n°50 – 11/12/2021 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – Deputate Pd Estero*:  elezioni Comites: auguri di buon lavoro agli eletti ma è tempo di aprire una discussione onesta sulla crisi della rappresentanza degli italiani all’estero

02 – Mario Pierro*: Capitalismo pandemico, il rapporto sui diritti globali contro l’impunità dei poteri.

Il libro. Presentato il XIX rapporto diritti globali (Futura/Ediesse) realizzato da Società INformazione e Fight Impunity con la partecipazione della Cgil.

03 – Vaccini: Terza dose anche per i cittadini AIRE temporaneamente in Italia.*

04 – Anna Maria Merlo*: La disuguaglianza è sempre una scelta politica  – World Inequality Report. In Europa il 10% dei più ricchi ha il 36% del reddito, il 58% in Medio Oriente. In America latina il 10% più ricco controlla il 77% della ricchezza e il 50% più povero solo l’1%.

05  – Alfiero Grandi*:  la democrazia e la costituzione messe in pericolo dalle tentazioni neo-presidenzialiste.

06 – La Marca (Pd): in ricordo del senatore Renato Turano.

07 – Sarantis Thanopulos*: e’ meglio essere ragionevoli che «razionali» – Rapporto Censis. Vale la pena di distinguere tra «razionalità» e «ragionevolezza». Bisogna essere vivi sul piano dei desideri e delle emozioni (pure se siamo travagliati) per potere pensare la cosa giusta che ha a che fare non con una ragione suprema, ma con il rispetto della vita realmente vissuta.

08 – Cile, voto storico del Parlamento: approvato il matrimonio fra persone dello stesso sesso.

09 – Manovra, Landini: “Sul rinvio del taglio delle tasse ai redditi alti Draghi messo in minoranza dai partiti. Non sanno cosa vuol dire vivere con 20-30mila euro l’anno”

 

01 – DEPUTATE PD ESTERO*:  ELEZIONI COMITES: AUGURI DI BUON LAVORO AGLI ELETTI MA È TEMPO DI APRIRE UNA DISCUSSIONE ONESTA SULLA CRISI DELLA RAPPRESENTANZA DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO. (Segreteria Deputate PD Estero)

Le elettrici e gli elettori, sia pure in un quadro di forte problematicità e di evidenti segni in chiaroscuro, si sono pronunciati e, dunque, i COMITES, questi necessari strumenti di partecipazione e di autogoverno delle nostre comunità, tra non molto saranno in condizione di strutturarsi e di avviare una nuova consiliatura.

Un doveroso e sincero ringraziamento va a coloro che in essi e per essi hanno lavorato volontariamente finora, a quanti hanno dato il loro impegno per garantire le operazioni elettorali e a coloro che comunque si sono spesi per favorire prima l’iscrizione nelle liste degli elettori e poi l’espressione del voto

Un augurio di buon lavoro va alle elette e agli eletti, a tutti, senza distinzione di orientamento culturale e politico, che dovranno agire per il bene comune, al di fuori di ogni logica di parte. Tra di loro, vi sono persone di valore, che conosciamo direttamente, e che ci danno ogni garanzia di potere essere un valore aggiunto della rappresentanza dei nostri connazionali.

Non possiamo tacere, tuttavia, che i dati prima sulle iscrizioni nelle liste elettorali e poi sulla reale partecipazione al voto sono drammaticamente bassi. Ancora una volta, poi, le alte percentuali di voti nulli hanno confermato la necessità di rivedere e semplificare le procedure che continuano a produrre esclusione e un vero e proprio spreco di espressione democratica.

Tutte le previsioni più pessimistiche, legate alle difficoltà di svolgere le elezioni in persistente pandemia, di superare le difficoltà tecniche per iscriversi, di avere fatto una campagna informativa alla prova dei fatti inadeguata, di non avere seriamente tentato quando c’era il tempo una riforma di questi organismi, di non essersi concentrati sull’eliminazione della diabolica opzione inversa, e così via, hanno trovato purtroppo conferma. Su molti di punti il nostro gruppo e noi stesse abbiamo presentato disegni di legge di riforma, ma – si sa – per arrivare a una riforma normativa ci vuole un largo accordo trasversale di gruppi parlamentari e governo che non si è finora concretizzato.

Non sarebbe leale, tuttavia, fermarsi a queste cose risapute. C’è un evidente crisi della rappresentanza che si è concretizzata nel taglio dei parlamentari, nelle difficoltà del CGIE di trovare ascolto nel Governo e nei gruppi parlamentari, nel distacco dei COMITES dall’opinione dei connazionali, nella difficoltà di strati ampi di nuovi emigrati di vedere nelle istanze tradizionali interlocutori credibili e utili, nell’incomprensibile fermo della Commissione bicamerale dopo l’approvazione all’unanimità alla Camera.

La cosa da evitare veramente è quella scaricarsi ognuno delle proprie responsabilità e cercare di addossarle ad altri, trascurando l’esigenza di un confronto ampio e realistico.

Apriamo una discussione onesta e aperta sulle prospettive della rappresentanza degli italiani all’estero e, nello stesso tempo, parlino tutti con chiarezza sul destino che si vuol dare a questo necessario strumento di democrazia.

*(Deputate PD Estero: Francesca La Marca (Rip. Nord-Centro America) – Angela Schirò (Rip. Eopa)

 

02 – MARIO PIERRO*: CAPITALISMO PANDEMICO, IL RAPPORTO SUI DIRITTI GLOBALI CONTRO L’IMPUNITÀ DEI POTERI. IL LIBRO. PRESENTATO IL XIX RAPPORTO DIRITTI GLOBALI (FUTURA/EDIESSE) REALIZZATO DA SOCIETÀ INFORMAZIONE E FIGHT IMPUNITY CON LA PARTECIPAZIONE DELLA CGIL. Il curatore Sergio Segio: «La guerra all’ambiente e alla natura» è in realtà «una guerra delle generazioni precedenti contro quelle cui viene sottratto il futuro» «Una guerra di una classe contro un’altra e di una parte del pianeta rispetto all’altra», «senza giustizia ambientale non c’è pace»

 

Lo shock pandemico è un nuovo fronte del «capitalismo dei disastri» che trasforma le emergenze e le catastrofi, da esso stesso ciclicamente prodotte, in occasioni di profitto economico e, indirettamente, di creazione di nuove diseguaglianze. L’emergenza scatenata dalla sindemia del Covid è stata utilizzata in quasi due anni da esecutivi e poteri sovranazionali per ridurre gli spazi democratici, neutralizzare l’opposizione alle loro politiche, deresponsabilizzare i parlamenti, sperimentare nuove tecnologie di controllo sociale, non mutare la distribuzione della ricchezza mentre i ricavi di Amazon sono cresciuti del 27%, arrivando a 113 miliardi di dollari e la sola Pfizer prevede di arrivare con le vendite del proprio vaccino a 33,5 miliardi di dollari entro la fine del 2021, un record nella storia dell’industria farmaceutica. Il 75% dei vaccini è concentrato in dieci Paesi. Solo il 2% dei vaccinati sono nei paesi diversi da quelli dominanti. Big Pharma, intanto, ringrazia. I suoi enormi profitti sono confermati a lungo.

Dietro lo spillover dal pipistrello all’uomo che ha generato il Covid c’è questo mondo. Lo descrive il 19esimo rapporto sui diritti globali il cui tema è lo “Stato dell’impunità nel mondo” (Futura/Ediesse, pp. 424, 26 euro, prefazione del segretario Cgil Maurizio Landini). Il volume è stato presentato ieri nella sede della Cgil nazionale dal coordinatore Sergio Segio. Promosso dalle associazioni Fight Impunity e INformazione, con la partecipazione della Cgil, il rapporto è tradotto in inglese da David Brother, Sarah e Emma Gainsforth ed è una ragionata analisi di un capitalismo che lega finanza e medicina, protezione e produttività, securitarismo e muri spinati contro i migranti, economia digitale industria militare e lavoro, sfruttamento della natura e degli animali e epidemie che devastano le società. La documentazione raccolta da venti ricercatori, giornalisti e sindacalisti (da Orsola Casagrande a Simone Pieranni e Roberto Ciccarelli, da Maurizio Zoratti a Massimo Congiu e Susanna Ronconi o Susanna Camusso) dimostra come la domanda di giustizia sociale si coniughi con quella climatica.

Un libro da leggere contro il modo grottesco in cui il mainstream rappresenta la realtà: uno scontro tra una razionalità inventata dai dominanti sulla base di una normatività neocapitalistica e un’irrazionalità patologica dei “complottisti”. Qui, invece, il punto di vista è critico, etico-politico, dialogante e coinvolgente. È quello dei movimenti, a partire dai «Fridays for future» o «Extinction Rebellion» e esplora le nuove vie della sindacalizzazione e della politicizzazione nella società e nel lavoro, a partire da quello digitale con i rider. Dicevano che la nuova crisi avrebbe fatto «tornare lo Stato» come attore economico attivo, promotore dell’occupazione e regolatore del «bene generale». Come no: quello che è tornato lo Stato imprenditore del capitale umano, la politica che investe nell’impresa secondo i vecchi schemi neoliberali, gli stessi che riproducono i disastri. Il rapporto è uno strumento utile per sottrarsi a questo circolo vizioso. «Cerchiamo di analizzare ciò che succede a livello globale dall’angolatura visiva di quelli di sotto – scrive Sergio Segio – Lo sforzo è fare scaturire dal ragionamento e dalla denuncia proposte costruttive, nella prospettiva della giustizia ambientale, economica e sociale, della democrazia integrale e dello Stato di diritto. In una parola, dei diritti globali».

*(Mario Pierro, giornalista)

 

03 – VACCINI: TERZA DOSE ANCHE PER I CITTADINI AIRE TEMPORANEAMENTE IN ITALIA.*

Le nostre sollecitazioni alla struttura diretta dal Commissario Figliuolo per consentire la prenotazione della terza dose agli iscritti AIRE temporanemamente in Italia hanno dato risultati positivi. Sono finalmente operativi i portali di prenotazione delle Regioni Lazio e Lombardia. Ci auguriamo che tutte le Regioni abbiano provveduto in questo senso e invitiamo i connazionali a continuare a segnalarci eventuali criticità.

*(Deputate PD estero: Angela Schirò (Rip. Europa) – Francesca La Marca (Rip. Nord-Centro America)

 

 

04 – ANNA MARIA MERLO*: LA DISUGUAGLIANZA È SEMPRE UNA SCELTA POLITICA  – WORLD INEQUALITY REPORT. IN EUROPA IL 10% DEI PIÙ RICCHI HA IL 36% DEL REDDITO, IL 58% IN MEDIO ORIENTE. IN AMERICA LATINA IL 10% PIÙ RICCO CONTROLLA IL 77% DELLA RICCHEZZA E IL 50% PIÙ POVERO SOLO L’1%.

C’è la percezione di una grande stanchezza delle società, in Occidente in generale (e più particolarmente in Francia, all’inizio della campagna elettorale per le presidenziali di aprile), di una mancanza di prospettive che blocca l’azione e una visione del futuro condivisa, il tutto aggravato dalla crisi del Covid.

Da dove proviene questa situazione? Una spiegazione puo’ essere trovata nell’ultimo World Inequality Report 2022, il rapporto sulle diseguaglianze nel mondo, pubblicato oggi dal World Inequality Lab e coordinato dagli economisti Lucas Chancel, Thomas Piketty, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman, un lavoro che ha coinvolto più di un centinaio di studiosi.

Le diseguaglianze sono diminuite sul lungo periodo, aveva constatato Piketty nel suo ultimo libro, Une brève histoire de l’égalité (Seuil, 2021): “L’eguaglianza è una lotta che può essere vinta e nella quale ci sono sempre varie traiettorie possibili che dipendono dalla mobilitazione, dalle lotte e da ciò che si apprende dalle lotte precedenti”.

Ma dagli anni ’80 -’90, da quando c’è la libera circolazione dei capitali “senza alcuna contropartita in termini di tassazione comune, di regolazione, di trasparenza”, siamo “su una linea discendente che va verso sempre più separatismi fiscali, sociali”, ha constatato Piketty.

Da un lato c’è un movimento storico verso minori diseguaglianze, “ma la società del privilegio esiste sempre” e oggi si erge come un muro che crea scoraggiamento.

C’è la diseguaglianza di reddito, ma ancora di più di ricchezze, accumulate nel tempo e trasmesse in eredità. Le diseguaglianze nel corso dei secoli sono diminuite grazie all’accesso al lavoro, al reddito, alla scuola, alla salute, ma resta l’ostacolo della captazione di redditi e patrimoni da parte di coloro che già hanno di più e che solo una regolazione internazionale, una tassazione altamente progressiva e sostegni mirati possono far saltare.

Nel 2021 le diseguaglianze nel mondo sono come quelle esistenti nel momento di punta dell’imperialismo, all’inizio del secolo scorso

Il World Inequality Report constata che nel 2021 le diseguaglianze nel mondo sono più o meno uguali a quelle esistenti nel momento di punta dell’imperialismo, all’inizio del secolo scorso.

Secondo Lucas Chancel, “la crisi del Covid ha esacerbato le diseguaglianze tra i molto ricchi e il resto della popolazione. Nei paesi ricchi, gli interventi dei governi hanno evitato una crisi massiccia di povertà, ma non è stato così per i paesi poveri. Questo mostra l’importanza dello stato sociale nella lotta alla povertà”. In più, come si è visto alla Cop26, “la diseguaglianza economica globale fomenta la crisi ecologica e rende più difficile combatterla, è difficile vedere come possiamo accelerare gli sforzi per lottare contro il cambiamento climatico senza una maggiore redistribuzione del reddito e della ricchezza”. Per Chancel, “se c’è una lezione da trarre da questo Report è che la diseguaglianza è sempre una scelta politica”.

In questo quadro, l’Europa è l’area dove le diseguaglianze sono inferiori rispetto al resto del mondo. Il 10% dei più ricchi concentrano il 36% del reddito in Europa, cifra che sale al 58% in Medioriente.

Per quanto riguarda il patrimonio, che è un elemento che segna in modo particolare le diseguaglianze, in America latina, la zona più ineguale, il 10% più ricco controlla il 77% della ricchezza e il 50% più povero solo l’1%.

La Russia è ben piazzata nella lista dei più diseguali. In Europa, se consideriamo la concentrazione della ricchezza, il 60% è nelle mani del 10% dei più ricchi.

Le diseguaglianze sono aggravate anche dal genere (la parte del reddito delle donne in Europa, pur passata dal 31% nel 1990 al 38% attuale, resta inferiore a quella maschile).

I ricchi sono inoltre maggiormente responsabili del riscaldamento climatico, sia come paesi che come categorie di reddito e ricchezza (in Europa c’è una media di emissioni di Co2 di 10 tonnellate a persona, la media mondiale è di 6,6, mentre bisognerebbe calare a una tonnellata per rispettare l’impegno di riscaldamento di 1,5 gradi).

In Italia, le diseguaglianze sono diminuite nel XX secolo. Ma dagli anni ’80, le categorie più ricche hanno accumulato patrimoni e redditi, mentre in linea generale, tra il 2007 e il 2019, c’è stato un calo degli introiti delle famiglie, a causa delle politiche di austerità degli anni 2012-14.

C’è una concentrazione della ricchezza nel 10% più ricco al 48%, mentre la diseguaglianza di genere è più alta che nella media Ue (le donne hanno il 36%, cifra che avvicina l’Italia più al Nord America – il 38% – che ai paesi europei più avanzati).

Sulle emissioni di Co2, con una diminuzione di 3 tonnellate pro capite dagli anni ’90 a oggi, in Italia la media è di 9 tonnellate a persona, ma con una grossa differenza a seconda della posizione economica: i più ricchi hanno diminuito il loro contributo negativo al riscaldamento climatico solo di 8 punti, contro il 32% per i più poveri, costretti a limitarsi a causa del calo del reddito che hanno subito dagli anni ’90 a oggi

*( Anna-Maria Merlo-Poli (laurea in filosofia e dottorato in storia dell’economia) è corrispondente de “Il Manifesto” in Francia dall 1988.)

 

05  – Alfiero Grandi*:  LA DEMOCRAZIA E LA COSTITUZIONE MESSE IN PERICOLO DALLE TENTAZIONI NEOPRESIDENZIALISTE.

Esiste una questione democratica nel nostro Paese? Alcuni segnali sono preoccupanti e sarebbe bene discuterne apertamente, prendendo anche le iniziative necessarie per correggere derive pericolose. Fuori dall’Italia, con evidenti influenze anche su di noi, cresce il numero dei Paesi che hanno derive autoritarie, settarie, atteggiamenti inumani come avviene verso i migranti al confine tra Polonia e Bielorussia, che si aggiungono ai lager che il papa ha visitato in Grecia, per richiamare un’opinione pubblica distratta, lontana, assuefatta.

Di contro non ci sono reazioni a sostegno della democrazia all’altezza delle emergenze attuali. Al contrario, il presidente del Consiglio europeo, il belga Michel (già noto per non avere battuto ciglio contro lo sgarbo di Erdogan verso La presidente della Commissione Von der Leyen), si è distinto per dichiarazioni a favore di un finanziamento dell’Unione Europea alla Polonia che vuole costruire un muro contro i migranti. Va ricordato che la Polonia è multata un milione al giorno dalla Corte di giustizia europea finchè non riconoscerà la prevalenza del diritto comunitario che imporrebbe l’abrogazione di norme che manomettono l’autonomia dei giudici polacchi.

La Costituzione del nostro paese è sotto attacco da tempo. La nostra Costituzione dal primo gennaio 1948 ha regolato, pur con sofferenze e difficoltà, la dialettica politica e sociale e ha disegnato il sistema istituzionale del nostro Paese che ha la sua centralità nel parlamento. In diverse fasi storiche la democrazia italiana ha corso rischi ma finora è sempre riuscita a trovare una maggioranza di cittadini che ha capito che occorreva reagire e respingere gli attacchi. Si può citare da ultimo il referendum popolare del 2016 (ricorre il 5° anniversario) che ha bocciato la “deformazione” della Costituzione tentata da Renzi e ne ha avviato la crisi politica come confermano i sondaggi su Italia Viva. Tuttavia, l’attuale fase politica confusa e senza chiari valori in campo continua a registrare attacchi di varia natura alla Costituzione. Dall’autonomia regionale differenziata “a la carte” che i ministri del centrodestra presenti nel governo Draghi gestiscono segretamente quasi fosse un fatto privato, trattando direttamente con le Regioni interessate. Alle dichiarazioni di Giorgetti che senza imbarazzo, visto che è ministro di questo governo che ha giurato sulla Costituzione, sostiene che Draghi potrebbe essere eletto alla Presidenza della Repubblica mantenendo alla Presidenza del Consiglio una persona a lui vicina, creando di fatto un semipresidenzialismo senza alcuna legittimità costituzionale. Anzi contro la nostra Costituzione attuale.

Sarebbe un errore sottovalutare le dichiarazioni di Giorgetti. Non sarà un fine costituzionalista, ma rivela chiaramente che per interessi politici contingenti si pensa che la Costituzione potrebbe essere cambiata e che nel frattempo si potrebbe interpretare come la pelle di zigrino. Non so se Draghi abbia reali possibilità di diventare Presidente della Repubblica, ma è indispensabile che comunque prima di votarlo da parte dei parlamentari gli venga chiesto in modo chiaro di respingere queste suggestioni presidenzialiste e di confermare piena lealtà alla Costituzione in vigore, quindi a non favorire un governo di fedelissimi. Lealtà che nel Presidente della Repubblica ha un valore doppio rispetto a qualunque altro incarico istituzionale in Italia, visto che tra i suoi compiti c’è quello di garantire che venga rispettata la Costituzione.

La tentazione presidenzialista oggi è forte, non solo a destra. Ma un conto è che questa scelta venga esplicitata, che il parlamento ne discuta e se dovesse approvarla venga sottoposta a referendum popolare. Altro è procedere di soppiatto cercando di arrivare al fatto compiuto. In un confronto aperto è evidente che ciascuno condurrebbe una battaglia politica nella consapevolezza della gravità della scelta e mi auguro che esista ancora un fronte tale da respingere questa possibilità.

Il presidenzialismo, in qualunque versione, non può essere affrontato come la sola casella del Presidente della Repubblica, quindi si porterebbe dietro inevitabilmente la ridefinizione di tutti i poteri e rapporti istituzionali. Ad esempio sarebbe necessario rivedere le modalità per garantire l’autonomia della Magistratura. visto che il Presidente è attualmente a capo del Csm e in caso di presidenzialismo non potrebbe essere più una figura di garanzia. Non sono pochi gli altri aspetti istituzionali collegati.

Soprattutto due aspetti dovrebbero essere presi in considerazione prima dell’elezione del nuovo Presidente della Repubblica.

Il primo è come ridare ruolo e centralità al parlamento. È fuori discussione che il parlamento in diverse occasioni è stato il peggior nemico di sé stesso. Dal voto sul documento che affermava che Ruby era la nipote di Mubarak, evento più lontano, fino all’ultimo stop alla legge Zan, che difficilmente verrà approvata prima della fine della legislatura, con motivazioni strumentali che hanno ricordato episodi più lontani come i Dico. Il parlamento, tuttavia, ha subìto, fino a sminuire la sua credibilità a livelli mai visti, perché è sostanzialmente composto da nominati dall’alto che debbono la loro elezione a meccanismi elettorali che mettono la scelta di chi deve essere eletto nelle mani dei capipartito, da cui dipende anche la eventuale rielezione. Il criterio di fondo è la fedeltà ai capi, al massimo si può cambiare casacca. Un po’ come si diceva della monarchia che sarebbe temperata dal regicidio. Infatti non è casuale che siamo arrivati al record delle trasmigrazioni tra gruppi parlamentari, di cui l’esempio più eclatante è l’esodo di più di 40 deputati e senatori dal Pd per dare vita ad Italia Viva, reso possibile da un meccanismo di elezione che ha stabilito un legame di fedeltà non con la propria coscienza e con gli elettori ma con il capo da cui dipende l’elezione e la rielezione.

Con il governo Draghi stiamo arrivando ad un punto oltre il quale il parlamento non sarà più come prevede la Costituzione. Certo, gli omaggi formali si sprecano, ma in sostanza il parlamento può solo approvare quanto deciso nelle sedi di mediazione tra il presidente del Consiglio e i rappresentanti dei partiti nel governo, queste sedi ristrette finiscono per obbligare ad approvare i provvedimenti, scaricano sul parlamento le contraddizioni e impediscono alle forze sociali, soprattutto ai sindacati, di avere un ruolo incisivo.

Da tempo abbiamo i maxiemendamenti approvati con i voti di fiducia, i decreti a valanga che ingessano il lavoro parlamentare che non a caso ha nella legge sulla parità retributiva uomo-donna l’unico fiore all’occhiello di iniziativa parlamentare. Il resto è praticamente deciso dal governo, con i voti di fiducia a mitraglia per tagliare la discussione.

La novità che sta diventando routine è un monocameralismo di fatto. Ad esempio, la legge di bilancio, fondamentale nel nostro ordinamento, verrà esaminata, di corsa in un solo ramo del parlamento, il Senato, la Camera si limiterà ad approvarla.

A cosa serve avere due camere se in modo alternato solo una camera discuterà e voterà un provvedimento? Per di più quasi sempre un decreto legge, mentre l’altro ramo del parlamento farà la stessa cosa per il provvedimento successivo.

Chi ha voluto e chi ha subito il taglio del numero dei parlamentari dovrebbe chiedersi se la scelta non sia stata improvvida. Resto convinto che è stato un errore che avrà effetti per molto tempo. Per lo meno si poteva ragionare su un monocameralismo effettivamente rappresentativo, sommando il numero dei deputati e dei senatori, senza aumentare il numero dei parlamentari. Comunque sia nella prossima legislatura avremo una camera di 400 deputati e un Senato di 200, almeno si cerchi di approvare una buona legge elettorale prima delle prossime elezioni.

La legge elettorale infatti non è di per sé risolutiva dei problemi di credibilità del parlamento ma potrebbe almeno risolvere due aspetti fondamentali. Il primo è ripristinare una rappresentanza delle posizioni reali esistenti nel territorio del nostro paese, pur con un numero ridotto di parlamentari. Il proporzionale a questo punto è la via migliore. Del resto il rosatellum rivisto da Calderoli, attualmente in vigore, prevede una soglia di accesso del 3%, che con la riduzione dei parlamentari del 33% diventa in realtà circa il 4,5%. È già una soglia alta e al senato senza una nuova legge elettorale la proporzionalità in 9 regioni è un sogno irrealizzabile o con soglie altissime.

Il secondo aspetto è che occorre ripristinare il rapporto tra eletto ed elettori. Sono gli elettori che votano, il mandato per gli eletti deve discendere da loro non da trucchi per consegnare la scelta ai capipartito. Le preferenze hanno certamente difetti, ma oggi sappiamo quali sono le misure per prevenire e una preferenza unica per ogni genere sarebbe una soluzione accettabile. Altrimenti ci sono altre vie, ad esempio il Senato originariamente veniva eletto per collegi e insieme era garantita la proporzionalità, del resto era così anche per le Province, fino a quando gli elettori hanno votato.

L’eletto deve essere spinto a stabilire un rapporto con gli elettori, deve rispondere a loro del suo operato. Una gestione nazionale dei resti potrebbe aiutare ad arrivare alla massima proporzionalità possibile tenendo conto del taglio del parlamento.

Rischiare che con l’elezione del Presidente della Repubblica si apra uno scenario che precipita nelle elezioni anticipate dice che non essere pronti al voto è pura miopia, un rischio forte.

Perché il punto centrale è che sta allargandosi a macchia d’olio una disaffezione politica, un allontanamento degli elettori e delle elettrici dal voto che deve preoccupare tutti. Senza misure per contrastare la disaffezione la base della partecipazione democratica si restringe e questo minaccia i fondamenti della democrazia stessa. Non basta sapere quali sono le percentuali, occorre che siano significative in un ambito di partecipazione e se non vota un elettore su due è un grosso problema.

La ricerca spasmodica di alleati per vincere in un sistema maggioritario, con un bipolarismo coatto, non ha dato buoni frutti né a destra né a sinistra

Pochi voti marginali hanno fatto cadere il governo Prodi, una maggioranza parlamentare enorme non ha salvato Berlusconi dalla crisi nel 2011, e nemmeno ha impedito la vittoria dei no nei referendum abrogativi sull’acqua pubblica e sul nucleare. Molto meglio votare con le proprie posizioni, e dopo il voto costruire una maggioranza di governo come in Germania, dove la garanzia che diversi possono lavorare insieme è data sia dal mandato certo di ogni soggetto politico, sia da un ponderoso programma di impegni precisi concordati a cui ogni componente si impegna a restare leale. Il programma del Prodi 2 non era troppo lungo e dettagliato ma era invece appeso ad una maggioranza posticcia.

La scarsa determinazione dei dirigenti politici, il trascinamento del vecchio sulla cui crisi non si è mai voluto riflettere, la evaporazione della struttura stessa dei partiti che vivono largamente perché presentano le candidature, potrebbero portare ad esiti preoccupanti per la democrazia, per la sua sostanza e provocare un definitivo allontanamento di elettrici ed elettori dal voto, allargando la diffidenza verso una politica che non riesce ad arrivare alle persone con scelte di fondo chiare e nette.

La pandemia non aiuta, questo è evidente, ma non può giustificare tutto e portare a rassegnarsi al declino della democrazia italiana, conquistata con tanta fatica e tanti lutti, con la vittoria sul nazifascismo, sarebbe un errore imperdonabile.

Occorre parlare con chiarezza e nettezza per evitare almeno di essere corresponsabili.

*( Alfiero Grandi su www.jobsnews.it)

 

06 – LA MARCA (PD): IN RICORDO DEL SENATORE RENATO TURANO. 6 dicembre 2021

“Sono costernata e sinceramente addolorata per la notizia della scomparsa di Renato Turano, eletto al Senato per due legislature nella ripartizione Nord e Centro America.

Di Lui, sento di richiamare prima di tutto le doti umane. Era infatti un uomo affabile, disponibile, inclinato al dialogo e alla socievolezza. Per questo, si faceva volere bene un po’ da tutti coloro con cui entrava in contatto.

Abbiamo condiviso la campagna elettorale sotto lo stesso simbolo nel 2013, quando entrambi fummo eletti nel Parlamento nazionale. In quella occasione ho potuto constatare quanto radicati ed estesi fossero i suoi contatti personali con la comunità italiana e, in essa, con la vasta comunità calabrese. Nel suo ambito, era riconosciuto e rispettato come un importante imprenditore che si era fatto da sé insieme ai suoi familiari e come una personalità di riferimento per la comunità di Chicago e per quella italo-statunitense.

Egli ha rappresentato in Senato i nostri connazionali e le loro istanze più profonde con dignità e in modo volitivo e costante. Una perdita vera sul piano umano, politico e della promozione sociale della comunità italiana all’estero.

Esprimo le mie più sentite condoglianze ai suoi familiari, nel ricordo di una persona diretta e vera come Lui. Riposa in pace, caro Renato”.

*(Francesca La Marca

 

07 – SARANTIS THANOPULOS*: E’ MEGLIO ESSERE RAGIONEVOLI CHE «RAZIONALI» – RAPPORTO CENSIS. VALE LA PENA DI DISTINGUERE TRA «RAZIONALITÀ» E «RAGIONEVOLEZZA». BISOGNA ESSERE VIVI SUL PIANO DEI DESIDERI E DELLE EMOZIONI (PURE SE SIAMO TRAVAGLIATI) PER POTERE PENSARE LA COSA GIUSTA CHE HA A CHE FARE NON CON UNA RAGIONE SUPREMA, MA CON IL RISPETTO DELLA VITA REALMENTE VISSUTA.

 

Il rapporto annuale del Censis ha suonato l’allarme. Una parte «statisticamente significativa» della popolazione italiana è in preda all’irrazionale.

Il rapporto risente di un limite: la raccolta dei dati è orientata secondo parametri molto semplici, buoni per formarsi un’idea sufficientemente definita di ciò che sul piano psichico stia accadendo tra di noi, ma inadeguati a coglierne la complessità.

La prospettiva finale è, al tempo stesso, chiara e approssimativa. Sarebbe meglio osare un approccio conoscitivo in grado di inquadrare più rigorosamente il campo dell’indagine e interpretare meglio i dati raccolti.

Il fatto che per il 5,9% degli italiani il Covid non esista e per il 10,9% il vaccino sia inutile, non è così sorprendente. Lo è di più il fatto che per un terzo dei noi il vaccino è un farmaco sperimentale di cui siamo le cavie.

Le reazioni di diniego nei confronti di un pericolo infettivo imprevedibile e/o lo spostamento della minaccia a un oggetto concreto che si può evitare, sono da sempre presenti.

L’ampia diffusione dell’idea di essere degli oggetti di sperimentazione è ben più preoccupante perché mostra una caduta forte della fiducia nelle istituzioni.

E se questa idea non è vera per i vaccini, siamo cosi sicuri che non lo è per tante altre cose (da cui una classe politica indebolita nel suo potere non riesce a proteggerci adeguatamente)?

Bisogna fermarci e riflettere, perché la sfiducia nelle istituzioni non è di per sé razionale o irrazionale. Essa esprime un’alterazione nel rapporto tra noi e i nostri rappresentanti e l’unica via ragionevole per uscire dall’impasse è cercarne di comprenderne i motivi piuttosto che bollare i cittadini come irrazionali. È importante ricordare che la «razionalità» collettiva va e viene e mantenerla in vita richiede alcune condizioni non semplici da garantire.

In primo luogo converrebbe riconoscere che i principi sui cui di fatto si fonda la nostra società, la logica del profitto sregolato (il bel regalo che ci hanno fatto la deregulation e il liberismo) e l’ineguaglianza spaventosa degli scambi (la globalizzazione dell’arbitrio), non sono esattamente un modo equilibrato di gestire la vita comune. Sono il derivato di un pensiero sordomuto e cieco, ma ahimè troppo eloquente come schema mentale preformante.

L’incapacità di uscire dalla catastrofe ambientale sempre più incombente, di fronte alla quale la leadership politica mondiale si mostra divisa e senza una prospettiva vera, mostra che non sia la ragione a guidare le nostre sorti. L’accumulazione di fortune immense senza alcuna corrispondenza con il godimento della vita è degna di persone adulte? Perché in un modo psicotico nella sua impostazione dovremmo restare «razionali»? È già un miracolo che non siamo impazziti.

In secondo luogo non dobbiamo confondere l’irrazionalità con l’ignoranza. Il fatto che il 5,8% degli italiani pensa che la terra sia piatta è un po’ più grave del fatto che il 10% pensa che l’uomo non sia mai sbarcato sulla luna. Ma in entrambi i casi si tratta di ignoranza non di «negazionismo storico-scientifico».

Ignoranza da sempre presente tra di noi (nel campo della sessualità è molto più diffusa) che esprime una certa indifferenza psichica nei confronti della realtà, una paura di conoscerla che riguarda gli oggetti più impensati. Sono aspetti inerziali della rappresentazione del mondo che non emergono se non sotto una pressione emotiva forte.

Vale la pena di distinguere tra «razionalità» e «ragionevolezza». Molte delle aberrazioni etiche della storia umana sono state condotte in modo assolutamente logico, razionale (alcune delle «conquiste» della medicina vengono dai campi di concentramento e di sterminio nazisti). La ragionevolezza è fatta di pensiero e di sentimenti.

Bisogna essere vivi sul piano dei desideri e delle emozioni (pure se siamo travagliati) per potere pensare la cosa giusta che ha a che fare non con una ragione suprema, ma con il rispetto della vita realmente vissuta.

Cerchiamo di essere ragionevoli perché possiamo ospitare idee pazze (molto più pericolose dell’ immaginare la terra piatta) dentro di noi anche se siamo geniali. Soprattutto non dimentichiamo che, il più delle volte, le idee irragionevoli sono promosse razionalmente, per motivi diversi ma convergenti, dai tanti che sfruttano le paure diffuse nel nostro modo precario per portarlo dove pensano sia conveniente. La convenienza personale: la cosa più irragionevole di questo mondo.

*( Sarantis Thanopulos è il nuovo Presidente della SPI (Società Psicoanalitica Italiana), eletto con 369 voti contro i 326 )

 

08 – CILE, VOTO STORICO DEL PARLAMENTO: APPROVATO IL MATRIMONIO FRA PERSONE DELLO STESSO SESSO CILE, VOTO STORICO DEL PARLAMENTO: APPROVATO IL MATRIMONIO FRA PERSONE DELLO STESSO SESSO. LA LEGGE DOVRÀ ESSERE ORA PROMULGATA DALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA: IN QUESTO MODO SI PROCEDERÀ ALLA DEFINIZIONE DELLE PROCEDURE AMMINISTRATIVE CHE INTRODURRANNO LA NOVITÀ E PERMETTERANNO ALLE COPPIE CHE LO VORRANNO DI SPOSARSI E DI DIVENTARE GENITORI

 

Una votazione definita “storica”. La Camera dei deputati del Cile ha convertito in legge un progetto riguardante il matrimonio fra persone dello stesso sesso, che contempla anche il diritto di avere di avere figli. La normativa ha ottenuto 82 voti favorevoli, 20 contrari e due astenuti. In Senato il testo era invece passato con 21 sì, otto no e una astensione. Il Cile diventa così il nono paese nelle Americhe a legalizzare il matrimonio egualitario, dopo Canada, Stati Uniti, Costa Rica, Ecuador, Colombia, Brasile, Uruguay e Argentina. In Messico è legale in 14 dei 32 stati del Paese.

La legge dovrà essere ora promulgata dalla presidenza della Repubblica: in questo modo si procederà alla definizione delle procedure amministrative che introdurranno la novità e permetteranno alle coppie dello stesso sesso di sposarsi e di diventare genitori. Il Movimento per l’integrazione e la liberazione degli omosessuali (Movilh) cileno ha lodato la decisione in un comunicato, assicurando che “il Cile ha compiuto un passo storico e decisivo per l’avanzamento e il consolidamento dei diritti civili delle coppie e delle famiglie omosessuali che, senza distinzione, erano state discriminate e vulnerate fin dalle origini del nostro Paese”. Per festeggiare questo avvenimento “senza precedenti” nel Paese, il movimento Lgbtq ha convocato per il pomeriggio (la sera italiana) una manifestazione in Plaza Baquedano a Santiago del Cile.

(ndr)

 

09 – MANOVRA, LANDINI: “SUL RINVIO DEL TAGLIO DELLE TASSE AI REDDITI ALTI DRAGHI MESSO IN MINORANZA DAI PARTITI. NON SANNO COSA VUOL DIRE VIVERE CON 20-30MILA EURO L’ANNO”

 

I leader delle sigle che hanno proclamato la mobilitazione riconoscono al premier di aver tentato una mediazione sulla riforma Irpef. Nel mirino c’è la parte di maggioranza che ha detto no, cioè centrodestra e Italia viva (il M5s si è spaccato ma il ministro Patuanelli in cdm si è espresso a favore). E ora Pd e Leu chiedono di proseguire con il confronto mentre Lega e Forza Italia attaccano: “Gesto insensato, ritorsione contro il fallito blitz ai danni del ceto medio. I sindacati volevano la patrimoniale”

Sciopero generale Cigil e Uil, Landini: “Siamo disponibili a un dialogo anche prima di scendere in piazza ma servono cambiamenti”

Bollette, no di centrodestra e renziani a Draghi: stop al congelamento del taglio delle tasse ai ricchi per tutelare le fasce più povere

Subito dopo aver proclamato per il 16 dicembre lo sciopero generale contro una manovra “socialmente ingiusta”, Cgil e Uil tendono la mano al governo. Sia Maurizio Landini sia Pierpaolo Bombardieri si dicono pronti al confronto anche in extremis. Il punto è che i due leader riconoscono al premier Mario Draghi di aver perlomeno tentato, sulla riforma Irpef, una mediazione. Proponendo quello che è stato battezzato “contributo di solidarietà” da parte di chi guadagna oltre 75mila euro: in realtà un mini rinvio del taglio Irpef, poco più di 20 euro al mese per quella fascia di reddito, per usare le risorse contro il caro bollette. Nel mirino delle due confederazioni ci sono i partiti che a quella proposta hanno detto no (centrodestra e Italia viva, mentre il M5s si è spaccato ma il ministro Patuanelli in cdm si è espresso a favore). “Draghi su questo è stato brutalmente messo in minoranza dai partiti della sua maggioranza”, ricorda Landini parlando a Repubblica. “Questo è un problema molto serio: in questo Paese la maggioranza che sostiene il governo non sa cosa vuole dire vivere con 20, massimo 30mila euro all’anno“.

Dopo aver sottolineato “l’autorevolezza” che Draghi “ha dato al Paese, il segretario generale della Cgil attacca i partiti che “considerano con fastidio il confronto con i sindacati” e in questo modo “non disconoscono il ruolo dei sindacati bensì quello di lavoratori e pensionati che pagano il 90% dell’Irpef“. Così sul fisco “siamo stati solo informati delle decisioni che avevano già preso, non c’è stata una vera trattativa”. E la riforma messa in campo dal governo come primo tassello della delega fiscale – a sua volta bocciata dall’Ufficio parlamentare di bilancio anche perché presenta “lacune che riflettono l’eterogeneità dell’indirizzo politico” – è “profondamente sbagliata perché anziché ridurre le aliquote andava allargata la base imponibile dell’Irpef e accentuata la progressività del sistema”. L’obiettivo è quello di ”cambiarla: ignora la condizione in cui vive la stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti e dei pensionati e il punto di vista di chi li rappresenta”. E ancora: “C’è giustizia quando il lavoro è sempre più precario? C’è giustizia quando i lavoratori che guadagnano meno producono ricchezza che viene redistribuita agli altri che stanno meglio? C’è giustizia quando le rendite finanziarie continuano ad avere un trattamento fiscale privilegiato? Le faccio un esempio: una commessa di un supermercato che durante questo periodo ha continuato a lavorare, garantendo il servizio anche quando il Paese era in lockdown, non arriva a prendere 20mila euro lordi l’anno, la metà se ha un contratto part time. Ed avrà un riconoscimento fiscale di poco superiore ai 100 euro annui, mentre chi prende tre volte il suo reddito ne riceverà oltre 600

(ndr)

 

10 – COSE ITALIANE. PIER GIORGIO ARDENI*: IL BELPAESE COME SEMPRE DIVISO TRA ITALIANI «LUIGINI» E «CONTADINI» SCENARI. IL 37.8% ARRIVA ALLA SCUOLA MEDIA, IL 28% DEGLI ADULTI È «ANALFABETA DI RITORNO», METÀ DELLA POPOLAZIONE FA LAVORI MANUALI E UN QUARTO LAVORI PRECARI. E CHI NASCE POVERO RESTERÀ POVERO

 

Se il panorama sul Paese fosse quello che un casuale visitatore straniero – di ritorno dopo molti anni – intravedesse dai titoli dei quotidiani di questi giorni decembrini, egli potrebbe passeggiare soddisfatto. Un’Italia in cammino, sotto la guida di un governo «autorevole», di nuovo «locomotiva d’Europa». Ma una lettura appena più attenta di giornali, televisioni e canali web guasterebbe subito la giornata al nostro viaggiatore: stupito, ne avvertirebbe la pochezza culturale e la mediocrità.

LA LANCIA IN RESTA di commentatori e «opinionisti», sempre forbita di offese palesi e intimidazioni, lo farebbe forse trasalire. E riconoscerebbe nei Serra, nei Feltri, nei Gramellini, con le sue «invasioni barberiche», il segno di un Paese che non è più quello d’un tempo. Ma, rivedrebbe altresì nella «mano forte» di norme governative inusitate il segno di qualcosa che, forse, fa parte del patrimonio genetico di questa nazione.

QUEST’ITALIA DI OGGI è forse la prova che anche la storia può tornare indietro. Non la tabula rasa di un cataclisma, non il crollo di una civiltà come fu quello minoico rovesciato dai popoli del mare. Piuttosto, il fermarsi, lasciando andare «in malora» ciò che non funziona, come mettendosi di lato sulla corsia d’emergenza aspettando il carro-attrezzi.

Come quando i barbari invasero la penisola, facendo crollare un impero già fiacco, allorché smisero di funzionare gli acquedotti e i calidari: non perché furono distrutti, ma perché la «macchina» organizzativa, operata dallo Stato, si interruppe.

IL «PROGRESSO» HA SMESSO di essere un traino unificante. Tra devastazione ambientale e emergenze pandemiche, abbiamo smesso di cullarlo come la segreta e sempre affidabile certezza che avrebbe portato un futuro migliore. Ora che anche il «futuro» si è usurato, percepiamo che il mondo attorno a noi si è fatto così fragile che siamo come in attesa che «ci crolli addosso». La ricchezza, il benessere, li vediamo da fuori brillare nelle vetrine di negozi nei quali, però, non tutti possiamo entrare. Ma abbiamo accettato che i felici pochi devono potere godersela anche per gli infelici molti, all’italiana, però. Che le disuguaglianze ci sono sempre state, tanto vale allora avere gli amici giusti. Studiare non serve, purtroppo – se proprio uno è un genio, che ci provi, ma poi non si lamenti se non riesce – che, da che mondo è mondo, dalle nostre parti è sempre contato di più l’entourage che non il talento.

Non sarà più, questo nostro Paese del XXI secolo, quello dei «luigini» e dei «contadini» di Carlo Levi, ma non è poi tanto diverso. I «contadini» – i lavoratori che devono sudarsela, gli intraprendenti, gli umili sottomessi, gli onesti operai e impiegati, finanche gli artigiani con le loro fabbrichette – sono pur sempre la maggioranza.

MA I «LUIGINI» – AMICI dei potenti, figli di buona famiglia, burocrati e canonici, furbi e «spregiudicati» – anche se minoranza, sono ancora lì, con le leve del potere sempre saldamente in mano, proprio come dovette ammettere il povero Ferruccio Parri. Tenendosi buoni quei contadini esausti che pur di sistemare la figlia ne avrebbero accettato il sopruso, secula seculorum. Illustri politologi guardano con orrore ai «no-vax», ai «terrapiattisti», ci fanno sapere che le «fake news» sono un’industria profittevole, ci dicono anche che c’è una «irrazionalità» diffusa. Additano le masse incolte che premono infette alle porte della cittadella del neutro sapere scientifico-tecnologico e della ricchezza condivisa. Non ci dicono, però – quei colti scrutatori del mondo – perché.

EPPURE, BASTEREBBE considerare che il 37.8% degli italiani non va oltre la scuola media, che il 28% degli adulti è «analfabeta di ritorno» e un altro 42% non riesce a elaborare un ragionamento complesso (dati Ocse). Che metà della nostra popolazione è dedita a lavori manuali, ripetitivi, puramente esecutivi. Che un quarto ha un lavoro precario o tira a campare. Che chi nasce povero resterà probabilmente povero. Che chi ha un salario basso a 20 anni, quello avrà a 50. Che chi ha genitori senza titolo di studio superiore, è molto probabile che farà lo stesso. Che anche chi è laureato ma ha il padre che è un onesto travet, non andrà da nessuna parte. Che c’era un mondo in cui alle «masse popolari» era data una prospettiva e che la politica si era incaricata di perseguirla. Che l’istruzione doveva essere strumento di emancipazione per i più. Che tutti dovevano partecipare al «gioco democratico», perché li avrebbe ripagati, che diritti e benefici sarebbero stati via via estesi a tutti.

POI, QUELLA CONVINZIONE è venuta meno, e con essa la fiducia. Il capitale si è mangiato tutto: risorse, diritti, natura. Si è voluto credere che la «crescita» sarebbe stata la marea che avrebbe sollevato tutte le barche, anche quelle bucate. Così, qualcuno è rimasto a galla, molti sono affondati, dando la colpa al «sistema». Finendo per non credere più a niente, tanto meno alla «scienza» che di quel sistema era stata il motore. C’erano partiti, sindacati, associazioni che facevano proseliti, promettendo agli esclusi di sempre che avrebbero sovvertito la storia. Ma anche loro si sono fatti incantare dai loro «luigini», tenendosi buono quel pavido «ceto medio» che non disturba, che visto che non si può accontentare tutti, che almeno quello sia preservato. E oggi guardano al sotterraneo mondo di milioni di «contadini» senza orizzonte come una schiumosa accozzaglia di barbari irrazionali.

* (Professore di economia politica e dello sviluppo – Dipartimento di scienze economiche, Università di Bologna)

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