRIQUE DUSSEL, PER CASTELVECCHI. SECONDO LE TESI DUSSELIANE, SE IL POPULISMO HA IMPEDITO L’INTEGRAZIONE DELLE CLASSI POPOLARI NELLE STRUTTURE POLITICHE DELLA DEMOCRAZIA CLASSICA EUROPEA, HA, INVECE, GRAZIE ALL’ATTRIBUZIONE DI UN RUOLO CENTRALE ALLO STATO, ASSOCIATO SVILUPPO ECONOMICO E SPAZI ISTITUZIONALIZZATI DI INTEGRAZIONE POLITICO-SOCIALE DELLE MASSE. UN PARADOSSO DIVENTATO ANCHE IL LIMITE DELLO SVILUPPO DELLE SOCIETÀ LATINO-AMERICANE VERSO LA MODERNITÀ

Enrique Dussel è un intellettuale argentino, naturalizzato messicano, in esilio. Tra i fondatori del movimento Filosofia della Liberazione, è conosciuto come critico dell’eurocentrismo ed autore di opere su Marx (Metafore teologiche di Marx), scritti politici (20 tesi di politica), lavori sul concetto di liberazione, divisi in Etica, Erotica e Pedagogica, che usciranno anche in Italia grazie al lavoro indefesso di Antonino Infranca, traduttore princeps dell’autore argentino.

Proprio ad Infranca si devono la traduzione e l’Introduzione di un breve saggio di Dussel, ricco di implicazioni destinate ad una discussione ponderata: Cinque tesi sul populismo (Castelvecchi, pp. 57, euro 9). I lemmi che l’autore pone al centro dell’attenzione sono quelli che occupano le menti delle intellighenzie del mondo intero rispetto al fenomeno che dà il titolo al libro: rappresentanza, partecipazione, ingovernabilità, democrazia, Costituzione, neoliberismo, globalizzazione, leadership, popolo, popolare; in ultimo, un termine, interpellazione, che può apparire un neologismo, in quanto ci è più familiare l’interpellanza, ma che, nella terminologia dusseliana riveste il significato del riconoscimento da parte del popolo, nel momento in cui rivendica i propri diritti, di possedere e mettere in pratica l’«autocoscienza della propria esistenza come attore collettivo», come chiarisce Infranca.

LE CINQUE TESI di Dussel possono essere sintetizzate nel modo seguente: 1) il populismo, in America latina, ha connotato positivamente i regimi che hanno avuto inizio dalla rivoluzione messicana del 1910 e si sono poi diffusi nel Continente; 2) il populismo, sempre in America latina, ha assunto un significato denigratorio nei confronti di quei governi che si sono opposti alle direttrici di controllo economico dettate dagli Usa a partire dall’89; 3) populismo non significa né popolare né popolo; 4) con le parole dell’autore, «la democrazia reale si collega all’organizzazione effettiva della partecipazione politico-popolare»; 5) in che modo vada esercitata la leadership onde evitare avanguardismo o dittature carismatiche.

Prendendo in considerazione il contesto mondiale del 900, il populismo si presenta in America Latina nel momento di crisi del liberalismo e di ascesa delle masse, diventa una forma di «grande politica», contribuisce a costruire una società industriale e moderna dando cittadinanza alle stesse masse attraverso il disciplinamento della questione sociale. Diventa, par di capire dalle tesi dusseliane, una teoria esplicativa dell’America Latina nel suo complesso attraverso un paradosso di fondo: se il populismo ha impedito l’integrazione delle classi popolari nelle strutture politiche della democrazia classica europea, ha, invece, grazie all’attribuzione di un ruolo centrale allo Stato, associato sviluppo economico e spazi istituzionalizzati di integrazione politico-sociale delle masse. Questo paradosso è diventato anche il limite dello sviluppo delle società latino-americane verso la modernità (da questo punto di vista va letta con attenzione la IV tesi di Dussel).

OGGI, PERÒ, quando si parla di populismo, la mente non va di certo a questa elaborazione dusseliana, la quale ne richiama con forza le origini; oggi, parlare di populismo significa, il più delle volte, prendere in considerazione i comportamenti politici di leader definiti populisti (la quinta tesi è emblematica). La generalizzazione, e banalizzazione, del termine produce formule antisistema applicabili sia a destra (dove il populismo è declinato con xenofobia, razzismo, elogio del libero mercato e delle differenze di classe e di censo) sia a sinistra (dove il populismo dovrebbe sottrarre all’oblio, rimettendole in circolazione, eguaglianza, libertà e solidarietà), fino alla conclusione che il populismo possa costituire il superamento della democrazia rappresentativa verso la democrazia diretta. La maggior parte dei sostenitori di questi punti di vista è convinta, almeno all’apparenza, di muoversi nella contrapposizione all’attuale modello di sviluppo capitalista che favorisce il potere di una ristretta oligarchia globale.

DA CIÒ DERIVEREBBE una fusione di popolo e politica destinata a porre un limite alla rappresentanza democratica per mezzo della nozione di «governo del popolo». A questo livello la dusseliana interpellazione avrebbe il ben servito e la prospettiva diverrebbe (se non è già) quella di una forte restrizione dell’espressione autonoma di quegli individui che costituiscono il popolo. Come a dire, una forma di autoritarismo basato sul consenso.

*(Lelio La Porta, Docente nei Licei, collaboratore di Critica marxista, è autore di Etica e rivoluzione nel giovane Lukács (1991), Arendt, Berlin, Strauss.)

 

 

08 – Lucrezia Ercolani*: RITORNO A REIMS, DAGLI ANNI CINQUANTA AL NAZIONALISMO – INTERVISTA. IL LAVORO D’ARCHIVIO DI JEAN-GABRIEL PÉRIOT RICOSTRUISCE LA STORIA DELLA CLASSE OPERAIA FRANCESE.

«Quando la coscienza politica è scomparsa il nazionalismo è arrivato, in Francia è evidente ma credo sia un fenomeno rintracciabile in tutti i Paesi occidentali». Jean-Gabriel Périot sintetizza così uno dei nuclei centrali del suo film Retour à Reims, presentato alla Quinzaine des Réalisateurs a Cannes e ora in concorso a Filmmaker Festival. Uno scavo nel passato alla riscoperta di una storia che ci riguarda, quella della classe operaia dagli anni ’50 ai giorni nostri, interrogandosi con mente aperta, senza condanne né pregiudizi morali, sul perché delle tante trasformazioni avvenute e delle scommesse perse. Il film è tratto dall’omonimo libro di Didier Eribon e racconta il ritorno dell’intellettuale presso la casa di famiglia in seguito alla morte del padre – da qui il titolo – un’occasione per ripercorrere gli avvenimenti che hanno segnato l’esistenza dei suoi parenti e del gruppo sociale a cui appartenevano.

Périot ha scelto di estromettere gli aspetti più personali ed autobiografici del testo per concentrarsi sulla valenza politica della narrazione delle condizioni materiali e non solo dei lavoratori. Sulle loro facce leggiamo la fatica e la disperazione di non poter cambiare vita, vediamo le case senza i bagni, l’intimità inesistente. Le donne poi vivevano ulteriori problematiche come la necessità di abortire clandestinamente e la difficoltà di lavorare e gestire la casa allo stesso tempo. Retour à Reims ci parla di quanto la povertà sia inscritta, ieri come oggi, nelle cosiddette «società del benessere» occidentali ma anche della strenua resistenza che gli sfruttati hanno provato a mettere in campo contro di essa.

La voce narrante di Adèle Haenel ci conduce in questo passato prossimo alla ricerca di risposte di cui è forte l’esigenza oggi, il film è attraversato infatti da una corrente viva, dal bisogno di interrogare una storia che sembra passata di moda ma che è fondamentale per comprendere i nostri tempi. Al di là di alcune scene posizionate all’inizio e alla fine il documentario è composto di immagini d’archivio, risultato di un’opera di ricerca e di montaggio a cui il regista francese non è nuovo, del 2015 il suo lavoro Une Jeunesse Allemande che ricostruiva la storia della RAF. Lo abbiamo intervistato per approfondire le ragioni del suo lavoro.

Perché ha deciso di realizzare un film a partire dal libro di Didier Eribon?

Le mie origini appartengono alla classe operaia, come quelle di Eribon. Mi ponevo delle domande sul mio status di regista, visto che oggi difficilmente è previsto che chi pratica la mia professione possa provenire da un strato sociale basso. Dopo aver riletto il libro ho capito che farne un film sarebbe stata un’opportunità per raccontare di nuovo la storia politica e sociologica della classe lavoratrice e in qualche modo quindi anche della mia famiglia.

Il tema del razzismo diffuso nelle classi meno agiate è una delle questioni che emerge da Retour à Reims ed è molto importante in rapporto alla nostra contemporaneità.

Ho trovato molto interessante il modo in cui Eribon si è interrogato sul perché molte persone hanno spostato la loro adesione dal partito comunista alla destra o estrema destra. Una delle spiegazioni a cui è giunto è che gli esseri umani hanno bisogno di appartenere ad un gruppo, prima c’era un’evidente struttura in classi e le persone potevano facilmente identificarsi come lavoratori e lavoratrici. Io penso che la realtà sia la stessa oggi ma secondo la narrazione che riceviamo non è più così e l’idea della classe operaia si è via via dissolta. Le persone hanno allora cercato un altro modo per aderire ad un gruppo e il nazionalismo è diventata una possibilità per riconoscersi e unirsi. La Francia è un Paese colonialista e sicuramente il razzismo esisteva già, ma non era una categoria così efficiente nei termini in cui le persone si definivano.

Dal film sembra essere dirimente anche l’ascesa al potere di Mitterrand, sulla quale in molti riponevano grandi aspettative.

È un’altra delle spiegazioni per rendere conto di quanto successo, la gente ha smesso di credere e di votare per la sinistra perché c’è stato un tradimento. Quando il Partito socialista arrivò a governare la Francia negli anni ’80 venne meno alle promesse, non che le persone si aspettassero una rivoluzione ma volevano che le cose cambiassero dal punto di vista dell’economia e del funzionamento della società. Ci fu una grande delusione e fu molto chiara quando Mitterrand arrivò, ma credo non sia un fenomeno avvenuto solo qui: dal socialismo si passò alla socialdemocrazia, che divenne una forza politica quasi di destra nel modo di pensare. Credo che ci sia ancora la richiesta di politiche di sinistra da parte della gente, ma non ci sono partiti pronti a raccogliere queste istanze. Ad ogni elezione le persone si sentono tradite e spesso la scelta è tra votare l’estrema destra oppure non andare a votare. Tra pochi mesi avremo le elezioni presidenziali qui in Francia, ci sono sei candidati che dovrebbero appartenere alla sinistra ma il loro programma si limita a puntare sull’ecologia, che è sicuramente importante, ma nessuno parla delle condizioni dei lavoratori, della lotta alla povertà, del significato dell’uguaglianza. Un esempio calzante in questo è rappresentato dai gilets gialli: sono stati milioni di persone in tutto il Paese e in molti approvavano quel movimento, ma non c’è stato un solo esponente che abbia colto le loro istanze, non c’è stata alcun’eco nel sistema politico di quelle che erano state le richieste di una grossa fetta della popolazione.

«Retour à Reims» è composto principalmente da materiali d’archivio, come si è svolto il processo di ricerca?

È un processo che richiede del tempo ma non è il film più difficile che ho fatto da questo punto di vista, sia perché era in lingua francese sia perché il nostro Stato ha molto a cuore l’archiviazione, quindi c’è accesso ad una grande quantità di materiali. Quello che mi ha più sorpreso è che alcuni argomenti non venivano assolutamente rappresentati come le condizioni di vita delle domestiche o tutto ciò che concerne l’aborto, in questi casi la ricerca è stata complessa. Poi dagli anni ’80 c’è un grande cambiamento perché i lavoratori non vengono più mostrati in tv e al cinema. Infatti da quel punto in poi il film cambia molto proprio perché sono diversi i materiali esistenti. Quando il sistema politico decise di disfare l’idea delle classi, i politici smisero di parlare della lotta sociale e contemporaneamente i lavoratori sparirono dalla televisione. Riguardo il cinema è un po’ diverso, con la diminuzione del pubblico che frequentava le sale, il target si spostò verso la classe media. Con questo cambiamento, i film impegnati non trovarono più un posto nelle nuove logiche di produzione.

Ha aggiunto un epilogo alla storia non contenuto nel testo di Eribon, un segnale di speranza per le lotte future.

Volevo un finale ottimista mentre quello del libro è piuttosto deprimente: la sinistra collassa mentre la destra estrema prende la scena. Ho pensato di andare a vedere ciò che è successo dalla pubblicazione del libro a oggi, perché sono passati più di dieci anni. Devo dire che, seppure con delle fragilità, alcune cose sono accadute. In Francia abbiamo avuto i gilets gialli che rappresentano per me un nuovo capitolo della storia perché le persone in quel movimento provenivano principalmente dalla classe lavoratrice. Poi ci sono le lotte per l’ecologia e quelle delle realtà lgbtq+ e femministe, sorprendentemente questi gruppi stanno iniziando ad intrecciare i loro percorsi. Ancora non sappiamo fino a che punto le persone si uniranno e in nome di cosa ma possiamo dire che c’è un’energia, non siamo morti, una parte della società è ancora in movimento e questo è molto importante.

*(Lucrezia Ercolani, interessi e mondi diversi hanno sempre fatto parte del suo percorso, con alcuni punti fermi: la passione per le arti, soprattutto quelle dal vivo; l’attenzione per le espressioni sotterranee, d’avanguardia, fuori dai canoni. Laureata in Filosofia all’Università La Sapienza, è stata redattrice per diverse riviste online (Nucleo Artzine, Extra! Music Magazie, The New Noise, Filmparlato) e ha lavorato al Teatro Spazio Diamante. Ultimamente collabora con Il Manifesto.)

 

 

09 – Giovanni De Mauro*: RADICI. “NON È UN SEGRETO CHE LA CONFERENZA DI GLASGOW SUL CLIMA SIA UN FALLIMENTO. DOVREBBE ESSERE OVVIO CHE NON POSSIAMO RISOLVERE LA CRISI CLIMATICA CON GLI STESSI METODI CHE L’HANNO PROVOCATA”.

E sempre di più la gente se ne sta rendendo conto. Molti si chiedono cosa serva ancora perché i potenti si sveglino. Ma sia chiaro: sono già svegli. Sanno cosa fanno e quali valori inestimabili stanno sacrificando per evitare che le cose cambino. Creano scappatoie e dispongono le cose in modo da poter continuare a trarre vantaggio da questo sistema distruttivo. Scelgono deliberatamente di continuare a permettere lo sfruttamento delle persone e della natura e la distruzione delle condizioni di vita presenti e future. La conferenza si è trasformata in un evento di pubbliche relazioni, dove i leader fanno discorsi bellissimi e annunciano splendidi obiettivi, mentre sotto la superficie i governi dei paesi del nord del mondo rifiutano ancora di agire in modo drastico. (…) Ma i fatti non mentono. Per rispettare gli obiettivi dell’accordo di Parigi e minimizzare il rischio di scatenare d)elle reazioni irreversibili c’è bisogno di immediate e drastiche riduzioni delle emissioni di gas serra, diverse da qualsiasi cosa il mondo abbia visto finora. E siccome non abbiamo le soluzioni tecnologiche che da sole potrebbero ottenere un risultato anche minimamente vicino, dobbiamo cambiare nel profondo la nostra società. (…) La crisi climatica non viene dal nulla. È legata ad altre crisi e ingiustizie che risalgono al colonialismo e oltre. Crisi basate sull’idea che alcune persone valgono di più e hanno il diritto di rubare alle altre, sfruttarle e prendere le loro terre e risorse. È ingenuo pensare che potremo risolvere questa crisi senza andare alle sue radici. (…) Alcuni dicono che siamo troppo radicali, ma la verità è che quelli radicali sono loro. Combattere per salvare i sistemi da cui dipende la nostra sopravvivenza non è radicale. Invece credere che la nostra civiltà possa resistere a un aumento di 2,7-3 gradi centigradi è estremamente radicale, è pura follia”. Greta Thunberg, Glasgow, 5 novembre 2021.

*( Giovanni De Mauro, È il direttore di Internazionale)

 

 

09 – Alfiero Grandi*: COP 26, GLASGOW HA DELUSO, MA ORA EVITARE SBANDAMENTI E ASSUMERSI PIÙ RESPONSABILITÀ SUL CLIMA.IL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU SE N’È ANDATO PRIMA DELLE CONCLUSIONI, PRENDENDO FISICAMENTE LE DISTANZE DAL VERTICE MONDIALE COP26 DI GLASGOW SUL CLIMA, CHE AVREBBE DOVUTO DECIDERE LE AZIONI CONCRETE PER MANTENERE L’AUMENTO DELLA TEMPERATURA DEL PIANETA AL DI SOTTO DI UN GRADO E MEZZO.

Quando il presidente di Cop26 per conto dell’ONU ha annunciato le conclusioni con un groppo in gola si è capito che stava arrivando la conferma della delusione per un esito molto al di sotto delle aspettative, per certi aspetti un evidente passo indietro. Se si afferma che occorre uscire dalle fonti fossili per produrre energia e poi si reintroduce il carbone – che avrebbe dovuto essere eliminato con l’accordo di tutti entro pochi anni essendo la fonte fossile che produce la maggiore quantità di CO2 – è evidente che è impossibile essere ottimisti sulle conclusioni del Cop26.

Del resto il G20 di Roma aveva trovato una sintesi conclusiva sfumando e rinviando. Scrivendo nel documento conclusivo a metà del secolo anziché un rotondo 2050 come data limite per rendere le iniziative umane neutrali nell’inquinamento dell’atmosfera. I paesi del G20 hanno deciso di annacquare le loro conclusioni su due punti fondamentali: 1) aiuti ai paesi più poveri ed esposti alle ingiurie del clima, già decisi ma arrivati solo in parte e per di più con il contagocce; 2) tempi certi per arrivare al contenimento dell’aumento della temperatura del pianeta entro 1,5 gradi. La riunione del G20 ha rinviato alla riunione della Cop26 di Glasgow i suoi nodi irrisolti e il risultato è stato un ulteriore arretramento.

È quindi giusto essere preoccupati, perché di questo passo l’obiettivo di 1,5 gradi come limite massimo non verrà raggiunto, con il rischio concreto che il clima del pianeta vada fuori controllo. Non sono bastati gli allarmi degli scienziati, delle organizzazioni, dei giovani, dei paesi che stanno già pagando il prezzo maggiore, neppure l’allarme della conferenza degli scienziati dell’ONU. Avere chiarito la gravità della situazione amplifica la delusione per le conclusioni, chiaramente inefficaci e insufficienti. Eppure, in questa occasione è stato fatto molto per cercare di fare entrare nella conferenza ufficiale anche i punti di vista e le aspettative dei giovani, ma non è bastato, anzi forse finisce con l’amplificare la delusione perché è comprensibile che coloro che in forme diverse hanno partecipato poi rimangano ancora più delusi.

Il delegato speciale del Presidente Biden sul clima, Kerry, ha cercato di attenuare la delusione parlando di risultati vicini all’obiettivo, versione poco credibile. È sperabile che Kerry riporti ai responsabili negli Usa, a partire dal Presidente, che questo risultato deludente si deve anzitutto ad una loro scelta politica che ha individuato più avversari che partners per le scelte di fondo, a partire da Cina e Russia. Solo all’ultimo gli Usa hanno cercato di recuperare un rapporto con la Cina, ma in un tardivo rapporto a due che ha escluso l’Unione Europea, confermando una politica estera random degli Usa. Eppure Biden aveva appena cercato di recuperare la frattura con la Francia sui sottomarini con un’autocritica esplicita, senza dimenticare che questo è avvenuto perché gli Usa hanno scelto di costruire una cintura ostile verso la Cina. Inoltre, i paesi più ricchi, e gli Usa certamente lo sono, hanno dimostrato che sulle risorse chieste dai paesi più colpiti e poveri hanno avuto posizioni arretrate e poco solidali, e su questo l’India, il SudAfrica e altri produttori e consumatori di carbone hanno chiarito che senza aiuti certi per la loro transizione ecologica non prenderanno sulle loro spalle questo onere troppo pesante. Può essere un suicidio collettivo, ma questo è quanto è avvenuto.

L’emendamento dell’india, che ha cambiato una parola di fondo nel documento sul carbone, non più eliminazione ma riduzione nel tempo senza precisare ulteriormente, poteva non essere accolto? Non era meglio chiarire le posizioni e prendere altro tempo? Questa finta unanimità a cosa serve?

A questo punto, dopo la delusione di Glasgow, occorre rilanciare una strategia di interventi forti per avanzare verso l’obiettivo di un massimo di crescita della temperatura del globo entro 1,5 gradi.  Chi può deve proseguire. L’Europa ha un ruolo da svolgere, ma deve scegliere con nettezza, e l’Italia in questo ambito deve svolgere un ruolo forte, perché l’obiettivo non può essere solo gestire al meglio le conferenze ma arrivare a risultati concreti. Perché proprio questo è il problema. Occorre interrompere il circuito perverso in cui la ruota che non gira decide della velocità del veicolo.

Non abbiamo un pianeta di ricambio, non possiamo tradire le aspettative dei giovani, non possiamo lasciare che la situazione proceda su un asse inclinato verso il disastro.

Occorre che ogni paese, ogni cittadino dia il suo contributo al massimo possibile senza chiudersi in una difesa dello status quo. Così si va a sbattere. Per contrastare il piano inclinato occorre che le misure ritenute indispensabili vengano adottate e che venga avviato un lavoro di contatti e di accordi multilaterali. Il multilateralismo è stato citato da Draghi, Kerry ha tentato all’ultimo di coinvolgere la Cina, ma la strada da fare è lunga e presuppone un cambiamento di approccio degli Usa, insieme all’Unione europea, con la Cina, con la Russia, con l’India, con altri paesi che non accettano di pagare il conto di quanto consumato da altri nei decenni precedenti. L’aumento degli armamenti, delle spese militari nel mondo contraddice scelte comuni per il clima e la solidarietà per affrontare oneri che non possono ricadere sulle spalle di chi non può permetterselo. Non c’è posto per tutto. Il rapporto con la Cina non è facile, ma non ha alternative, lo scontro invece può portare a guai seri.

Certamente non è facile il confronto tra sistemi politici ed istituzionali così diversi e tuttavia il mondo non ha alternative a iniziative di disarmo, di distensione nei rapporti, cercando di uscire dalla logica, di destra, del nemico esterno per compattare. C’è un trattato internazionale sulla proibizione delle armi nucleari che l’Italia non ha ancora firmato, perché? Si tratta di una scelta politica importante che ha implicazioni di per sé sulle alleanze internazionali e sull’Unione europea, nel cui ambito la Francia insiste per restare l’unica potenza nucleare.

Le difficoltà sono essenzialmente dovute ad una concezione delle relazioni internazionali che anziché sfidare sulla distensione e sulla cooperazione punta alla competizione se non ad una confrontation che potrebbe perfino sfociare in scontri militari. Occorre recuperare lo spirito che un mondo diviso in blocchi contrapposti riuscì a trovare prima che il disastro coinvolgesse tutti. Sull’orlo dell’abisso ci si fermò in tempo. Oggi? Non c’è la stessa chiara visione, forse perché i blocchi non ci sono più, forse perché la pur enorme forza militare non è più in grado di vincere con certezza, come in Afghanistan.

Il pianeta è uno solo per la guerra e per il clima e occorre ricordarlo sempre, facendo discendere da questo ben altro scenario. L’Unione Europea non ha una linea politica precisa. Fa scelte importanti come il Next Generation Eu e il progetto Fit for 55% che vuole realizzare risultati di svolta entro il 2030, ma poi si contraddice per vecchie concezioni, per ritardi culturali e il troppo ascolto di interessi conservatori. Le imprese lamentano che l’Unione non li ascolta, ma se li ascolterà annacquerà non poco la linea della transizione ecologica, perché nel mondo delle imprese la resistenza ad un progetto paese ed europeo per cambiare è molto forte. Eppure anche in un settore difficilmente compatibile con l’ambiente come l’acciaio si potrebbero prendere più piccioni con la stessa fava. Innovare le acciaierie con una svolta green, ambientalmente accettabile, superando definitivamente il carbone, stabilendo che l’intesa Europa/Usa sui dazi verso l’acciaio “sporco” importato si realizzi rapidamente, di conserva con la svolta green, stabilendo un nesso tra le scelte delle rinnovabili (ad esempio eolico offshore) che richiedono acciaio e la sua produzione nazionale, in sostanza un piano. Altrimenti che senso ha che la maggioranza azionaria diventi pubblica se tutto resta come prima?

Come l’acciaio c’è la produzione di energia, con Terna che sta facendo ricche aste per favorire l’uso del gas per produrre energia elettrica, malgrado sia un’azienda pubblica, e che sta realizzando il raddoppio dell’elettrodotto nord-sud per portare l’energia prodotta dalla rinnovabili al Sud verso il Nord. Al sud non ce n’è bisogno?

Glasgow non è andata bene ma questo non vuol dire tana libera tutti come hanno inteso Confindustria, Eni ed altri, semmai impone di ripensare agli errori compiuti ed accelerare al massimo verso le rinnovabili. È curiosa la labilità dei ricordi di quanti vogliono rilanciare il nucleare in Italia dopo due referendum vinti dal NO, se ne può sempre fare un altro. Suggerisco di leggere Macron che spinto dalle difficoltà elettorali vuole rilanciare il nucleare, che in Francia è civile perché c’è anche il militare e viceversa. I costi sono sempre stati un eccetera. Macron ha ammesso che la “sòla”, che Sarkozy stava rifilando all’Italia, per fortuna bloccata dal referendum nel 2011, il famoso Epr di III generazione più, iniziato nel 2007 a Flamanville forse verrà finito nel 2023, rinviando di anno in anno l’entrata in servizio, oltre 10 anni di ritardo, come del resto accade al gemello di Okiluoto in Finlandia, con un costo che ormai è a 19 miliardi di euro contro i 3,2 preventivati.

Se la Francia vuole rilanciare il nucleare lo faccia con i soldi suoi, non con i fondi europei, come sta cercando di fare ora. La quarta generazione del nucleare da fissione è solo nella fantasia di chi, per propaganda, vuole farlo apparire come prossimo e per ora è certamente sicuro solo perché nel mondo non c’è. In realtà il governo italiano dovrebbe semplicemente rilanciare le rinnovabili con un piano forte e ben finanziato per arrivare entro il 2030 ai 70 Gigawatt promessi. Questa sarebbe la migliore risposta all’aumento largamente speculativo dei prezzi dei combustibili fossili, verso il quale c’è un balbettio inconcludente, mentre lanciare un forte piano sulle rinnovabili sarebbe un modo sicuro per abbassare costi e prezzi.

Le rinnovabili possono essere per l’Italia quello che è il nucleare per la Francia.

Quindi ora tocca a noi, Italia, Europa, Occidente sviluppato, fare una scelta strategica per salvare il pianeta.

*( Alfiero Grandi su www.jobsnews.it)

 

 

10 – COSA SUCCEDE  NEL MONDO.

INDIA

Il 19 novembre il primo ministro Narendra Modi ha annunciato a sorpresa la revoca di una riforma del mercato agricolo contro la quale migliaia di contadini protestavano da circa un anno. La riforma, approvata nel settembre 2020, ha introdotto una liberalizzazione del mercato agricolo contestata dai piccoli produttori. Migliaia di contadini erano accampati alle porte di New Delhi dal novembre scorso.

POLONIA-BIELORUSSIA

Il 18 novembre il governo bielorusso ha trasferito i migranti bloccati da giorni alla frontiera tra i due paesi in un centro logistico della zona. Lo stesso giorno quattrocento migranti curdi iracheni sono stati rimpatriati in Iraq con un volo messo a disposizione dalle autorità di Baghdad. Varsavia e Bruxelles accusano Minsk di aver fatto arrivare i migranti nel paese per poi spingerli verso l’Unione europea in risposta alle sanzioni contro il regime di Aleksandr Lukašenko.

SUDAN

La giunta militare al potere ha ripristinato il 18 novembre la connessione internet per la prima volta dal colpo di stato di fine ottobre. Proseguono intanto a Khartoum e in altre città del paese le manifestazioni per chiedere la restituzione del potere ai civili. Almeno trentanove persone, tra cui cinque ragazzi, sono morte finora nella repressione. Il segretario di stato statunitense Antony Blinken ha chiesto al regime di autorizzare le manifestazioni pacifiche.

YEMEN

Il 18 novembre i ribelli huthi hanno affermato di aver perso 14.700 combattenti in cinque mesi di battaglia per il controllo della città strategica di Marib, nel centro del paese. La maggior parte è morta nei raid aerei condotti dalla coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita, che sostiene le forze governative. Gli huthi controllano la capitale Sana’a dal 2014.

STATI UNITI

Il 18 novembre Ellen Biben, giudice della corte suprema dello stato di New York, ha scagionato due dei tre uomini condannati per l’omicidio nel 1965 di Malcolm X, leader della lotta degli afroamericani. Biben ha accolto un ricorso presentato dal procuratore di Manhattan Cyrus Vance e dall’associazione The innocence project, che si batte contro gli errori giudiziari, secondo cui l’Fbi e la polizia nascosero prove che avrebbero dimostrato l’innocenza di Muhammad Aziz, che oggi ha 83 anni, e di Khalil Islam, morto nel 2009.

BRASILE

Secondo un rapporto dell’Istituto nazionale di ricerca spaziale (Inpe) presentato il 18 novembre, 13.235 chilometri quadrati di foresta sono stati distrutti nell’Amazzonia brasiliana dall’agosto 2020 al luglio 2021, con un aumento del 22 per cento rispetto ai dodici mesi precedenti. È il dato più alto dal 2005-2006 (14.286 chilometri quadrati).

 

 

11 – GIOVANNA CHIOINI*: I GREEN PASS IN EUROPA E LE ALTRE NOTIZIE SUL VIRUS. DALL’INIZIO DELLA PANDEMIA DI NUOVO CORONAVIRUS SONO STATI REGISTRATI 256.279.320 CONTAGI, I DECESSI SONO STATI 5.136.072, SECONDO I DATI DELLA JOHNS HOPKINS UNIVERSITY. NEL MONDO RISULTA VACCINATO CON ALMENO UNA DOSE CONTRO IL COVID-19 IL 52,6 PER CENTO DELLA POPOLAZIONE, MA SOLO IL 5 PER CENTO DELLA POPOLAZIONE DEI PAESI POVERI HA RICEVUTO ALMENO UNA DOSE DI VACCINO.

IN ITALIA dal 22 novembre potrà avere il richiamo del vaccino chi ha più di 40 anni. Il governo sta studiando nuove misure sul green pass: una validità ridotta da 12 a nove mesi, vista la diminuzione dell’efficacia dei vaccini dopo circa sei mesi, e l’ipotesi dell’obbligo del richiamo per il personale sanitario. Intanto diventa più rumoroso il fronte dei sostenitori del “doppio binario” se si dovesse ritornare alle zone gialle o arancioni: un green pass ottenuto solo con vaccinazione o guarigione e che consentirebbe l’ingresso a cinema, teatri, musei e altri luoghi ricreativi, e uno ottenuto con il tampone negativo che consentirebbe l’ingresso nei luoghi di lavoro ma non in quelli pubblici. Un sistema, simile a quello adottato in Germania e AUSTRIA, che si avvicinerebbe molto all’obbligo vaccinale. Dopo il 15 ottobre, quando è entrato in vigore l’obbligo di esibire il green pass nei luoghi di lavoro, l’aumento dei tamponi effettuati per avere la certificazione aveva permesso di far emergere circa seimila casi in più di quelli attesi. Il 19 novembre in Italia ci sono stati 10.544 nuovi casi e 48 decessi.

L’uso delle mascherine, il distanziamento fisico, il lavaggio delle mani e altre misure non farmaceutiche fanno diminuire la possibilità di contagio del 53 per cento quando unite ai vaccini, afferma una meta-analisi delle ricerche svolte finora e pubblicata dal British Medical Journal.

In Austria dal 21 novembre tornerà in vigore un lockdown nazionale di almeno dieci giorni, che potrà essere rivalutato in base all’andamento dei contagi. Il governo ha annunciato che intende rendere obbligatorie le vaccinazioni dal 1 febbraio 2022. Dal 12 dicembre il lockdown sarà applicato solo per chi non è vaccinato. Nel paese il green pass funziona secondo il sistema del “2g” (persona geimpft, vaccinata, o genesen, guarita) che permette l’accesso agli eventi pubblici. Per entrare al lavoro è previsto anche l’uso del tampone. Il 15 novembre il governo aveva già imposto un lockdown per le persone non vaccinate, impedendo l’accesso ai luoghi pubblici. Nella settimana precedente il 18 novembre i nuovi casi giornalieri sono stati in media più di dodicimila, e i decessi sono stati in media 43. Risulta vaccinato circa il 65 per cento della popolazione dai dodici anni in su.

IL 18 NOVEMBRE IN GERMANIA il governo uscente e quello entrante hanno approvato un insieme di nuove misure di contenimento dei contagi, che poi saranno applicate autonomamente dalle regioni in base ai loro numeri di ospedalizzazioni (il livello di allerta di tre ricoveri ogni centomila abitanti è stato raggiunto in tutte e sedici): è stato deciso di non prorogare lo stato di “situazione epidemica di preoccupazione nazionale” (che ha concesso al governo poteri speciali) oltre il 25 novembre; si userà il green pass “3g” (geimpft, genesen, getestet, persone vaccinate, guarite, con tampone negativo) per entrare nei luoghi di lavoro e sui trasporti pubblici; è stata reintrodotta la raccomandazione di lavorare da casa, tolta a luglio; sarà obbligatorio mostrare un tampone negativo per entrare nei luoghi di lavoro e nelle case di cura a prescindere dalla vaccinazione; saranno inasprite le misure per chi si procura falsi certificati sanitari; saranno estesi fino al 2022 i permessi dal lavoro retribuiti aggiuntivi per malattia dei figli minori di dodici anni ( con clausole speciali per le disabilità). I nuovi casi il 19 novembre sono stati 52.970 con 201 decessi. Attualmente in tutte le regioni tedesche ci sono tre persone ricoverate per covid ogni centomila persone: le regioni dunque si preparano ad adottare i sistemi del green pass 3g, o del 2g secondo cui solo la persona vaccinata o guarita può avere accesso ai luoghi pubblici. Se lo stato di allerta salisse, può essere applicato il sistema 2g plus, che prevede misure di incontro più restrittive sull’uso delle mascherine o del numero di persone ammesse in un locale chiuso.

Secondo il ministro della salute tedesco ad interim, Jens Spahn, il covid-19 ha aumentato la dipendenza economica della Germania, e dell’Europa, dalla Cina. Durante una conferenza economica organizzata dal quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung ha affermato che il suo paese, per esempio, ormai dipende da Pechino per l’importazione di mascherine e dispositivi medici. Secondo il ministro, varrebbe la pena discutere tutto questo in un vertice economico per tracciare strategie e per rendere Europa e Germania più indipendenti e favorire l’importazione da altri paesi.

NELLA REPUBBLICA CECA E IN SLOVACCHIA le persone non vaccinate dal 22 novembre non potranno accedere a eventi e servizi pubblici, e i test negativi al covid-19 non saranno validi come certificazione per l’accesso, mentre basteranno per entrare nei luoghi di lavoro. I nuovi casi positivi il 18 novembre in Repubblica Ceca sono stati più di 14mila, con 60 decessi, il tasso di vaccinazione è al 58,2 per cento della popolazione sopra i dodici anni. In Slovacchia risulta vaccinato il 42,7 per cento della popolazione sopra i cinque anni, il 18 novembre i nuovi casi sono stati 8.756, con 38 decessi.

I PAESI BASSI sono a corto di test per il covid-19, mentre nel paese i nuovi casi giornalieri il 18 novembre hanno superato i 23mila. Sono i numeri più alti dall’inizio della pandemia, e hanno colto di sorpresa le autorità sanitarie. Nel paese il 72,3 per cento della popolazione sopra i dodici anni è vaccinato. Ma l’aumento dei casi e dei ricoveri ospedalieri è conseguenza dell’allentamento delle restrizioni di settembre. All’inizio del mese, il governo ha reintrodotto l’uso obbligatorio delle mascherine nei negozi e dal 13 novembre nel paese è tornato in vigore un lockdown parziale, con misure come la chiusura di bar e ristoranti alle otto di sera.

LA SVEZIA vuole introdurre un pass che attesti la vaccinazione per accedere agli eventi al chiuso a cui partecipano più di cento persone. La misura, se varata, entrerà in vigore dal 1 dicembre, ed è la prima di questo genere proposta dal governo. Le autorità temono che nelle prossime settimane aumentino i contagi. Anche se la Svezia non ha registrato una impennata simile ad altri paesi europei, “non siamo isolati”, ha detto la ministra per la salute Lena Hallengren. “Dobbiamo essere in grado di usare i certificati di vaccinazione” per evitare il picco di contagi previsto dalle autorità sanitarie per metà dicembre. Nel paese, circa l’85 per cento della popolazione sopra i 16 anni ha ricevuto una dose di vaccino e all’82 per cento sono state somministrate due o più dosi. E la paura che i contagi possano aumentare ha spinto l’agenzia per la salute pubblica a fare marcia indietro sulla precedente raccomandazione di non effettuare test per il covid-19 se si è completamente vaccinati, pur presentando i sintomi. La decisione, annunciata a fine ottobre, ha provocato un rapido calo nella percentuale di test effettuati, scesi al 35 per cento. La Svezia ha scelto di non imporre lockdown e si è basata principalmente su misure volontarie volte al distanziamento sociale. Ha avuto più decessi dei vicini paesi nordici, ma inferiori rispetto alla maggior parte dei paesi europei che hanno scelto lockdown stringenti. Nella settimana finita il 18 novembre i nuovi casi giornalieri sono stati in media 868, con una media di quattro morti al giorno.

LE FILIPPINE hanno approvato l’uso d’emergenza del vaccino anticovid dell’azienda statunitense Novavax, azienda statunitense che opera nel campo delle biotecnologie. Il direttore dell’agenzia per il controllo dei farmaci delle Filippine, Rolando Enrique Domingo, ha detto che è il nono vaccino approvato nel paese del sudest asiatico. Il Covovax sarà prodotto dall’azienda indiana Serum institute e sarà disponibile per le persone dai 18 anni in su. La somministrazione avverrà in due dosi a distanza di almeno 21 giorni, ha spiegato Domingo. Il vaccino di Novavax è diverso dagli altri già somministrati perché usa le proteine dell’agente patogeno per stimolare la risposta del sistema immunitario. Negli studi clinici la sua efficacia è risultata dell’89,7 per cento. All’inizio di novembre ha ricevuto la prima autorizzazione per l’uso d’emergenza in Indonesia e adesso ha presentato la domanda di approvazione in Canada ed Europa. La valutazione da parte dell’agenzia europea del farmaco (Ema) potrebbe essere rilasciata entro poche settimane se i dati presentati saranno sufficientemente solidi e completi per dimostrarne la sicurezza. L’EMA ha già esaminato una parte sostanziale dei dati sul vaccino nell’ambito di una revisione continua.

Misure di anti-contagio sempre più strette a Pechino, in Cina, in vista delle Olimpiadi invernali che si svolgeranno nella capitale cinese dal 4 febbraio 2022. I voli interni sono stati limitati o cancellati nelle aree più a rischio, mentre a tutti i visitatori sarà richiesto il risultato negativo a un test effettuato 48 ore prima della partenza. Le nuove restrizioni includono anche rigidi controlli sulle persone che lavorano nel settore delle importazioni di prodotti surgelati, che saranno testate ogni tre giorni. Le autorità sanitarie cinesi sostengono che c’è il rischio di contrarre il covid-19 da prodotti surgelati e che i recenti contagi sono avvenuti in questo modo. A meno di cento giorni dall’inizio dei giochi, la Cina continua quindi la sua strategia per raggiungere i zero contagi. I nuovi casi giornalieri registrati sono tra i più bassi al mondo, ma nessuno spettatore proveniente dall’esterno della Cina continentale potrà assistere ai giochi. Mentre i 2.900 atleti, che saranno testati ogni giorno, dovranno aver completato il ciclo vaccinale o sottoporsi a una quarantena di 21 giorni.

COREA

L’aumento dei casi di covid-19 in COREA DEL SUD preoccupa le autorità vista la decisione delle ultime settimane di allentare le restrizioni per favorire la ripresa economica del paese. Secondo l’agenzia per la prevenzione e il controllo delle malattie (Kcdc) , il 17 novembre i nuovi casi sono stati 3.187 arrivando ai livelli di settembre. Il bilancio delle vittime è ora di 3.137, dopo che sono stati segnalati altri 21 decessi. Nonostante la grande diffusione della variante delta nel paese, il governo sperava che i vaccini avrebbero tenuto sotto controllo i numeri dei ricoveri e dei decessi. Ma il numero dei malati in condizioni gravi o critiche sta raggiungendo il limite di 500, il numero massimo di pazienti gestibili dal sistema sanitario. A essere maggiormente colpiti sono gli anziani, tra i quali il tasso di vaccinati è molto basso, e i pazienti nelle case di cura. Per questo, i funzionari sudcoreani stanno spingendo per accelerare la campagna di vaccinazione. La Kcdc ha annunciato che il tempo di attesa per ricevere la terza dose per gli over 60 anni e per chi vive o lavora in case di cura e altre strutture vulnerabili verrà ridotto da sei a quattro mesi. Mentre per gli over 50 a cinque mesi.

IN ISRAELE il ministero della sanità il 14 novembre ha autorizzato la somministrazione del vaccino contro il covid-19 nella fascia di età tra i 5 e gli 11 anni. La decisione è stata presa due settimane dopo il via libera negli Stati Uniti. Le dosi di vaccino fornite dalla Pfizer-Biontech arriveranno nei prossimi giorni e la campagna di vaccinazione dovrebbe partire subito dopo.

“Gruppi di operatori sanitari e volontari di organizzazioni umanitarie stanno vaccinando migliaia di marinai in più di duecento porti in tutto il mondo, assicurando protezione dal covid-19 a una categoria di lavoratori finora largamente trascurata dalle autorità”, scrive il Wall Street Journal. “Dopo l’esplosione della pandemia e le conseguenti restrizioni decise dai governi, molti marinai sono stati costretti a restare sulle navi per lungo tempo, senza poter vedere le loro famiglie e gli amici. Come spiega Jason Zuidema, direttore dell’ong North american maritime ministry association, non è stato facile convincere le autorità ad aiutare i marinai, perché spesso sono stranieri, e i vari paesi davano la precedenza ai loro cittadini. Secondo l’International chamber of shipping, la principale organizzazione marittima mondiale, più della metà degli 1,7 milioni di marinai proviene da paesi in via di sviluppo ed emergenti, come le Filippine, l’Indonesia e l’India”, scrive Alessandro Lubello nella sua newsletter Economica su Internazionale.

REGNO UNITO

Chi viaggia dal REGNO UNITO all’estero potrà esibire il certificato di richiamo del vaccino. La misura servirà per destinazioni come Israele, Croazia e Austria, dove esiste un limite di tempo alla validità delle vaccinazioni che permette di evitare la quarantena all’arrivo. Nel Regno Unito il richiamo è stato somministrato a più di dodici milioni di persone. Dal 15 novembre è disponibile per le persone sopra i 40 anni e la seconda dose è stata raccomandata tra i 16 e i 17 anni. Per la fascia d’età 12-15 anni è prevista solo una dose (a meno di essere soggetti fragili).

I ministri nel Regno Unito non erano “pienamente preparati” agli “impatti ad ampio raggio” che il covid-19 ha avuto sulla società, sull’economia e sui servizi pubblici essenziali nel paese e non disponevano di piani dettagliati su protezioni sanitarie, programmi di sostegno al lavoro e interruzione della scuola. Alcune indicazioni uscite da “precedenti esercizi di simulazione” che avrebbero potuto aiutare a prepararsi nel caso di una pandemia non sono state “completamente attuate”, secondo il National audit office (Nao), l’organismo parlamentare indipendente incaricato di monitorare le amministrazioni pubbliche britanniche, sottolineando che buona parte delle risorse in questi ultimi anni sono state destinate ai lavori della Brexit, e sottratte a importanti settori di prevenzione sanitaria.

Secondo il ministero dell’interno britannico gli estremisti di destra stanno usando le controversie sul covid e i giochi online per reclutare giovani: i dati mostrano che metà dei casi più gravi di sospetta radicalizzazione segnalati da scuole e college ora coinvolgono attività di estrema destra.

FRANCIA

La Francia non imporrà lockdown mirati alle persone non vaccinate, ha detto il presidente Emmanuel Macron, perché il green pass attualmente in vigore per accedere nei luoghi pubblici, nei trasporti, in paese ha registrato 20.366 nuovi casi, il tasso di vaccinazione sopra i dodici anni è del 74,9 per cento.

BRASILE

“Le violazioni dell’etica medica e dei diritti umani commesse in una sperimentazione di un farmaco sperimentale propagandato dal presidente Jair Bolsonaro come cura per il covid-19 sono state le peggiori nella storia del Brasile”, afferma un rapporto del 15 ottobre del consiglio nazionale della sanità (Cns). La sperimentazione clinica sulla proxalutamide “ha violato quasi l’intero protocollo” e potrebbe aver contribuito alla morte di ben 200 persone, secondo il Cns, che sovrintende alla ricerca clinica in Brasile. “Alcune di queste persone non erano adeguatamente informate dei rischi che stavano correndo nel processo, e alcune non sapevano che stavano prendendo parte a una sperimentazione”, scrive il British Medical Journal.

L’ente di ricerca nazionale egiziano ha dichiarato che avvierà gli studi clinici per un vaccino contro il coronavirus prodotto a livello nazionale.

EGITTO

Il 15 novembre in Egitto è entrato in vigore il divieto d’accesso al lavoro nel settore pubblico e nelle università per le persone non vaccinate o senza il risultato di un tampone negativo.

USA

Tre leopardi delle nevi sono morti per complicazioni dovute al covid-19 allo zoo per bambini Lincoln in Nebraska, negli Stati Uniti.

CINA

La Cina ha donato 500mila dosi di vaccino anticovid alla Siria, che ha uno dei tassi di somministrazione più bassi al mondo e presenta secondo le Nazioni Unite un allarmante aumento dei casi.

In Russia il 19 novembre sono stati registrati 37.156 nuovi contagi e 1.254 morti.

Quella del covid è diventata una pandemia delle nazioni povere e della popolazione povera, ha dichiarato David Nabarro, inviato speciale dell’Organizzazione mondiale della sanità a un gruppo di parlamentari britannici, aggiungendo che i paesi che tentano di uscire dalla pandemia solo con i vaccini, e mettendo in secondo piano le misure di distanziamento fisico, l’uso delle mascherine, le regole sugli assembramenti e la possibilità di nuove varianti, corrono dei grossi rischi. E quando si tratta di paesi ricchi non si stanno impegnando abbastanza per un’equa distribuzione dei vaccini nei paesi poveri.

IRLANDA DEL NORD

In Irlanda del Nord il dipartimento alla salute ha dichiarato che il rispetto delle norme anticovid tra la popolazione sta diminuendo, e che per evitare il sovraffollamento degli ospedali potrebbero essere necessarie misure restrittive dalla metà di dicembre.

USA

Negli Stati Uniti la Food and drug administration ha autorizzato l’uso d’emergenza tra la popolazione di più di 18 anni per le dosi di richiamo dei vaccini della Pfizer e della Moderna.

Centinaia di ristoranti il 16 novembre hanno abbassato le saracinesche in Grecia per protestare contro l’obbligo di richiedere alla clientela una certificazione che attesti la vaccinazione anticovid, la guarigione o il risultato di un tampone negativo.

Secondo un rapporto pubblicato sulla rivista Science l’inchiesta dell’Oms sulle origini del sars-cov-2 avrebbe sbagliato la data iniziale della pandemia e il primo paziente noto ammalato di coronavirus sarebbe stato una venditrice del mercato di Wuhan in Cina, non un contabile che viveva a chilometri di distanza e non aveva alcun collegamento con esso. Sebbene alcuni esperti abbiano accolto positivamente i risultati del rapporto, altri hanno affermato che le prove sono ancora insufficienti per stabilire in modo decisivo come è cominciata la pandemia, suggerendo che il virus probabilmente ha infettato un “paziente zero” qualche tempo prima del caso della venditrice e poi abbia raggiunto la massa critica per diffondersi nel mercato.

*( Giovanna Chioini, giornalista di Internazionale)

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