n° 25 del 19 Giugno 2021 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – Schirò (Pd)*: sull’Imu il Mef chiarisce: riduzione ai pensionati  in convenzione sia con la UE che con i paesi extracomunitari.

02 – La Marca (Pd*:  l’Italia riapre agli stati uniti e al Canada. Grande soddisfazione per la nuova ordinanza del ministro speranza. L’Italia riapre veramente. Dal 21 giugno anche a coloro che provengono da Stati Uniti, Canada e Giappone sono estese le regole di ingresso in Italia già concordate per l’area europea. In sostanza, basterà rispettare i requisiti del certificato verde per entrare nel nostro Paese senza più soggiacere all’obbligo di quarantena.

03 – Fabrizio Sinisi *: Come Petrolio ha anticipato l’evoluzione del nostro mondo.

04 – Giulia Belardelli*:  Biden e il “killer” Putin al tavolo delle due verità Prigionieri, spie, diritti e “linee rosse”. Incontro a Ginevra senza aspettative, in cerca di un antagonismo più prevedibile. I disturbi di Cina e Trump.

5 – Kai Strittmatter*: l pericoloso bluff del governo danese La nuova legge che consente di esaminare le richieste di asilo in paesi extraeuropei è soprattutto un modo per scoraggiare i migranti, ma potrebbe avere conseguenze molto gravi.

06 – Sebastiano Maffettone e Massimo Adinolfi*: Siamo come cappellai matti avvolti in una filosofia latente. Nell’affrontare le sfide della contemporaneità non bastano gli strumenti forniti dalla tradizione. Servono pensatori che non seguano le regole dell’accademia, da Mark Fisher a Timothy Morton a Nick Land.

07 – Consolati. Il concorso per le 375 nuove assunzioni al ministero degli Esteri, spostato a settembre.

 

 

01 – Schirò (Pd) – SULL’IMU IL MEF CHIARISCE: RIDUZIONE AI PENSIONATI  IN CONVENZIONE SIA CON LA UE CHE CON I PAESI EXTRACOMUNITARI.

La riduzione del 50% dell’IMU e di due terzi della TARI va applicata a favore dei titolari di pensione in regime di convenzione internazionale sia nell’ambito dell’Unione europea che con i Paesi extracomunitari. 14 giugno 2021

Sono finalmente arrivati i chiarimenti del MEF in riposta alle nostre sollecitazioni.

Non avevamo dubbi sulla corretta interpretazione della legge (visto che abbiamo contribuito a formularla) e lo abbiamo sostenuto in più occasioni.

Ora il MEF ha chiarito definitivamente i dubbi sollevati impropriamente da alcuni siti di informazione fiscale “on line” che hanno evidentemente scarsa dimestichezza con la terminologia previdenziale e le cui interpretazioni incorrettamente restrittive erano state recepite da alcuni comuni italiani (e fortunatamente non da tutti).

Il Dipartimento delle Finanze del MEF (Direzione Legislazione Tributaria) nella sua recente Risoluzione n. 5/DF concernente gli immobili posseduti in Italia a titolo di proprietà od usufrutto da soggetti non residenti nel territorio dello Stato ha chiarito che la parziale esenzione spetta ai titolari di pensione maturata in regime di totalizzazione internazionale, e quindi, mediante cumulo dei periodi assicurativi maturati in Italia con quelli maturati:  in Paesi UE, SEE (Norvegia, Islanda e Liechtenstein), Svizzera (pensione in regime comunitario) e Regno Unito, consultabili al seguente link: (https://www.inps.it/prestazioniservizi/paesi-dellunione-europea-e-altri-stati-che-applicano-i-regolamenti-comunitari-disicurezza-sociale); in Paesi extraeuropei che hanno stipulato con l’Italia convenzioni bilaterali di sicurezza sociale (pensione in regime di convenzione bilaterale), consultabili al seguente link: (https://www.inps.it/prestazioni-servizi/paesi-extra-ue-convenzionati).

Il MEF ha anche ribadito che è escluso dal perimetro applicativo della disposizione il caso in cui la pensione è maturata esclusivamente in uno Stato estero (cioè una pensione non in convenzione ma con i soli contributi esteri).

Va quindi dato per scontato che la titolarità invece di un  pro-rata di pensione estero maturato in regime di totalizzazione con l’Italia dia diritto all’agevolazione.

Ci lascia invece perplessi, e per questo chiederemo un ulteriore chiarimento al MEF, la contorta argomentazione espressa dal MEF nella sua Risoluzione dove si sostiene che (riportiamo testualmente con virgolettato) “che il regime agevolativo in commento non può essere concesso indipendentemente dal Paese di residenza, poiché la norma prevede espressamente, tra le altre condizioni, che sussista anche quella della residenza “in uno Stato di assicurazione diverso dall’Italia”, indicando con questa locuzione che ci deve essere coincidenza tra lo Stato di residenza, diverso dall’Italia, e lo Stato che eroga la pensione.”.

Sembrerebbe infatti che il MEF voglia escludere dall’agevolazione, ad esempio, un soggetto che ha maturato una pensione in regime di convenzione tra Italia e Francia ma risieda in Germania. Noi riteniamo invece che l’agevolazione vada attribuita al titolare di una pensione in regime internazionale con l’Italia a prescindere dalla residenza (a patto ovviamente che il Paese di residenza non sia l’Italia).

Si poteva fare di meglio e di più come alcuni sostengono (e sosterranno) ? Forse. Ma vi assicuro che data la congiuntura sanitario-economica e le circostanze politiche possiamo, almeno per ora, accontentarci.

*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati)

 

02 – LA MARCA (PD) – L’ITALIA RIAPRE AGLI STATI UNITI E AL CANADA. GRANDE SODDISFAZIONE PER LA NUOVA ORDINANZA DEL MINISTRO SPERANZA. L’ITALIA RIAPRE VERAMENTE. Dal 21 giugno anche a coloro che provengono da Stati Uniti, Canada e Giappone sono estese le regole di ingresso in Italia già concordate per l’area europea. In sostanza, basterà rispettare i requisiti del certificato verde per entrare nel nostro Paese senza più soggiacere all’obbligo di quarantena. Roma, 18 giugno 2021

 

Si tratterà di produrre le certificazioni, cartacee o digitali, che dimostrano di essere stati vaccinati con un farmaco approvato da Ema e Aifa (Pfizer, Astrazeneca, Moderna o Janssen), essere guariti dal Covid negli ultimi 180 giorni o risultare negativi a un tampone antigenico o molecolare effettuato nella 48 ore antecedenti al viaggio.

È quanto ha appena annunciato il Ministro della salute, Roberto Speranza, nella conferenza stampa che ha tenuto per aggiornare la situazione della mobilità internazionale nel nostro Paese.

Ringrazio il Ministro Speranza che ha voluto informarmene personalmente in risposta alle continue sollecitazioni che gli ho rivolto nel corso di queste settimane.

L’Italia riapre veramente. Un sospiro di sollievo per gli operatori che dalla ripresa della mobilità e del turismo si attendono una spinta per il rilancio. Un sospiro ancora più forte di soddisfazione per i connazionali che potranno tornare a riabbracciare i loro cari e a passare le loro vacanze nel nostro bel Paese.

L’ordinanza, che entrerà in vigore da lunedì 21 giugno, tuttavia, prevede nuove restrizioni per chi proviene dalla Gran Bretagna: rispetto di un periodo di quarantena di 5 giorni e obbligo di tampone. Infine, l’ordinanza stabilisce il prolungamento delle misure di divieto di ingresso da India, Bangladesh e Sri Lanka.

*( On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. – Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America – Electoral College of North and Central America)

 

 

03 – Fabrizio Sinisi *: COME PETROLIO HA ANTICIPATO L’EVOLUZIONE DEL NOSTRO MONDO. DI PETROLIO, ULTIMO ROMANZO INCOMPIUTO DI PASOLINI, SI RICORDA SOPRATTUTTO LA DIETROLOGIA. INTORNO A PETROLIO C’È UN ODORE DI COMPLOTTO CHE È RARO TROVARE INTORNO A UN’OPERA LETTERARIA.

 

Una nebulosa che un libro recente di Quodlibet, Petrolio 25 anni dopo, prova a ordinare e chiarire. Lo cura Carla Benedetti, che di Petrolio è l’interprete più fedele.

Petrolio non fa sconti, e parla della metamorfosi di un potere che da statale e nazionale diventa finanziario e internazionale. Oggi che quel salto di specie è un dato di fatto, mi colpisce che Pasolini ne avesse centrato anche il luogo in cui quella lotta si sarebbe combattuta: le fonti energetiche

Di Petrolio, ultimo romanzo incompiuto di Pasolini, si ricorda soprattutto la dietrologia. Intorno a Petrolio c’è un odore di complotto che è raro trovare intorno a un’opera letteraria. Innanzitutto la sua pubblicazione postuma: nel 1992, ben diciassette anni dopo la morte dell’autore – un’enormità, per l’edizione di un manoscritto a testimone unico. Sottratto da qualsiasi nesso causale con la morte del suo autore, il romanzo comparirà solo a bocce ferme, quando la discussione sugli anni di piombo è bell’e rientrata e il tema del giorno è Mani Pulite.

Poi le presunte pagine rubate: un capitolo, Lampi sull’Eni, che sarebbe stato sottratto al manoscritto dopo l’assassinio di Pasolini, e che sarebbe poi ricomparso (il condizionale è d’obbligo in questo caso) nelle mani di Marcello Dell’Utri, che in una conferenza stampa nel 2010 dichiarò di esserne in possesso. Parole a mezza bocca, dove si fece capire che in quelle pagine si trattava di cose «scottanti» sull’Eni e l’omicidio Mattei. Tuttavia, non spiegò né mostrò nulla: fake news per alcuni, velata minaccia a qualcuno secondo altri. Quel capitolo non è mai saltato fuori, e c’è chi, come Walter Siti, nutre seri dubbi sul fatto stesso che esista davvero. Ma il nesso rimane, al centro di una complessa narrativa intorno a questi eventi: Petrolio rimane quel libro che, forse, è costato la vita al suo autore.

Una nebulosa che un libro recente di Quodlibet, Petrolio 25 anni dopo, prova a ordinare e chiarire. Lo cura Carla Benedetti, che di Petrolio è l’interprete più fedele, e a cui in questi anni non è stato risparmiato quel dileggio, molto italiano, che si riserva a chi vuol vedere troppe complicazioni nelle cose semplici. Del resto, si sa come basti dare del complottista a qualcuno per stroncarne il discorso: è un modo come un altro per buttare la palla in tribuna.

Di Petrolio – inteso stavolta come opera e non come oggetto – i lettori ricordano sempre una sola scena: sullo sfondo notturno della periferia romana, il protagonista Carlo consuma un rapporto orale con venti ragazzi della borgata uno dopo l’altro, in fila ordinata. Si tratta del famoso frammento 55, intitolato Il pratone della Casilina. Di un libro che parla di Nuovo Potere, alienazione e mercato dell’energia, un libro che l’autore definì «la mia opera più politica», «il romanzo che forse m’impegnerà per il resto dei miei giorni», nella memoria collettiva resta quasi solo quella grande orgia rituale sulla Casilina, e poco altro.

Non è certo un caso. Non si può dare una colpa (o forse sì) a chi in un vasto zibaldone di più di seicento pagine nota solo il disegno sessuale. Lo diventa, una colpa, nel momento in cui quel frammento diventa la chiave di lettura dell’intero testo. Impedendo così di coglierne i valori fondanti, che sono altri e forse più utili. Ma quella di identificare Petrolio con il Frammento 55 è abitudine consolidata, fin dal 1992, anno di uscita del libro. È una lettura che, certo, fa comodo: il romanzo diventa una dimostrazione (l’ennesima) di quanto Pasolini fosse nei suoi ultimi anni un uomo squilibrato, ottenebrato dalla disperazione e ormai caduto in una fosca deriva sadomasochistica. Così ragionava perfino un lettore come Edoardo Sanguineti:

«A Pasolini non restava dunque che buttarsi nell’orrore della morte e a quel punto il suo fondo sadomaso esplose attraverso una patologia molto manifesta. L’ultimo film è un documento inequivocabile di quella disperazione patologica, qualcosa di molto simile a quel che nella scrittura è Petrolio. La scena del prato, per fare un solo esempio, è semplicemente sotto pornografia».

Petrolio – come del resto anche il film Salò – sarebbe quindi niente più che il documento di una patologia di Pasolini. Va da sé che una figura di questo tipo diventa tanto affascinante come personaggio quanto inattendibile come osservatore: un deragliato mentale non può essere abbastanza lucido da vedere la verità. È una lettura che permette anche di archiviarne la morte senza troppi problemi: in un appoggio vizioso tra vita e opera che culmina nello stilema tanto abusato quanto volgare rispetto a quella notte del 1975 sul lungomare di Ostia: «Se l’è andata a cercare».

 

FARE ATTRITO COL MONDO

Però i conti non tornano. Innanzitutto, quelle opere sono scritte quasi parallelamente ai celebri Scritti Corsari: ed è difficile immaginare un ragionamento più lucido e analitico di quello portato avanti da Pasolini sul Corriere della Sera proprio negli anni di Petrolio e di Salò. Sarà vero piuttosto il contrario: e cioè che la disperazione aveva reso Pasolini estremamente lucido, concedendogli la difficile libertà di chi, dopo mille scandali e processi, non ha più paura di niente. Niente di pruriginoso o di decadente – nessuna pulsione di morte ma il massimo della vita: opporsi con l’opera e col corpo al nuovo potere.

Petrolio non fa sconti, e parla della metamorfosi di un potere che da statale e nazionale diventa finanziario e internazionale. Oggi che quel salto di specie è un dato di fatto, mi colpisce che Pasolini ne avesse centrato anche il luogo in cui quella lotta si sarebbe combattuta: le fonti energetiche. Trent’anni prima che Greta Thunberg venisse concepita, Pasolini stanava il potere nel suo matrimonio con gli idrocarburi. Oggi ne vediamo il frutto: un nuovo capitalismo come un modello pandemico, un animale combustibile.

Se pochi oggi sanno chi sia stato Eugenio Cefis, è perché gli Eugenio Cefis (compresi quelli odierni) restano sconosciuti ai più: la politica va sotto i riflettori, ma i veri attori restano nell’ombra. Pasolini, privo com’era di qualsiasi capacità d’inchiesta ma dotato solo di spaventosa energia intellettuale, con Petrolio cercava di indicare (poeticamente, da sciamano) quelle matrici che ancora oggi trasformano il mondo. Si capisce allora che, in quest’orizzonte di pensiero, una ventina di fellatio sul pratone della Casilina appaiono piuttosto marginali.

Petrolio indica, infine, un modo di scrivere completamente nuovo. Un raro esempio di “opera performativa”: un libro che mescola tutti i generi, contamina tutti i materiali possibili, che prova con forza a uscire dalla forma otto-novecentesca di romanzo come “racconto di una storia” e in un certo senso ne denuncia l’inadeguatezza. Pasolini ha cercato qualcosa di diverso, di più estremo e coraggioso, sia nei contenuti che nella forma.

Fosse vivo oggi, non ho dubbi che scriverebbe Petrolio includendoci anche sequenze video, link, Qr codes, stralci di siti internet, brani di podcast: qualsiasi cosa pur di tendere un agguato alla verità sfuggente del mondo. Come ha scritto benissimo Walter Siti: il Pasolini di Petrolio non ha più voglia di giocare. Vuole rischiare, mettersi in gioco totalmente, al di fuori di ogni galateo di mondanità culturale. È forse proprio questo che manca al nostro scrivere letteratura oggi: la capacità di mettersi in pericolo. Una scrittura che possa produrre criticità: fare attrito col mondo.

*(di  Fabrizio Sinisi, da Domani)

 

 

04 – Giulia Belardelli*:  BIDEN E IL “KILLER” PUTIN AL TAVOLO DELLE DUE VERITÀ PRIGIONIERI, SPIE, DIRITTI E “LINEE ROSSE”. INCONTRO A GINEVRA SENZA ASPETTATIVE, IN CERCA DI UN ANTAGONISMO PIÙ PREVEDIBILE. I DISTURBI DI CINA E TRUMP

 

Aspettative basse, tempi comodi, megafoni separati al termine, tanto per essere chiari che alla fine ci saranno comunque due verità. L’incontro a Ginevra tra il presidente Usa Joe Biden e il russo Vladimir Putin non smusserà le profonde divergenze valoriali tra Occidente e Mosca, ma servirà ad aprire un dialogo sulle questioni possibili, dagli armamenti alla ripresa di più normali relazioni diplomatiche, dopo il balletto di scandali ed espulsioni dei mesi scorsi. I colloqui – a cui parteciperanno anche i rispettivi ministri degli Esteri e ambasciatori – dovrebbero durare “quattro o cinque ore, comprese le pause”, secondo quanto dichiarato dal portavoce del Cremlino Dmitri Peskov. Al termine, i due presidenti terranno due conferenze stampa separate: una soluzione caldeggiata dallo stesso Biden, restio a condividere il palco con l’uomo che tre mesi fa ha acconsentito a chiamare “killer”.

Il mondo, tanto, li ascolterà entrambi, e difficilmente cambierà opinione. Nessuno si aspetta grandi annunci o accordi che cambino le carte in tavola. Joe Biden arriva all’incontro dopo la maratona europea di G7, vertice Nato e summit Usa-Ue: tutte occasioni in cui ha ribadito la distanza tra democrazie e autocrazie – Cina e Russia – come pilastro della politica estera americana. Il communiqué firmato ieri dai Paesi Nato, in particolare, può essere letto come l’introduzione all’incontro con Putin, visto che stabilisce nei toni le sottili linee rosse che permangono nel possibile evolversi dei rapporti Usa-Russia: nel documento la Russia è definita come una “minaccia” (threat), mentre la Cina è definita come una “sfida” (challenge).

“La Russia è ancora considerata una minaccia diretta alla sicurezza euroatlantica, mentre la percezione della Cina è più complessa e sfumata”, spiega ad HuffPost Nona Mikhelidze, responsabile di ricerca presso l’Istituto Affari Internazionali con focus sulla Russia.

Se Biden, insieme agli alleati, ha messo nero su bianco la sua sfiducia verso Mosca, Putin ha fatto altrettanto. Intervistato da Nbc, ha sottolineato che per lui la Nato resta “un’alleanza degli Stati Uniti”, con gli altri relegati al ruolo di junior partner. Ha fissato a sua volta le proprie linee rosse, ad esempio evitando di rispondere in maniera diretta sulla sicurezza in carcere di Alexey Navalny – “sarà trattato come ogni altro detenuto”, un modo per dire “non sono tenuto a garantire nulla che riguardi le politiche interne”. Biden ovviamente solleverà la questione Navalny, pur sapendo di lanciare parole nel vento. Non può non farlo anche alla luce di un rapporto uscito qualche giorno fa su Bellingcat secondo cui l’avvelenamento del 2019 contro il famoso poeta russo Dmitry Bykov è stato effettuato dagli stessi agenti dell’Fsb accusati di aver avvelenato Navalny.

Dal punto di vista americano, l’obiettivo centrale dell’incontro è raggiungere uno stato di prevedibilità nei rapporti con Mosca. “L’incontro accade sostanzialmente per dire alla Russia: le nostre linee rosse sono queste, da voi non vogliamo sorprese perché la nostra priorità è affrontare la sfida cinese”, spiega Mikhelidze. “Anche Putin, a parole, afferma che la prevedibilità è un valore assoluto nelle relazioni internazionali. Tuttavia – dato che la politica interna della Russia è molto connessa con la politica estera, e visto che siamo in un anno elettorale importante – ho forti dubbi sul fatto che Biden riesca a centrare l’obiettivo. Appena sente qualche pressione interna, Putin diventa imprevedibile e potenzialmente pericoloso nel campo internazionale”.

Tenere basse le aspettative, del resto, è un modo pragmatico per focalizzarsi su risultati a portata di mano. Come ripristinare un funzionamento più normale nei rapporti diplomatici tra i due Paesi, dopo gli ultimi mesi nel segno della spy story.

Un breve excursus, giusto per dare l’idea di cosa si intende quando da entrambe le parti si dice che i rapporti tra Occidente e Russia sono ai livelli più bassi dopo la Guerra Fredda. Con gli Stati Uniti, la crisi diplomatica ha avuto origine da un avviso pubblicato sulla homepage dell’ambasciata americana in Russia, in cui si suggeriva ai dipendenti di evitare di passare nelle piazze in cui erano in programma manifestazioni per la liberazione di Navalny. Le autorità russe hanno interpretato l’avviso come una pubblicità delle manifestazioni pro-Navalny. La questione è diventata un caso diplomatico, a cui si sono aggiunti i casi di Repubblica Ceca e Bulgaria. Praga ha accusato gli 007 russi di essere coinvolti nell’esplosione di un deposito di munizioni avvenuto nel 2014, motivo per cui ha disposto l’allontanamento di 18 diplomatici e collaboratori dell’ambasciata russa dal proprio territorio nazionale. Dalle indagini è emerso che l’esplosione è avvenuta tramite le stesse persone ritenute responsabili dell’avvelenamento dell’ex agente del Kgb Sergej Skripal nel sud dell’Inghilterra, e che il deposito apparteneva a un cittadino bulgaro che avrebbe dovuto vendere quelle armi agli ucraini, che in quel momento combattevano nel Donbass. Lo stesso gruppo di russi sarebbe poi andato in Bulgaria ad avvelenare col Novichok il commerciante di armi bulgaro Emilian Gebrev.

“La Repubblica Ceca, storicamente, è il centro dell’Fsb russo, perché sede della più grande ambasciata di Mosca in Europa con oltre trecento dipendenti”, ricorda Mikhelidze. Dopo le indagini sull’esplosione del deposito, la Repubblica Ceca tira fuori la Convenzione di Vienna che regolamenta le questioni diplomatiche, chiedendo a Mosca di ritirare i suoi diplomatici lasciando l’equivalente numerico dello staff ceco in Russia (44 persone), oltre a espellere 18 diplomatici e collaboratori. In nome della solidarietà, gli Stati Uniti e i Paesi baltici espellono a loro volta un certo numero di diplomatici. Questo balletto coincide con il caso di spionaggio russo in Italia. Nel giro di poche settimane, la crisi si espande da Bulgaria e Repubblica Ceca fino a includere gli Stati Uniti e gli alleati europei. Nel documento Nato siglato ieri c’è un passaggio in cui si afferma che i Paesi membri esprimono la loro solidarietà alla Repubblica Ceca.

“Restringendo il campo a Usa e Russia, il fatto che l’ambasciatore americano John Sullivan sia rientrato in patria per consultazioni su raccomandazione di Mosca è decisamente insolito e preoccupante, dato che parliamo di due Paesi dotati di arsenali nucleari”, sottolinea ancora l’analista IAI. Domani a Villa La Grange – edificio del ’700 tra i più suggestivi di Ginevra – ci saranno anche Sullivan e l’omologo russo Anatoly Antonov. I due ambasciatori potrebbero in seguito tornare in missione, rispettivamente a Mosca e a Washington, se i presidenti raggiungeranno un accordo in questo senso, ha spiegato il consigliere per la sicurezza nazionale del Cremlino, Yuri Ushakov. Antonov era stato richiamato in patria a marzo, dopo l’ormai celebre intervista-killer.

Se l’agenda del vertice comprende diversi temi – dalla stabilità strategica alla lotta alla pandemia, dalla sicurezza informatica al Medio Oriente, dall’Ucraina al Nagorno-Karabakh – il margine delle aperture resta stretto. Per Mikhelidze, il best case scenario include un qualche accordo sugli armamenti, nella forma di un prolungamento del trattato New Start, e un’intesa sul ripristino formale dei rapporti diplomatici, affinché rimanga comunque uno scambio di informazioni tra le due potenze. Sulle altre questioni, dall’Ucraina alla Georgia, è improbabile che ci saranno concessioni da una parte e dall’altra.

Putin ha proposto uno scambio di prigionieri che ricorda i tempi della Guerra fredda. In lizza ci sono due ex marine detenuti in Russia e due trafficanti di droga e armi in cella negli Usa. Gli americani Paul Whelan e Trevor Reed sono stati condannati rispettivamente a 16 anni per spionaggio e a nove anni per aver aggredito dei poliziotti durante una lite in una festa ad alto tasso alcolico. I russi sono invece Viktor Bout, famigerato trafficante di armi conosciuto anche come “The merchant of death” (il Mercante di morte), condannato a 25 anni nel 2012 dopo una travagliata estradizione dalla Thailandia, e il pilota Konstantin Yaroshenko, che dal 2011 sconta una pena a 20 anni per traffico di droga. Ex ufficiale dell’aeronautica sovietica e forse anche ex agente del Kgb (ma lui nega), dopo il crollo dell’Urss il camaleontico e poliglotta Bout ha messo in piedi una flotta di aerei che riforniva di armi mezzo mondo, ispirando anche il personaggio interpretato da Nicolas Cage nel film “Lord of War” (Il signore della guerra).

Se la diffidenza è la postura comune dei due presidenti, comune è anche la volontà di dialogare su ciò che è possibile per non indebolirsi ulteriormente rispetto alla Cina. “L’amicizia con Mosca è indissolubile”, ha dichiarato oggi il portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, che ha dato “un consiglio a coloro che cercano di infilare un cuneo tra Cina e Russia: qualsiasi tentativo di interrompere i legami sino-russi è destinato a fallire”. E ancora: Pechino e Mosca “sono unite. Sotto la guida dei presidenti Xi Jinping e Putin il rapporto tra i due Paesi ha resistito alla prova della mutevole situazione internazionale, divenendo un modello di nuove relazioni tra maggiori potenze”.

Il punto, però, è che la Russia vuole l’incontro con gli Usa anche per mandare un messaggio alla Cina: guardate quanto siamo importanti e strategici, abbiamo la nostra sovranità e la nostra politica estera. “La Russia – conclude Mikhelidze – ha un problema demografico serio, che si è fatto ancora più grave con la pandemia (la mortalità nel 2020 è molto superiore rispetto a quella del 2019, cosa che le statistiche Covid non dicono). Anche la situazione economica si è aggravata, riflettendosi sul calo della natalità”. Tutto questo aumenta la paura russa di essere inghiottita dalla Cina, con la quale condivide un confine lungo 4.250 chilometri.

Ai disturbi cinesi si aggiungono quelli di Trump. “Buona fortuna a Biden nel trattare con il presidente Putin. Non addormentarti durante l’incontro e, per favore, portagli i miei più calorosi saluti!”, è il provocatorio viatico del tycoon per il suo successore, da lui soprannominato Sleepy Joe in campagna elettorale. Il tycoon, che ieri ha celebrato in sordina il suo 75esimo compleanno, si è vantato per i risultati del suo controverso summit con lo zar a Helsinki nel 2018, definendolo “grande e molto produttivo”. Secondo diversi commentatori, quell’esperienza – considerata disastrosa per la politica estera americana – è uno dei motivi che ha spinto il democratico a evitare una conferenza stampa congiunta. Biden ha spiegato che sarà lui stesso a fornire alla stampa la propria versione di come è andato l’incontro, come Putin avrà la sua occasione di presentare la propria verità. L’esito del vertice andrà letto in controluce, cercando le sovrapposizioni pragmatiche tra le due “visioni del mondo”.

(Giulia Belardelli, Giornalista di HuffPost si occupa di Esteri)

 

5 – Kai Strittmatter*: L PERICOLOSO BLUFF DEL GOVERNO DANESE LA NUOVA LEGGE CHE CONSENTE DI ESAMINARE LE RICHIESTE DI ASILO IN PAESI EXTRAEUROPEI È SOPRATTUTTO UN MODO PER SCORAGGIARE I MIGRANTI, MA POTREBBE AVERE CONSEGUENZE MOLTO GRAVI.

 

È cominciato tutto con una promessa della premier socialdemocratica: “Zero richiedenti asilo” in territorio danese, ribadita durante un discorso a gennaio del 2021. “Possiamo realizzare questo obiettivo”, ha dichiarato Mette Frederiksen. Ora il governo di Copenaghen ha fatto un altro passo verso la meta: il 3 giugno il parlamento ha approvato una legge che consentirà di esaminare le richieste di asilo in paesi extra europei. “Se chiedi asilo in Danimarca, ora sai che sarai mandato in un paese fuori dall’Europa”, ha spiegato il portavoce per l’immigrazione dei socialdemocratici. “In questo modo speriamo che la gente smetta di chiedere asilo qui”. Il quotidiano Berlingske ha riassunto così la nuova linea sui profughi: “Benvenuto in Danimarca! Ora te ne vai in Africa”.

Il progetto rappresenta una frattura senza precedenti rispetto a decenni di prassi sul diritto d’asilo in Europa. L’Unione europea e le Nazioni Unite lo hanno criticato duramente. E alcuni esperti d’immigrazione lo hanno definito un bluff calcolato. Per settimane l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ha avvertito che la legge viola “i princìpi del sistema internazionale di tutela dei profughi” e che se altri stati seguiranno l’esempio della Danimarca c’è il rischio di una corsa al ribasso. La Commissione europea ha definito la norma incompatibile con le attuali regole dell’Unione. Nel parlamento danese però la legge è stata approvata a larga maggioranza, con i voti dei socialdemocratici e dell’opposizione di destra. Da anni la Danimarca persegue una politica migratoria sempre più dura, e il governo di minoranza socialdemocratico ha già inasprito le regole sotto molti aspetti. Le richieste d’asilo sono diminuite drasticamente: nel 2020 sono state 1.500, il dato più basso dal 1998.

Anche gli esperti danesi di diritto d’asilo criticano la legge. “Non possiamo esportare la nostra responsabilità in materia di diritti umani”, dice Louise Holck dell’Istituto per i diritti umani di Copenaghen. Non è affatto certo che la Danimarca possa garantire i diritti dei profughi altrove, per esempio in Africa. L’istituto ha avvertito che è impossibile valutare le conseguenze che la legge avrebbe sui diritti umani. In effetti il testo è formulato in modo così vago che l’opposizione parla di “teatro”. I liberali hanno definito il piano “idiota”, salvo poi votare a favore.

Finora al piano manca la cosa più importante: lo stato partner che dovrebbe

accogliere i richiedenti asilo. Negli ultimi mesi si è parlato soprattutto del Ruanda, un’ipotesi che ha suscitato stupore a causa delle documentate violazioni dei diritti umani. Lo stesso ministero dell’immigrazione ammette che è “molto dubbio” che il Ruanda soddisfi i requisiti. In ogni caso sembra ormai dimenticata la promessa fatta da Frederiksen nel 2018, per cui solo gli stati democratici sarebbero stati presi in considerazione.

Ancora però non è stato raggiunto nessun accordo con il Ruanda. Martin Lemberg-Pedersen, del Centro studi sulle migrazioni dell’università di Copenaghen, è

convinto che “per il momento non succederà niente”. Anche se per ora il piano è

solo apparenza, però, “rappresenta la più grossa svolta nella politica danese sull’asilo dal 1951”, dice Lemberg-Pedersen. “Sui diritti dei profughi i socialdemocratici sono riusciti a superare la destra”.

 

LA DOMANDA GIUSTA

Negli ultimi anni il ministro dell’integrazione Mattias Tesfaye ha parlato più volte del “fallimento” della politica dell’Unione europea sui profughi. Tesfaye sostiene che il progetto danese farebbe in modo che meno persone anneghino nel Mediterraneo. In realtà, dice Lemberg-Pedersen, il piano spingerà i profughi nell’illegalità, e l’obiettivo della legge è soprattutto uno: la deterrenza. “Si tratta di mandare un segnale”, anche ai profughi. “Il messaggio è: dovunque voi siate, non venite in Danimarca!”.

Anche Gerald Knaus, direttore del centro studi European stability iniziative, crede che il piano sia un bluff. Ma secondo lui il dibattito danese ha sollevato la domanda giusta: come si possono salvare delle vite? “La situazione nel Mediterraneo è drammatica”, dice Knaus. “Ma se i danesi vogliono davvero salvare delle vite, dovrebbero collaborare con la Germania e l’Italia per mettere in piedi un progetto simile a quello che vogliono realizzare con un partner come la Tunisia. Ovviamente solo dopo aver stabilito che le persone lì siano al sicuro e aver chiarito quante potrebbero essere accolte in Europa attraverso accordi di ricollocamento”. La proposta attuale, invece, “non risolve i problemi”. Il governo danese non ha bisogno di trovare un partner in Africa, perché il suo obiettivo è un altro. “Lo scopo è far passare questo messaggio: trattiamo i richiedenti asilo così male che è meglio per loro restare in Germania. È cinicamente ingegnoso, e potrebbe funzionare”

*(Kai Strittmatter, Süddeutsche Zeitung, Germania)

 

06 – Sebastiano Maffettone e Massimo Adinolfi*: SIAMO COME CAPPELLAI MATTI AVVOLTI IN UNA FILOSOFIA LATENTE. NELL’AFFRONTARE LE SFIDE DELLA CONTEMPORANEITÀ NON BASTANO GLI STRUMENTI FORNITI DALLA TRADIZIONE. SERVONO PENSATORI CHE NON SEGUANO LE REGOLE DELL’ACCADEMIA, da Mark Fisher a Timothy Morton a Nick Land

 

Sembra interessante interrogarsi su di una sorta di filosofia latente, non-accademica, indubbiamente attuale anche se di difficile valutazione. Uno degli autori rappresentativi di questa filosofia di tendenza, come potremmo definirla, è Nick Land (autore di Collasso, pubblicato in Italia da Luiss University Press). Land ha iniziato il suo percorso con una serie di conferenze (poi pubblicate in un libro intitolato Meltdown, testo con musica) dedicate al rapporto tra filosofia e cibernetica. Queste suggestioni fungeranno poi da sfondo per la fondazione della Cybernetic culture research unit (Ccru). Nel caso di Land, è evidente e robusto così il rapporto con il mondo cyber-punk dopo Gibson, ma anche con l’architettura (ha scritto un testo di Anarchitecture), con artisti come Jack Chapman che hanno tratto ispirazione dal suo tecno-nichilismo, con musicisti come Steve Goodman che lo hanno letto e seguito, così come ha avuto una eco significativa nella theory fiction e nel femminismo inumanista e persino con la magia woodoo. Insieme a Mark Fisher (autore di Realismo capitalista) e a Timothy Morton, Land è stato incluso in un gruppo di filosofi che si ispirano al “realismo speculativo”. In particolare, l’indagine di Morton ha influenzato il pensiero contemporaneo in due aree, quella della metafisica e quella dell’ecologia.

In metafisica, Morton ha proposto una complessa teoria degli “iper-oggetti” (Iperoggetti: filosofia ed ecologia dopo la fine del mondo, pubblicato in italiano da Not), nell’ambito di quella che di solito si chiama Ooo sarebbe a dire Object oriented ontology (come riportato nel libro di Graham Harman, intitolato Object oriented ontology: a new theory of everything). In termini generali, si può dire che la proposta ontologica di Morton è anti-idealista, nel senso che le relazioni tra oggetti contano più del nostro rapporto con la realtà, e ispirata a una sorta di realismo magico. In questo ambito, gli iper-oggetti sono oggetti che sfuggono a una localizzazione spazio-temporale, come per esempio il riscaldamento globale e il plutonio radioattivo. La riflessione sulla natura e i nostri rapporti con la natura – quella che costituisce il cuore di Ecologia Oscura (pubblicato in italiano da Luiss University Press) – va poi letta all’interno del quadro metafisico costituito dall’ontologia orientata agli oggetti. L’ecologismo tradizionale – sostiene Morton – è giunto oramai a punto morto. Questo perché concepisce la natura come un’entità astratta e separata da rispettare e tutelare. Ma, così concepita, la natura si presenta come un altro assoluto, un feticcio, più o meno come la donna nelle culture della tradizione. Atteggiamento questo che deriverebbe dall’agri-logistica del Neolitico. Morton vi contrappone invece una relazione paritaria cui corrisponde un’immersione totalizzante nella natura.

 

L’ACCELERAZIONISMO

Nella filosofia delle scienze sociali, nasce su simili basi il cosiddetto “accelerazionismo”, al cui cuore c’è la tesi secondo cui il superamento del capitalismo si può ottenere accelerando, e non contrastando, i processi del capitalismo stesso. La teoria accelerazionista può essere di sinistra o di destra. L’accelerazionismo di sinistra mira a spingere sull’evoluzione tecnologica al di là delle logiche del capitalismo. L’accelerazionismo di destra è invece a favore di un’intensificazione del capitalismo in quanto tale, anche al fine di causare un’eventuale singolarità tecnologica. Mick Srnicek e Alex Williams sono gli autori del Manifesto accelerazionista (in Italia pubblicato da Laterza), poi approfondito nel saggio Inventare il futuro (Not). Gli accelerazionisti di sinistra si pongono l’impegnativo compito di riconciliare la sinistra con le nuove tecnologie e con il futuro (a loro avviso consegnato nelle mani della destra).

Accelerazionisti e realisti speculativi cercano di trarre conclusioni filosofiche originali anche alla luce delle nuove tecnologie. Su una lunghezza d’onda simile, cui aggiunge il richiamo all’oriente, si muove Byung-Chul Han, autore di numerosi scritti tra cui Filosofia del buddismo Zen, Nello sciame e Psicopolitica, pubblicati in italiano da Nottetempo. La ragione della sua popolarità può stare nella natura globale del personaggio. Bch (per semplificare) è una buona sintesi di est-ovest, nato come è a Seul e perfezionatosi in filosofia in Germania. L’interesse filosofico-politico della sua opera consiste nella necessità di rifondare il soggetto e di approntare nuove terapie del sé nell’ambito di un pensiero che appare a volte troppo freddamente istituzionalistico.

In questo ambito, in senso lato, possono rientrare anche la rilettura critica della tecnica di autori come Gilbert Simondon (Du mode d’existence des objects techniques), Federico Campagna (Magia e tecnica pubblicato in italiano da Tlon) e Yuk Huy (Recursivity and contingency). Un caso a sé è costituito poi dalla figura di un artista e filosofo avvolto di mistero come il persiano Reza Negarestani, che trae ispirazione tra la legacy di Deleuze e Guattari e la frequentazione intellettuale di Land. Il suo Cyclonopedia: Complicity with anonynmous (di imminente pubblicazione tradotto per Luiss University Press) si muove a cavallo tra il realismo speculativo, l’accelerazionismo e la letteratura di science fiction.

 

CAPPELLAI MATTI

Prima faremo un bel sospiro. Poi conteremo fino a dieci. Quindi prenderemo una tazza di tè, purché però non sia in compagnia del Ghiro, della Lepre marzolina e del Cappellaio matto, e non debba perciò cavarcela con indovinelli senza risposta, orologi strampalati e pozzi di melassa. O forse sì, forse ne potrebbe valere la pena.

Nella vecchia edizione di Alice nel Paese delle meraviglie, pubblicata da Longanesi giusto 50 anni fa, nel 1971, si ricorda in una noterella quanto ha scritto Norbert Wiener, il padre della cibernetica, nella sua autobiografia: il cappellaio matto disegnato, nelle illustrazioni originali del libro, da John Tenniel, somiglia terribilmente a Bertrand Russell, e gli altri due, il ghiro e la lepre, ricordano altri due filosofi: McTaggart e G. E. Moore. Chissà, forse prendere un tè con loro – un idealista, un realista e uno dei fondatori della filosofia analitica –, sarebbe il modo migliore per capire cosa sta succedendo adesso, che ora segna l’orologio, e se l’effervescenza di linguaggi, idee e cappellai somigli a un tè di matti o sia una nuova, straordinaria avventura intellettuale. Ora, non vogliamo fare come Alice, che un po’ si impermalisce, un po’ si incuriosisce, e a un certo punto, non raccapezzandosi più, si alza e se ne va. Ma se mi si chiede una sospensione del dubbio e dell’incredulità, per immergermi in questa antologia di novissimi che raccoglie ricerche fra loro assai disparate ma che tuttavia hanno il pregio di tentare nuove perlustrazioni, costruire nuovi oggetti teorici, sbarazzarsi di vecchie inibizioni, bisogna che avvertiamo almeno di una cosa: la filosofia è metodo. Non contano per essa le tesi, conta il modo (il metodo, la via) con cui si giunge ad esse. Per questo bisognerebbe provare sempre un certo imbarazzo nel rispondere alla domanda, che immancabilmente viene rivolta allo studioso di filosofia: «di grazia, di cosa ti occuperai?». Ecco, la risposta migliore dovrebbe essere: caro mio, proprio di «cose» io non mi occupo, ma, semmai, del modo in cui vengono a noi (o noi andiamo verso di esse).

Non vogliamo però fare lo gnorri, non voglio accampare scuse o cavarcela con giochi di parole. Il sospetto è infatti sempre lo stesso, che il filosofo, abile prestigiatore del linguaggio, si sottragga e svicoli ogni volta chiedendo sempre nuove messe a punto delle domande, senza mai impegnarsi con uno straccio di risposta. Ma insomma, si dirà: è vero o no che la crisi ecologica impone di ripensare il nostro rapporto con il mondo? È vero o no che la rivoluzione tecnologica in corso ha un impatto altrettanto importante sulle coordinate complessive della nostra esperienza? È vero o no che l’illusione di abitare in un mondo finalmente pacificato – post-storico, per dirla con Alexandre Kojève e il suo epigono, Francis Fukuyama – si è appunto rivelata tale, una pia illusione, e il compromesso fra capitalismo e democrazia liberale mostra un po’ ovunque la corda? Non sono queste domande reali, concrete, tangibili, per affrontare le quali non basta più la sana, vecchia tradizione, né ci si può accontentare delle buone maniere accademiche del filosofo universitario, bravo magari a maneggiare i classici o a risolvere qualche esercizietto logico, ma incapace di aver presa sul reale? Mettere avanti questioni di metodo, di partizioni disciplinari o di sorvegliatezza linguistico-concettuale non è semplicemente frutto di pavidità, e non condanna la filosofia a una sterile inconcludenza?

Temiamo di dover rispondere di sì, anche se continuiamo a considerare l’impazienza la colpa più grande. Quindi prima faremo un bel sospiro, poi conteremo fino a dieci (lo avete fatto anche voi, se siete arrivati fin qui), infine risponderemo di sì: la crisi ecologica cade nel momento in cui massima è la lontananza del pensiero da una filosofia della natura, e questa distanza è probabilmente essa stessa espressione della crisi, e va quindi ridotta. E sì: le preoccupate riflessioni primo-novecentesche sulla tecnica non bastano più, bisogna aggiornarle radicalmente, liberandosi da facili riflessi conservatori.

Cionondimeno ricordiamo e rimaniamo fedeli alla parola della dea, che a Parmenide si raccomandava: cogli i segni! Non però quelli dei tempi, dettati dalla moda, ma quelli del lògos, dettati da una certa idea di ragione. Il che in breve vorrà dire: quando ti chiederanno la differenza fra un corvo e una scrivania, come fa il Cappellaio matto con la povera Alice, tu non scapperai, ma nemmeno ti lascerai soggiogare dalla brillante trovata. Ricorderai piuttosto che i filosofi possono pure avere i loro guizzi, ma devono rimanere legati ai concetti, al sistema, alla categoria. Che per loro c’è invenzione solo dove c’è metodo, e c’è futuro solo se esso si lascia interrogare dal principio (o dall’assenza di principio). E l’ultimo terreno di verifica resta pur sempre, anche per questa strana e un po’ appartata compagnia intellettuale cui capita di ritrovarsi per un tè sul limitare del bosco, il più severo rigore del pensiero.

*( Sebastiano Maffettone è un filosofo e accademico italiano. Massimo Adinolfi (è Professore di Filosofia teoretica (presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II)

 

07 – CONSOLATI. IL CONCORSO PER LE 375 NUOVE ASSUNZIONI AL MINISTERO DEGLI ESTERI.

1 – Assunzioni alla Farnesina, nuovo rinvio. Borghese (MAIE): “Un vero disastro, ma in mano a chi siamo noi italiani all’estero?”

“Come Movimento Associativo Italiani all’Estero insieme al nostro Presidente Ricardo Merlo stiamo già valutando di presentare un’interrogazione parlamentare e organizzare mobilitazioni davanti ai Consolati di tutto il mondo per chiedere al governo il perché di questo ennesimo rinvio”

“La notizia è di queste ore: il concorso per le 375 nuove assunzioni al ministero degli Esteri, dopo essere stato spostato da marzo a giugno, subisce un altro rinvio e viene rimandato a settembre. Questo significa che il nuovo personale entrerà a lavorare alla Farnesina intorno al mese di marzo del prossimo anno. Un vero disastro”. Lo dichiara in una nota l’On. Mario Borghese, vicepresidente MAIE.

“Ricordiamo – prosegue l’eletto all’estero – che i fondi per queste nuove assunzioni sono stati trovati nella legge di stabilità del 2019 e del 2020, grazie all’impegno e alla volontà politica dell’allora Sottosegretario agli Esteri Sen. Ricardo Merlo, presidente MAIE. Dunque, soldi ottenuti nel 2019 e personale in arrivo – forse – nel 2022, tre anni dopo. E intanto gli italiani nel mondo continuano ad avere a che fare con una rete consolare che funziona a singhiozzo e con servizi consolari inefficienti a dir poco. E’ davvero una vergogna”.

“Come Movimento Associativo Italiani all’Estero insieme al nostro Presidente Ricardo Merlo stiamo già valutando di presentare un’interrogazione parlamentare e organizzare mobilitazioni davanti ai Consolati di tutto il mondo per chiedere al governo il perché di questo ennesimo rinvio, che causerà gravi ritardi all’arrivo di nuovo personale, quando invece nuovi impiegati sarebbero necessari già domani mattina per migliorare un servizio che dall’arrivo di questo governo si è degradato a livelli inaccettabili. Certo – è la riflessione dell’On. Borghese -, se il premier Draghi non ha mai neppure menzionato gli italiani all’estero, e se il Sottosegretario agli Esteri Della Vedova è un dirigente politico che di politiche per gli italiani all’estero conosce zero, le conseguenze erano già scontate fin dall’inizio. Forse c’era da aspettarsi di vedere situazioni come quella che vi abbiamo raccontato. Ma se premier e Sottosegretario ci ignorano e ci tengono fuori dalle loro priorità politiche, chi penserà, a livello di esecutivo, a difendere gli interessi e i diritti di noi italiani oltre confine?”

 

2 – Nuevos empleados para los consulados, otra postergación más. Borghese (MAIE): “Un verdadero desastre,  ¿en manos de quiénes estamos los italianos en el exterior?”

“Como Movimiento Asociativo de los Italianos en el Exterior, junto con nuestro Presidente Ricardo Merlo,  estamos ya considerando presentar una interrogación parlamentaria y organizar movilizaciones frente a los Consulados de todo el mundo  para decirle al gobierno  que este último aplazamiento provocará serios retrasos en la llegada del nuevo personal”.

“La noticia es de estas horas: el concurso para las 375 nuevas contrataciones en el Ministerio del Exterior, tras ser postergado de marzo a junio, sufre otro aplazamiento y se pospone a septiembre. Esto significa que el nuevo personal entrará a trabajar en  los consulados  alrededor de marzo del próximo año. Un verdadero desastre”. Lo declara el On. Mario Borghese, Vicepresidente de MAIE.

“Recordemos -continúa el electo en el exterior- que los fondos para estas nuevas contrataciones se pusieron en la ley de estabilidad del 2019 y 2020, gracias al compromiso y voluntad política del entonces Subsecretario de Relaciones Exteriores, el Senador Ricardo Merlo, Presidente del MAIE. Es decir, que con el dinero obtenido en el 2019, el personal llegará, tal vez, en el 2022, tres años después. Mientras tanto, los italianos de todo el mundo siguen teniendo que lidiar con una red consular que funciona muy mal y con servicios consulares ineficientes, por decir lo menos. Realmente es una verguenza”.

“Como Movimiento Asociativo de los Italianos en el Exterior, junto con nuestro Presidente Ricardo Merlo,  estamos ya considerando presentar una interrogación parlamentaria y organizar movilizaciones frente a los Consulados de todo el mundo para decirle al gobierno  que este último aplazamiento provocará serios retrasos en la llegada del nuevo personal, cuando en cambio se necesitarían nuevos empleados ya mañana por la mañana para mejorar un servicio que desde la llegada de este gobierno se ha degradado a niveles inaceptables. Por supuesto -reflexiona  el On. Borghese-, si el Primer Ministro Draghi ni siquiera ha mencionado a los italianos en el exterior, y si el Subsecretario de Relaciones Exteriores Della Vedova es un líder político que no sabe nada sobre las políticas para los italianos en el extranjero, las consecuencias ya se habían dado por sentadas desde el principio. Quizás era de  esperarse ver situaciones como la que les hemos contado. Pero si el Primer Ministro y el Subsecretario nos ignoran y nos mantienen fuera de sus prioridades políticas, ¿Quién piensa, en el poder ejecutivo, en defender los intereses y derechos de los italianos al otro lado de la frontera?”.

 

 

 

 

 

 

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