Papa Francesco propone alla Chiesa e al mondo un nuovo “paradigma” per leggere, comprendere e agire con i migranti

Ospite della trasmissione “Il Diario di Papa Francesco” su Tv2000, P. Lorenzo Prencipe, nel ripercorrere le parole di Papa Francesco, ha sottolineato come siamo alla sintesi del pensiero del Papa sulla realtà dei migranti ed è arrivato il momento di cambiare il paradigma, la chiave di lettura: sia nei confronti dei migranti stessi che nei confronti del fenomeno migratorio.

 

 


Papa Francesco propone alla Chiesa e al mondo un nuovo “paradigma” per leggere, comprendere e agire con i migranti (Marsiglia, 22-23 settembre 2023)

di P. Lorenzo Prencipe (*)

 

 

Premessa

Negli interventi tenuti da Papa Francesco in occasione degli “Incontri del Mediterraneo” possiamo trovare i tasselli utili a comporre un nuovo mosaico di approccio, comprensione e azione con i migranti che interpellano le nostre società a ripensare le sue fondamenta di umanità e fraternità.

Proviamo allora ad esplicitarli in modo da creare le premesse per l’elaborazione di un “nuovo” paradigma, teorico-pratico, capace di rispondere, in maniera umana e degna, alla s�ida del “vivere insieme” che la pluralità di appartenenze sociali, economiche, culturali e religiose dei migranti e la storia, l’identità e la tradizione propria dei Paesi di accoglienza sono invitate a costruire e ricostruire in seguito all’incontro.

 

Paradigma

1. Una “nuova” chiave di lettura paradigmatica della realtà migratoria non può continuare ad essere quella che erige muri, barriere, blocchi navali contro i migranti, neppure quella che, in nome di distinzioni “artificiose” (migranti economici contro richiedenti asilo) legittima campagne di odio e discriminazione, deportazioni e respingimenti verso la morte dei migranti (in mare, nei deserti o nei lager-centri di detenzione) e neppure quella che tratta gli esseri umani come merce di scambio, imprigionati e torturati in modo atroce. Ci troviamo di fronte a un bivio di civiltà : o l’incontro o lo scontro; o la cultura dell’umanità e della fratellanza, o la cultura dell’indifferenza fanatica che lascia morire chi è nel bisogno.

2. Con i migranti che, fuggendo (si tratta di veri profughi anche senza il riconoscimento dello “status ufficiale di rifugiato”) da povertà (generata dagli squilibri mondiali di una ricchezza mal o non distribuita), disastri ambientali (frutto dei cambiamenti climatici dovuti allo sfruttamento violento dell’uomo sul creato) e conflitti armati (guerre, persecuzioni, atti di terrorismo), arrivano nei nostri Paesi è ora di pensare e costruire un vivere insieme, sia nella società che nella Chiesa, tra diversi che si rispettano perché si accolgono nelle loro peculiarità e accettano di condividere la comunicazione (il linguaggio), il diritto (le regole), l’utilizzo solidale dei beni (il benessere) perché la Terra e l’Universo non appartengono ai singoli individui né a Governi o a Stati nazionali, preoccupati solo di salvaguardare i confini del proprio orticello, ma sono stati affidati in custodia all’Umanità tutta intera per la ricerca e la realizzazione del bene comune.

3. Con i migranti che, restando nei loro Paesi, sono vittime di povertà (generata dagli squilibri mondiali di una ricchezza mal o non distribuita), disastri ambientali (frutto dei cambiamenti climatici dovuti allo sfruttamento violento dell’uomo sul creato) e conflitti armati (guerre, persecuzioni, atti di terrorismo), è il momento di abbandonare qualsiasi approccio neo-coloniale di sottomissione, diretta o indiretta, agli interessi dei Paesi, singoli o aggregati in “presunte” Unioni, più ricchi (in denaro e/o in armi) o agli interessi di gruppi multinazionali dediti allo sfruttamento di uomini e beni.

È il momento di pensare e realizzare una rispettosa e solidale azione di cooperazione tra Paesi in vista di redistribuire le ricchezze in modo giusto ed equo, aiutare allo sviluppo efficace di Paesi spesso sfruttati, accompagnare con costanza la formazione educativa e lavorativa dei giovani in cerca di avvenire e sogni da realizzare.

 

Convinzioni umane e spirituali come elementi qualificanti il “nuovo” paradigma

– I tre monoteismi mediterranei sono fondati sull’accoglienza, l’amore per lo straniero (“l’orfano, la vedova e il migrante”) in nome di Dio.

– Lo stile di Dio è quello della vicinanza, della compassione e della tenerezza che tende la mano per risollevare il caduto. In un solo caso è lecito guardare una persona dall’alto in basso: quando cerchiamo di prenderla per mano per sollevarla da terra. In tutte le altre situazioni e un peccato di superbia, un atto immotivato di superiorità , un gesto di disprezzo perché le persone vanno sempre guardate negli occhi, con empatia.

– I credenti devono quindi operare, con generosità e impegno incessante, per edificare una civiltà dell’incontro con Dio e con il prossimo, per la difesa e promozione della vita umana.

– Il mare (le strade dei migranti) da fonte di vita (possibile realizzazione di aspirazioni e di desiderio di vita migliore) diventano luoghi di morte (tombe senza lapidi) a cui non ci si può mai abituare con ideologica indifferenza.

– Il grido di dolore dei migranti sta tramutando il mare nostrum in mare mortuum, il Mediterraneo da culla della civiltà a tomba della dignità.

– I migranti morti nel tentativo di arrivare in una “terra di vita” non sono fatti di cronaca, non sono cifre, ma sono nomi e cognomi, volti e storie, vite spezzate e sogni infranti.

– I migranti che rischiano di morire devono sempre essere soccorsi; è un dovere di umanità, un dovere di civiltà. Frapporre ostacoli di ogni tipo a coloro che soccorrono è una forma di complicità in non assistenza a persona in pericolo.

– I migranti che rischiano la vita in mare non invadono, ma cercano accoglienza e vita.

– I porti hanno vocazione di porte aperte che accolgono, e non possono essere chiusi al grido “invasione” ed “emergenza”, alimentando ad arte le paure delle società di destinazione.

– La storia, e in particolare quella del Mediterraneo, Mare Nostrum, non si riduce ad un intreccio di conflitti tra civiltà, religioni e visioni differenti.

– Gli scambi intercorsi tra i popoli hanno reso il Mediterraneo culla di civiltà, spazio di incontro tra le religioni abramitiche; tra il pensiero greco, latino e arabo; tra la scienza, la filosofia e il diritto; laboratorio di pace e fraternità, capace di opporre alla divisività dei conflitti ideologici la «convivialità delle differenze», ai nazionalismi antiquati e belligeranti il sogno della comunità delle nazioni.

 

2- Il fenomeno migratorio non è tanto un’emergenza, un’urgenza momentanea, sempre buona ad alimentare paure e resistenze, ma un dato di fatto dei nostri tempi, un processo che coinvolge nel Mediterraneo tre continenti (e a livello globale il mondo intero) e va governato con sapiente lungimiranza, con una responsabilità europea e mondiale capace di fronteggiare le obiettive difficoltà.

– Il mare nostrum grida giustizia, con le sue sponde che da un lato trasudano opulenza, consumismo e spreco, mentre dall’altro vedono prevalere povertà e precarietà.

– Il Mediterraneo rispecchia il mondo globale, con un Sud che si volge al Nord, con tanti Paesi in via di sviluppo, afflitti da instabilità, regimi, guerre e desertificazione, che guardano a quelli benestanti, in un mondo globalizzato nel quale tutti siamo connessi ma i divari non sono mai stati così profondi (Populorum progressio, n.3).

– Sono perciò tuttora validi i “tre doveri” (indicati da Paolo VI) delle nazioni più sviluppate: «dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai Paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri» (Populorum progressio, n. 44).

– Siamo coscienti che oggi il mare della convivenza umana è inquinato dalla precarietà; e dove c’è precarietà c’è criminalità; dove c’è povertà materiale, educativa, lavorativa, culturale e religiosa, il terreno delle mafie e dei traffici illeciti è spianato.

– Serve un sussulto di coscienza per dire “no” all’illegalità e “sı̀” alla solidarietà , che non è una goccia nel mare, ma l’elemento indispensabile per purificarne le acque.

– In effetti, il vero male sociale non è tanto la crescita dei problemi, ma la decrescita della cura, l’incapacità di mettersi nei panni dell’altro per prendersene cura.

– Bisogna aprire le porte delle chiese, delle canoniche, dei conventi, delle case…, ma soprattutto quelle del cuore, per accogliere, accompagnare (=proteggere e difendere), promuovere, considerare uno di noi (= integrare) i migranti che ci interpellano.

– Bisogna ripartire dall’ascolto dei poveri, dei migranti, che, come ricorda Primo Mazzolari, «si abbracciano, non si contano», perché sono volti, non numeri.

– Bisogna trattarli come fratelli di cui conoscere le storie, non come problemi fastidiosi, cacciandoli via, mandandoli a casa.

– Bisogna accoglierli, non nasconderli; integrarli e dar loro dignità , non sgomberarli in altri posti lontani da noi.

– Il criterio principale nell’accoglienza del migrante non può essere il mantenimento del proprio benessere, bensì la salvaguardia della dignità umana.

 

3- Nella lotta allo sfruttamento di esseri umani, la soluzione non è respingere, ma assicurare, con legislazioni adeguate e secondo le possibilità dei Paesi (soli o aggregati in Unioni), un ampio numero di ingressi legali e regolari, sostenibili grazie a un’accoglienza equa da parte del continente europeo e del mondo intero, nel contesto di una collaborazione con i Paesi d’origine.

– Il futuro dell’umanità non è nella chiusura, che è un ritorno al passato, un’inversione di marcia nel cammino della storia.

– Dire “basta” è chiudere gli occhi; tentare ora di “salvare solo sé stessi” si tramuterà in tragedia domani.

– Nonostante le difficoltà , la convivialità (=la comunione delle diversità ) è possibile ed è fonte di gioia.

– In tal senso, l’identità senza riconoscimento dell’alterità può divenire omicida.

– Bisogna vivere una città , una società , una Chiesa, plurale e singolare, in quanto è la pluralità, frutto di incontro con il mondo, a renderne singolare la storia.

– E’ l’incontro il cammino per riconoscersi; il cammino per rendere possibile una condivisione solidale soprattutto dinanzi a tragedie e bisogni…

– L’integrazione, anche dei migranti, è faticosa, ma lungimirante: prepara il futuro che, volenti o nolenti, sarà insieme o non sarà.

– L’assimilazione, che non tiene conto delle differenze e resta rigida nei propri stereotipi, fa invece prevalere l’idea sulla realtà e compromette l’avvenire, aumentando le distanze e provocando la ghettizzazione, che genera ostilità e insofferenze.

– Abbiamo bisogno di fraternità e, come credenti, non possiamo accettare che le vie dell’incontro siano chiuse, non possiamo accettare che la verità del dio denaro prevalga sulla dignità dell’uomo, che la vita si tramuti in morte.

– Siamo invece chiamati alla testimonianza della carità : non a ricamare il Vangelo di parole, ma a dargli carne con i fatti; non a misurare la visibilità e l’apparenza, ma a spenderci nella concretezza della gratuità.

– Come ogni faro che illumina il mare e mostra il porto… bisogna costruire sempre nuove forme di risposte sinergiche e collaborative che trovano nei giovani gli attori privilegiati di incontro, comprensione e innovazione, capaci di superare barriere e preconcetti per costruire una civiltà dell’accoglienza e della fraternità .

 

Roma, 25 settembre 2023

 

(*) p. Lorenzo Prencipe
Missionario Congregazione Scalabriniana
Presidente del Centro Studi Emigrazione Roma | CSER

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