IDOS: presentato oggi il Dossier Statistico Immigrazione 2022

Oggi ha avuto luogo la presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2022: alcuni estratti salienti delle relazioni

Roma, 27 ottobre 2022 – Confronti. Si è tenuta oggi presso il Teatro Orione a Roma la presentazione del 32° Dossier Statistico Immigrazione a cura di IDOS, in collaborazione con Confronti e Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.

“Questo evento è dedicato a tutti i migranti reali, eppure assenti. O perché non sono mai partiti, rimanendo bloccati nelle terre d’origine ad affrontare guerre, disastri ambientali e povertà, oppure perché sono partiti ma non sono mai arrivati, perché sono morti durante il viaggio, o rimasti bloccati nei campi di detenzione o nei campi profughi, o anche perché da mesi da mesi sono impegnati nel “game” per raggiungere l’Europa sulle rotte balcaniche, dai cui confini vengono respinti con violenza. Ma lo vogliamo dedicare anche a tutti coloro che pur essendo partiti e arrivati, sono rimasti invisibili, perché sequestrati nei ghetti o ostaggio dei caporali. Dopo trentadue anni con il Dossier Statistico vorremmo contribuire con la forza dei numeri a innalzare la società alla statura umana che le compete, seguendo la legge scritta nelle nostre coscienze, che ci costituisce come esseri umani, e che è stata troppo spesso calpestata, rendendo la vita dei migranti un inferno”. ha introdotto Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS, che ha presentato il nuovo Rapporto, giunto alla 32esima edizione e realizzato, in collaborazione il Centro Studi e rivista Confronti, grazie al sostegno dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” e dell’Otto per Mille della Tavola Valdese.

“Sono lieta di vedere una folta presenza di studenti e studentesse nel pubblico – ha aggiunto la moderatora della Tavola Valdese Alessandra Trotta – perché quello di cui si parla oggi li riguarda in prima persona. Oggi la comunità scolastica è una realtà plurale, in cui convivono culture e religioni diverse, ma la vera sfida è renderla una realtà di convivenza pluriculturale. Ai giovani è stato consegnato un mondo gestito da una generazione poco lungimirante, ma la speranza è che riescano a renderlo un posto migliore. Il primo passo è confrontarsi con la realtà attraverso i dati concreti e l’incontro con gli altri, superando definitivamente la narrazione della migrazione che è stata fatta fino ad oggi”.

“La mancata integrazione degli stranieri sul territorio parte dal classismo, ma dobbiamo ricordare che il primo fattore discriminante è la povertà. Spesso, infatti, le persone della mia generazione si sentono sfiduciate nella continuazione degli studi o nell’iniziare un percorso di studi che non sia tecnico, perché pensano di non avere gli stessi diritti e le stesse possibilità degli italiani all’interno del mondo del lavoro. Pertanto, è necessario che le istituzioni facciano tutto quello che è in loro potere per creare le stesse condizioni di apprendimento per tutti, perché tutti meritano di aspirare a una vita dignitosa in questo Paese”, ha chiarito la scrittrice e attivista Djarah Kan.

“Il pluralismo religioso sta mettendo in crisi la secolarizzazione crescente della nostra società – ha aggiunto Maurizio Ambrosini, docente di sociologia delle migrazioni – e invece di essere un fattore di disgregazione, è diventato un fattore di rafforzamento della società e di coesione sociale collettiva. La religione per i migranti rappresenta un’opportunità di solidarietà e mutuo aiuto perché qui trovano socialità, resilienza e riscatto, ricoprendo ruoli di leadership e responsabilità che compensano le frustrazioni che sperimentano nella vita quotidiana. Inoltre le comunità religiose offrono un ruolo anche alle donne e alle nuove generazioni, che hanno l’opportunità di rimanere in contatto con la lingua e la cultura d’origine, e rappresentano un luogo indispensabile di formazione e di superamento del radicalismo”.

“Anche se i media non ne parlano a sufficienza, quello che sta accadendo nel Corno d’Africa è allarmante. Le persone stanno fuggendo dalla guerra, dalla carestia, dalla siccità, o anche per garantire un futuro ai loro figli. Bisogna proteggere i diritti e la dignità di queste persone aprendo dei canali legali per raggiungere l’Europa, che intanto erge muri visibili e invisibili per arginare la migrazione. Spero che si superi presto la campagna di criminalizzazione della solidarietà che è stata messa in atto negli ultimi anni e che si creino le condizioni per un inserimento sociale, culturale ed economico nel nostro Paese, anche per i ragazzi che sono cresciuti e studiano qui, per uscire da una ghettizzazione dei migranti dal punto di vista sociale, culturale e politico”, ha dichiarato Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia di Cooperazione Habeshia.

La giornalista Eleonora Camilli ha continuato: “Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina sono andata al confine con la Romania per osservare la gestione dei flussi migratori e, oltre alla disperazione di tante persone, soprattutto donne, ho visto un attivismo straordinario messo in atto dalla società civile, da organizzazioni umanitarie e religiose, e da privati cittadini. Ho visto anche un atteggiamento inedito da parte della polizia di frontiera che aiutava i profughi, cosa che non accade sulla rotta balcanica, ma anche al confine con la Francia, dove continuano a perpetrarsi respingimenti, anche di minori. È inaccettabile questo “doppio standard dell’accoglienza”, perché l’accoglienza non può essere selettiva”.

“Vista la natura non transitoria dei flussi migratori – ha chiarito Matteo Biffoni, delegato ANCI all’Immigrazione e Politiche per l’integrazione – bisogna avviare adeguati meccanismi di ingresso nel Paese e di acquisizione della cittadinanza. Il 2021 è stato caratterizzato dalla crisi ucraina ed è stato un banco di prova per il sistema dell’accoglienza che ha visto un’Europa solidale e attiva. Però il sistema di accoglienza è un cantiere aperto e molto altro ancora c’è da fare per migliorarlo”.

“Nella tragedia sociale che stiamo vivendo, segnata da crisi economica, pandemia e guerra, bisogna tutelare coloro i quali lasciano il loro Paese per costruire una nuova vita e una nuova classe sociale sotto un cielo diverso dal proprio”, ha concluso Paolo De Nardis, presidente dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.

Ha coordinato i lavori Claudio Paravati, direttore del Centro Studi Confronti.

Per maggior completezza dei contenuti illustrati nell’evento, scarica qui la cartella stampa
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Maggiori informazioni sul sito www.dossierimmigrazione.it.

 

 


 

Immigrati in Italia: produttori di ricchezza, eppure sempre più poveri

Lavorano in condizioni peggiori, sono più sovraistruiti e sottoccupati, ma contribuiscono in misura rilevante all’economia del Paese, con un saldo positivo di 1,3 miliardi di euro per le casse dello Stato. E restano largamente esclusi da molte prestazioni sociali, pur avendo un tasso di povertà 4 volte superiore a quello degli italiani.
Se venissero impiegati meglio assicurerebbero vantaggi ancora più alti all’economia nazionale.
Anticipazioni del Dossier Statistico Immigrazione 2022, a cura di IDOS, in collaborazione con Centro Studi Confronti e Istituto di Studi Politici “S. Pio V”
In Italia gli stranieri incidono più tra i lavoratori (10,0%: 2.257.000 occupati su un totale nazionale di oltre 22,5 milioni nel 2021) che tra la popolazione nel suo complesso (8,8%: 5.194.000 residenti su una popolazione totale di 59 milioni) e, rispetto al 2020, tra gli occupati sono cresciuti del 2,4%.

Inoltre, sebbene siano impiegati per un numero di ore più basso rispetto a quelle che sarebbero disponibili a lavorare (il 19,6% degli occupati stranieri lavora in part time involontario – il 30,6% tra le sole donne – contro 10,4% degli italiani) e in lavori demansionati rispetto al livello di formazione acquisito (ben il 63,8% svolge professioni non qualificate o operaie e la quota di sovraistruiti è del 32,8% – 42,5% tra le sole donne – contro il 25,0% degli italiani), continuano a sostenere in misura rilevante l’economia nazionale.

Da una parte, infatti, vivendo e lavorando in Italia, gli immigrati pagano le tasse, consumano e versano contributi: nel 2020 hanno pagato 5,3 miliardi di euro di Irpef, 4,3 miliardi di Iva, 1,4 miliardi di Tasi e Tari, 2,2 miliardi di accise su benzina e tabacchi, 145 milioni di euro per le pratiche di acquisizione di
cittadinanza e di rilascio/rinnovo dei permessi di soggiorno. Inoltre, tra comunitari e non comunitari, hanno versato 15,6 miliardi di euro di contributi previdenziali, contribuendo al sistema pensionistico italiano.
Ne deriva che il saldo netto tra uscite economiche (28,9 miliardi) ed entrate (30,2 miliardi) legate all’immigrazione è stato ancora una volta positivo di circa 1,3 miliardi di euro a vantaggio delle casse dello Stato.

Dall’altra parte, gli stranieri in Italia continuano sempre più a fare impresa: le attività imprenditoriali a conduzione immigrata (642.638) costituiscono un decimo del totale (10,6%) e sono cresciute dell’1,8% (+11.481) rispetto al 2020, continuando un trend di ininterrotta espansione pure negli anni di crisi e di
pandemia.

A ciò bisogna aggiungere che gli immigrati svolgono un’ampia gamma di lavori imprescindibili: sono il 15,3% degli occupati nel settore degli alberghi/ristoranti, il 15,5% nelle costruzioni, il 18,0% in agricoltura e ben il 64,2% nei servizi alle famiglie, dove quasi i due terzi degli addetti sono stranieri. Tutti settori che, in assenza di manodopera straniera, entrerebbero in profonda crisi. Nel caso dell’assistenza alle persone, la gran parte delle famiglie italiane con anziani, minori o disabili sarebbero più sole e prive di aiuto.

Eppure, sebbene contribuiscano in maniera irrinunciabile al benessere collettivo, ne restano sempre più esclusi. Nel 2021 gli stranieri in condizione di povertà assoluta sono saliti, in Italia, a oltre 1 milione e 600mila (+100.000 rispetto al 2020), il 32,4% di tutti quelli residenti in Italia, una quota oltre 4 volte
superiore a quella degli italiani (7,2%). E la percentuale di famiglie che non riescono a soddisfare i bisogni essenziali è del 26,3% tra i nuclei misti (con almeno uno straniero) e sale al 30,6% tra quelle di soli stranieri: 5 volte in più che tra le famiglie di soli italiani (5,7%).

Anche la povertà relativa, legata alla capacità di spesa e perciò alla disuguaglianza sociale, colpisce molto più gli stranieri che gli italiani: nel 2021 ha riguardato in tutto 2,9 milioni di famiglie (l’11,1% del totale) ma, rispetto al 2020, l’incidenza di quelle che si trovano in tale stato è passata, tra i nuclei di soli italiani, dall’8,6% al 9,2%; tra quelli misti, dal 26,5% al 30,5%; e, tra quelli di soli stranieri, dal 25,7% a 32,2%, una quota oltre 3 volte superiore a quella delle famiglie di italiani.

Ma, pur in queste maggiori condizioni di indigenza, accedono molto meno degli italiani alle prestazioni di assistenza sociale (mense, trasporti, case popolari, misure di sostegno al reddito ecc.), da cui vengono esclusi attraverso l’introduzione di requisiti illegittimi e arbitrari, da parte di Comuni e istituzioni, come il possesso di un permesso di lungo-soggiorno e una residenza anagrafica almeno decennale.

Sono questi i vincoli che hanno limitato ad appena il 12% la quota di stranieri tra i beneficiari del Reddito di cittadinanza, la principale misura nazionale di contrasto alla povertà economica, sebbene gli immigrati siano 3 ogni 10 poveri assoluti in Italia e questa indigenza sia, tra le loro famiglie, 5 volte superiore
rispetto ai nuclei italiani.

Ancora oggi, da decenni, vigono per gli stranieri un modello di segregazione occupazionale (per cui lavorano sempre negli stessi pochi comparti, secondo una rigida ripartizione non solo di nazionalità ma anche di genere: le donne per lo più nei servizi domestici e di cura, il 38,2%, e gli uomini nell’industria e
nell’edilizia, il 42,4%), una mobilità occupazionale bloccata (anche per chi ha una formazione elevata e tanti anni di attività) e una condizione di estrema precarietà (tra lavoratori a termine, contratti di apprendistato intermittenti e part-time involontari, la quota di lavoratori “non standard” tra gli stranieri è
del 34,3% − il 41,8% tra le donne – contro il 20,3% degli italiani).

“Eppure – sostiene Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS – se si consentisse loro non solo di lavorare più ore regolarmente, visto che la sottoccupazione cela spesso un contestuale impiego in nero, ma anche di accedere a professioni di più alta qualifica, con contratti più stabili e tutele effettive, sarebbe valorizzato un potenziale ancora oggi mortificato, sebbene quanto mai prezioso in questa fase di crisi globale. Un potenziale che gioverebbe, oltre che agli immigrati, all’intero sistema Paese, dal momento che diminuirebbe l’economia sommersa e l’evasione, aumenterebbe ancor più il gettito in tasse e contributi, renderebbe più transnazionale e competitiva l’economia italiana”.

 

 


 

SINTESI DEL RAPPORTO

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