n°46 -13/11/2021 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

00 – Legge di Bilancio, martedì 16 in Senato: testo e misure.

01 – L’on. La Marca (Pd) ha partecipato a Hamilton al 10° gala annuale per la premiazione dell’eccellenza aziendale Roma, 8 nov 2021.

02 – Schirò (Pd)*: la mini-riforma delle pensioni nella legge di bilancio: gli aspetti critici anche per gli emigrati. Una  “mini riforma” delle pensioni di impatto limitato quella prevista dalla Legge di Bilancio 2022, stroncata dalle parti sociali e da molti esperti della materia.

03 – On. Angela Schirò(Pd): il rapporto Migrantes sugli italiani nel mondo chiama la politica e le istituzioni alle loro responsabilità.

04 – Alfiero Grandi*: legge elettorale: Letta sbaglia, d’Alema ha ragione. Mi dispiace ammetterlo ma credo che Enrico Letta stia sbagliando sulla legge elettorale.

05 – Pierre Haski, CINA *:Xi Jinping vuole riscrivere la storia per consolidare il proprio potere. All’epoca dell’Unione Sovietica esisteva una scienza non proprio esatta chiamata “Cremlinologia”. Il termine indicava l’analisi dei minimi segnali provenienti dal mondo opaco del Cremlino per comprendere l’evoluzione del regime e il suo impatto sul mondo.

06 –  Francesca Sibani ,AFRICA La letteratura africana è il futuro “La letteratura africana è il futuro”, ha scritto Ben Okri, il noto poeta e romanziere nigeriano, in un saggio sul sito Brittle Paper. “Un tempo, per essere considerati parte della letteratura africana, bisognava essere pubblicati nelle collane dedicate agli scrittori africani.

07 – SCIENZA, Antonio Piemontese*: Il mare è il grande assente di Cop26. La denuncia dagli attivisti. E Unesco lavora a una piattaforma per monitorare i flussi di denaro con la blockchain.

08 – Notizie dal mondo, (ndr).

09 –  Alessio Marchionna *: STATI UNITI. Un viaggio epico nella povertà degli Stati Uniti

10 – Jérôme Gautheret*: Il retroscena è un genere tutto italiano. L’elezione del presidente della repubblica si avvicina. Un appuntamento che moltiplica sui giornali articoli fatti di citazioni anonime e supposizioni, scrive Le Monde

 

 

00 – LEGGE DI BILANCIO, MARTEDÌ 16 IN SENATO: TESTO E MISURE. MARTEDÌ 16 NOVEMBRE INIZIA L’ITER PARLAMENTARE DELLA LEGGE DI BILANCIO 2022 IN SENATO: LE PRINCIPALI MISURE APPROVATE DAL GOVERNO E LE PROSSIME TAPPE.

La sessione parlamentare di Bilancio inizierà martedì 16 novembre. Lo indica il calendario dell’aula di Palazzo Madama, comunicato al termine della seduta di giovedì 11 novembre. Sembra esclusa la possibilità che le comunicazioni sul ddl di Bilancio avvengano venerdì 12 novembre, come era stato previsto. In ogni caso, le anticipazioni delineano ormai con una certa precisione i contenuti della Manovra 2022.

Si tratta di una Legge di Bilancio da 30 miliardi, le cui misure fondamentali sono quelle annunciate nelle scorse settimane. Vediamo novità e conferme.

Misure chiave

  • Un “assaggio” di riforma pensioni in forma di potenziamenti (APE Sociale), proroghe (Opzione Donna) e nuove formule (Quota 102 al posto di Quota 100) ma per il solo 2022,
  • un tesoretto da 8 miliardi per il taglio IRPEF, da modularsi in Parlamento,
  • la riforma degli ammortizzatori sociali (con effetti su CIG, NASpI, Dis-Coll e scivoli pensione),
  • proroghe fiscali di largo interesse (detrazioni edilizie e crediti d’imposta 4.0).

Ultime novità

Fra le novità dell’ultima versione del disegno di legge, rispetto alle prime bozze circolate:

  • Opzione Donna – proroga senza innalzamento dei requisiti di età a 60 e 61 anni (resta l’uscita a 58 o 59 anni con 35 anni di contributi al 31 dicembre 2021);
  • Reddito di Cittadinanza – nuovi paletti sulle offerte di lavoro e riduzione del sussidio a fronte di un rifiuto;
  • Detrazioni edilizie con Super bonus fino al 2024 ma con aliquote ridotte e nuova stretta per le villette, Bonus Facciate al 60% e Bonus Mobili da 5mila euro, con la novità della proroga al 2024 per lo sconto in fattura e la cessione del credito sui bonus diversi da quello al 110% (per il quale resta fino al 2025), in parallelo a nuove misure antifrode introdotte con apposito decreto contro le truffe per crediti inesistenti.
  • Nuova Sabatini in un’unica soluzione solo fino a 200mila euro, e nel limite delle risorse disponibili.
  • Bonus Cultura 18enni confermato senza tetti di reddito per la carta acquisti da spendere in beni o servizi culturali, per tutti i neo-maggiorenni residenti in Italia o con permesso di soggiorno.

Altre misure

Fra le altre misure contenute in Manovra ricordiamo quelle per la genitorialità (innalzamento del congedo obbligatorio di paternità strutturale a dieci giorni, agevolazioni per la maternità delle lavoratrici autonome), la proroga degli incentivi Industria 4.0, il rifinanziamento del Fondo di Garanzia PMI, la rimodulazione di alcune misure per la liquidità delle imprese.

L’iter della Manovra

Quanto sopra, costituisce l’impianto del ddl approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 28 ottobre. Ora, dopo un lungo periodo in cui i tecnici hanno lavorato per mettere a punto il testo definitivo, la Manovra inizia l’iter parlamentare. Il calendario del Senato prevede per la seduta di martedì 16 novembre le comunicazioni del presidente sul ddl, che successivamente sarà assegnato alla commissione Bilancio in sede referente. I tempi per l’approvazione (che deve avvenire entro la fine dell’anno per l’entrata in vigore il primo gennaio 2022) sono molto stretti, tanto da rendere probabile la discussione vera e propria, con modifiche, solo a Palazzo Madama ed un passaggio  blindato da voto di fiducia alla Camera.

(Documento programmatico di Bilancio 2022 – MEF https://www.mef.gov.it › IT_DPB_2022 PDF ) In particolare, grazie alle risorse messe in campo con la nuova legge di Bilancio, si potrà attuare la riforma degli ammortizzatori sociali e un primo stadio …60 pagine.

 

01 – L’ON. LA MARCA (PD) HA PARTECIPATO A HAMILTON AL 10° GALA ANNUALE PER LA PREMIAZIONE DELL’ECCELLENZA AZIENDALE ROMA, 8 NOVEMBRE 2021 . L’On. Francesca La Marca, giovedì 4 novembre, ad Hamilton (Ontario), ha partecipato al Canadian Italian Business and Professionals Association of Hamilton-Halton 10th Annual Awards Gala, l’evento nel quale vengono premiati imprenditori e professionisti della comunità italocanadese che si sono distinti nel corso dell’anno.

Esso è anche l’occasione per raccogliere importanti risorse che vengono destinate alla concessione di borse di studio a giovani studenti italo-canadesi di italianistica e di business. I premi coprono diversi settori: Award of Distinction, Community Builder Award, Oggi Young Professional Award, Professional Excellence Award e Business Excellence Award.

Presenti circa 300 esponenti di spicco della comunità, tra cui la Console Onoraria a Hamilton, Susanna Fortino-Bozzo.

Nel corso del suo intervento di saluto, l’On. La Marca, dopo avere ringraziato per l’invito l’attuale il Presidente Paolo Fidanza e il già Presidente David Antonucci, ha manifestato la sua soddisfazione nell’incontrare di nuovo in presenza gli esponenti della locale comunità, dopo la sospensione dello scorso anno dovuta al lockdown.

“Ho da sempre un rapporto di simpatia e di fiducia verso le piccole e medie imprese – ha affermato la parlamentare -, che sono i tre quarti del tessuto imprenditoriale italiano e l’espressione più adeguata della creatività e del coraggio degli italiani. Anche per questo, da parlamentare, è stata sempre una mia costante preoccupazione quella di sostenere e promuovere gli scambi commerciali tra i due Paesi, sapendo che l’Italia rappresenta l’ottavo partner commerciale globale del Canada”.

“Nella mia presenza qui stasera – ha proseguito La Marca – c’è anche un aspetto per così dire egoistico, vale a dire il piacere di rivedere e riprendere i contatti con tanti amici e conoscenti che non vedevo dall’inizio della pandemia. Concludendo, dieci anni sono una pietra miliare per qualsiasi associazione e per questo ho desiderato festeggiare questo traguardo con voi. A tutti i premiati di questa sera le mie più vive congratulazioni e, soprattutto, il mio grazie per tutto quello che fate per rafforzare e migliorare la nostra comunità”.

*(On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. – Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America)

 

02 – Schirò (Pd)*: LA MINI-RIFORMA DELLE PENSIONI NELLA LEGGE DI BILANCIO: GLI ASPETTI CRITICI ANCHE PER GLI EMIGRATI. UNA  “MINI RIFORMA” DELLE PENSIONI DI IMPATTO LIMITATO QUELLA PREVISTA DALLA LEGGE DI BILANCIO 2022, STRONCATA DALLE PARTI SOCIALI E DA MOLTI ESPERTI DELLA MATERIA. 8 Novembre 2021

Osservatori attenti sostengono che è forse mancato il coraggio, e il tempo, di pensare a interventi strutturali e duraturi, come ad un sistema universale e semplificato con le stesse regole per tutti di uscite flessibili, ad esempio dai 65 ai 70 anni, che premi chi va in pensione più tardi e penalizzi chi va in pensione prima. Ci si deve accontentare quindi, almeno per ora, di conferme e piccole modifiche a Quota 100, ad Opzione donna e all’Ape sociale. È previsto inoltre un anticipo pensionistico a 62 anni per i dipendenti delle PMI in situazioni di crisi e l’assorbimento nell’Inps dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani (Inpgi) – e dei loro debiti – per garantire la tutela delle prestazioni previdenziali dei giornalisti vista che gli ultimi bilanci si sono chiusi sempre in rosso.

Quota 100 quindi diventerà (e solo per il prossimo anno, poi si vedrà) Quota 102, sistema  che consentirà ai lavoratori dipendenti di andare in pensione con 64 anni di età e 38 anni di contributi. Un anticipo di 3 anni quindi sulla età pensionabile di vecchiaia che è fissata attualmente (Riforma Fornero) a 67 anni di età sia per gli uomini che per le donne.

I sindacati hanno definito Quota 102 “una presa in giro” visto che coprirà meno di 15.000 persone anche perché molti dei soggetti che potrebbero perfezionare Quota 102 nel 2022 hanno già il maturato il requisito di Quota 100 al 31 dicembre 2021.

Per gli italiani nall’estero Quota 102 potrebbe rivelarsi un miraggio (come avevamo denunciato per Quota 100 d’altronde) visto che il pensionamento (e quindi il pro-rata italiano) è subordinato alla cessazione del rapporto di lavoro – molti italiani residenti all’estero a 64 anni infatti continuano a lavorare e non sarebbero disposti, per ovvie ragioni, a smettere.

Il pensionamento anticipato solo per le donne – “Opzione donna” – perfezionabile anche con totalizzazione dei contributi italiani ed esteri, viene prorogato e modificato. Infatti i nuovi requisiti possono essere maturati entro il 31 dicembre 2021 per ottenere il pensionamento anticipato anche nel 2022. In pratica, chi entro la fine di quest’anno avrà maturato una anzianità contributiva (anche tramite totalizzazione dei contributi esteri) pari o superiore a trentacinque anni e un’età pari o superiore a 60 anni per le lavoratrici dipendenti e a 61 anni per le lavoratrici autonome si vedrà riconosciuto il trattamento pensionistico anticipato, calcolato però con il meno favorevole metodo del sistema contributivo (che ridurrebbe l’importo di circa il 30% con effetti ancor più penalizzanti sul pro-rata italiano in convenzione già notoriamente basso).

Anche per questa misura le parti sociali non condividono l’inasprimento dell’età pensionabile che viene innalzata di due anni rispetto alle regole vigenti e hanno quindi chiesto al governo di mantenere immutata la normativa attualmente in vigore e cioè 58 anni per le lavoratrici dipendenti e 59 per le autonome. Sembrerebbe infatti che il governo nel nuovo testo da inviare al Senato abbia accolto la richiesta.

INFINE L’APE SOCIALE: la misura era sperimentale fino alla fine di quest’anno e viene invece prorogata a fine 2022. Consente il ritiro anticipato di coloro che hanno almeno 63 anni e ricadono in una delle quattro tipologie di lavoratori compresi in questa norma: disoccupati, caregiver, handicap almeno al 74%, mansioni gravose. Ci vogliono 30 anni di contributi, che salgono a 36 per le mansioni gravose, e la residenza in Italia.

I nostri connazionali residenti all’estero sono quindi esclusi da questo beneficio; per gli ex emigrati rientrati è in corso invece un contenzioso per consentire loro di perfezionare il requisito contributivo anche tramite l’utilizzo dei contributi versati all’estero.

Forse consapevoli della necessità di una riforma più strutturale sulle pensioni per accogliere le richieste dei sindacati sul fronte della previdenza,  il Premier Draghi ha evidenziato che il Governo è ancora disponibile (anche in sede di dibattito parlamentare) a un confronto con le parti sociali in materia di misure per la flessibilità in uscita, pur mantenendo fermo l’orientamento generale del sistema contributivo per garantire la sostenibilità della spesa pensionistica a lungo termine. Infatti nel 2023 il ritorno alla legge Fornero in versione integrale diventerebbe automatico se, nel frattempo, non saranno state congegnate nuove forme di flessibilità in uscita.

*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati Piazza Campo Marzio, 42- 00186 ROMA)

 

03 – On. Angela Schiro'(Pd): IL RAPPORTO MIGRANTES SUGLI ITALIANI NEL MONDO CHIAMA LA POLITICA E LE ISTITUZIONI ALLE LORO RESPONSABILITÀ. 11 novembre 2021

“La mobilità in Italia e all’estero è ormai un tratto fondamentale delle strategie di vita degli italiani nel terzo millennio. La tradizione emigratoria che si è radicata nella storia del nostro popolo durante l’ultimo secolo e mezzo, si è trasformata in un dato consolidato e strutturale, una delle forme ineliminabili, ormai, della nostra condizione e delle nostre relazioni.

Il freno della pandemia e le difficoltà intervenute da quasi due anni nei sistemi di mobilità internazionale hanno appena limato questa tendenza, ma non l’hanno modificata, quando tutto faceva prevedere il contrario. Nel 2020, infatti, sono stati 109.000 gli italiani che hanno varcato i confini, contribuendo alla più ampia crescita degli iscritti all’AIRE (166.000 – +3%), l’unica Italia che cresce nel lungo “inverno demografico” che stiamo attraversando. Semmai, alla mobilità in uscita dall’Italia si è aggiunta quella in entrata o meglio in rientro, per il buon numero di connazionali che hanno deciso di tornare per questioni di sicurezza sanitaria, familiare o per perdita del lavoro al seguito della gelata che la pandemia ha provocato sulle economie locali.

È la conferma che è venuta dal consueto appuntamento autunnale con il Rapporto Italiani nel Mondo, che la Fondazione Migrantes ha onorato anche quest’anno, offrendo una riflessione particolare sulla mobilità italiana ai tempi del Covid.

Sono, dunque, sempre più convinta che nella girandola degli spostamenti da un’area a un’altra, da un Paese a un altro e con il crescere dei fattori di crisi e di emarginazione sociale sia indispensabile tenere ferma la barra sui diritti e sulla promozione della cittadinanza attiva delle persone. In Italia si parla giustamente delle tutele sociali e degli ammortizzatori anticrisi per i lavoratori, come premessa necessaria per le politiche di resilienza e rilancio dell’economia. E per gli italiani, di tante condizioni sociali e di tanti mestieri, che sono all’estero o che continuano a partire?

Non solo è stato giusto, dunque, accrescere con un mio emendamento i fondi per l’assistenza estendendoli anche al sostegno delle piccole imprese gestite dagli italiani, ma si dovrebbe intervenire al più presto, come abbiamo proposto di fare con una risoluzione alla Camera da me promossa con convinzione, sulla riattivazione della funzionalità dei consolati che così come sono servono a poco sia per chi all’estero già c’è, sia per chi ci arriva. Non va perso più tempo, poi, per la firma della convenzione tra la rete estera e i Patronati, soprattutto per il sostegno e l’orientamento che essi possono fornire ai nuovi emigrati. E poiché i tre quarti di coloro che sono partiti si sono diretti in Europa e in particolare nel Regno Unito, credo siano giustificate le richieste che ho fatto in questi mesi di un più attento monitoraggio sulla situazione sociale e previdenziale dei connazionali che stanno facendo i conti con la Brexit.

Infine, l’arrivo della legge di bilancio è l’occasione propizia per calibrare meglio da un lato gli interventi a sostegno dei rientri, dall’altro quelli relativi alla formazione, alla preparazione, all’orientamento e al sostegno di coloro che sono comunque indotti o decisi a partire”.

*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42 00186 ROMA – Email: schiro_a@camera.it)

 

04 – Alfiero Grandi*: LEGGE ELETTORALE: LETTA SBAGLIA, D’ALEMA HA RAGIONE. MI DISPIACE AMMETTERLO MA CREDO CHE ENRICO LETTA STIA SBAGLIANDO SULLA LEGGE ELETTORALE.

NATURALMENTE È SUO DIRITTO RINVIARE LA DISCUSSIONE E LE SCELTE SULLA LEGGE ELETTORALE A DOPO L’ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA.

Il punto debole di questa scelta è che se dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica la situazione politica dovesse precipitare verso le elezioni anticipate saremmo costretti a votare con la legge elettorale in vigore, che ha fatto solo disastri e che non soddisfa né i maggioritari ad ogni costo, né tanto meno i proporzionalisti. Ricordiamo sempre che la legge elettorale attualmente in vigore è sostanzialmente un “Rosatellum”. Peggiorato dal taglio dei parlamentari e da una legge che ha adattato il “rosatellum” originario al taglio degli eletti alla Camera e al Senato. Questo adattamento al taglio dei parlamentari segue sostanzialmente i voleri della Lega, ai tempi del Conte 1, quando era in maggioranza. Il Conte 2, seppure con una diversa maggioranza, invece di impegnarsi ad approvare una nuova legge elettorale, ha pensato bene di emanare il decreto del Presidente del Consiglio che dà attuazione alla legge approvata nel maggio 2019 e così il cerchio si è chiuso stabilizzando un “rosatellum” peggiorato.

Senza una nuova legge purtroppo voteremo con un meccanismo elettorale che non piace a tanti ma di cui nessuno per ora avvia seriamente il superamento. Manca la consapevolezza dell’urgenza dei fatti e di cosa vorrebbe dire rischiare il voto con la legge attuale. L’ultimo tentativo fu la proposta di legge dell’on. Brescia del M5Stelle che purtroppo è stata insabbiata rapidamente. Delle modifiche costituzionali che avrebbero dovuto alleggerire i difetti dell’attuale legge elettorale, ad esempio per il Senato dove intere regioni non hanno numeri per un minimo di proporzionalità, non è restato nulla. L’unica modifica approvata porterà si i giovani a votare a 18 anni per il Senato (positivo) ma non potranno però essere eletti, perché la soglia di eleggibilità resta a 40 anni, contrariamente alle promesse fatte.

Se si dovesse andare al voto anticipato, per circostanze imprevedibili, saremmo seriamente nei guai. In ogni caso una buona legge elettorale indurrebbe i partiti a ragionare da subito diversamente.

Al di là dei meccanismi preferiti le ragioni per approvare una nuova legge elettorale sono essenzialmente due. La prima è che la disaffezione verso il voto è arrivata a livelli insopportabili per una corretta vita democratica. Quando più della metà delle elettrici e degli elettori non va a votare vuol dire che la sfiducia è cresciuta a vista d’occhio e che anche il ruolo del Movimento 5 Stelle, che aveva cercato di rappresentare il malcontento e l’antipolitica fino ad ottenere oltre il 32 % dei consensi nel 2018, è crollato. Perfino la destra ha perso nelle elezioni amministrative più per l’astensionismo sui suoi candidati che per i progressi di quelli del Pd e delle variegate coalizioni di alleati. Non è vero che una democrazia funziona anche se l’astensionismo supera i livelli di guardia, perché si aprono vuoti nella capacità di rappresentare il paese che prima o poi portano a guai seri proprio per la qualità della democrazia. Senza rappresentanza crescono le fiammate e le contrapposizioni, anche violente.

La seconda è che se la disaffezione e l’astensionismo crescono oltre i livelli di guardia si rafforza la crisi della rappresentanza delle elettrici e degli elettori, cioè il ruolo del parlamento. Si poteva pensare che ormai la crisi di credibilità del parlamento fosse arrivata al punto più basso. Quando il parlamento accetta di tagliare sé stesso non è un merito, ma solo la conferma che la crisi del suo ruolo è ormai introiettata dai suoi componenti, al punto tale da essere vissuta come inevitabile, dimenticando le responsabilità di altri ben contenti di scaricare sul parlamento.

Con il governo Draghi abbiamo la conferma di quanto era già abbondantemente avvenuto: voti di fiducia, decreti legge a raffica, maxiemendamenti, deleghe al Governo oltre ogni ragionevolezza. Oggi questo sistema è diventato regola su ogni argomento, fino ad arrivare a decreti legge che delegano il governo a decidere, cosa che di solito veniva esclusa in partenza perché contenenti una doppia delega, ma oggi non risulta che i Presidenti delle Camere esercitino il loro grande potere di regolare i lavori parlamentari per escludere modalità decisionali che offendono il ruolo del parlamento. In passato non è stato così.

 

QUINDI IL GOVERNO È SUGLI ALTARI E IL PARLAMENTO È AI SUOI PIEDI, CHIAMATO A RATIFICARNE LE DECISIONI. I RICONOSCIMENTI FORMALI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO AL RUOLO DEL PARLAMENTO SONO POCO PIÙ DI UN CORTESE GALATEO.

Se il parlamento dovesse finire con l’essere considerato non più l’architrave del nostro sistema democratico che la Costituzione gli assegna, ma un organo subalterno al Governo, quando non al Presidente del Consiglio, si aprirebbe inevitabilmente la strada alla modifica della Costituzione stessa. Infatti nella Costituzione americana il presidenzialismo è bilanciato da 2 camere con diversa rappresentanza la cui elezione è del tutto autonoma dal Presidente, in modo da bilanciare i poteri. L’Italia rischia di ridurre progressivamente il potere del parlamento al punto che il Governo non avrebbe più di fronte un potere da cui dipende e che lo controlla, come dovrebbe essere il ruolo del parlamento in Italia. È partendo da queste due preoccupazioni politiche e democratiche di prima grandezza che si deve ragionare di legge elettorale, non per il gusto di discutere dei meccanismi oscuri del potere.

Qui è intervenuta la novità dell’intervista di D’Alema al Corriere che parte da una critica delle ammucchiate elettorali, di un sistema che non funziona, rissoso. Aggiungo che tutte le coalizioni che si sono formate negli ultimi due decenni con leggi elettorali maggioritarie si sono dissolte e non sono mai arrivate alla fine della legislatura. D’Alema aggiunge che negli ultimi 15 anni si sono fatti governi che con le elezioni non c’entrano nulla. D’Alema propone di adottare il sistema elettorale tedesco, che come è noto è proporzionale. Proporzionale al punto che il numero dei parlamentari è mobile, da un minimo di 598 ai 735 di oggi e potrebbe ancora crescere in futuro, per garantire ad ogni costo la proporzionalità della rappresentanza parlamentare.

Il parlamento tedesco si gonfia e si sgonfia, come prevede la legge, per garantire il proporzionale, in Italia abbiamo tagliato la stessa cifra di deputati, senza chiederci quale rappresentanza avremmo avuto dopo e tanto meno che fine avrebbe fatto la proporzionalità.

È una novità di rilievo la posizione di D’Alema che ragiona su cosa non va e su come porvi rimedio, prima che sia troppo tardi. Spingere sul maggioritario ha anche il grave difetto di costringere forze di destra che non sono d’accordo sull’estremismo di Salvini, sul suo sovranismo, che vogliono mantenere un rapporto con l’Europa e che quindi potrebbero esprimere meglio le loro posizioni in un sistema articolato di rappresentanza.

Che senso ha spingere la destra sotto l’egemonia di Salvini?

Che senso ha un meccanismo elettorale come quello italiano che ha portato il nostro parlamento al punto più basso di credibilità, e forse di qualità, in nome di un maggioritario ad ogni costo, mentre la Germania con il suo sistema elettorale affida un ruolo ai partiti. Ruolo che li aiuta a svolgere il loro compito anziché deprimerli con un eccesso di personalizzazione come in Italia e che insieme affida agli elettori un ruolo che li avvicina al voto anziché respingerli, perché gli elettori possono scegliere chi li rappresenta. Dopo, in parlamento, gli eletti troveranno la formula di governo migliore, o almeno possibile, e per questo obiettivo prevedono il tempo necessario per arrivare ad un accordo condiviso liberamente, senza nervosismi e senza l’ubbia di sapere la sera delle elezioni chi governerà, perché sanno che conta di più sapere se lo farà per 5 anni.

Proporzionale e scelta diretta dei parlamentari da parte degli elettori, togliendo il potere di nomina dall’alto ai vertici dei partiti, sono passaggi importanti per ridare ruolo al parlamento, migliorarne qualità ed autonomia degli eletti. Naturalmente non basta. Occorre ridare ruolo ai partiti. Togliere il sistema di finanziamento pubblico è stato un errore, certo va rivisto studiando le altre esperienze europee, Germania in testa, ma la situazione italiana attuale non regge. Così sempre più la politica sarà riservata ai ricchi o da loro influenzata.

In generale occorre attuare L’ARTICOLO 49 DELLA COSTITUZIONE garantendone la democraticità interna, il rispetto delle minoranze e in questo quadro di garanzie occorre individuare le forme di sostegno all’attività politica. Se i partiti non riescono a svolgere il loro ruolo ne risente tutta l’organizzazione della democrazia, il suo funzionamento. Certo D’Alema giustamente invoca una riflessione dei partiti sul loro ruolo, rilanciando prospettive, ideali e perfino ideologie, sdoganando un concetto maledetto. Ha ragione. La sinistra dovrebbe provarci.

La legge elettorale è tuttavia il primo urgente punto di intervento e il tempo per farlo è ora, prima che la situazione sfugga di mano. Dopo restano solo le autocritiche.

*(Alfiero Grandi, è un politico e sindacalista italiano.)

 

05 – Pierre Haski, CINA *:XI JINPING VUOLE RISCRIVERE LA STORIA PER CONSOLIDARE IL PROPRIO POTERE. ALL’EPOCA DELL’UNIONE SOVIETICA ESISTEVA UNA SCIENZA NON PROPRIO ESATTA CHIAMATA “CREMLINOLOGIA”. IL TERMINE INDICAVA L’ANALISI DEI MINIMI SEGNALI PROVENIENTI DAL MONDO OPACO DEL CREMLINO PER COMPRENDERE L’EVOLUZIONE DEL REGIME E IL SUO IMPATTO SUL MONDO.

Oggi accade la stessa cosa a Pechino, dove il vertice del potere è altrettanto opaco. Al posto del Cremlino abbiamo la Zhongnanhai, la sede del potere cinese situata a pochi passi dalla città proibita.

Oggi tutti i “pechinologi” hanno gli occhi puntati sulla sesta assemblea plenaria del Partito comunista cinese, che per quattro giorni riunirà circa 400 quadri dirigenti sotto la direzione del numero uno Xi Jinping. Questo rituale della vita del partito permette di inviare importanti messaggi in un momento segnato dal conflitto sempre più intenso con gli Stati Uniti, dall’aumento delle tensioni su Taiwan, dall’inasprimento politico interno e da un’economia che solleva diversi interrogativi.

Tutto lascia pensare che Xi farà approvare dal partito una “risoluzione sulla storia”. Potrebbe sembrare banale, ma in realtà sarebbe solo la terza volta in cento anni che il partito adotta una simile mozione.

L’assemblea plenaria è destinata a mostrare che non esistono ostacoli sulla rotta del numero uno

La prima volta è accaduto sotto la direzione di Mao Zedong, nel 1945, nel pieno della guerra civile che avrebbe portato i comunisti al potere quattro anni dopo, mentre la seconda è stata nel 1981, sotto la direzione di Deng Xiaoping, padre delle riforme del dopo Mao. La terza sarebbe quella di Xi, che in questo modo si pone sullo stesso piano dei due giganti della storia del comunismo cinese e si impone come centro del potere senza alcuna opposizione.

È un fatto più rilevante di quanto sembri, che va ben oltre il simbolismo e la vanità di un dirigente. Rivendicando il suo posto nella storia, Xi dimostra di conservare un’autorità assoluta sul partito, un aspetto molto significativo in questi tempi burrascosi.

A un anno dal ventesimo congresso del partito, che dovrebbe confermare Xi per un terzo mandato quinquennale nonostante il limite dei due mandati imposto per evitare le derive del potere personale, l’assemblea plenaria è destinata a mostrare che non esistono ostacoli sulla rotta del numero uno.

George Orwell scriveva che “chi controlla il passato controlla anche il futuro”. Il Partito comunista cinese lo ha capito benissimo, come dimostra il fatto che si prende la briga di scrivere e riscrivere continuamente la storia cinese per rafforzare la propria legittimità e la propria mitologia cancellando tutti gli elementi discutibili.

Xi è particolarmente attento a questo aspetto, perché sa che ponendosi sullo stesso piano di Mao e Deng rivendica carta bianca per plasmare il futuro. In possesso di tutti i poteri, Xi li usa per preparare l’esercito e l’economia alla nuova fase storica, in cui promette che la Cina diventerà la prima potenza mondiale.

L’assemblea di Pechino è dunque un momento cruciale di una partita ben più ambiziosa e rischiosa che si gioca su scala mondiale, dove non tutti obbediscono così ciecamente al presidente Xi.

*(Traduzione di Andrea Sparacino, d Pierre Haski, France Inter, Francia).

 

06 –  Francesca Sibani*: AFRICA, LA LETTERATURA AFRICANA È IL FUTURO “LA LETTERATURA AFRICANA È IL FUTURO”, HA SCRITTO BEN OKRI, IL NOTO POETA E ROMANZIERE NIGERIANO, IN UN SAGGIO SUL SITO BRITTLE PAPER. “UN TEMPO, PER ESSERE CONSIDERATI PARTE DELLA LETTERATURA AFRICANA, BISOGNAVA ESSERE PUBBLICATI NELLE COLLANE DEDICATE AGLI SCRITTORI AFRICANI.

Oggi per tutte le migliori case editrici avere uno scrittore africano in catalogo è diventato un must”. Quest’attenzione del mondo editoriale – in particolare di quello anglosassone e francofono – per gli scrittori e le scrittrici del continente è tangibile, e si è tradotta negli ultimi mesi in una valanga di premi molto prestigiosi, in più lingue.

Cominciamo dal francosenegalese David Diop, che quest’estate è tornato a far parlare di sé aggiudicandosi l’International Booker prize grazie alla traduzione in inglese del suo Fratelli d’anima (Neri Pozza 2019), sui soldati senegalesi che combatterono in Europa nella prima guerra mondiale, già premiato con il prix Kourouma e lo Strega europeo. Poi a ottobre è arrivata la notizia che ha acceso un faro su una zona del mondo finora poco battuta dai bibliofili: ad Abdelrazak Gurnah, tanzaniano originario di Zanzibar, è stato assegnato il premio Nobel per la letteratura. Come spesso succede, Gurnah non era tra i favoriti, con grande smacco dei distributori di libri del mondo anglosassone, che avevano a disposizione solo pochissime copie dei suoi romanzi al momento dell’annuncio. Non era conosciuto neanche in Tanzania, come spiega l’opinionista tanzaniana Elsie Eyakuze, né nei paesi arabi, nonostante l’autore e i suoi romanzi facciano parte di un mondo a cavallo tra l’Africa e la penisola arabica.

Dopo Gurnah è stato un crescendo. Il 21 ottobre la mozambicana Paulina Chiziane, che nel 1990 fu la prima donna a pubblicare un romanzo nel suo paese, ha ottenuto il più importante riconoscimento letterario lusofono, il premio Camões (che con i suoi centomila euro è uno dei più ricchi del mondo). Il giorno dopo, al salone del libro di Ginevra, il congolese Blaise Ndala ha vinto il premio Kourouma (destinato a un’opera dell’Africa subsahariana) per il romanzo Dans le ventre du Congo, che racconta del “villaggio congolese” allestito all’Esposizione universale di Bruxelles del 1958, proprio accanto alla neonata struttura dell’Atomium. E poi ancora: lo scrittore senegalese Boubacar Boris Diop, autore tra gli altri di Rwanda. Murambi, il libro delle ossa (edizioni e/0 2004), ha ricevuto il 26 ottobre il prestigioso Neustadt prize 2022, assegnato ogni due anni dalla rivista World Literature Today dell’università dell’Oklahoma. Cinquantamila dollari e una replica di una penna d’aquila rivestita in argento per riconoscere i meriti letterari dell’intera opera di un autore o autrice. Negli stessi giorni in Germania la scrittrice e regista zimbabweana Tsitsi Dangarembga, già vincitrice a giugno del Pen Pinter prize, otteneva il Premio per la pace degli editori tedeschi. Dangarembga era già stata nominata al Booker prize l’anno scorso per il romanzo This mournable body, insieme alla scrittrice d’origine etiope Maaza Mengiste, autrice del Re ombra (Einaudi 2020).

 

RICORDI SEGRETI E PROMESSE

Ma non è finita lì. Il 3 novembre uno scrittore senegalese del 1990 ha vinto il più prestigioso e antico premio letterario di Francia, il Goncourt (appena dieci euro, ma con l’assicurazione di fama e vendite stellari). Mohamed Mbougar Sarr si è imposto con il suo romanzo La plus secrète mémoire des hommes (edito da Philippe Rey, in uscita in Italia per edizioni e/0). È un’affermazione non di poco conto perché Sarr è il secondo più giovane premiato, e il primo originario dell’Africa subsahariana. Il libro è ispirato alla storia dello scrittore maliano Yambo Ouologuem, vincitore nel 1968 del premio Renaudot con un romanzo epocale Le devoir de violence e poi sparito dalla circolazione. Lo stesso giorno, il sudafricano Damon Galgut con il romanzo La promessa (uscito da poco per le edizioni e/0) ha strappato ai concorrenti, tra cui figurava la somalo-britannica Nadifa Mohamed, l’illustre Booker prize. La “promessa” del titolo è quella fatta da una donna bianca nel 1985 di donare alla domestica nera la casa di famiglia, una promessa che nel contesto dell’apartheid è di per sé irrealizzabile. Nel ricevere il premio, Galgut ha commentato: “È stato un grande anno per gli scrittori africani. Accetto questo riconoscimento nel nome di tutte le storie raccontate e non raccontate, degli scrittori e delle scrittrici noti e meno noti dell’incredibile continente di cui faccio parte”.

Nel suo saggio Ben Okri scriveva che la letteratura africana sta conquistando il mondo. E ha avuto ragione. Lo sta conquistando con autori e autrici di grande talento, che spesso hanno avuto la possibilità di formarsi e dedicarsi a questo mestiere all’estero, in Europa e negli Stati Uniti, e che quindi guardano il continente con un certo distacco. Okri parla di una sensibilità “africana”, allo stesso tempo conservatrice, amante della tradizione, e innovativa, dirompente. Oltre a questo sguardo, i narratori e le narratrici africane hanno a disposizione un patrimonio di storie e personaggi da riscoprire e ri-raccontare, come quella dello scrittore maliano reimmaginato nelle pagine scritte con grande verve da Mohamed Mbougar Sarr, o quella dei tirailleurs senegalesi che combatterono per la Francia descritti da Diop, o quella della resistenza delle donne all’invasione italiana dell’Etiopia nel romanzo di Maaza Mengiste. Ma vorrei ricordare anche il tentativo – in realtà non riuscitissimo – fatto dalla zimbabweana Petina Gappah in Oltre le tenebre (Guanda 2020) di raccontare il viaggio della salma dell’esploratore David Livingstone dal punto di vista degli africani che lo accompagnavano. La riscrittura di certi episodi della storia africana spesso porta con sé una critica tagliente del colonialismo, che a Gurnah è valsa il premio Nobel.

“Le storie del sud del mondo mettono in discussione le strutture di potere su cui si basa un mondo che fu costruito con l’imperialismo, con la tratta degli schiavi, il colonialismo e il razzismo che esiste ancora oggi”, ha detto l’autrice Tsitsi Dangarembga in un’intervista alla radio Deusche Welle. In un mondo post pandemico, dei movimenti Black lives matter e MeToo, le fondamenta di quel mondo traballano più che mai. E più che mai, come dice il titolo di un noto romanzo di NoViolet Bulawayo, c’è bisogno di nomi nuovi.

La speranza è che il successo internazionale degli autori e delle autrici africane possa far crescere l’editoria e il numero di lettori anche nel continente. In alcuni paesi, come la Nigeria, il Sudafrica o il Kenya, ci sono settori fiorenti, trainati da case editrici di qualità, autori solidi e riviste letterarie all’avanguardia. Ma in tante altre parti del continente i libri non hanno un pubblico, perché sono troppo costosi o semplicemente non c’è chi li stampa. Elsie Eyakuze nel suo articolo su Gurnah parla anche di censura e di uno stato, quello tanzaniano, intenzionato a non rievocare episodi del passato che potrebbero confliggere con la sua propaganda nazionalista. Essendo originario di Zanzibar e poi andato in esilio nel Regno Unito, Gurnah è un tanzaniano diverso da tanti altri. Vincendo il Nobel, scrive la giornalista, “Gurnah ha fatto un grande favore al nostro paese, e all’Africa in generale. Ha complicato le cose. Ci ha costretto a parlare di chi siamo e di chi non siamo. Di come siamo arrivati qui e di dove vogliamo andare. Dello stato pessimo della nostra letteratura, della memoria, di come viene trasmessa, e della tirannia della storia ufficiale”.

*( Francesca Sibani, giornalista di Internazionale)

 

07 – Scienza, Antonio Piemontese*: IL MARE È IL GRANDE ASSENTE DI COP26. LA DENUNCIA DAGLI ATTIVISTI. E UNESCO LAVORA A UNA PIATTAFORMA PER MONITORARE I FLUSSI DI DENARO CON LA BLOCKCHAIN. GLASGOW – TRANSIZIONE ENERGETICA, TRASPORTI, UGUAGLIANZA DI GENERE, FINANZA. A COP26 SI PARLA DI TUTTO, MA NELLA KERMESSE DI GLASGOW ALL’APPELLO MANCANO GLI OCEANI. ESIGUO IL NUMERO DEI PANEL NELL’AGENDA DELLA CONVENTION SCOZZESE DEDICATA ALL’AMBIENTE. PROPRIO QUANDO I GRANDI LEADER SONO RIUNITI, ATTACCANO LE ONG, MANCA UNA GIORNATA TEMATICA, CHE AVREBBE AVUTO IL POTERE DI CATALIZZARE L’ATTENZIONE DI MEDIA E NEGOZIATORI. E DIRE CHE L’ACQUA RICOPRE TRE QUARTI DELLA SUPERFICIE TERRESTRE.

 

I PROBLEMI DEI MARI

Innalzamento degli oceani, acidificazione, perdita di biodiversità, pesca industriale senza limiti: se quella di Madrid doveva essere la Blue Cop, quella scozzese compie un passo indietro. “Probabilmente si tratta di un fattore culturale, siamo animali terrestri – prova a spiegare a Wired Francesca Santoro, specialista di programma dell’Intergovernmental Oceanographic Commission dell’Unesco.

Santoro è promotrice italiana del Decennio del Mare, un programma Onu per sostenere la ricerca oceanografica a livello globale. Argomenti, prosegue l’esperta, difficili da comunicare fuori dal perimetro degli specialisti, temi che avrebbero meritato ben altra considerazione e il focus, senza precedenti, di questi giorni.

“Devo dire che, negli ultimi anni, si è intravisto qualche segnale positivo, ma raramente a livello di negoziati. Anche perché – sottolinea la ricercatrice – si tratta di questioni che stanno a cuore soprattutto alle piccole isole”, legate alle acque da un rapporto atavico e vitale. Le grandi potenze, dal canto loro, hanno nicchiato.

C’entra, come spesso accade, la geopolitica. “In mare i confini sono molto labili, perché si tratta di linee immaginarie che possono essere facilmente superate”. Definire limiti e linee rosse significa intaccare prassi consolidate, toccare settori industriali su cui si basano economie a volte di sussistenza, quando non proprio compromettere interessi strategici dei governi. La tutela sta diventando una leva negoziale, con i piccoli Stati che promettono impegno a fronte di contropartite economiche. “Va rilevato che sono minuscoli ma numerosi” nota Santoro. Quindi possono contare in un consesso internazionale, se raccolti attorno a posizioni condivise.

Le Nazioni Unite hanno mostrato maggiore attenzione al tema, nominando un abitante di Fiji, il diplomatico Peter Thomson, inviato speciale per l’Oceano e indicendo, nel 2017, per la prima volta una conferenza ad hoc (prossima edizione nel 2022, dal 27 giugno al 2 luglio). La stessa organizzazione ha più volte incentivato la creazione di una blue economy  in grado di unire ragioni economiche e tutela degli oceani. Ma la vetrina di Glasgow, con i politici riuniti in assise, la pressione di media e attivisti e, di contro, l’assenza di una discussione ampia, è senza dubbio un’occasione mancata.

 

BLUE CARBON

Non è solo un problema di agenda che trabocca. “Tra il 50% e l’80% dell’ossigeno che respiriamo è prodotto dagli oceani  – osserva Santoro – Il punto è che di questo si sa davvero poco. Nel G20 si è parlato di piantare mille miliardi di alberi per decarbonizzare. Ottima cosa. Ma le piante marine sono molto più efficienti da questo punto di vista”. La capacità di alcune specie di assorbire CO2 e trattenerla ha un nome, Blue Carbon, e potrebbe diventare una delle nuove frontiere nella lotta contro il cambiamento climatico. Ma la questione ambientale è complessa, e le risposte dipendono in tutto e per tutti dai dati e dalla loro affidabilità. Che in questo caso va costruita.

Bloomberg riporta di una partnership multimilionaria tra il gruppo assicurativo Conve e la Blue Marine Foundation che permetterà ai ricercatori di avere finanziamenti per cinque anni: obiettivo, creare un database ad accesso libero per comprendere quanto carbonio possono immagazzinare i fondali marini. L’Ufficio Nazionale delle Statistiche britannico ha provato a monetizzare, qualche mese fa,  il valore di quelli nazionali: i “natural capital assets” di Londra varrebbero 211 miliardi di sterline, circa 246 miliardi euro. Ora le nuove ricerche potrebbero raffinare gli strumenti per dare un valore all’ambiente, un’area di studio che sta muovendo i primi passi.

 

UNA PIATTAFORMA PER RIGENERARE L’ECOSISTEMA IN MARE

A questo punto è lecito chiedersi se è possibile rigenerare o favorire la crescita dell’ecosistema marino?  “La risposta è senz’altro positiva – chiosa Santoro – L’Unesco sta lavorando a una piattaforma che monitora i comportamenti degli iscritti e propone di compensarli con azioni dirette a ricostituire l’ecosistema marino. Si chiama Save the wave, e vedrà la luce tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio. Consentirà agli utenti di partecipare a un progetto pilota di ripiantumazione della posidonia oceanica in Sicilia, a Palermo”.

 

NON SOLO.

Se una pianificazione accorta è condizione necessaria per non sprecare opportunità, è necessario che il denaro arrivi davvero lì dove ce n’è bisogno. Se l’invito recente di Boris Johnson, Mario Draghi e altri leader a coinvolgere il risparmio privato sarà l’anticamera di un impegno non solo istituzionale, potrebbe arrivare un flusso di denaro senza precedenti. Così, per monitorare i bilanci dei progetti, nei piani dell’Intergovernmental Oceanographic Commission di domani arriverà la blockchain. I flussi di denaro saranno seguiti dall’inizio alla fine tramite un registro condiviso e immodificabile, per garantire che il processo si svolga in maniera trasparente. Non da subito, però: anche in questo caso, si parla del 2022.  Il tema è dibattuto: la blockchain inquina, ammette lo United Nations Climate Change Framework, che ha organizzato Cop26, e  parecchio. Ma, prosegue l’agenzia, può essere utile anche nelle transazioni di rinnovabili e in quelle legate ai crediti di carbonio, una delle strategie su cui si punta per ridurre le emissioni. Costi e benefici che devono essere ponderati.  Come sempre quando ci si confronta con la realtà, e i suoi compromessi.

*(Antonio Piemontese. Giornalista professionista. Laurea in Scienze Politiche, master in Internazionalizzazione di impresa.)

 

08 –  NOTIZIE DAL MONDO , ndr.

AMBIENTE. Il 10 novembre la Cina e gli Stati Uniti, i paesi che emettono più gas serra al mondo hanno annunciato a sorpresa, durante la conferenza delle Nazioni Unite Cop26 a Glasgow, un’intesa per rafforzare la loro “azione climatica”. In una dichiarazione comune Pechino e Washington si sono impegnate a mettere in atto misure forti già in questo decennio per ridurre le emissioni e rispettare gli obiettivi dell’accordo di Parigi.

POLONIA-BIELORUSSIA

Il 10 novembre il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha accusato la Bielorussia di “terrorismo di stato” per la crisi dei migranti alla frontiera tra i due paesi. Varsavia e Bruxelles sostengono che Minsk abbia fatto arrivare migliaia di migranti nel paese, in maggioranza curdi iracheni, per poi spingerli verso l’Unione europea in risposta alle sanzioni contro il regime di Aleksandr Lukašenko. Oggi è prevista una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

SVEZIA

Il primo ministro socialdemocratico Stefan Löfven si è dimesso il 10 novembre, una decisione che aveva preannunciato ad agosto dopo due mesi di tensioni politiche all’interno della coalizione di governo. Sarà sostituito dalla ministra delle finanze Magdalena Andersson, che diventerà la prima donna a capo di un esecutivo nel paese e poi guiderà il Partito socialdemocratico nelle elezioni legislative del settembre 2022.

FRANCIA

Il 10 novembre la corte d’assise di Parigi ha condannato Yacine Mihoub, 32 anni, all’ergastolo per l’omicidio “di carattere antisemita” di una donna di 85 anni, Mireille Knoll, avvenuto nel marzo 2018. Il suo complice Alex Carrimbacus, 25 anni, è stato condannato a 15 anni di prigione per furto aggravato in casa della vittima. Infine, la madre di Mihoub, Zoulikha Khellaf, è stata condannata a tre anni per aver ripulito l’arma del delitto e fatto sparire alcuni oggetti compromettenti. Knoll era stata uccisa con undici coltellate e il suo appartamento era stato incendiato.

THAILANDIA

La corte costituzionale ha stabilito il 10 novembre che gli appelli a riformare la monarchia formulati da tre attivisti durante l’ondata di proteste antigovernative del 2020 “sono incostituzionali e possono essere equiparati a un tentativo di colpo di stato”. I tre attivisti, Panusaya Sithijirawattanakul, Arnon Nampa e Panupong Jadnok, potrebbero essere incriminati per “alto tradimento”.

STATI UNITI

Il 10 novembre un tribunale ha dato l’approvazione finale a un accordo che prevede risarcimenti per 626 milioni di dollari alle vittime della crisi idrica di Flint, uno dei più gravi scandali sanitari nella storia del paese. Tra il 2014 e il 2015 nella città del Michi.

 

09 – Alessio Marchionna *: STATI UNITI. UN VIAGGIO EPICO NELLA POVERTÀ DEGLI STATI UNITI

L’8 gennaio 1964 Lyndon Johnson, che poco più di un mese prima aver preso il posto di John F. Kennedy alla Casa Bianca, lanciò uno dei programmi più ambiziosi che un presidente degli Stati Uniti abbia mai proposto: la “guerra alla povertà”, una serie di leggi per aiutare decine di milioni di indigenti attraverso sussidi, investimenti sulla scuola, creazione di un sistema di welfare e altro. Fece l’annuncio dal portico di una casa di Inez, in Kentucky, dove viveva Tom Fletcher, un operaio disoccupato, con la moglie e i loro otto figli. “Il nostro obiettivo è una vittoria schiacciante”, disse Johnson.

Cinquantacinque anni dopo il fotografo Matt Black è andato a Inez e ha visitato la stessa casa. Oggi ci vive un uomo che si chiama Harold: “A parte la vernice arancione, l’edificio è uguale a come appare nelle fotografie di quel giorno: gradini di cemento, tetto in lamiera, le tendine appuntate alle finestre, il barometro accanto all’ingresso. Sul portico dalle assi imbarcate ci sono due sdraio e un vecchio divano, insieme a un tavolino pieghevole con tre pacchi di sigari, due secchi (uno pieno di lattine e l’altro a metà) e una catasta di legna da ardere. Dentro il linoleum che riveste il pavimento si sta sollevando ed è riattaccato agli angoli con delle puntine da disegno. Harold siede sotto il portico, con indosso un paio di jeans neri, una maglietta azzurra e delle scarpe da trekking. Di Johnson dice: ‘Ci ha mentito, proprio come tutti gli altri’”.

Nel 2015 Black ha cominciato un viaggio che nei cinque anni seguenti lo avrebbe portato a visitare ogni angolo del paese, percorrendo 160mila chilometri attraverso 46 stati. Anche il suo progetto, come quello di Johnson, era enorme: costruire la mappa definitiva della povertà negli Stati Uniti. Il risultato è un libro straordinario, appena pubblicato da Contrasto, che si inserisce in una lunga e ricca tradizione di racconto del disagio e dell’emarginazione: i contadini disperati degli anni trenta raccontati in Furore di John Steinbeck, nelle canzoni di Woody Guthrie e nelle foto di Dorothea Lange; gli afroamericani dell’America segregata degli anni sessanta raccontati da Gordon Parks; gli operai traumatizzati dalla crisi industriale dei primi anni duemila, che compaiono in romanzi come Ruggine americana di Philipp Meyer.

L’obiettivo di Black era percorrere tutto il paese senza uscire da quella fascia socioeconomica che il governo definisce “di povertà concentrata” (cioè le comunità dove almeno un quinto della popolazione vive sotto la soglia di povertà), per dimostrare che negli Stati Uniti la miseria è molto più diffusa di quanto si immagini e, di conseguenza, è anche molto più vicina alle città e ai sobborghi più ricchi del paese. In un periodo in cui i politici occidentali tendono a parlare dei poveri con violenza oppure con retorica – in ogni caso sempre in modo astratto – le fotografie di Matt Black sono come un bagno di realtà.

E CI RICORDANO COME LA POVERTÀ, e le eventuali soluzioni, siano intrecciate ai grandi problemi degli Stati Uniti di oggi. Il carcere e quello che viene dopo, per esempio. Racconta Black in uno dei preziosi taccuini di viaggio che accompagnano le immagini: “Ken è uscito di prigione nel 2014. Non è riuscito a trovare un lavoro stabile, così vive a casa della figlia e dorme sul pavimento della camera da letto del nipote. ‘Prendo 7 dollari e 25 all’ora. Ho 48 anni e il tempo non gioca a mio favore. Quando leggono pregiudicato si girano dall’altra parte. Ovunque, in qualsiasi campo, sono visto come un possibile fallimento. Dicono che ho pagato il mio debito con la società, ma quando sarò davvero libero?”.

O IL DEGRADO AMBIENTALE: “Arnulfo vive in una baracca costruita da sé sulle sponde del New River, un fiume che attraversa il confine con il Messico. Pare che le sue acque siano le più inquinate d’America: la puzza di fogna e sostanze chimiche si sente a decine di metri di distanza. Di tanto in tanto Arnulfo passa il confine con il Messico: ‘Di là sono un uomo ricco, qui sono un senzatetto’”.

O IL PESO STORICO DELLE DISCRIMINAZIONI CONTRO LE MINORANZE. Dalla riserva dei nativi americani a Wind River, in Wyoming: “La riserva esiste da prima della nascita dello stato. La dispersione scolastica è arrivata al 40 per cento. Gli adolescenti hanno il doppio delle probabilità di commettere suicidio. Il tasso di criminalità è sette volte più alto di quello nazionale. La disoccupazione è all’86 per cento. Un uomo mi dice: ‘Siamo prigionieri di guerra. Ci stanno ancora strangolando. Nella cultura della povertà, si fa la guerra per nulla, la gente si litiga la spazzatura’”.

*( di Alessio Marchionna, giornalista, lavora a Internazionale ed è l’editor delle pagine statunitensi)

 

10 – Jérôme Gautheret*: IL RETROSCENA È UN GENERE TUTTO ITALIANO. L’ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA SI AVVICINA. UN APPUNTAMENTO CHE MOLTIPLICA SUI GIORNALI ARTICOLI FATTI DI CITAZIONI ANONIME E SUPPOSIZIONI, scrive Le Monde

Nei quotidiani italiani c’è un genere che negli ultimi anni ha avuto un grande successo, il “giornalismo di retroscena”, il cui obiettivo è raccontare le trattative in corso come se ci si trovasse al centro del potere. Per farlo tutti i mezzi sono buoni. Le citazioni anonime sono la norma, e se non si conosce con esattezza lo svolgimento dei fatti, nulla vieta di ricorrere alla fantasia. Basta un titolo intrigante e il gioco è fatto. I retroscena non seguono le regole delle scuole di giornalismo, a volte sembrano più vicini al romanzo che all’analisi politica. Ma i loro migliori autori danno l’impressione di conoscere nei dettagli le trattative più segrete, e anche se le congetture si rivelassero sbagliate, la lettura non è mai noiosa.

Questo genere discutibile di giornalismo politico ha avuto il suo culmine durante il primo governo Conte (2018-2019), un’alleanza tra il Movimento 5 stelle e la Lega, caratterizzato dall’inesperienza e da una comunicazione frenetica. I due vicepresidenti del consiglio intervenivano più volte al giorno sui social network con dichiarazioni ufficiali e non. Anche i loro consiglieri non erano da meno. La comunicazione del presidente del consiglio era gestita in modo inimitabile da Rocco Casalino, ex protagonista di un reality show.

Appena due anni dopo la fine di questa esperienza atipica, il cambiamento è radicale. Il governo Draghi si caratterizza per una comunicazione precisa e sintetica. Nell’organizzazione creata dall’ex presidente della Banca centrale europea, i capi dei partiti sono tenuti a distanza dal centro del potere e ogni dichiarazione è attentamente studiata. Perciò chi fa più dichiarazioni non ufficiali è anche chi ha meno informazioni dirette.

UN’ALTRA DIMENSIONE

A un certo punto sembrava che l’età dell’oro dei retroscena fosse finita. Le discussioni dietro le quinte continuavano, ma parevano diventate inaccessibili. Tuttavia l’elezione del presidente della repubblica offre nuovi spunti agli appassionati del genere. Il mandato del presidente Sergio Mattarella termina a febbraio del 2022. I componenti delle due camere, insieme ai 58 rappresentanti delle regioni (1.009 grandi elettori ed elettrici in totale) dovranno scegliere un successore. Nei primi tre turni serve la maggioranza dei due terzi, a partire dal quarto turno basta la maggioranza assoluta.

Il presidente della repubblica italiana, il cui mandato dura sette anni, vive nello splendore del palazzo del Quirinale, antica dimora di papi e di re d’Italia. In teoria le sue prerogative sono soprattutto simboliche e protocollari. Ma appena c’è una crisi di governo – e l’Italia non è avara di questo genere di crisi – l’inquilino del colle diventa il protagonista della partita. È lui a dettare il ritmo degli eventi, calmando le acque quando si tratta di individuare una maggioranza, come nella primavera del 2018, o accelerando i tempi, come a febbraio di quest’anno quando si è trattato di nominare Mario Draghi presidente del consiglio. “In passato sono state fatte scelte bizzarre per la presidenza del consiglio, ma mai per il Quirinale. Qui si entra in un’altra dimensione, che richiede personalità di grande statura morale, anche se non sono necessariamente conosciute dal grande pubblico”, spiega un ex senatore di sinistra che ha partecipato all’elezione di Sergio Mattarella nel 2015.

CANDIDATO IDEALE

Una volta noti questi dati iniziali tutti i giochi sono aperti e le strategie di partito sono solo uno dei tanti parametri su cui basare la scelta. In Italia l’elezione del presidente della repubblica è molto simile ai conclavi per eleggere il papa, con la differenza che nel primo caso le indiscrezioni non sono vietate e che nulla impedisce al presidente uscente di ricandidarsi. L’attuale presidente Sergio Mattarella, 80 anni, ha già detto in varie occasioni di voler assaporare le semplici gioie della pensione. Ma né la sua età né i suoi desideri sono sufficienti a eliminare possibili sorprese: il suo predecessore Giorgio Napolitano non aveva forse accettato nel 2013 un secondo mandato quando ne aveva quasi 88? È vero che aveva precisato di non voler arrivare fino alla fine del settennato e che si è dimesso non appena possibile, nel 2015. Ma il precedente esiste e molti politici stanno cercando di convincere Mattarella a continuare per qualche mese, il tempo che il candidato ideale sia libero.

Il candidato in questione (almeno per molti) è l’attuale presidente del consiglio Mario Draghi, che sarebbe stato il grandissimo favorito per prendere il posto di Mattarella se una crisi parlamentare provocata a gennaio da Matteo Renzi non l’avesse portato a guidare il governo.

POLITICA IL GRANDE INCASTRO

“I prossimi tre mesi saranno dedicati al rito politico che più appassiona l’Italia, la madre di tutte le battaglie istituzionali: trovare il successore di Sergio Mattarella, 80 anni, alla guida della presidenza della repubblica”, scrive Daniel Verdú su El País, raccontando come viene eletto l’inquilino del Quirinale.

Il mandato di Mattarella scadrà a febbraio del 2022. “L’incastro è complicato”, prosegue il giornalista, “i nomi vanno da Mario Draghi a Silvio Berlusconi, che già sogna di chiudere la sua carriera alla guida dello stato”. Verdú spiega che la persona che sarà eletta determinerà la linea politica dei prossimi sette anni e anche il termine di questa legislatura, soprattutto se sarà Draghi.

Di solito l’elezione non si conclude entro i primi tre scrutini, quando serve la maggioranza dei due terzi dei grandi elettori per diventare presidente. Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato del Partito democratico, interpellato dal País, spiega: “Questa volta è diverso. Di solito c’era una maggioranza che poteva scegliere da sola. Ma ora, con una maggioranza così eterogenea, servirebbe subito un accordo, per evitare problemi all’esecutivo”.

In caso contrario i partiti non essenziali nelle votazioni successive, dove basta la maggioranza assoluta, potrebbero decidere di vendicarsi ritirando i propri ministri e facendo cadere il governo. “Ecco perché sarebbe importante”, prosegue, “un accordo nei primi tre scrutini”.

“Quasi tutti convengono sul fatto che Draghi è il nome di maggior peso e prestigio per il Quirinale”, scrive El País, “ma molti parlamentari sono preoccupati perché temono che la sua elezione li costringa a elezioni anticipate e a perdere il seggio. ‘Nessuno lo dirà chiaramente. Ma questa variabile pesa enormemente nella decisione’, afferma un deputato del Movimento 5 stelle”.

Il problema è che questa situazione rappresenta per Draghi un ostacolo più che un vantaggio, anche se l’ex presidente della Banca centrale europea svolge il suo compito con innegabile efficienza (e gode di una solida fiducia da parte dell’opinione pubblica). I suoi sostenitori vorrebbero vederlo al governo fino alle prossime elezioni legislative, che dovrebbero svolgersi all’inizio del 2023, per fare in modo che Roma usi nel modo migliore i più di 200 miliardi di euro destinati all’Italia dal Recovery fund europeo, un fondo stanziato per ammortizzare gli effetti della pandemia di covid-19.

Ma se Draghi rinuncerà a presentarsi come candidato al Quirinale e se Mattarella non cederà alle affettuose pressioni di chi gli chiede di rimanere qualche mese in più, la competizione sarà molto aperta. Per ora si svolge soprattutto dietro le quinte. La destra afferma, con un’unità di facciata, che sosterrà la candidatura di Silvio Berlusconi, 85 anni, poco presente sulla scena pubblica dall’autunno del 2020. Questa scelta sembra fatta soprattutto per occupare la scena politica. “I due principali leader della destra sovranista, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, gli fanno credere che la sua elezione sia possibile, e Berlusconi è abbastanza sensibile alle lusinghe per crederci”, osserva tra il divertito e l’incredulo un responsabile del Partito democratico.

Altri nomi come quello della ministra della giustizia ed ex presidente della corte costituzionale Marta Cartabia o dell’attuale commissario europeo Paolo Gentiloni, presidente del consiglio dal 2016 al 2018, ritornano con insistenza nelle varie discussioni dietro le quinte. Ma per chi cerca veramente di candidarsi i proclami pubblici non sono utili e chi segue da tempo le vicende intorno al Quirinale ama ripetere un’espressione molto nota ai vaticanisti: “Chi entra papa in conclave ne esce cardinale”.

*( Jérôme Gautheret, Le Monde, Francia)

 

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