19 09 28 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL ESTERO ED ALTRE COMUNICAZIONI.

1 – L’ON. Francesca La Marca a colloquio con il segretario del PD Nicola Zingaretti
2 – UNA BELLA GIORNATA DI LOTTA AMBIENTALISTA. L’immensa partecipazione alle manifestazioni per lo sciopero mondiale per il clima non può che essere salutata con gioia
3 – Temperature record, dai monti agli oceani uno scenario da incubo. Rapporto choc dell’Ipcc. Scioglimento dei ghiacciai e innalzamento dei mari, gli effetti a catena dei mutamenti climatici saranno devastanti. Per l’Istituto scientifico intergovernativo dell’Onu ondate di calore ed eventi estremi aumenteranno.
4 – La nuova maggioranza deve essere consapevole dei suoi limiti ed aprirsi al confronto, articolo pubblicato su www.jobsnews.it
5 – LA SECESSIONE DEI RICCHI IN EUROPA HA GIA’ FALLITO. L’UE nasce per garantire la pace. Ma anche come “garante” del libero mercato. Da 20 anni la ue cerca di convertire le pensioni da welfare a business per privati. Costruire una Europa non differenziata ma armonizzata e solidale, intorno ad un nuovo welfare europeo
6 – Il mostro storico del «rovescismo» unisce il Pd e Orbán. Parlamento Ue. La risoluzione che equipara nazifascismo e comunismo, approvata a larghissima maggioranza grazie anche ai voti di popolari e “socialisti”, con temerario sprezzo della verità attribuisce paritariamente la responsabilità della Seconda Guerra mondiale alla Germania di Hitler e alla Russia sovietica
7 – Europarlamento, assuefatti a una memoria azzerata. Una risoluzione incredibile all’Europarlamento. La memoria non è cosa da affidare solo agli specialisti di storia, è parte fondante del nostro presente. Dobbiamo mettere alla berlina chi ha reso possibile una simile cosa e rispondere con forza, subito e ovunque
8 – Un «manifesto» del nuovo Pd a trent’anni dalla Bolognina. Zingaretti, la svolta a novembre. Non .

 

 

1 – L’ON. FRANCESCA LA MARCA A COLLOQUIO CON IL SEGRETARIO DEL PD NICOLA ZINGARETTI
“NELLA MATTINATA DI MARTEDÌ 24 SETTEMBRE HO AVUTO UN INCONTRO CON IL SEGRETARIO DEL PD NICOLA ZINGARETTI SULLA SITUAZIONE CHE SI È DETERMINATA A LIVELLO DI GOVERNO E DI PARTITO NELLE ULTIME SETTIMANE.
A Zingaretti ho confermato la mia decisione di restare nel PD e di continuare con il PD lo sforzo di risanamento e di rilancio, anche internazionale, dell’Italia, che nel programma di governo trova una direzione ben delineata. In questo quadro, con il PD continuerò a sviluppare l’impegno per la tutela degli interessi degli italiani all’estero e per la promozione di un loro nuovo e più incisivo protagonismo.
La mia decisione è prima di tutto un atto di lealtà verso gli elettori. Sono stata eletta sotto il simbolo e sulla base del programma del PD e intendo rispettare la parola data e la fiducia ottenuta.
La mia scelta è motivata anche da ragioni politiche perché introdurre fattori di inquietudine e fibrillazione nella situazione di avvio di una nuova esperienza di governo, che per realizzare il suo impegnativo programma ha bisogno di stabilità e di responsabilità, significa aprire tensioni e contraddizioni che con il tempo potrebbero rivelarsi deleterie.
Sono, poi, convinta che per il bene dell’Italia e per la sua buona immagine nel mondo il centrosinistra – un rinnovato e più largo centrosinistra – debba tornare alla guida del Paese. Ma per arrivare a questo è necessario unire le forze, sia pure nel rispetto delle reciproche differenze, non dividerle, costruire una più solida strada comune, non andare ciascuno per la sua strada.
Questa cose ho detto a Nicola Zingaretti. Ma l’ho anche esortato a far sì che il PD abbia una sempre maggiore attenzione verso gli italiani all’estero e una migliore comprensione del ruolo che possono giocare nello scenario globale a beneficio dell’Italia. In questo senso non bastano le parole di buona volontà, ma occorrono precisi riscontri nell’elaborazione programmatica che il partito si accinge a fare, nelle scelte di governo che caratterizzeranno la definizione della pur difficile legge di bilancio per il 2020, nella presenza più assidua dei dirigenti del partito nei circoli all’estero e tra i nostri connazionali.
Il PD è il maggior partito tra gli italiani all’estero ed è giusto che gli italiani all’estero siano più ampiamente coinvolti e concorrano a definirne gli orientamenti per il presente e per il futuro”.
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. – Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America
Electoral College of North and Central America

 

2 – UNA BELLA GIORNATA DI LOTTA AMBIENTALISTA. L’immensa partecipazione alle manifestazioni per lo sciopero mondiale per il clima non può che essere salutata con gioia. Che centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi scendano in piazza con la parola d’ordine “CAMBIARE IL SISTEMA NON IL CLIMA” è un fatto politico fondamentale.
Sono fuori luogo le polemiche finto rivoluzionarie contro Greta Thunberg., soprattutto quando vengono da chi pratica un antagonismo solo simbolico sui social e mai ha organizzato una lotta per salvare almeno un metro quadro di verde per non parlare dei trumpisti italici. Il dato di fatto che l’ambientalismo è tornato a essere al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica coinvolgendo le nuove generazioni e con un approccio che non riguarda solo gli stili di vita individuali ma le logiche del capitalismo neoliberista a livello planetario.
Il problema non è Greta che diffonde consapevolezza ambientale planetaria. Il problema sono i politicanti ipocriti che applaudono mentre continuano a fare politiche di devastazione ambientale al servizio del capitale e quelli che la insultano perché negano persino che ci sia un’emergenza ambientale.
Esempi del primo caso sono l’establishment dei democratici USA, la Commissione Europea, il Pd e i suoi satelliti.
Esempi del secondo Trump, Bolsonaro e la destra italiana.
Per un’efficace lotta ambientale c’è bisogno di movimenti e partiti indipendenti dal capitale, che non siano a libro paga delle imprese, capaci di dire no alla logica del profitto.
Per difendere l’ambiente c’è bisogno di una sinistra anticapitalista o almeno antiliberista che non può dirsi tale se non è coerentemente ambientalista.
L’ambientalismo è lotta di classe, come insegnava un comunista come Giorgio Nebbia.
Rimbocchiamoci le maniche per fare la nostra parte.
(Maurizio Acerbo, segretario nazionale Rifondazione Comunista-Sinistra Europea)

 

3 – TEMPERATURE RECORD, DAI MONTI AGLI OCEANI UNO SCENARIO DA INCUBO. RAPPORTO CHOC DELL’IPCC. SCIOGLIMENTO DEI GHIACCIAI E INNALZAMENTO DEI MARI, GLI EFFETTI A CATENA DEI MUTAMENTI CLIMATICI SARANNO DEVASTANTI. PER L’ISTITUTO SCIENTIFICO INTERGOVERNATIVO DELL’ONU ONDATE DI CALORE ED EVENTI ESTREMI AUMENTERANNO ( di Luca Martinelli da IL MANIFESTO)

Non è a rischio solo il ghiacciaio Planpincieux sulle Grandes Jorasses, lungo il versante italiano del Monte Bianco. La fusione in corso non è un caso isolato: «Si prevede che tutti i ghiacciai più piccoli situati in Europa, in Africa orientale, nelle regioni tropicali delle Ande e in Indonesia perderanno oltre l’80 per cento della loro massa entro il 2100» spiega l’ultimo rapporto dell’Ipcc, l’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, Oceano e criosfera in un clima che cambia, diffuso ieri.

LA RIDUZIONE delle superfici ricoperte dal ghiaccio in alta montagna inciderà negativamente sulla disponibilità d’acqua, un tema che modificherà radicalmente la vita di coloro che abitano «queste regioni, ma anche le comunità a valle» ha specificato, presentando il report Panmao Zhai, copresidente del primo gruppo di lavoro dell’Ipcc, quello che si occupa delle scienze fisiche. I principali effetti negativi riguarderanno l’agricoltura e la produzione di energia idroelettrica, evidenziando una situazione complessa fatta di variabili interconnesse.

Il rapporto diffuso dal Principato di Monaco (dove sono riuniti da giorni i ricercatori per la stesura finale) va ad integrare quello uscito a maggio (Cambiamento climatico e territorio), e quello su Riscaldamento globale a 1,5 gradi, uscito nell’ottobre del 2018.

SECONDO L’IPCC, «la perdita globale dei ghiacciai, la fusione del permafrost e il declino nella copertura della neve e nella estensione dei ghiacci artici sono destinati a continuare, a causa dell’aumento della temperatura dell’aria in superficie, con inevitabili conseguenze legate allo straripamento dei fiumi. La grandezza di questi cambiamenti della criosfera è destinata a aumentare ulteriormente nella seconda metà del ventunesimo secolo».

In contemporanea, gli oceani vedranno un aumento senza precedenti della temperature e della acidificazione, un calo dell’ossigeno, ondate di calore, piogge e cicloni più frequenti e devastanti, aumento del livello delle acque, diminuzione degli animali marini. La fusione in corso è destinata a continuare nel periodo 2031-2050, andando a incidere negativamente su aree che ospitano attualmente 1,4 miliardi di persone, la maggior parte delle quali vivono o in alta montagna o nelle aree costiere e nei piccoli Stati insulari, quindi in regioni il cui futuro è messo direttamente a rischio dall’innalzamento del livello degli oceani.

IN PARTICOLARE gli oceani – spiega l’Ipcc – sono destinati a «condizioni senza precedenti di aumento di temperature, maggiore stratificazione dei livelli superficiali, ulteriore acidificazione, declino dell’ossigeno e alterata produzione primaria netta (la produzione di pesci e alghe)». E se nel corso del Ventesimo secolo l’innalzamento del livello del mare su scala globale ha registrato una media di 15 centimetri, nel periodo successivo il ritmo è più che duplicato, arrivando a 3,6 millimetri all’anno, e il tasso di crescita non accenna a fermarsi. In questo contesto, le ondate di calore marine ed eventi estremi come El Niño e La Niña sono destinati a diventare più frequenti. In molte zone, in particolare nelle Regioni tropicali, eventi legati al livello del mare che erano storicamente rari (se ne misuravano uno al secolo nel passato) sono destinati ad avvenire più di frequente (almeno una volta all’anno) entro il 2050.
Questo comporterà, secondo l’Ipcc, anche «una diminuzione nella biomassa globale degli animali marini, nella loro produzione e nel potenziale di pesca, e un cambiamento nella composizione delle specie».
«Tante persone possono considerare molto distante dal proprio quotidiano il mare aperto, l’Artico, l’Antartide e le zone di alta montagna, ma non considerano che ognuno di noi dipende da queste regioni, che incidono direttamente o indirettamente sulle nostre vite in forma molto diverse, ad esempio in tutto ciò che riguarda la metereologia e il clima, l’alimentazione e l’acqua, il commercio, i trasporti, le attività turistiche, la salute e il benessere, la cultura e l’identità» ha commentato Hoesung Lee, presidente dell’Ipcc. L’unica risposta plausibile è una riduzione delle emissioni di gas climalteranti. A partire da oggi.

 

4 – LA NUOVA MAGGIORANZA DEVE ESSERE CONSAPEVOLE DEI SUOI LIMITI ED APRIRSI AL CONFRONTO, ARTICOLO PUBBLICATO su www.jobsnews.it
In poche settimane lo scenario politico è cambiato. La destra ormai egemonizzata dalla Lega di Salvini su posizioni estremiste, che sono responsabili di un notevole imbarbarimento politico, sembrava avviata verso una difficilmente evitabile vittoria elettorale. La scelta repentina di Salvini di staccare la spina al governo di cui faceva parte per provocare elezioni anticipate, andando quindi all’incasso di voti, ne era la conseguenza.
La formazione del secondo governo Conte con la presenza di chi aveva partecipato alla precedente esperienza, come il M5Stelle, e di chi l’aveva contrastato, come il Pd e la sinistra, è frutto della reazione al tentativo della Lega di fare saltare il banco, cioè il governo, per evitare un pericolo peggiore per tutti.
In realtà questa maggioranza era possibile già dopo le elezioni del 4 marzo 2018, il cui risultato rendeva evidente che un governo 5stelle/Pd/Leu era l’unica alternativa all’accordo con la Lega. Ma proprio Renzi aveva imposto al Pd di escludere un governo con i 5 Stelle prima ancora di sapere se nel merito era possibile o meno arrivare ad un’alleanza. Questa imposizione è nota come la strategia dei popcorn, cioè dell’attesa del fallimento del governo giallo-verde. Questo ha messo la Lega nelle condizioni di rafforzarsi a spese dei 5 Stelle, anche per la loro subalternità, fino a risultare egemone nel governo giallo verde.
Quando Salvini ha rovesciato il tavolo – provocando la crisi del governo di cui faceva parte – è apparso chiaro che “regalare” alla Lega le elezioni anticipate sarebbe stato un errore storico e quindi si è arrivati, con accresciute difficoltà, alla attuale maggioranza, da questo è nato il secondo governo Conte.
Ci sono commentatori e autorevoli esponenti delle classi dirigenti del nostro paese che hanno masticato amaro per la formazione della nuova maggioranza, spesso fingendo di non sapere quale fosse l’unica alternativa: le elezioni anticipate e una probabile vittoria della Lega di Salvini, ormai egemone su tutta la destra estremista e moderata.
Questo non vuol dire che la composizione del governo e il suo programma destino grandi entusiasmi. Anzi è bene guardare ad occhi aperti i difetti e i pericoli della situazione, per evitare di ritrovarci a regalare tra qualche tempo a Salvini una vittoria immeritata.
Un conto è vedere con lucidità i limiti del secondo governo Conte, altro è lavorare per logorare la nuova maggioranza. Proprio questo variegato mondo insoddisfatto della soluzione di governo (preferiva la Lega al governo ?) sembra avere oggi simpatie per quanti escono dal Pd, vagheggiando alternative, da Calenda a Renzi. Renzi in particolare è stato presentato come un costruttore della nuova alleanza, dimenticando che è quello che l’ha impedita 15 mesi fa e che a questo punto era l’unica alternativa possibile in campo. Semmai Renzi ha avuto un effetto ritardante nella ricerca di un rapporto con i 5 Stelle e le sue rassicurazioni sulla stabilità del governo non bastano a fare dimenticare il suo “Enrico stai sereno”. Sappiamo com’è finita.

In cosa consista l’abilità di Renzi per i suoi sostenitori è un mistero, a meno che la bramosia di potere personale sia una qualità. L’unica spiegazione è che si stia cercando di costruire un’alternativa, per ora non in vista. La scissione del Pd è parte di questa strategia. Forse l’interprete definitivo di questa strategia non è ancora delineato, nel frattempo si cerca di mettere in campo altri soggetti. Nella strategia di Renzi due aspetti sono evidenti. Acquistare tempo: la formazione del governo almeno per un periodo evita le elezioni anticipate, come è evidente. Tentare di costruire un nuovo soggetto neocentrista, per comodità definito post ideologico, in grado di attirare aree moderate dal centro destra in crisi, ad esempio da FI. Aree che malvolentieri sopportano l’egemonia di Salvini.

Contro corrente, ritengo che Renzi abbia sbagliato gli appuntamenti importanti: dal referendum del 4 dicembre 2016 al dopo elezioni politiche del 4 marzo 2018.

Tuttavia il vero problema non è Renzi, la sua iniziativa, per quanto importante, ma cosa farà il nuovo governo e se sarà in grado di dare risposte al paese reale.

Ad esempio Conte ha incontrato i sindacati dopo anni di sostanziale ostracismo. Il governo sarà effettivamente capace di andare oltre le buone maniere e di intavolare un dialogo positivo non solo con i sindacati ma con i soggetti sociali in generale ? Questo vorrebbe dire introdurre novità sociali rilevanti, nuove priorità dell’azione di governo, impegni forti su investimenti e occupazione, diritti di chi lavora. Con l’Europa il clima è cambiato.

Anche l’atteggiamento verso i migranti è in parte cambiato. I migranti non vengono più tenuti in ostaggio sulle navi, comprese quelle della marina e della guardia costiera come è accaduto con Salvini, ma questi esseri umani vengono sbarcati e ricollocati in Europa. Il meccanismo è ancora approssimativo e fragile ma forse siamo vicini alla svolta tanto attesa. Accoglienza, regole per il flusso dei migranti, nuovo contesto europeo.

A breve ci sarà l’appuntamento della legge di bilancio e sarà importante per capire quanto ci si può aspettare dal nuovo governo e cosa proporre per qualificarne le politiche.

Anche le questioni istituzionali sono rilevanti. Il funzionamento della democrazia italiana è decisivo. Le regole favoriscono le scelte, oppure le ostacolano. Non è vero che le regole sono indifferenti sia per le scelte che per avvicinare eletti ed elettori.

Qui è uno dei punti rilevanti e per ora è difficile essere ottimisti. Sull’autonomia regionale differenziata le posizioni sono ancora troppo ambigue. Il precorso individuato va bloccato e ripensato dall’origine, iniziando dalla modifica del titolo V attuale.

Il M5Stelle insiste nella richiesta di approvare il taglio dei parlamentari così come è stato approvato nel periodo precedente. Sarebbe un errore. La via più trasparente sarebbe approvare alla Camera un nuovo testo mettendo in conto le nuove letture parlamentari, il tempo c’è. Il taglio dei parlamentari finora approvato non va bene, è fondato sul risparmio dei costi e non finalizzato ad un migliore funzionamento delle istituzioni della democrazia. Anche la risposta ai 5 Stelle attribuita al pd non va bene. Approvare altre modifiche della Costituzione per riequilibrare quella sbagliata non porta lontano. Ad esempio tra i 5 punti di modifiche della Costituzione attribuiti al Pd, per riequilibrare, c’è la parificazione dei criteri per votare ed essere eletti, se fosse così c’è da chiedersi perchè mantenere due camere identiche per poteri e composizione ma ridotte di numero, quindi inevitabilmente meno rappresentative. Se si vuole ridurre il numero dei parlamentari semmai si dovrebbe affrontare il problema del bicameralismo paritario, garantendo anzitutto alla Camera la piena rappresentatività attuale e semmai differenziando il ruolo del Senato, ad esempio costituendo il Senato delle Regioni sul modello tedesco.

Senza dimenticare che la legge elettorale deve essere strettamente connessa alle modifiche costituzionali e va fondata sostanzialmente sul metodo proporzionale. Lo sbarramento non può diventare ragione per escludere punti di vista politici e gli elettori debbono potere scegliere direttamente i loro rappresentanti.

Del resto la legge elettorale è importante. Quando sono comparse le cartine dell’Italia, dopo le elezioni europee, era evidente che se si fosse votato con la legge attuale (il rosatellum) avrebbe favorito la vittoria della Lega. Chi insiste su un sistema maggioritario deve sapere che una alterazione della volontà degli elettori provoca effetti distorsivi e che non è detto funzionino per chi li propone. Del resto fu così per il centro destra nel 2006 e per il centro sinistra nel 2008.

C’è da augurarsi che la maggioranza attuale non insista sugli errori del passato, supponendo di avere in sé tutte le competenze per decidere. Ci sono soggetti che non fanno parte della maggioranza (un tempo si sarebbe detti esponenti della società civile) che hanno proposte, che vorrebbero essere ascoltati, altrimenti dovranno farsi ascoltare con altre modalità, del resto ben note.
La maggioranza deve essere consapevole dei suoi limiti e deve apririsi al confronto con altre soggettività, con altre associazioni, con altri punti di vista. Se riuscirà ad aprirsi, a confrontarsi potrà realizzare risultati, se si chiuderà finirà con il dare ragione a chi sta già preparando l’alternativa contando sul suo fallimento. La partita è appena iniziata. ( di Alfiero Grandi)

 

5 – LA SECESSIONE DEI RICCHI IN EUROPA HA GIA’ FALLITO. L’UE NASCE PER GARANTIRE LA PACE. MA ANCHE COME “GARANTE” DEL LIBERO MERCATO. DA 20 ANNI LA UE CERCA DI CONVERTIRE LE PENSIONI DA WELFARE A BUSINESS PER PRIVATI. COSTRUIRE UNA EUROPA NON DIFFERENZIATA MA ARMONIZZATA E SOLIDALE, INTORNO AD UN NUOVO WELFARE EUROPEO.

L’autonomia differenziata per le regioni che si vorrebbe attuare in Italia è un moltiplicatore di disuguaglianze che erode il welfare universale a beneficio del libero mercato. Per capire come, basta guardare il funzionamento dell’unione europea, basata com’è su un iniquo regionalismo continentale (da LEFT di Roberto Musacchio )

E’ se molti dei guai in cui sta l’Unione europea dipendessero da essersi costituita seguendo una sorta di autonomia differenziata, come quella regionale ora in discussione in Italia?
Vediamo e ragioniamo. Secondo l’indagine del 2018 dell’Health consumer power house, ente di ricerca svedese molto accreditato tra le istituzioni europee, che valuta i sistemi sanitari (e assegna loro un punteggio) in base al mix di dati statistici ufficiali e al livello di soddisfazione dei cittadini, considerando 46 parametri di riferimento, l’Italia si attesta al ventesimo posto in Europa. Gravano sul nostro sistema soprattutto le fortissime differenze regionali, che vanificano elementi positivi – come l’alta aspettativa di vita – registrati ad esempio da un’altra classifica quella di Bloomberg. Ma molto forti sono anche le differenze rilevate tra i diversi Paesi in Europa.
In testa è balzata la Svizzera con 893 punti. Poi Olanda con 883, Norvegia con 857, Danimarca con 855. La Francia sta a quota 796; la Germania a 785, la Spagna a 698 e l’Italia a 687. Ultima l’Albania a 544. Appena meglio Romania, 549, Ungheria, 565, Polonia, 585. Le differenze dunque sono assai marcate. E stiamo parlando, ricordiamolo, di un elemento fondamentale della nostra vita, quale è la salute. Tali disparità non riguardano solo i Paesi dell’Est, ultimi entrati, ma anche i membri storici, tra i quali le distanze sono comunque significative. Distanze legate anche a modelli operativi diversi visto che all’interno della Unione europea per i singoli Stati permane la
piena autonomia di scelta e gestione del proprio sistema sanitario.
In Francia e Germania, ad esempio, si prevede il finanziamento con l’iscrizione obbligatoria all’assicurazione sanitaria, che rimborsa le spese mediche ai cittadini. In Italia invece si prevede il finanziamento in prevalenza dal gettito fiscale e organizzato in Sistema sanitario nazionale. In Ungheria il vecchio sistema socialista è stato lasciato deperire con tagli e perdita di personale, inserendo forme assicurative obbligate per i lavoratori e privatizzazioni come per le farmacie. Ora il drastico ulteriore taglio dei costi viene proposto con una riforma fondata, non a caso, sulla regionalizzazione. Questo quadro che riguarda la salute in realtà è estendibile a tutti gli aspetti del welfare, come la previdenza, l’assistenza, l’istruzione, ma anche la casa. La cosa che colpisce è che l’Europa, che ha come principale caratteristica proprio il welfare, non sia riuscita ad armonizzare (verso l’alto) le prestazioni assicurate ai propri cittadini. Se uno dei principali problemi europei è il permanere, e addirittura l’aggravarsi, dei differenziali negli elementi che caratterizzano qualità della vita e della cittadinanza (tra Paesi diversi ma anche all’interno di un singolo Paese, vedi il caso italiano), la domanda è: perché ciò è avvenuto?
Il fatto è che l’Ue è stata pensata come una entità di libero mercato in cui la responsabilità delle prestazioni sociali resta affidata ai singoli Stati membri ma a valle, appunto, del libero mercato costituzionalizzato da Maastricht e del controllo fiscale costituzionalizzato dal Fiscal compact. La formula adottata è quella della sovranità degli Stati membri e della sussidiarietà con cui agiscono questa sovranità. In realtà ciò, a ben vedere, assomiglia molto a quello che si sta proponendo di fare in Italia con l’autonomia differenziata. Con il modello Ue e con quello della autonomia differenziata il welfare non è più l’elemento della unificazione sociale e alla base del patto fiscale che sostiene le realtà istituzionali (gli Stati, la Ue). Il vecchio modello virtuoso sostanzialmente rispondeva a questa logica: «Si sta insieme, si pagano le stesse tasse a seconda delle proprie possibilità, per progredire in un quadro di benessere equamente condiviso». Secondo questa prospettiva lo Stato è precisamente il garante di questo processo positivo.
Ma l’Unione europea nasce diversamente. Per garantire la pace, certamente. Ma anche come “garante” del libero mercato e del controllo fiscale. E non della creazione e della condivisione del benessere, che fa sì che quello fiscale sia un patto che prevede rappresentanza {no taxation without representation) e diritti di cittadinanza (il welfare). Questo, il welfare, resta in mano agli Stati ma la sua armonizzazione viene affidata al libero mercato, che è la sostanza della Ue. Per di più con il controllo fiscale gli Stati perdono molta capacità di spesa e dunque salta la base del patto fiscale visto che lo Stato spende per i cittadini meno di quello che incassa con una quota crescente del gettito destinato al capitale finanziario attraverso il (tema che affrontiamo spesso su Left).
Ed ecco che, in questa cornice, arriva l’autonomia differenziata, con cui lo Stato si sgrava di una responsabilità che non riesce più a esercitare – garantire welfare universale -, lascia agire in proprio i più ricchi e soprattutto lascia spazio al mercato e al capitale finanziario che non chiedono altro che potersi mangiare quella grandissima, e unica, ricchezza sociale che è il welfare europeo. Welfare europeo che ha origini molto antiche e diverse storicamente. Infatti si comincia
a formare in Europa col trapasso dai sistemi sociali feudali a quelli industriali. La perdita delle sicurezze garantite dal feudo, necessaria alla formazione dell’esercito del lavoro, pone questioni enormi.
A grandi linee si possono distinguere cinque grandi aggregati di welfare europeo. Il più antico è quello anglosassone dove già alla fine del ’600 abbiamo il corpo delle Poor laws, leggi per i poveri. Il welfare renano si forma più tardi nell’area austro-prussiana, con i sovrani illuminati e le leggi di Bismark, nell’XIX secolo. Ad ogni modo, è con la rivoluzione francese che si stabilisce un rapporto tra la protezione sociale e i diritti. Poi c’è un sistema nordico particolarmente universalistico nelle aree scandinave. L’area mediterranea del Sud vede un welfare con forte presenza familistica. Queste tendenze storiche permangono – naturalmente con alcune differenze – fino ad oggi e si distinguono per filosofie, livelli di universalità, rapporti col lavoro, modelli di finanziamento.
Di fronte a tali diversità, cosa ha fatto l’Unione europea? Anziché costruire se stessa proprio a partire dall’armonizzazione di queste preesistenze storiche, ha praticato di fatto una sua autonomia differenziata.
I diritti di cittadinanza acquisibili col welfare sono solo richiamati nei Trattati ma non attivati né resi esigibili.
Si sono fatte politiche verticali e di settore cui si sono dedicati anni speciali (per il genere, l’abitare, la disabilità ecc.). Le politiche di coesione si fanno con strumenti deboli come i Mac (Metodo aperto di coordinamento). Che assomigliano ai Livelli essenziali di prestazione, i Lep, con cui si vorrebbero coprire le disuguaglianze che genererebbe l’autonomia differenziata. Si è poi redatta la famigerata direttiva Bolkestein per immettere i servizi nel mercato e “completarlo”. Ma non si è mai fatto una direttiva per i servizi universali e di cittadinanza, come richiesto dai sindacati.
I risultati così ottenuti sono quelli con cui ho aperto l’articolo parlando di sanità. Ma, attenzione, la stessa dinamica è riscontrabile in tutti i campi del welfare.
NEL 2015 LA SPESA SOCIALE MEDIA EUROPEA ERA DEL 29,4%. MA LA FRANCIA STAVA AL 33,8% E LA BULGARIA AL 18,1%. LA GERMANIA AL 30,7% E LA REPUBBLICA CECA AL 20,3%. L’OLANDA AL 32,1% E LA SPAGNA AL 25,3%. L’ITALIA AL 29,9% E DUNQUE ASSOLUTAMENTE NELLA MEDIA, SENZA ALCUN ECCESSO – DI CUI TROPPO SPESSO SI STRAPARLA – IN MATERIA DI SPESA PUBBLICA. NEL 2017 SI SONO SPESI 2.890 MILIARDI PER PREVIDENZA E ASSISTENZA. IL DOPPIO DI QUANTO SPESO PER LA SANITÀ E IL QUADRUPLO DELLA ISTRUZIONE. IL 24,9% IN FINLANDIA, IL 24,3% IN FRANCIA, IL 20,9% IN ITALIA. MA L’11% IN LETTONIA E LITUANIA.
Certo il continente invecchia ma una politica seria affronterebbe questo dato valorizzando gli incrementi di produttività, ricercando la piena occupazione, valorizzando l’afflusso migrante. Invece da venti anni si vogliono trasformare le pensioni da welfare a business, imponendo i fondi privati finanziarizzati, tagliando i rendimenti e alzando l’età. Proprio in questi giorni è partito l’assalto del presidente Macron al sistema pensionistico francese, non a caso alcuni mesi dopo l’approvazione a livello europeo della raccomandazione che mira ad imporre la previdenza privata con un fondo finanziario privato europeo. Cose analoghe accadono nella sanità, dove invece che
prescrivere agli Stati di garantire l’universalità si vorrebbe anche qui una assicurazione transfrontaliera privata. E di assicurazione europea privata contro la disoccupazione ha parlato Ursula von der Leyen, accompagnandola al tema del salario minimo. Non armonizzare i welfare europei che sono assai diversi, come detto, per forme, sostanza e priorità è stata una scelta. Lasciando l’autonomia differenziata degli Stati, senza creare un welfare europeo che sostanziasse un nuovo livello di cittadinanza appunto europea. Una scelta non innocente. Una scelta volta a favorire gli appetiti del capitale finanziario, a creare le condizioni per un cambio radicale di paradigma. Nel 1995 il sociologo giapponese Kenichi Ohmae scrive un libro illuminante La fine dello Stato-nazione. L’emergere delle economie regionali. Spiega come la nuova frontiera della politica siano i territori tenuti insieme non dalla solidarietà ma dalla competitività. Sono questi che stanno nel vortice del capitalismo finanziario globalizzato. Non il welfare ma la competizione.
Spezzare la solidarietà del welfare cambia la natura delle società e della politica. E spiega fenomeni altrimenti incongruenti. La Lega della “secessione dei ricchi” e del Nord che è anche Partito della Nazione. La Afd tedesca che nasce nei salotti ricchi che teorizzano l’autosufficienza germanica e poi conquista l’Est che dal sentirsi annesso si scopre ora nazionalista. Fare l’autonomia differenziata in Italia è l’esatto opposto di quello che bisognerebbe invece fare. Rimuovere le disuguaglianze nel nostro Paese dove da 25 anni non si parla più di piani di settore per farlo (per la sanità, la casa, la scuola ecc) ma solo di privatizzazioni.
COSTRUIRE UNA EUROPA NON DIFFERENZIATA MA ARMONIZZATA E SOLIDALE, INTORNO AD UN NUOVO WELFARE EUROPEO UNIVERSALE

 

6 – Cara Europa stai sbagliando (ndr). IL MOSTRO STORICO DEL «ROVESCISMO» UNISCE IL PD E ORBÁN. PARLAMENTO UE. LA RISOLUZIONE CHE EQUIPARA NAZIFASCISMO E COMUNISMO, APPROVATA A LARGHISSIMA MAGGIORANZA GRAZIE ANCHE AI VOTI DI POPOLARI E “SOCIALISTI”, CON TEMERARIO SPREZZO DELLA VERITÀ ATTRIBUISCE PARITARIAMENTE LA RESPONSABILITÀ DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE ALLA GERMANIA DI HITLER E ALLA RUSSIA SOVIETICA ( di Angelo d’Orsi da Il Manifesto)
La risoluzione del Parlamento europeo, fondata sulla equiparazione tra nazifascismo e comunismo, rappresenta insieme un mostro storico e una bestialità politica. Ma è anche una clamorosa conferma della superfluità “esistenziale” di questo organismo.
Se davvero si vuole una Europa unita, e se la si vuole come si dovrebbe, rifare a fundamentis, il Parlamento europeo sarà semplicemente da eliminare. Un gruppo di signori, godenti di privilegi, che hanno poco o nulla da fare nella vita, sono riusciti a formulare un testo basato su un modesto imparaticcio scolastico, senza capo né coda, un documento lunghissimo, farcito di premesse, di riferimenti interni alla legislazione eurounitaria, ma ahinoi, purtroppo, anche con una serie di ragguagli che pretendono di essere storici, ma sono un esempio di revisionismo ideologico all’ennesima potenza: insomma, il mai abbastanza vituperato «rovescismo», fase suprema del revisionismo, ed è il frutto finale di un lungo lavorio culturale, che dalle accademie è trapassato nel dibattito pubblico, tra giornalismo e politica professionistica.

Il rovescismo riesce a produrre esiti a cui il revisionismo tradizionale non ha avuto il coraggio di spingersi: questo documento è un esempio preclaro di questi esiti.

La linea di fondo, che il rovescismo ha raggiunto, e di cui in Italia abbiamo avuto numerose manifestazioni, è il rovesciamento della verità storica, sulla base di un equivoco parallelismo, che ha illustri precedenti nella filosofia politica, tra fascismo e comunismo, tra fascismo e antifascismo, tra partigiani e repubblichini (per concentrarsi sul nostro Paese): e questo sulla base della nefasta teoria delle memorie condivise, nel documento “europeo” riproposta al singolare, come fonte della “identità” del Continente, a cui l’organo legislativo di una sua parte, sebbene numerosa, pretende di sovrapporsi. L’Unione europea, sarà opportuno ricordare, non è l’Europa, e il Parlamento della Ue non esprime sentimenti, pensieri, sensibilità e, aggiungo, volontà, di alcune centinaia di milioni di cittadini e cittadine dei 27 Stati aderenti.

Ciò detto, la risoluzione, con temerario sprezzo della verità, attribuisce paritariamente la responsabilità della Seconda Guerra mondiale alla Germania nazista e alla Russia sovietica, e in particolare sarebbe la «conseguenza immediata» del Patto Ribbentrov-Molotov, e avendo sottolineato, di nuovo con un esempio di grottesca violenza alla realtà fattuale, che l’istanza unitaria nel Vecchio Continente nasce come risposta alla «tirannia nazista» e «all’espansione dei regimi totalitari e antidemocratici», si richiama alla legislazione di alcuni Paesi membri, che ha già provveduto a «vietare le ideologie comuniste e naziste», e invita gli Stati dell’Ue a prenderli ad esempio.

Curiosamente il documento di questi nuovi analfabeti della storia, usa l’espressione «revisionismo storico» per riferirsi esclusivamente al nazismo, e al progetto genocidario insito in esso, e presenta la posizione a cui si ispira come corretta e indubitabile, al punto da pretendere di diventare legge. E la proposta cui giunge questo mirabile esempio di menzogna storica, e insieme di miseria politica e di bassezza morale, quale è mai? La sollecitazione agli Stati membri a provvedere a condannare i «crimini dei regimi totalitari comunisti e dal regime nazista», e di conseguenza a «formulare una valutazione chiara», che traduca praticamente questa raccomandazione. Ossia, evitare la diffusione e la presenza e la circolazione nei relativi Paesi di ideologie e simboli che richiamino nazismo e comunismo.
Insomma, è una Europa polonizzata e magiarizzata e ucrainizzata: l’Europa che dimentica il ruolo fondamentale della Russia, a cui viene sì attribuito l’etichetta di Paese martire, ma non certo quello, confermato da ogni ricerca storica, di barriera al nazifascismo. E il documento, che pare ispirato direttamente da tedeschi polacchi e ungheresi, si apre a parole di dolce accoglienza nel seno della famiglia dell’Europa “democratica” dei Paesi liberatisi dal giogo sovietico. E, incredibilmente, si precisa: «adesione all’Ue e alla Nato», con una inaccettabile confusione di europeismo e atlantismo.
Ebbene, questo documento è stato approvato con i voti della destra di Orbán e soci, ma anche dei popolari e dei “socialisti”, ivi compresi gli esponenti del Pd. Che con questo atto ha segnato la sua definitiva fuoruscita dal campo della sinistra internazionale, ma altresì dal campo della decenza e della dignità.

 

7 – EUROPARLAMENTO, ASSUEFATTI A UNA MEMORIA AZZERATA. UNA RISOLUZIONE INCREDIBILE ALL’EUROPARLAMENTO. LA MEMORIA NON È COSA DA AFFIDARE SOLO AGLI SPECIALISTI DI STORIA, È PARTE FONDANTE DEL NOSTRO PRESENTE. DOBBIAMO METTERE ALLA BERLINA CHI HA RESO POSSIBILE UNA SIMILE COSA E RISPONDERE CON FORZA, SUBITO E OVUNQUE ( di Luciana Castellina)

Confesso che, quando venerdì sera – in attesa di Tsipras alla Festa di Articolo 1 – un compagno mi ha mostrato sul suo telefonino un estratto della risoluzione sulla Memoria votata dal Parlamento europeo, gli ho detto, con tono irrisorio: «Ma non vedi che è una fake news?». E sempre con tono irrisorio ho insistito: «Una fake news diffusa da chissà chi?».

Quel testo mi era infatti apparso così ignobile da pensare fosse uscito da Casa Pound.

È solo l’indomani che mi sono resa conto che no, era davvero stato possibile quanto non avrei mai creduto lo fosse: che solo 66 deputati europei avessero votato contro uno degli atti più vergognosi, non solo per aver operato un indegno stravolgimento della storia ma anche – per via dei suoi clamorosi strafalcioni storici – tale da mettere in discussione il prestigio dell’istituzione parlamentare che l’ha varato. E dove fino a qualche anno fa – sia detto per inciso – sedeva, come indipendente ma eletto nelle fila del Partito comunista italiano, Altiero Spinelli.

(Da segnalare il decisivo e pertinente «contributo storico» del presidente Sassoli: «Ma ci sono stati i carri armati a Praga!»). Per non parlare dell’offesa apportata da quanto accaduto alla reputazione della consistente schiera di deputati un tempo militanti comunisti e socialisti che hanno sostenuto quella Memoria.

(Fra questi, ahimé, persino Giuliano Pisapia, che così si è autocondannato, essendo stato a lungo deputato di un partito che si chiamava Rifondazione Comunista).

Ma la mia sorpresa non è finita qui. Sollecitato ad intervenire sul tema, Etienne Balibar, il filosofo francese risponde da New York (dove da tempo tiene dei corsi), scrivendo: «Non so niente di questa storia, qui la stampa non ne ha parlato, e però nemmeno quella francese che continuo a seguire».

CONTROLLO a Parigi telefonando al nostro vecchio primo corrispondente dalla Francia, Alexandre Bilous. Casca dalle nuvole, mai sentito parlare di questa risoluzione. Mi richiama dopo poco: nessun giornale, dico nessuno, compresa l’Humanité, ha fatto cenno a questo voto europeo. Solo un ottimo sito on line, Mediapart, ne parla per via della lettera inviata dal signor Charles Heinberg, svizzero, docente di storia a Ginevra. Menomale. Rifletto: effettivamente alle ultime elezioni europee nessun deputato Pcf e neppure Psf è stato eletto.

(E però anche se non in parlamento non si sono accorti di quanto grave sia una risoluzione sulla nostra comune memoria scritta dalla peggior destra europea? E Raphaël Glucksmann, figlio del più noto padre nouveau philosophe oggi a capo di un non meglio definito raggruppamento di provenienza socialista, come giustifica il suo voto favorevole?).

SILENZIO anche sulla stampa tedesca, pur in generale attenta alla Memoria. Sia quella di destra che quella di sinistra.

Meno mi meraviglia il voto a favore dei Verdi: il loro tradizionale anticomunismo ha prodotto sempre non poche ambiguità politiche.

I nostri 5stelle, naturalmente, si sono astenuti. Come si sa per loro destra e sinistra sono riferimenti inesistenti, ma che la destra esista, almeno questo, dovrebbero recentemente averlo imparato).

IN ITALIA, a parte ovviamente il manifesto (per fortuna quella risoluzione non ha effetti giuridici altrimenti potrebbe esser posto fuori legge perché quotidiano comunista) c’è stata la Repubblica che ha ben commentato l’accaduto, per il resto quasi niente, oltre, naturalmente, le grida di giubilo della destra.

Non passo a una analisi storica del testo, lo hanno fatto con più competenza gli storici che ne hanno scritto; e quelli che certamente ne scriveranno.

Prendo la penna solo per dire che la nostra reazione, quella di tutti noi che siamo rimasti sbigottiti e indignati, non può, non deve, restare a questo: non possiamo solo meravigliarci che sia potuto accadere, dobbiamo mettere alla berlina chi ha reso possibile una simile cosa e rispondere con forza, subito e ovunque. Altrimenti finiremo per meravigliarci del fatto che a molti, di quanto accaduto, non importi niente. Più niente.

RISCHIAMO di rimanere ammutoliti dalla scoperta. E allora: bene Smeriglio e Majorino che non hanno accettato la disciplina di gruppo del Pd e si sono rifiutati di dire sì, ma non basta.

Con l’Anpi, con Pastorino e Laforgia di Leu e Fratoianni di Sinistra italiana che hanno subito reagito qui in Italia e sono in Parlamento e possono prendere anche in quella sede una iniziativa; e sopratutto con tutti quelli che si sono indignati, bisogna fare qualcosa, aprire un confronto. Innanzitutto nel Pd. La memoria non è cosa da affidare solo agli specialisti di storia, è parte fondante del nostro presente.

OLTRETUTTO la miseria dell’operazione spudoratamente negazionista che è stata messa in campo sta nel fatto che essa ha la meschina motivazione attuale di rafforzare le sanzioni economiche contro la Russia, di accentuare la più irresponsabile delle politiche europee del «dopo caduta del Muro»: anziché cogliere l’occasione per finalmente – come del resto aveva inutilmente sollecitato Gorbaciov – imboccare la strada dell’autonomia dell’Europa dai due blocchi militari e cercare di coinvolgere la grande Russia in un comune progetto (la Casa comune europea), si è scelta la strada di estendere la Nato tanto a est fino a impiantare i suoi missili sotto il naso di Mosca. Se Putin, che a nessun democratico piace, ha acquistato potere nel suo paese (ed è anche diventato ben più popolare di quanto vogliano far credere i media occidentali) è perché ha potuto giocare sullo sciovinismo, nato dalla reazione a questo accerchiamento.
Come pensate possa reagire oggi Mosca, dopo che l’Ue ha decretato che 22 milioni di donne e uomini russi che hanno perso la vita contribuendo in maniera decisiva alla sconfitta del nazifascismo, sarebbero stati invece nostri avversari?

 

8 – UN «MANIFESTO» DEL NUOVO PD A TRENT’ANNI DALLA BOLOGNINA. ZINGARETTI, LA SVOLTA A NOVEMBRE. NON . UN EVENTO ANCHE NEI GIORNI DELLA LEOPOLDA, FORSE CON OBAMA ( di Daniela Preziosi)
Nicola Zingaretti stavolta non apre la direzione del Pd, la prima dopo la scissione di Renzi. Il segretario vuole dare un segno tangibile della fine dell’idea dell’uomo solo al comando. Non che voglia rinunciare alla scena. Anzi per metà ottobre prepara un grande evento internazionale, che cadrà forse proprio nei giorni della Leopolda degli scissionisti, dal 18 al 20 ottobre: circola voce di un possibile incontro con l’ex presidente Obama. Dal Pd però solo bocche cucite.

È ANDREA ORLANDO, vicesegretario ormai unico – la collega Paola Di Micheli è oggi ministra delle infrastrutture – a svolgere la relazione che prefigura il cambio di marcia del Pd postRenzi. Nessuno ha gioito per la scissione – il segretario lo ribadirà – ma è un fatto che il nuovo governo, dopo la crisi ferragostana, e la nuova linea del Pd (da «mai con i 5 stelle» all’esecutivo ’giallorosso’) ne ha risentito: «La costante minaccia della scissione, che poi è arrivata, ha impedito che si preparasse con un dibattito all’altezza un passaggio così importante», dice Orlando, «La crisi non nasce da un’intervista agostana. Il governo è potuto nascere perché in questi mesi abbiamo riposizionato il partito», «Senza distinzione fra M5S e Lega nulla di quello che stiamo tentando sarebbe possibile». È la linea di Zingaretti, quella che ha vinto il congresso di marzo. Ma spinta più avanti. Il ragionamento sulle alleanze non viene neanche abbozzato ma certo Orlando anticipa che «il proporzionale non è l’unico approdo».

A SOTTOLINEARE il passaggio cruciale anche per il partito ci sono rentrée simboliche come quella dell’ex presidente Pd Rosy Bindi che torna ad assistere ad una direzione e rivendica «di non essersi mai fidata di Renzi». Ma anche da chi parla dal palco del Centro Congressi Cavour di Roma si può valutare la solennità del passaggio. Paolo Gentiloni, neocommissario dell’Economia a Bruxelles: fin qui, da presidente del partito, non aveva mai preso la parola in direzione. Ora ringrazia Zingaretti per aver tenuto la barra in questo periodo «straordinario», l’aggettivo che diventa la parola chiave del pomeriggio. Ma ora bisogna interrogarsi «sulle ragioni di fondo del Pd», non per «superarlo», come hanno chiesto gli alleati di Art.1 nel week end appena concluso (Bersani, D’Alema, con una «fase costituente»). «Siamo a trent’anni dalla caduta del muro di Berlino che ha innescato il percorso che ha portato alla nascita prima dell’Ulivo e poi del Pd. La mescolanza tra diverse culture, l’affiorare di nuovi valori, quell’amalgama – con il senso di poi – si è dimostrato più resistente del previsto. Questo amalgama c’è», è la risposta alla famosa sentenza di D’Alema.

NON È DUNQUE L’ADDIO di Renzi il cuore della fase, ma il cambio di scenario. E di linea politica. Anche Lorenzo Guerini, neoministro della Difesa e ormai ex renziano, capo della corrente Base riformista, prende la parola. Altro fatto raro, per un uomo più propenso alla paziente costruzione che alle declamazioni: dopo aver definito la scissione di Renzi «un errore imperdonabile» guarda in avanti. «In un mese siamo passati dall’opposizione al governo», la fase è «straordinaria» – ripete anche lui – «Ritengo imprudente aprire un congresso straordinario ma occorre dare il senso che affrontiamo questa fase con strumenti straordinari. È una fase che oggettivamente cancella l’esito del congresso». Parole impegnative, seguite dall’auspicio di «uno sforzo corale di responsabilità, che superi anche la cristallizzazione post congressuale». È l’annuncio indiretto della disponibilità della minoranza a entrare in segreteria, ora che sono molti i posti lasciati vacanti da chi è andato al governo. E la disponibilità a condividere la svolta.

QUELLA CHE ZINGARETTI annuncia per novembre a Bologna: la «convenzione delle idee» lanciata a luglio per una tre giorni dall’8 al 10 novembre si trasforma nel «Manifesto per gli anni ’20 del nuovo secolo», titolo che riprende la suggestione del discorso del segretario alla festa nazionale di Ravenna.

COME RICORDA GENTILONI, forse non per caso, in quei giorni il calendario segna rosso per un pezzo del Pd, cioè per tutto il partito: il 12 novembre saranno trent’anni dalla svolta della Bolognina. E speriamo che stavolta sia la svolta buona. Dal Nazareno si fa sapere che lì verrà aggiornata la piattaforma politica – insomma, il programma del Pd – ma anche la carta dei valori.

E L’ORGANIZZAZIONE DEL PARTITO: ci si potrà iscrivere non solo con la tessera, ma anche tramite un’«app», un applicazione per i cellulari, aderendo «punti Pd» (cioè circoli e sezioni tematiche, fra gli altri ambiente, scienza, scuola, università). La direzione viene aggiornata: tanti iscritti a parlare, non cancellare gli interventi è un altro segno del nuovo corso. Ci sarà bisogno di un nuovo regolamento, l’aggiornamento dello statuto verrà poi – ma non è alle viste per ora un’assemblea nazionale. Martedì il segretario, ascoltati tutti, formalizzerà la sua proposta di svolta.

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