Dall’Italia si emigra.

(A cura di Enrico Pugliese, sociologo e accademico)

L’Italia è stata sempre un crocevia migratorio, ma questo carattere è particolarmente evidente oggi. Da paese di emigrazione il nostro è divenuto negli ultimi decenni del secolo scorso paese di immigrazione. Ma un fenomeno nuovo si è andato affermando di recente: la nuova emigrazione italiana all’estero che ha goduto di finora di scarsa attenzione nel discorso pubblico.

Altro tema sottovalutato è il consolidamento dell’emigrazione dal Sud al Nord del paese in atto a partire dall’inizio del nuovo secolo. Questa tematica e altre relative ai fenomeni demografici ed economici riguardanti il Mezzogiorno sono state oggetto di diversi contributi presentati al Convegno nazionale della AISRe, appena svoltosi a L’Aquila.

Si può ormai parlare di una nuova emigrazione italiana per diversi motivi. Innanzitutto perché la significativa ripresa del movimento migratorio verso l’estero fa seguito ad alcuni decenni di stasi. In secondo luogo perché essa presenta caratteristiche profondamente diverse da quelle delle grandi migrazioni intra europee dei primi decenni del Dopoguerra. In terzo luogo perché il flusso si è ormai stabilizzato sia per quel che riguarda la sua portata sia per quel che riguarda le caratteristiche dei suoi protagonisti.

Età e livello di istruzione sono connotazioni significative che mostrano il carattere nuovo del fenomeno. C’è nel flusso in uscita una prevalenza della componente giovanile e una rilevante, ancorché non prevalente, componente a elevato livello di scolarizzazione. La composizione sociale e professionale è poi molto complessa sia per la condizione alla partenza che per l’occupazione nei luoghi di destinazione.

Infine per quel che riguarda la provenienza e le destinazioni ci sono due aspetti da notare. Il flusso migratorio si concentra su quattro o cinque destinazioni UE che, insieme alla Svizzera, assorbono ben oltre la metà dei nuovi emigranti italiani.

Intanto le regioni italiane che danno il maggior contributo all’emigrazione non sono le regioni più povere del Sud bensì -con l’ eccezione della Sicilia- le regioni più ricche del Centro Nord a partire dalla Lombardia e dal Veneto. Questo interessante paradosso è solo apparente e si spiega con la più complessa composizione del flusso che si origina al Nord e con il fatto che dal Sud parte un canale migratorio con una duplice destinazione: quella maggioritaria verso le regioni del Nord e quella minoritaria verso l’estero.

Entrando nel merito delle implicazioni di questo flusso migratorio e delle differenze con quello precedente l’aspetto di maggior rilievo è quello demografico. L’emigrazione del Dopoguerra ebbe effetti assolutamente positivi nella misura in cui permetteva un alleggerimento della pressione demografica mentre il riequilibrio veniva garantito dalla elevata natalità.

Oggi al contrario i movimenti migratori dal Sud hanno luogo in un contesto di invecchiamento della popolazione e di calo della natalità causando un ulteriore aggravamento degli squilibri demografici con l’esito di veri e propri processi di spopolamento nelle aree interne.

Il secondo aspetto riguarda gli effetti sui rapporti di classe e la struttura di potere Mezzogiorno. La grande emigrazione del Dopoguerra contribuì – insieme ad altri eventi – allo sfaldamento di un blocco sociale dominante oppressivo sul piano economico e sociale. Per converso i movimenti attuali hanno una scarsa incidenza sulla struttura sociale delle aree di partenza.

Inoltre sul piano delle condizioni di vita nel Dopoguerra fu significativo il miglioramento dei redditi dovuto alle rimesse degli emigranti che alzarono il grado di benessere materiale dei ceti più bassi delle regioni del Sud. Oggi questo non si verifica più. Al contrario si registra una direzione in senso inverso delle rimesse: non sono gli emigranti che inviano il loro contributo alle famiglie ma spesso le famiglie che inviano aiuti ai congiunti emigrati.

Per quel che riguarda il lavoro i protagonisti della emigrazione del Dopoguerra erano di provenienza contadina e proletaria e la destinazione occupazionale era prevalentemente operaia. Si passava dalla precarietà del lavoro artigianale o nell’edilizia a lavori con salari elevati per l’epoca e caratterizzati dalla stabilità propria del modello fordista. Ora le destinazioni occupazionali sono diverse e molteplici – a volte anche di buon livello – ma la cifra che le accomuna è la precarietà.

Un commento finale merita il brain drain. È convinzione comune che i giovani altamente scolarizzati rappresentino la componente di maggior rilievo dell’attuale flusso migratorio. Il che non è vero: gli altamente scolarizzati sono poco più di un quarto del totale dei nuovi emigranti.

Eppure su di loro, “sulla fuga dei cervelli”, si concentra l’attenzione tralasciando le altre componenti, come “la fuga delle braccia”. Per queste ultime le condizioni sono più difficili durante l’emigrazione e le prospettive ancora più scarse nell’ipotesi di un rientro nelle condizioni attuali.

 

 

FONTE: https://www.huffingtonpost.it/

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