n° 14 – 03 Aprile 2021  – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO ED ALTRE COMUNICAZIONI.

00 – Francesca La Marca( Pd)  IN RICORDO DELLA SENATRICE MARISA FERRETTI BARTH. “Ho appreso con costernazione e sincero dolore la notizia della scomparsa della Senatrice Marisa Ferretti Barth.

01 – Angela Schirò (Europa) – Francesco Giacobbe (Africa, Asia, Oceania) – Francesca La Marca (Nord-Centro America) Parlamentari Pd Estero – L’assegno unico e il nostro intervento per tutelare le detrazioni e gli assegni familiari erogati all’estero.

02 – SCHIRÒ (PD) – ASSEGNO UNICO: LE CRITICITÀ PER I RESIDENTI ALL’ESTERO. È comprensibile l’entusiasmo dei residenti in Italia  per l’introduzione dell’Assegno unico.

03 – Schirò (Pd) – vaccinazioni per i cittadini aire temporaneamente in Italia: allo studio la procedura, ora si faccia in fretta

04 – Emma Mancini *: Una fetta di Recovery Plan alla ricca industria militare La denuncia. RETE ITALIANA PACE E DISARMO: il parlamento raccomanda l’uso di parte dei fondi per l’acquisto di nuove armi.

05 – Il Recovery Plan armato del governo Draghi: fondi UE all’industria militare. Coordinamento Campagne Rete Italiana Pace e Disarmo.

06 – Il Brasile è in difficoltà ed è una minaccia per tutti Il sistema sanitario del paese sudamericano è al collasso, soprattutto a causa di una variante del virus molto contagiosa.

07 – Roberto Zanini*: CUBA E NON SOLO, SULLE SANZIONI IL VOTO È IGNOBILE. STILE ATLANTICO. Al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite la posizione pavida e vetero-atlantica della “nuova” Italia di Mario Draghi. Ma quella di “Giuseppi” Conte avrebbe fatto diversamente?

08 – Enrico Paventi*: Un’indagine lungo le linee di faglia della crisi internazionale. Saggistica. «Nella Storia mondiale. Stati, mercati, guerre» di Giulio Sapelli, per Guerini e Associati. Un’analisi che prende le mosse da due fenomeni diventati ormai strutturali: la continua crescita delle disuguaglianze e la crisi nella quale versa l’economia sociale, le cui conseguenze colpiscono in particolare il mercato del lavoro.

09 – Alfiero Grandi*: Per le sinistre il governo Draghi non è una ricreazione ma obbligo di impegno politico

10 – Leonardo Fiorentini *: Cannabis terapeutica, in Italia è un miraggio- Quest’anno ne occorrerebbero 3 tonnellate ma la produzione nel polo farmaceutico fiorentino è al palo. Allarme degli operatori sanitari. La carenza dei farmaci potrebbe essere risolta dando seguito a una norma del 2017,

11 – Deputate Pd Estero: le ragazze e i ragazzi nati in Italia da stranieri regolarmente residenti e che frequentano le nostre scuole sono italiani. È ora di riconoscerlo.

 

 

 

 

 

00 – Francesca La Marca( Pd)  IN RICORDO DELLA SENATRICE MARISA FERRETTI BARTH. “Ho appreso con costernazione e sincero dolore la notizia della scomparsa della Senatrice Marisa Ferretti Barth. La Sen. Barth mi onorava della sua amicizia e ho potuto quindi conoscere direttamente la sua grande generosità, la sua indomabile determinazione e la passione per le buone cause che ha ispirato l’intera sua esistenza.

Marisa Ferretti Barth era giunta nel Québec nel 1963 e da allora ha dedicato tutte le sue energie all’organizzazione dei servizi di assistenza alla comunità italiana e, in particolare, agli anziani.

Nel corso del tempo ha promosso la nascita di oltre settanta associazioni di anziani, coordinate poi nel Consiglio Regionale degli Anziani Italo-Canadesi (CRAIC) fondato nel 1973. Del Consiglio, che raccoglie circa 12.000 associati nell’area della Grande Montréal, è diventata Presidente, ricoprendo questo incarico fino agli ultimi giorni della sua vita.

Nel 1997, è stata la prima donna italiana nominata nel Senato del Canada dove ha continuato le sue battaglie a favore degli anziani e delle persone svantaggiate.

Animata da uno spirito solidaristico a trecentosessanta gradi, non ha fatto mancare il suo sostegno anche ad altre comunità di immigrati, i cui anziani hanno ricalcato i passi compiuti per la comunità italiana.

La nostra comunità perde un sostegno fondamentale e un riferimento sempre disponibile, attivo e aperto sul piano umano ed etico.

Parlando degli anziani da lei organizzati ed assistiti, la Senatrice Barth diceva: “Ho una famiglia con più di dodicimila membri, gli anni più belli della mia vita li ho spesi insieme a loro. Io non ho lavorato per gli anziani, semplicemente gli ho voluto bene”.

Grazie per quanto hai fatto per noi, cara Senatrice. Grazie per l’amicizia che mi hai dato, cara Amica.”

Francesca La Marca

 

01 – Angela Schirò (Europa) – Francesco Giacobbe (Africa, Asia, Oceania) – Francesca La Marca (Nord-Centro America) PARLAMENTARI PD ESTERO – L’ASSEGNO UNICO E IL NOSTRO INTERVENTO PER TUTELARE LE DETRAZIONI E GLI ASSEGNI FAMILIARI EROGATI ALL’ESTERO. L’importante legge delega sull’Assegno unico, che con il via libera del Senato previsto per oggi entrerà definitivamente in vigore, rappresenta un primo passo della riforma fiscale messa in agenda dal Governo Draghi.

La legge prevede, tuttavia, il graduale superamento o soppressione di importanti misure attualmente in vigore il cui annullamento potrebbe mettere a rischio alcuni importanti diritti fiscali e previdenziali acquisiti nel corso degli anni – in virtù della normativa nazionale e internazionale – dai nostri connazionali residenti all’estero. Siamo quindi intervenuti presso il Ministero del Lavoro e presso il MEF innanzitutto per informare le istituzioni competenti degli effetti potenzialmente negativi della legge sui diritti degli italiani all’estero e in secondo luogo per chiedere un intervento del Governo per il mantenimento e la tutela di tali diritti.

Il nuovo sostegno familiare infatti andrà a sostituire tutte le attuali forme di aiuto che il sistema oggi riconosce alla famiglia, dalle detrazioni Irpef per i figli a carico agli assegni al nucleo familiare (ANF), dal bonus bebè a quello per la natalità o l’adozione, dal bonus mamme all’assegno per il terzo figlio.

In particolare giova sottolineare che la nuova legge sull’Assegno unico (che, è bene evidenziare, subordina la fruizione dell’Assegno unico alla residenza o al domicilio in Italia) stabilisce il graduale superamento o soppressione delle detrazioni fiscali per i figli a carico e dell’Assegno per il nucleo familiare (ANF). Sia le detrazioni fiscali per i figli a carico sia l’ANF sono attualmente erogati anche ai nostri connazionali aventi diritto residenti all’estero (le detrazioni sono concesse ai cosiddetti “non residenti Schumacker”, cioè coloro che producono più del 75% del reddito in Italia – tra questi i contrattisti della nostra rete diplomatica – mentre le prestazioni familiari sono concesse, a determinate condizioni, ai pensionati residenti all’estero tra i quali quelli che hanno ottenuto la pensione in virtù di una convenzione internazionale di sicurezza sociale che contempli le prestazioni familiari nel proprio campo di applicazione “ratione materiae”).

Vale la pena perciò rimarcare che se da una parte l’abolizione, appunto prevista dalla nuova legge, delle detrazioni per figli a carico e dell’assegno per il nucleo familiare (ANF) non comporta particolare nocumento per i residenti in Italia che in sostituzione si vedranno riconosciuto l’Assegno unico universale, dall’altra parte i danni potrebbero essere pesanti per i residenti all’estero ai quali non potrà essere riconosciuto l’Assegno Unico – che richiede la residenza o il domicilio in Italia – e che quindi potrebbero perdere in un prossimo futuro sia le detrazioni che le prestazioni familiari.

Per questo motivo siamo intervenuti presso il Governo chiedendo di adottare negli schemi dei decreti applicativi che saranno trasmessi alle Camere, o in altri provvedimenti legislativi, disposizioni correttive e/o integrative della legge delega che salvaguardino i diritti dei nostri connazionali emigrati.

Angela Schirò (Europa) – Francesco Giacobbe (Africa, Asia, Oceania) – Francesca La Marca (Nord-Centro America)

 

02 – SCHIRÒ (PD) – ASSEGNO UNICO: LE CRITICITÀ PER I RESIDENTI ALL’ESTERO. È COMPRENSIBILE L’ENTUSIASMO DEI RESIDENTI IN ITALIA  PER L’INTRODUZIONE DELL’ASSEGNO UNICO (LEGGE APPROVATA DEFINITIVAMENTE IERI DAL PARLAMENTO) CHE RAZIONALIZZA IL WELFARE E TUTTO IL SISTEMA DI SOSTEGNI ECONOMICI ALLE FAMIGLIE (anche se saranno i decreti attuativi a chiarire i dubbi che sono emersi in merito alle risorse disponibili e a chi effettivamente ci guadagnerà o perderà rispetto alla situazione in essere). 1° aprile 2021

Contestualmente però, soprattutto da parte degli eletti all’estero, va fatta una riflessione puntuale e approfondita sui possibili effetti potenzialmente negativi che la nuova normativa potrà avere sui diritti degli italiani residenti all’estero.

Ed è esattamente quello che io e i miei colleghi di partito La Marca, Giacobbe e Carè abbiamo fatto prima di decidere di scrivere ai Ministri del Lavoro e dell’Economia per segnalare le incognite che la legge sull’Assegno unico introduce per i diritti fiscali e previdenziali delle nostre collettività all’estero (vedere il comunicato del 30 marzo).

MA QUALE È IL PROBLEMA?

La nuova norma, giova ricordare e ripetere, prevede il graduale superamento o soppressione di importanti misure attualmente in vigore il cui annullamento potrebbe mettere a rischio alcuni importanti diritti fiscali e previdenziali acquisiti nel corso degli anni – in virtù della normativa nazionale e internazionale – dai nostri connazionali residenti all’estero.

Precisamente le legge delega subordina la fruizione dell’Assegno unico alla residenza o al domicilio in Italia e stabilisce il graduale superamento o soppressione delle detrazioni fiscali per i figli a carico  e dell’Assegno per il nucleo familiare (ANF). Sia le detrazioni fiscali per i figli a carico sia l’ANF sono attualmente erogati anche ai nostri connazionali aventi diritto residenti all’estero (le detrazioni sono concesse ai cosiddetti “non residenti Schumacker”, cioè coloro che producono più del 75% del reddito in Italia  – tra questi i contrattisti della nostra rete diplomatica – mentre le prestazioni familiari sono concesse, a determinate condizioni, ai pensionati residenti all’estero tra i quali coloro che hanno ottenuto la pensione in virtù di una convenzione internazionale di sicurezza sociale che contempli le prestazioni familiari  nel proprio campo di applicazione “ratione materiae”).

L’abolizione di tali benefici, mentre da una parte non avrà significative conseguenze per i residenti in Italia (i vecchi benefici saranno sostituiti dall’Assegno unico), potrebbe invece avere gravi ripercussioni per chi risiede all’estero a meno che non si intervenga per tempo con misure correttive.

È nostro dovere quindi seguire con attenzione l’iter legislativo dei decreti attuativi della legge sull’Assegno Unico, segnalare la lesione dei diritti dei nostri lavoratori e pensionati all’estero e verificare la possibilità di sensibilizzare Governo e Parlamento ad adottare disposizioni correttive e/o integrative della legge delega che salvaguardino i diritti dei nostri connazionali emigrati.

Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa  – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42 – 00186 ROMA – Tel. 06 6760 3193

 

03 – SCHIRÒ (PD) – VACCINAZIONI PER I CITTADINI AIRE TEMPORANEAMENTE IN ITALIA: ALLO STUDIO LA PROCEDURA, ORA SI FACCIA IN FRETTA. 1° aprile 2021

Martedì 30 Marzo, nell’ambito dell’audizione del generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario straordinario per l’emergenza epidemiologica Covid 19, sullo stato di attuazione del Piano strategico nazionale dei vaccini, sono intervenuta per porre di nuovo la questione della vaccinazione dei cittadini iscritti all’AIRE, temporaneamente in Italia.

Ricordo che io e la mia collega Francesca La Marca abbiamo già da tempo interrogato il Ministro della salute (link all’Interrogazione) e scritto al Commissario Figliuolo per ammettere alle vaccinazioni anche questi nostri connazionali (link al cs).

Nel corso del mio intervento, ho richiamato l’urgenza di arrivare ad una soluzione, sottolineando che l’ostacolo da superare risiede principalmente nel fatto che nei sistemi di prenotazione adottati dalle diverse Regioni si richiede, oltre al codice fiscale, il numero della tessera sanitaria che gli iscritti AIRE non hanno. Al commissario ho chiesto se sia possibile attivare nei sistemi regionali una linea di prenotazione dedicata ai cittadini AIRE temporaneamente presenti in Italia, secondo le priorità stabilite dal piano nazionale di vaccinazione, inserendo solo i dati del Codice fiscale e quelli dell’iscrizione AIRE presso un comune italiano.

Nella sua risposta il commissario Figliuolo, ribadendo che è in corso una interlocuzione con il ministro Speranza, ha chiesto al Generale Domenico Ciotti, direttore operativo della struttura commissariale, di rispondere in maniera più dettagliata. Il generale Ciotti ha ricordato che il 29 marzo scorso si è tenuta una riunione con il ministero della Salute, alla quale hanno partecipato anche rappresentanti del Mef, per affrontare le problematiche della campagna vaccinale di alcune specifiche categorie di cittadini, inclusi gli iscritti AIRE. Per queste categorie di cittadini si stanno cercando le procedure più corrette. C’è un problema di identificazione – ha confermato il generale – in quanto c’è la necessità di associare un codice univoco alle persone che vengono sottoposte alla somministrazione, da registrare poi nell’Anagrafe vaccinale nazionale, AVN. Come è stato fatto per altre categorie, saranno preparate delle liste da distribuire alle Regioni, in modo tale che queste persone possano essere vaccinate.

Si apre dunque uno spiraglio positivo e mi auguro che le procedura indicata in audizione possa essere definita ed attuata velocemente. Continueremo a seguire la questione dandone pronta informazione.

Desidero segnalare infine che con l’ordinanza n° 3/2021, il commissario straordinario ha disposto che, in sede di attuazione del Piano strategico nazionale dei vaccini, ciascuna Regione o Provincia Autonoma proceda alla vaccinazione non solo della popolazione ivi residente ma anche di quella domiciliata nel territorio regionale per motivi di lavoro, di assistenza familiare o per qualunque altro giustificato e comprovato motivo che imponga una presenza continuativa nella Regione o Provincia Autonoma.

Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42 – 00186 ROMA – Tel. 06 6760 3193

 

04 – Emma Mancini *: UNA FETTA DI RECOVERY PLAN ALLA RICCA INDUSTRIA MILITARE LA DENUNCIA. RETE ITALIANA PACE E DISARMO: IL PARLAMENTO RACCOMANDA L’USO DI PARTE DEI FONDI PER L’ACQUISTO DI NUOVE ARMI. IN UN GOVERNO TRASVERSALE, ANCHE IL SOSTEGNO ALL’INIZIATIVA LO È: SI TOGLIE AD ALTRI SETTORI PER FINANZIARNE UNO CHE RICEVE GIÀ 27 MILIARDI.

Una fetta di Recovery Plan anche per il settore militare. Lo denuncia Rete Italiana Pace e Disarmo: se le proposte della società civile su come spendere i soldi in arrivo dall’Europa per far fronte alla crisi non sono state ascoltate, la politica italiana ha preferito sedersi al tavolo con le principali aziende militari italiane e immaginare di girare a loro fondi destinati alla ripresa del paese.

 

«UNA PARTE DEI FONDI del Recovery Plan – si legge nel comunicato rilasciato ieri da Ripc – verrebbe destinata per rinnovare la capacità e i sistemi d’arma a disposizione dello strumento militare. Un tentativo di greenwashing, di lavaggio verde, dell’industria delle armi che Rete Italiana Pace e Disarmo stigmatizza e rigetta».

 

Dietro – a fronte dell’audizione di rappresentanti dell’industria militare (Aiad, Anpam, Leonard) – stanno le relazioni votate negli ultimi giorni dalle varie Commissioni parlamentari competenti. La Camera raccomanda di «incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali».

 

Un modo, si legge, per contribuire «al necessario sostegno dello strategico settore industriale e al mantenimento di adeguati livelli occupazionali nel comparto». Identica la posizione del Senato che propone anche di realizzare «distretti militari intelligenti» che attirino investimenti ulteriori e che immagina di dar vita a un dialogo «con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca».

È COSÌ CHE IL SETTORE militare, già ampiamente finanziato dal governo (27 miliardi di euro, il 18% dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034), entra nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. E lo fa garantendosi fondi europei per comprare altre armi.

«Chiediamo – continua Ripc – al governo che le proposte della società civile fondate sulla costruzione della convivenza e della difesa civile nonviolenta siano ascoltate, valutate e rese parte integrante del nuovo Piano». Le idee ci sono già, sono le «12 Proposte di pace e disarmo per il Pnrr» di Ripc, già inviate alle Commissioni competenti, senza ricevere risposta.

UN CAMBIO DI PASSO rispetto alle previsioni del passato governo che inseriva il settore militare nel Pnrr attraverso aspetti secondari (tra cui l’efficienza energetica degli immobili della Difesa e il rafforzamento della sanità militare). Con un esecutivo formato da anime molto diverse e con il ritorno nei ministeri di rappresentanti della destra, anche le Commissioni – quelle che hanno dato il primo via libera – introducono nuove priorità.

Limitandone altre: se si dà a qualcuno, si toglie a qualcun altro, la coperta non è infinita. L’altro sono gli investimenti per scuola, lavoro, sanità, ecologia, un settore quest’ultimo che di certo non beneficerà dall’acquisto e l’uso di nuovi armamenti.

Il sostegno politico è «trasversale», scrive Rete Italiana Pace e Disarmo, a fondi che potrebbero allargarsi ancora di più: «Addirittura alla Camera i commissari hanno concentrato il loro dibattito sulla “opportunità” di accrescere ulteriormente i fondi a favore della spesa militare fornita dal Piano. Da notare come il rappresentante del governo abbia sottolineato come i pareri votati “corrispondano alla visione organica del Pnrr” dello stesso esecutivo Draghi, che dunque ritiene che la ripresa del nostro Paese si possa realizzare anche favorendo la corsa agli armamenti»

 

05 – IL RECOVERY PLAN ARMATO DEL GOVERNO DRAGHI: FONDI UE ALL’INDUSTRIA MILITARE. COORDINAMENTO CAMPAGNE RETE ITALIANA PACE E DISARMO.

Decisione che RIPD ritiene inaccettabile: non solo contraddice le finalità del Piano europeo per la ripresa, ma accantonando le proposte delle organizzazioni della società civile (e del mondo del lavoro) considera il settore militare, già ampiamente finanziato, come fattore di ripresa per il Paese.

Sorpresa nell’uovo di Pasqua: una parte dei fondi del Recovery Plan verrebbe destinata per rinnovare la capacità e i sistemi d‘arma a disposizione dello strumento militare. Un tentativo di greenwashing, di lavaggio verde, dell’industria delle armi che la Rete Italiana Pace e Disarmo stigmatizza e rigetta.

Ad aprire a questa possibilità è stato il Parlamento, a quanto risulta dalle Relazioni definite e votate in questi giorni dalle Commissioni competenti. Nel testo licenziato dalla Camera si raccomanda di “incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali, anche in favore degli obiettivi che favoriscano la transizione ecologica, contribuendo al necessario sostegno dello strategico settore industriale e al mantenimento di adeguati livelli occupazionali nel comparto”.

 

Per il Senato “occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca”. Viene inoltre ipotizzata la realizzazione di cosiddetti “distretti militari intelligenti” per attrarre interessi e investimenti.

 

Diversamente dalle bozze implementate dal precedente Governo, in cui l’ambito militare veniva coinvolto nel PNRR solo per aspetti secondari come l’efficienza energetica degli immobili della Difesa e il rafforzamento della sanità militare, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) potrebbe quindi destinare all’acquisizione di nuove armi i fondi europei per la rinascita dell’Italia dopo la pandemia. Un comparto che, è bene ricordarlo, già riceverà almeno il 18% (quasi 27 miliardi di euro) dei Fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034.

 

Le indicazioni inviate al Governo derivano da dibattiti nelle Commissioni Difesa della Camera e del Senato che hanno approvato all’unanimità i pareri consultivi relativi. Ciò evidenzia un sostegno trasversale all’ipotesi di destinare i fondi del PNRR anche al rafforzamento dello strumento militare. Addirittura alla Camera i Commissari hanno concentrato il loro dibattito sulla “opportunità” di accrescere ulteriormente i fondi a favore della spesa militare fornita dal Piano. Da notare come il rappresentante del Governo abbia sottolineato come i pareri votati “corrispondano alla visione organica del PNRR” dello stesso esecutivo Draghi, che dunque ritiene che la ripresa del nostro Paese realizzare anche favorendo la corsa agli armamenti.

 

Anche se green le bombe sono sempre strumenti di morte, non portano sviluppo, non producono utili, non garantiscono futuro. La Rete italiana Pace e disarmo denuncia la manovra dell’industria bellica per mettere le mani sui una parte dei fondi europei destinati alla Next Generation.

 

Inascoltate le associazioni pacifiste, spazio solo ai produttori di armi.

 

Nel corso della discussione di queste settimane sono stati auditi rappresentanti dell’industria militare (AIAD, Anpam, Leonardo spa) mentre non sono state prese in considerazione le “12 Proposte di pace e disarmo per il PNRR” elaborate dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e inviate a tutte le Commissioni competenti. Per tale motivo chiediamo ora al Governo che le proposte della società civile fondate sulla costruzione della convivenza e della difesa civile nonviolenta (con un impegno esteso alla difesa dell’occupazione in un’economia disarmata e sostenibile) siano ascoltate, valutate e rese parte integrante del nuovo PNRR che l’esecutivo dovrà elaborare, spostando dunque i fondi dalla difesa militare.

 

La produzione e il commercio delle armi impattano enormemente sull’ambiente. Le guerre (oltre alle incalcolabili perdite umane) lasciano distruzioni ambientali che durano nel tempo. Ne consegue che la lotta al cambiamento climatico può avvenire solo rompendo la filiera bellica e che il lavoro per la pace è anche un contributo al futuro ecologico.

 

Occorre quindi una nuova politica estera italiana ed europea che abbia come obiettivo la costruzione di una comunità globale con un futuro condiviso, riprendendo il progetto delle Nazioni Unite volto “a salvare le future generazioni dal flagello della guerra” e di collaborazione tra i popoli come elemento dominante delle relazioni internazionali.

 

La nonviolenza politica è lo strumento e il fine che bisogna assumere. Per questo è prioritario orientare il rilancio del nostro Paese ai principi ed ai valori della pace: il Piano deve essere l’occasione per investire fondi in processi di sviluppo civile e non sulle armi. “Non c’è un mondo di ieri a cui tornare, ma un mondo di domani da far nascere rapidamente”: così è scritto nell’introduzione al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). La Rete Italiana Pace e Disarmo vuole davvero che Il mondo di domani, per garantire un futuro alle nuove generazioni, sia basato su uno sviluppo civile e non militare.

Il Mahatma Gandhi indicava l’unica strada possibile “o l’umanità distruggerà gli armamenti, o gli armamenti distruggeranno l’umanità”. Non possiamo tollerare che nemmeno un euro dei fondi destinati al futuro ecologico venga invece impiegato per mettere una maschera verde al volto di morte delle fabbriche d’armi. L’umanità ha bisogno di pace e di un futuro amico.

 

06 – IL BRASILE È IN DIFFICOLTÀ ED È UNA MINACCIA PER TUTTI IL SISTEMA SANITARIO DEL PAESE SUDAMERICANO È AL COLLASSO, SOPRATTUTTO A CAUSA DI UNA VARIANTE DEL VIRUS MOLTO CONTAGIOSA. 

 

E JAIR BOLSONARO NON FA NIENTE PER CONTENERE I DANNI. SÉRGIO OLÍMPIO GOMES, NOTO COME MAJOR OLÍMPIO, ERA UN POLIZIOTTO QUANDO ENTRÒ IN POLITICA QUINDICI ANNI FA. Nel 2018 coordinò la campagna elettorale nello stato di São Paulo dell’attuale presidente Jair Bolsonaro e fu eletto al senato federale. Il 18 marzo 2021 è morto di covid-19. Aveva 58 anni. È il terzo senatore in carica a perdere la vita per questa malattia. Quasi il 4 per cento dei componenti della camera alta del parlamento sono morti durante la pandemia, un dato che ha fatto capire alla classe politica il trauma vissuto da milioni di brasiliani.

Oggi il paese è nel pieno di una seconda ondata, molto peggiore della prima. Il numero ufficiale delle vittime nel paese, con una media di 2.300 decessi al giorno, è un quarto del totale mondiale. Il Brasile ha meno del tre per cento della popolazione del pianeta. Il sistema sanitario è al “collasso” per i pazienti affetti da casi gravi di covid-19, dice un bollettino pubblicato il 23 marzo dalla fondazione Oswaldo Cruz (Fiocruz), un istituto di ricerca che si occupa di sanità pubblica. In 25 stati brasiliani su 27 più dell’80 per cento dei posti letto in terapia intensiva è occupato. Diciotto stati hanno carenze di farmaci, come i bloccanti neuromuscolari, usati quando i pazienti vengono intubati. In sei stati le scorte di ossigeno sono pericolosamente basse. Secondo Fábio Vilas-Boas, ministro della sanità nello stato di Bahia, nel nordest del paese, la regione è sotto “pressione” ma non al collasso. In ogni caso il numero di persone che hanno bisogno d’ossigeno è “esploso”. E alcuni ospedali stanno curando i pazienti covid nei pronto soccorso, perché i loro reparti di terapia intensiva sono pieni. Si pensa che la seconda ondata in Brasile sia causata soprattutto da una variante del coronavirus sars-cov-2, chiamata P1 e nata con ogni probabilità nella città amazzonica di Manaus. Più contagiosa dell’originale e in grado d’infettare le persone già colpite dal covid-19, questa variante preoccupa tutto il mondo. È già stata rilevata in 33 paesi. Inoltre, alcuni vaccini sono meno efficaci contro la P1 di quanto lo siano con le principali varianti del virus in Europa e negli Stati Uniti. I paesi vicini stanno chiudendo i confini e il Perù e la Colombia hanno interrotto i voli con il

Brasile. “Se il Brasile non prenderà le cose sul serio, continuerà a fare danni in tutta la regione e non solo”, ha detto Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Ma la serietà manca. Bolsonaro ha promosso rimedi da ciarlatano, si è scagliato contro le misure restrittive e ha cercato di sabotare la pubblicazione dei dati sul covid- 19. Il 15 marzo ha annunciato che ci sarà un nuovo ministro della sanità, il quarto da quando è cominciata la pandemia. E ha ripetuto spesso che i vaccini non fanno per lui: il suo governo si è attivato lentamente per ordinarli, anche se la Pfizer e la Janssen li hanno testati proprio in Brasile. Governatori e sindaci, che hanno il dovere di stabilire le restrizioni e le misure di confinamento, hanno in gran parte seguito l’esempio del presidente. Dopo la stretta imposta all’inizio della pandemia, la maggior parte ha allentato le misure. Nei quartieri poveri di Bahia la vita è andata avanti normalmente, almeno fino a pochissimo tempo fa. “Non possiamo imporre a chi vive nelle favelas l’obbligo di rimanere dentro una casa piccola e torrida”, dice Vilas-Boas. Lo stato non ha abbastanza polizia per garantire che i locali rimangano chiusi. Azioni dannose Secondo Natalia Pasternak, una microbiologa che dirige l’istituto Questão de Ciência, non c’è da sorprendersi che la variante sia nata a Manaus. La prima ondata era stata così forte da spingere alcuni a credere che la città avesse raggiunto l’immunità di gregge. Gli abitanti si sono riversati sulle spiagge lungo il fiume alla prima opportunità, permettendo alla P1 di diffondersi in fretta. Quando la variante ha lasciato la foresta, ha colpito con altrettanta facilità altre zone del paese. Anche se il Brasile fa un sequenziamento dei geni troppo ridotto per sapere con certezza quanto si sia diffusa, alcuni studi nello stato di São Paulo identificano la variante nell’80 o 90 per cento dei casi. Un altro studio suggerisce che la P1 potrebbe avere una contagiosità doppia e potrebbe infettare una seconda volta tra il 25 e il 61 per cento delle persone già colpite dal covid-19. A diffondersi in questo momento è anche la P2, una preoccupante variante riscontrata a Rio de Janeiro. La seconda ondata sta cambiando il comportamento dei cittadini. Governatori e sindaci oggi rafforzano le restrizioni e le persone le rispettano di più. Dal 22 marzo a Bahia il coprifuoco notturno è in vigore dalle 18 invece che dalle 22. E i dati dei telefoni cellulari mostrano che gli abitanti dello stato hanno recentemente dimezzato le distanze coperte. La cosa sta rallentando la diffusione del covid-19. Vilas Boas ritiene che il numero di casi positivi a Bahia sia sceso da 21mila a 17mila. Il numero di pazienti in attesa di un posto letto in terapia intensiva è sceso dai 513 del 12 marzo ai 280 di dieci giorni dopo. A marzo il governo federale ha finalmente accettato di comprare il vaccino della Pfizer e quello a dose unica della Janssen, che affiancheranno il vaccino dell’AstraZeneca e quello cinese Corona- Vac, già distribuiti. Il Brasile ha avviato anche una produzione interna. Fiocruz ha consegnato le sue prime dosi del vaccino AstraZeneca e l’Istituto Butantan di São Paulo ha cominciato a produrre il Corona- Vac. Circa l’8 per cento degli adulti ha ricevuto la prima dose di vaccino. “Per la prima volta”, dice Pasternak, “sono fiduciosa”. Il 23 marzo, quando il numero giornaliero delle vittime ha raggiunto la cifra record di 3.158, il presidente Bolsonaro è andato in tv per parlare dei progressi della campagna vaccinale brasiliana. Ma fino a quando sarà necessario il distanziamento sociale, il presidente rimarrà una minaccia per la salute dei brasiliani. Bolsonaro infatti ha denunciato alla corte suprema tre stati, tra cui quello di Bahia, perché avevano rafforzato le restrizioni. Le sue azioni sono dannose per il Brasile e per il resto del mondo.

 

NOTA.  BOLSONARO INADATTO A GVERNARE. Bruno Boghossian, Folha de S.Paulo, Brasile

L’opinione Alla fine del 2019, completato il suo primo anno da presidente, Jair Bolsonaro diceva di avere “difficoltà serie in molti settori” e che era “praticamente impossibile” dare conto di tutto quello che succedeva nel governo. La pandemia non c’era, ma il presidente già dimostrava di essere inadeguato al suo ruolo. In poco tempo Bolsonaro ha dimostrato di essere il leader sbagliato sia in tempi tranquilli sia in quelli di crisi. Ha aggirato le norme per evitare di applicare

le restrizioni necessarie a contenere il virus e, quando ha scoperto che le finanze del paese erano in rosso, ha detto che il Brasile era in bancarotta e lui non poteva “fare nulla”. Attestato di sfiducia La creazione il 24 marzo di un comitato per guidare il Brasile nella fase acuta della pandemia è l’attestato definitivo della sua incompetenza proprio nel momento dell’emergenza. È stato necessario far intervenire parlamentari e governatori per assumere decisioni importanti e limitare i deliri del presidente, di fatto esautorandolo. Un attestato di sfiducia nei suoi confronti è arrivato anche dagli imprenditori e dalla popolazione: secondo un sondaggio recente il 54 per cento dei brasiliani disapprova la sua gestione della pandemia. Anche se ha contribuito ad aggravare la situazione sanitaria, Bolsonaro è convinto di avere ancora l’appoggio del parlamento, di attirare gli investitori e di poter recuperare popolarità per presentarsi alle elezioni presidenziali del 2022. Potrebbe perfino riuscire a ingannare qualcuno se la pandemia dovesse rallentare e l’economia brasiliana riprendersi. Politici, imprenditori ed elettori dovranno decidere se, quando arriverà la prossima crisi, vogliono sempre lui alla guida del paese.

 

 

 

07 – Roberto Zanini*: CUBA E NON SOLO, SULLE SANZIONI IL VOTO È IGNOBILE. STILE ATLANTICO. AL CONSIGLIO DEI DIRITTI UMANI DELLE NAZIONI UNITE LA POSIZIONE PAVIDA E VETERO-ATLANTICA DELLA “NUOVA” ITALIA DI MARIO DRAGHI. MA QUELLA DI “GIUSEPPI” CONTE AVREBBE FATTO DIVERSAMENTE?

«Se avete bisogno di noi sapete dove trovarci», disse l’ambasciatore di Cuba agli italiani venuti a salutare i medici che se ne andavano. Erano epidemiologi, anestesisti, rianimatori, infermieri… Erano arrivati in Lombardia e in Piemonte nel pieno del Covid, quando a Bergamo si ammucchiavano le bare e lugubri convogli militari andavano e venivano dai crematori.

Lo sappiamo sì, dove trovarli: ben lontani da Ginevra, dove l’Italia ha espresso in modo peculiare la sua riconoscenza votando contro la risoluzione che condanna le sanzioni unilaterali (cioè quelle che affamano Cuba e il Venezuela, impediscono di ricostruire la Siria, strangolano l’Iran eccetera).

 

Nello stesso giorno in cui Usa Ue e Nato da una parte, e Russia e Cina dall’altra, erano impegnati a sanzionarsi furiosamente l’un l’altro in una riedizione fuori tempo massimo della guerra fredda – ma dovremmo cambiare nome perché guerra non è più quella di Clausewitz, ed è tutto tranne che fredda. A Bruxelles il segretario generale della Nato avvertiva che «Russia e Cina sono gli avversari», il presidente Biden sanzionava la Russia per il tentato omicidio di oppositori e la Ue sanzionava la Cina per l’oppressione dei musulmani uighuri, Mosca e Pechino contro-sanzionavano e alla fine un pugno di politici e funzionari di secondo piano perdeva il diritto di recarsi da un fronte all’altro.

 

Dei diritti umani non una riga sulle agenzie di stampa occidentali (uscirono invece la Xinhua cinese, la Tass russa, la cubana Prensa Latina… Sul Miami Herald, il quotidiano preferito dei fuoriusciti cubani, uscì l’equilibrato titolo «Ipocrita risoluzione Onu che Venezuela e Cuba spacciano come vittoria»). Una settimana dopo, ieri, il manifesto pubblica una corrispondenza di Roberto Livi dall’Avana che cita quel voto e spiega perché sia ignobile. E finalmente l’Italia ne parla. Il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni definisce il voto «incomprensibile», l’ex deputato M5S Di Battista posta la foto dei medici cubani su Facebook e commenta «bisognerebbe mostrare un po’ di gratitudine», di «ingratitudine e incoerenza del governo» parla il segretario dei Comunisti italiani Marco Rizzo, si infuria la «cubana onoraria» Fiorella Mannoia: «L’embargo lo paga il popolo, sempre e in ogni dove, vergogna!». Se ne accorge Repubblica, così come l’Ansa, si scalda il web…

 

Il Consiglio per i diritti umani (Hcr) è un organismo dell’Onu composto da 47 stati eletti ogni tre anni. Il 23 marzo ha votato un pacco di trenta risoluzioni tra cui quella contro le unilateral coercitive measures – in italiano semplificato, sanzioni. Su proposta della Cina, di Azerbaigian a nome dei Non allineati, della Palestina che esiste solo all’Onu, il documento passa con 30 voti a favore, 2 astenuti e 15 contro. Tra i no l’Italia e tutti i paesi europei dell’Hcr: Austria, Francia, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Polonia, più il Brasile di Bolsonaro, il Giappone…

 

È un voto pavido, quello della “nuova” Italia di Mario Draghi – ma l’Italia di “Giuseppi” Conte avrebbe fatto altro? Un voto vetero-atlantico senza nemmeno l’atlantista alfa, gli Stati uniti, che non sono nell’Hcr: ne volle uscire Donald Trump nel 2018 inviando l’ambasciatrice e superfalco Nikki Haley a scaricare «quel pozzo nero di ipocrisia».

È un voto subalterno, che salta a pie pari ogni rapporto sugli effetti delle sanzioni. Come quello della special rapporteur dell’Hcr, la bielorussa Alena Douhan, che nell’anno del Covid ha studiato sanzioni e paesi e concluso che le sanzioni uccidono su larga scala. Il suo rapporto sul Venezuela è da brividi, come quello meno noto sugli Usa. Dagli anni Settanta in cui Washington riformò la legge sul «Commercio con il nemico» del 1917, Washington ha cambiato nemico 70 volte, e quattro paesi (Cuba, Venezuela, Iran e Siria) detengono decenni di coercive measures emergenziali americane.

MA L’EMERGENZA, QUANDO È ETERNA, SI CHIAMA PERSECUZIONE

*(Roberto Zanini, capo redattore al Il Manifesto)

 

08 – Enrico Paventi*: UN’INDAGINE LUNGO LE LINEE DI FAGLIA DELLA CRISI INTERNAZIONALE. SAGGISTICA. «NELLA STORIA MONDIALE. STATI, MERCATI, GUERRE» DI GIULIO SAPELLI, PER GUERINI E ASSOCIATI. UN’ANALISI CHE PRENDE LE MOSSE DA DUE FENOMENI DIVENTATI ORMAI STRUTTURALI: LA CONTINUA CRESCITA DELLE DISUGUAGLIANZE E LA CRISI NELLA QUALE VERSA L’ECONOMIA SOCIALE, LE CUI CONSEGUENZE COLPISCONO IN PARTICOLARE IL MERCATO DEL LAVORO.

Come si è trasformato, nell’arco degli ultimi due decenni, il contesto economico mondiale? Quali sono state le ragioni profonde che ne hanno determinato le nuove peculiarità? L’epoca caratterizzata dalla vittoria del cosiddetto «ordoliberalismo» e dal trionfo della globalizzazione sta per concludersi? È possibile delineare, ragionevolmente, qualche tratto del nostro prossimo futuro?

 

LO STORICO ED ECONOMISTA Giulio Sapelli ha raccolto nel suo saggio dal titolo Nella Storia mondiale. Stati, mercati, guerre (Guerini e Associati, pp. 338, euro 24,50) un gran numero di acute analisi e riflessioni attraverso le quali cerca di rispondere a questi interrogativi prendendo anzitutto le mosse da due fenomeni diventati ormai strutturali: la continua crescita delle disuguaglianze e la crisi nella quale versa l’economia sociale, le cui conseguenze colpiscono in particolare il mercato del lavoro.

Riguardo alla situazione che ci troviamo di fronte, lo studioso scrive: «La mia convinzione profonda è che la causa prevalente, la variabile indipendente, insomma, di tutto ciò che è successo risieda nella cultura e non solo nei landscapes simbolici».

 

In altre parole: alla base di simili, radicali mutamenti sembrano esserci tanto alcune costruzioni teoriche quanto potenti forze disgregatrici che hanno creato grandi difficoltà soprattutto all’Unione europea: un’istituzione che – a causa dei suoi limiti costitutivi e dei numerosi contrasti interni – è parsa incapace di venirne a capo. Ecco emergere dunque, secondo l’autore, la necessità di una nuova «Entente cordiale» da stipularsi, stavolta, tra Stati Uniti e Russia: un accordo, in funzione anti cinese, che consenta di superare l’approccio unipolare e di imporre regole agli operatori attivi sul mercato internazionale dei capitali.

 

Si tratta, insomma, di riscoprire il fondamentale ruolo della politica, affinché i sistemi economici tornino a essere disciplinati dalle norme e gli intermediari finanziari non mirino soltanto al profitto di pochi ma perseguano anche il benessere delle comunità. Ciò implica che i tradizionali valori dell’Occidente – la democrazia, la libertà, i diritti dell’individuo – vengano riproposti, ridiscussi e si attribuisca loro tutta l’importanza che meritano.

 

Resta comunque un dato di fatto: il cuore della crisi mondiale si trova in Europa. Ed è lecito domandarsi, in proposito, fino a quando reggerà quel filo che tiene insieme le nazioni del Vecchio Continente impedendo così che tornino a prevalere gli egoismi dei singoli Stati. Essendo priva di una Costituzione, d’altra parte, l’Ue è sottoposta al controllo dei Trattati e risulta profondamente condizionata dai rapporti di forza esistenti tra i suoi membri. A ciò va ad aggiungersi l’azione della tecnocrazia di Bruxelles: una schiera di non eletti che tende a imporre la propria ideologia ai cittadini comunitari prevaricandone così la volontà.

 

L’EUROPA SEMBRA, dunque, stanca e pavida. La Cina, dal canto suo, è molto più debole di quanto non appaia, poiché il peso delle sue contraddizioni dovrebbe farsi sempre più gravoso. Intanto gli Stati Uniti di Biden hanno abbandonato l’unilateralismo a favore di un nuovo orientamento geopolitico, connotato da un maggiore coinvolgimento negli scenari mondiali che li porterà, probabilmente, a svolgervi di nuovo un ruolo da protagonisti. In questo contesto, occorre che l’Ue faccia sentire la propria voce, riattivi un’alleanza organica con gli Usa e torni a determinare la propria politica economica.

 

Difficile dissentire dalle conclusioni di Sapelli. Restano però le perplessità che nascono dalla sua proposta di una nuova «Entente cordiale» e, in particolare, dal contributo che dovrebbe fornirvi la Russia di Putin. Un Paese che rivendica il proprio Sonderweg alla modernizzazione potrà farsi sostenitore di quei valori ai quali si è accennato in precedenza? Quali regole sarà in grado di dettare alla finanza internazionale una cosiddetta «democratura»? Si tratta di questioni non irrilevanti che rimangono per ora aperte: i prossimi mesi inizieranno a darci, presumibilmente, qualche risposta al riguardo.

(Enrico Paventi, regista)

 

09 – Alfiero Grandi*: PER LE SINISTRE IL GOVERNO DRAGHI NON È UNA RICREAZIONE MA OBBLIGO DI IMPEGNO POLITICO LE SINISTRE, SE SONO ANCORA IN GRADO DI FARLO, DOVREBBERO RECEPIRE LE NOVITÀ CHE IL GOVERNO DRAGHI È DESTINATO A PORTARE NELLA SITUAZIONE POLITICA ITALIANA.

Non mi sembra corretta una valutazione che lo vede come una meteora in vista di altro. I cambiamenti sostanziali ci saranno per varie ragioni. Anzitutto la destra che vuole il potere, in particolare la Lega, che vede questa come una fase per il proprio accredito a livello europeo, una sorta di esame d’ammissione per accedere al governo senza troppi contrasti. È vero che Salvini si comporta come uno studente che fatica ad imparare i comportamenti giusti e viene rimesso in riga, ingoiando a fatica le precisazioni di Draghi. Stare al governo e all’opposizione nello stesso tempo in una fase come questa è molto difficile se non impossibile.

Per questo il condono, definito come tale dal presidente del Consiglio, è difficile attribuirlo alle pressioni della Lega. Quando Draghi non ne vuole sapere lo dice e in questo caso evidentemente ha considerato il condono una concessione minore o forse una scelta condivisibile. Invece è stato un errore grave di politica fiscale che mina la credibilità del rapporto tra Stato e contribuenti e che avrà delle conseguenze tra quanti si sono sentiti presi in giro per essere sempre stati leali nel rapporto fiscale con lo Stato. Esistono già le norme per cancellare o per concordare a seconda dei casi. Il fantomatico magazzino delle Entrate di milioni di cartelle esattoriali è uno spauracchio fasullo. Del resto se fosse così il governo dovrebbe stracciare l’accordo che firma con l’Agenzia delle Entrate per la riscossione, da cui derivano anche gli incentivi retributivi.  In ogni caso tutto questo con la pandemia da Covid c’entra ben poco, è solo la scusa del momento. È vero che i governi precedenti non sono senza peccati in materia di condoni, il governo Renzi ad esempio. Era tuttavia lecito aspettarsi maggiore rigore dal governo Draghi nell’affrontare una questione tanto delicata come la fiscalità. La sinistra doveva semplicemente rifiutarsi di accettare il condono, ridurre il danno è sempre preferibile, ma in questo caso è incomprensibile perché le sinistre non hanno lo stesso problema di Salvini e la distinzione politica è bene che resti. Peccato.

Sui vaccini qualche passo avanti forse c’è, salvo verifica, perché il vero problema non è solo l’organizzazione ma fare corrispondere alla maggiore capacità di vaccinare la disponibilità dei vaccini, altrimenti il rischio è un contraccolpo di credibilità di tutti. L’Unione Europea in particolare non ha gestito bene l’approvvigionamento dei vaccini, prima contratti in parte secretati con i gruppi farmaceutici, poi di fronte ai buchi nelle consegne con un balbettio senza soluzioni concrete, forse perché i contratti non garantiscono abbastanza, forse perché non tutti i paesi la pensano nello stesso modo visto che qualcuno si attarda a difendere la libertà delle imprese che di fatto viene prima della salute.

 

Su questo il governo italiano ha segnato alcuni punti importanti, avere scoperto nei magazzini di AstraZeneca 29 milioni di dosi, dopo un primo limitato sequestro, ha chiarito in modo inequivoco la situazione. Va aggiunto che il neo presidente Biden ha ribadito che il suo problema è vaccinare gli americani, la differenza con Trump è evidente ma i maggiori approvvigionamenti all’Unione Europea rischiano di essere rinviati nel tempo non di poco perché se prima debbono essere risolti i problemi americani restano due soluzioni per fare presto: pretendere i brevetti per produrre nell’Unione tutti i vaccini che servono, oppure rivolgersi ad altri che hanno vaccini che sembrano funzionare. Il governo ha iniziato a porre il problema in Europa ma con 4/500 morti al giorno e il mese di aprile già prenotato da misure severe deve decidere cosa sceglie e deve farlo presto. Anche su questo punto le sinistre dovrebbero appoggiare pienamente tutte le iniziative, come la petizione europea, che pongono in modo netto la richiesta che l’Europa sospenda i brevetti e decida di produrre in proprio i vaccini con o senza l’accordo delle imprese. Se Biden ha bloccato con una decisione politica l’esportazione dei vaccini che servono agli Usa, produrre in proprio è l’unica soluzione che resta. Anche per questo è difficile spiegare perché l’Europa ha votato nel WTO per il rinvio della decisione sulla sospensione dei brevetti, sembra il trascinamento del passato iperliberista sul presente della pandemia.

Draghi ha posto a livello europeo una questione decisiva. Finita la pandemia, speriamo presto, l’Europa non può tornare alle regole che per ora sono solo sospese. Quindi occorre rivedere le regole dell’austerità e sancirne di nuove prima che qualcuno cominci a chiedere di tornare all’antico (Grecia docet), ed è importante che si sia parlato di uno strumento strutturale di sostegno dell’economia di natura comunitaria, simile agli eurobond, anche se si chiamasse paperino andrebbe bene ugualmente. Per di più Draghi ha lasciato intendere che al Next Generation EU potrebbe seguire un altro strumento simile. È evidente che facendo i conti il costo della pandemia è tale che se dovessero tornare in auge le vecchie regole sarebbe una strage sociale ed economica per molti paesi, Italia compresa. In questo caso non si può che essere d’accordo con le prime proposte di Draghi. È già capitato che la tassazione delle rendite finanziarie, che era nel programma del Prodi 2, abbia trovato resistenze anzitutto nella maggioranza, tanto che il governo cadde nel 2008 e non se ne fece nulla perchè dopo vinse Berlusconi. Salvo che nel 2011 Monti diventò presidente del Consiglio e il suo governo approvò senza tanti complimenti un primo abbozzo di tassazione delle transazioni finanziarie che a settori del centrosinistra in precedenza era sembrata un’enormità.

Draghi non è Monti e tuttavia tocca a lui ora porre il problema, non da solo, delle regole europee superando le regole del Fiscal compact e di istituire strumenti di bilancio e di debito europei in grado di avvicinare le politiche economiche dei vari paesi, gli assetti sociali, i diritti e le regole. La risposta è più Europa, non meno. Naturalmente, un’Europa che fa i conti con le disuguaglianze, che propone un welfare moderno e solidale, che aiuta la coesione sociale, che decide un asse di fondo per il futuro come è stato detto del PNRR, che deve attraverso la transizione ecologica definire una nuova economia che rispetta e recupera l’ambiente in cui viviamo e che offre più lavoro buono, ben retribuito e con diritti rispettati. Anche questa è una sfida di fondo e le sinistre di qualunque posizione dovrebbero comprendere che se non diventano protagoniste di questo futuro semplicemente verranno vissute come residui e non come utili al futuro.

Draghi anche in questo ha il merito di dire che il re è nudo, cerchiamo di recuperare il piglio della lotta politica, proprio ora che alcuni capisaldi della critica precedente diventano possibili.

Per farlo occorre recuperare un metodo di lotta e una capacità di insediamento, nessuno ha la verità in tasca, ma almeno proviamo a cercarla e a farla vivere.

(Alfiero Grandi, è un politico e sindacalista italiano)

 

10 – Leonardo Fiorentini*:CANNABIS TERAPEUTICA, IN ITALIA È UN MIRAGGIO- QUEST’ANNO NE OCCORREREBBERO 3 TONNELLATE MA LA PRODUZIONE NEL POLO FARMACEUTICO FIORENTINO È AL PALO. ALLARME DEGLI OPERATORI SANITARI. LA CARENZA DEI FARMACI POTREBBE ESSERE RISOLTA DANDO SEGUITO A UNA NORMA DEL 2017,

Tre tonnellate. Questo il fabbisogno italiano di cannabis terapeutica per l’anno in corso (insieme a San Marino e Città del Vaticano) previsto dall’Incb (International narcotics control Board), il cane da guardia delle convenzioni internazionali sugli stupefacenti. In aumento del 50% sull’anno precedente, oltre il doppio di quanto previsto nel 2018. Peccato che probabilmente a fine anno si farà fatica a raggiungere i 1000 kg di cannabis dispensata effettivamente. In Italia la cannabis terapeutica è ormai un miraggio per troppi pazienti.

SONO 16 LE REGIONI in cui, negli ultimi 60 giorni, ci sono stati problemi di approvvigionamento di cannabis terapeutica, come documentato dagli stessi pazienti su monitorcannabis.it. Del resto, basta farsi un giro nei gruppi specializzati sui social per incappare in messaggi disperati di malati che non trovano la tipologia prevista dal piano terapeutico e rischiano di interrompere la terapia. Un problema irrisolto che persiste oramai dal 2017, nonostante gli impegni e le norme di legge.

«STO DIVENTANDO MATTO, decine di telefonate e centinaia di messaggi di pazienti che non trovano la preparazione che ho prescritto e sono giustamente in ansia per la loro terapia», ci racconta fra un turno e l’altro Francesco Crestani, medico anestesista e presidente dell’Associazione Cannabis Terapeutica che festeggia quest’anno il ventennale. «Ciclicamente manca la materia prima, ed ora è il caso della Fm2 (la varietà prodotta dallo stabilimento farmaceutico militare di Firenze, ndr) che non si trova più. Per me, che avevo dato fiducia alla produzione italiana, suona come una beffa». Il problema non è solo la ricetta: «Sì certo tocca rifare le ricette, ma questo è il minore dei mali. Bediol e Fm2, pur essendo titolati con analoghe percentuali di Thc, sono farmaci diversi perché provengono da piante diverse. Bisogna ricalibrare le dosi, a volte rifare interi piani terapeutici. Questo significa spesso tornare dallo specialista, con un aggravio di tempo e di costi per i malati».E POI C’È IL PROBLEMA della circolare ministeriale del 23 settembre 2020, che di colpo ha escluso alcuni tipi di preparazioni. «La circolare ha creato notevoli problemi – ricorda Crestani – ad esempio vietando il collirio per il glaucoma, che è stata una delle prime applicazioni della cannabis medica e che permetteva a chi non risponde ai farmaci tradizionali di tenere sotto controllo la pressione oculare. Bastavano un paio di gocce, con effetti collaterali nulli». Una circolare che «non ha alcun senso dal punto di vista scientifico e normativo», conclude Crestani, ma che nonostante le segnalazioni al ministro Speranza da parte della società civile ed un digiuno con quasi 400 adesioni in corso, non è stata ancora ritirata.

SULLA CIRCOLARE ministeriale Marco Ternelli, farmacista galenico ed uno dei punti di riferimento per la preparazione di cannabis terapeutica in Italia, è chiaro. «È un disastro. La spedizione non è più possibile, così alcuni pazienti si sono organizzati con gruppi per prelevare in blocco una serie di ricette. Ma la maggior parte rimane scoperta». E ancora: «Abbiamo sospeso colliri, creme, e tutte le preparazioni non per via orale. Questo ha causato la disperazione di tanti malati». In assenza di qualsiasi riscontro da parte del ministero della Salute alle sollecitazioni, i farmacisti hanno incaricato gli avvocati: «I primi di maggio abbiamo udienza al Tar del Lazio per il ricorso che ho presentato insieme ad altre 12 farmacie», annuncia sconsolato Ternelli.

DAL SUO LABORATORIO, Ternelli conferma poi i problemi di approvvigionamento: «Il 2021 è iniziato malissimo. Prima fornitura solo il 10 febbraio, che ha dovuto coprire una carenza dei 2 mesi precedenti per cui si è esaurita subito. Poi più nulla. La prossima fornitura è attesa per dopo Pasqua, e si preannuncia una riduzione dei quantitativi dall’Olanda». Le prospettive per l’anno in corso sono quindi pessime: «Anche perché va a scadere l’appalto di importazione straordinaria del 2019 (vinto dalla canadese Aurora) che comunque è stato utilizzato con il contagocce». E la produzione italiana? «I militari da novembre non hanno più Fm2 – riporta Ternelli – e la prossima fornitura, inizialmente annunciata a marzo, si dice che arriverà effettivamente a maggio».

E PROPRIO LA PRODUZIONE italiana è il grande interrogativo. Pur avendo avuto finanziamenti e autorizzazioni per arrivare a produrre fino a 500 kg l’anno, la produzione dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze è al palo. I dati ufficiali dal sito del ministero della Salute sono sconfortanti: nel 2017 lo Stabilimento avrebbe prodotto e distribuito circa 60 kg, nel 2017 e 2018 in media circa 150. Come sottolinea però Ternelli «fra la quantità distribuita c’è anche la cannabis importata con il bando straordinario»: quindi l’effettiva produzione nazionale si fermerebbe a soli 60 kg nel 2018 e 140 nel 2019. Nemmeno il 5% del fabbisogno teorico del 2021.

MA LA SOLUZIONE ESISTE ed è legge sin dalla conversione del decreto fiscale 2017: autorizzare anche altri soggetti, pubblici o privati, a coltivare e produrre cannabis terapeutica. Ne gioverebbero i pazienti in primis, ma anche tutto il Paese che così potrebbe disporre di un prodotto di qualità a costi inferiori rispetto a quello importato. Un Paese che storicamente la cannabis l’ha sempre coltivata e che, un secolo dopo, potrebbe tornare ad esserne esportatore, aprendo la strada ad una nuova filiera in un settore ad alta specializzazione e forte espansione globale. Anche l’Onu a dicembre ha rotto il tabù, riconoscendo il pieno valore terapeutico della cannabis: se ne accorgeranno a Palazzo Chigi?

 

11 – DEPUTATE PD ESTERO: LE RAGAZZE E I RAGAZZI NATI IN ITALIA DA STRANIERI REGOLARMENTE RESIDENTI E CHE FREQUENTANO LE NOSTRE SCUOLE SONO ITALIANI. È ORA DI RICONOSCERLO, 8 marzo 2021

 

“Uno dei punti che Enrico Letta ha messo a base del suo impegno di rilancio del Partito Democratico è la concessione della cittadinanza alle ragazze e ai ragazzi nati in Italia da genitori stranieri, che già fanno parte del corpo sociale del Paese e della quotidianità nostra, dei nostri figli e dei nostri nipoti.

 

Naturalmente, sono scattati i custodi della limpieza de sangre, in testa Brancaleone Salvini, dicendo che ben altri sono i problemi, che non si può regalare la cittadinanza ai primi arrivati, che mai si dovrà affrontare lo jus soli, al massimo si potrà discutere dello jus culturae.

 

Solita fuffa propagandistica. La proposta del PD è sempre stata quella di considerare i figli degli stranieri regolarmente residenti, che siano nati in Italia e/o che vi abbiano frequentato un intero ciclo di studi. Precisamente il contrario di quanto la destra vorrebbe far dire, per comodità polemica, a chi rilancia questa battaglia di civiltà.

 

Sorprende, ma fino ad un certo punto, che tra le sentinelle armate vi siano anche rappresentanti degli italiani all’estero provenienti da paesi che si sono costruiti come entità moderne con lo jus soli, in base al quale i loro ascendenti sono diventati cittadini di quelle realtà trasmettendo la cittadinanza anche a chi oggi si arma contro gli altri. Senza vergognarsene, purtroppo.

 

Lo jus sanguinis non si tocca, strepitano i crociati. E che c’entra lo jus sanguinis con la cittadinanza ai ragazzi nati in Italia che frequentano le nostre scuole? La cittadinanza prima a chi è nato in Italia e poi l’ha perduta all’estero, reclamano le crocerossine dell’esercito della salvezza ematica. E perché non farlo insieme, visto che le proposte sulla cittadinanza si unificherebbero a livello parlamentare nel momento dell’inizio dell’esame dei diversi disegni di legge. Sarebbe, anzi, l’unico modo per affrontare veramente anche questa questione, senza farne periodicamente un gioco di comunicati a risultato zero sul piano delle realizzazioni concrete.

 

L’ampio perimetro della nuova maggioranza e il diverso clima che si potrebbe instaurare consentirebbero di uscire fuori dagli schemi e dalla propaganda. Ma fuori dalla propaganda ci sarebbero poi una politica seria da costruire e scelte di governo da fare con coraggio e sensibilità etica. Meglio, allora, restare al caldo nel pollaio e al massimo fare un giro nell’orto di casa.

 

Una cosa molto diversa da ciò che il Partito Democratico di Letta intende fare. Noi, che le contraddizioni dell’immigrazione in altri paesi le abbiamo vissute sulla pelle nostra e delle nostre famiglie, intendiamo seguirlo con convinzione”.

 

Deputate del PD elette all’estero:

Rip. Europa – Angela Schirò

Rip. Nord e Centro America – Francesca La Marca

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