a – LA TRAPPOLA DELL’UOMO FORTE
DRAGHI AL QUIRINALE E DE FACTO ANCHE A PALAZZO CHIGI TRAMITE UN FIDUCIARIO. LA PROVOCAZIONE “SEMIPRESIDENZIALISTA” DEL LEGHISTA GIORGETTI SEMBRA BUTTATA LÌ MA RIENTRA NEL DISFACIMENTO DELLA DEMOCRAZIA PARLAMENTARE. E IL SILENZIO CHE SI È CREATO INTORNO INDICA CHE LA SOLUZIONE NON DISPIACE.
di Gilio Cavalli
Il profumo di presidenzialismo inebriò anche parte del Pd. Eppure è noto che fu un perno del Piano di Gelli.
Non potendo cambiare la Costituzione la calpestano. Intorno l’aria da taumaturgo indispensabile (cavalcata con astuzia e mestiere da Mario Draghi che continua a guidare l’esecutivo con l’aria di quello che partecipa alla riunione del consiglio di amministrazione) fa tutto il resto. L’ultimo in ordine di tempo è il ministro Giancarlo Giorgetti (un ministro che non parla mai della sua delega ma in compenso si spende tutti i giorni sui giornali per avventurarsi negli scenari futuri) che propone un semipresidenzialismo de facto spostando Draghi al Quirinale da Palazzo Chigi (dove andrebbe bene una qualsiasi sua emanazione assolutamente ininfluente) e continuando ad attribuirgli tutti i poteri di un presidente del Consiglio ammantato da presidente della Repubblica. La provocazione di Giorgetti tra l’altro diventa utilissima anche per continuare a bombardare il suo segretario Salvini stritolato nella scomoda posizione di chi non può tradire il governo Draghi ma non può nemmeno lasciare il campo dell’opposizione libero e disabitato a Giorgia Meloni.
Ma la frase di Giorgetti si inserisce in un lento disfacimento del parlamentarismo che ha radici lontane, da quella Prima Repubblica che era tutta Parlamento e partitismo a una Seconda che invece ha tentato tutti i modi di imporre un bipolarismo con la sostanziale nomina diretta (prima della liturgia dell’elezione) del presidente del Consiglio dei ministri. Del resto non è forse vero che in questa nostra (terza?) Repubblica il capo dello Stato ha avuto un’enorme influenza nella composizione della maggioranza di governo, nella nomina del presidente del Consiglio e perfino nel veto ad alcuni potenziali ministri?
Siamo nell’epoca dei governi senza formula politica (governi di scopo, governi di salvezza nazionale, governi tecnici fino a quest’ultimo governo dei migliori) in cui la maggioranza dei partiti sogna di delegare tutte le responsabilità a un elemento terzo, quasi estraneo, per non ritrovarsi nella fastidiosa situazione di dover rendere conto ai propri elettori delle promesse fatte in campagna elettorale. L’uomo forte di una volta ora è stato sostituito dall’alto funzionario o manager in giacca e cravatta che accetta di sedersi sul posto di comando agendo da parafulmine nell’azione politica. Cosa c’è di più comodo di un Mario Draghi da santificare di fronte al Paese nel momento in cui prende decisioni che piacciono per poi additarlo nel momento in cui si allontana dalla propria sensibilità politica? E tutto comodissimo, c’è tutto il tempo di dedicarsi all’attività endogamica di partito lasciando che intanto il Paese vada avanti da sé.
E vero che la proposta di Giorgetti è indecente (e ignorante della Costituzione) e quasi reazionaria ma il silenzio che si è fatto intorno indica chiaramente che la soluzione non dispiace (SERVIVA SOLO UN MATTO CHE LA PRONUNCIASSE PUBBLICAMENTE) ed è difficile non notare nemmeno il silenzio proprio di Mario Draghi. Sento già le obiezioni: «Draghi non è responsabile di quello che dicono gli altri» diranno i camerieri del governo dei migliori eppure non sfugge che Giorgetti sia un ministro di Draghi e che Draghi abbia (benché gli dispiaccia) la responsabilità delle parole che escono dai suoi componenti di governo.
Non sono passati nemmeno troppi anni da quando il profumo di presidenzialismo inebriò anche una parte del Pd (erano Romano Prodi e Matteo Renzi a spingere all’epoca) e il giurista GUSTAVO ZAGREBELSKY in un’intervista al Corriere della sera pronunciò parole che valgono ancora oggi:
“ IL PRESIDENZIALISMO – DISSE ZAGREBELSKY – È UN TEMA TRADIZIONALE DELLA DESTRA AUTORITARIA, CAVALLO DI BATTAGLIA GIÀ DEL MSI, POI CAVALCATO DAL PARTITO DI BERLUSCONI. “, ED È UNO DEI PUNTI CENTRALI DEL PIANO DI RINASCITA NAZIONALE DI GELLI.
Queste cose non si usa dirle più.
Sembrano politicamente scorrette.
Ma la continuità di un’idea della politica che non è nata oggi vorrà pur dire qualcosa. Quelli che a noi paiono pericoli mortali, per loro sembrano opportunità. Invece alla visione e alla pratica della democrazia, secondo la sinistra e secondo la sociologia politica cattolica, quell’idea è stata sempre estranea. Non ricordo chi diceva: “LA DESTRA PROPONE, LA SINISTRA SEGUE; MA SOLO LA DESTRA SA QUEL CHE SI FA”.
Alla proposta di Giorgetti un giornale che dovrebbe essere Repubblica scrive: «Il semipresidenzialismo de facto… sarebbe il frutto di circostanze pratiche, nonché del prestigio indiscutibile di Mario Draghi». Ecco come funziona: la destra chiede l’uomo forte e la sinistra invece lo chiama prestigio ma in fondo è sempre la stessa cosa. E proprio qui dove ogni volta (spesso a vanvera) si urla alla “SOSPENSIONE DELLA DEMOCRAZIA” una proposta del genere non provoca nessuna reazione.
Mentre sullo sfondo Silvio Berlusconi punta al Quirinale (una roba impensabile fino a pochi mesi fa) e trova consenso nella sua aspirazione.
NON È UN BUON TEMPO, NO, PER NIENTE.
IL PRESIDENZIALISMO È UN TEMA TRADIZIONALE DELLA DESTRA AUTORITARIA, CAVALLO DI BATTAGLIA DEL MSI e DELLA P2.
b) –Giovanni Russo Spena*: CORTOCIRCUITO PERICOLOSO. ECCO PERCHÉ DIETRO LA PROPOSTA DI GIORGETTI C’E’ UNO STRAVOLGIMENTO DELLA COSTITUZIONE
La miseria della politica nazionale sta indebolendo, nelle sue scelte quotidiane, i fondamenti dello Stato democratico e la centralità costituzionale del Parlamento. Vi sono, certo, al fondo le ragioni strutturali del neoliberismo; ma anche l’opera quotidiana di distruzione delle formazioni costituzionali intermedie che ha abbattuto i partiti, i sindacati e inaridito i canali della rappresentanza. La politica è egemonizzata dalla torsione tecnocratica (IL GOVERNO DEI “MIGLIORI”). Qui nasce la proposta, incostituzionale, del ministro Giancarlo Giorgetti sul tema della collocazione del presidente del Consiglio, Mario Draghi. Non è un semplice ghiribizzo personale. È grave la proposta di Giorgetti: Draghi capo dello Stato e, insieme, capo del governo attraverso un suo fiduciario/fantoccio. Essa, innanzitutto, stravolge figura e funzione del capo dello Stato. L’articolo 87 della Costituzione è chiarissimo: «IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA È IL CAPO DELLO STATO E RAPPRESENTA L’UNITÀ NAZIONALE». Non può, quindi, essere, direttamente o indirettamente, capo del governo, cioè di una parte. E vero, come sostiene larga parte della cinica stampa, che vi sono stati capi dello Stato che hanno dilatato, di fatto, i propri poteri. Ciò è successo, appunto, in fasi di debolezza della politica. E accaduto con Cossiga (e io fui tra i parlamentari che lo denunziarono per attentato alla Costituzione); è accaduto con Napolitano, dopo il “PASTICCIACCIO” nei confronti di Prodi. Ma, anche in questi casi, si trattava di presidenti che “promulgavano”, non che governavano (neanche per interposta persona).
Ma quale è il punto, uscendo dalle ipocrisie?
Settori sempre più ampi della politica (anche di centrosinistra) puntano ad una riforma costituzionale vera e propria introducendo una forma di semipresidenzialismo, con un’ampia maggioranza parlamentare correlata a leggi elettorali maggioritarie. Anche in vista dello smembramento dello Stato repubblicano, con le “AUTONOMIE DIFFERENZIATE”, il disegno è quello di affidare il Paese ad un “premier” eletto direttamente come presunto elemento unificante contro la frammentazione. Niente di nuovo sotto il cielo: Left ne parla da un anno. Vengono connessi malesseri e spaesamenti sociali a involuzioni istituzionali. Tanto più, nell’attuale complesso contesto, sarebbe un cortocircuito pericoloso quello dell’uomo solo al comando. Una illusione autoritaria: l’assolutismo istituzionale non reca con sé nemmeno la “stabilità” tanto pretesa dai mercati. I conflitti non si cancellano. Anzi, rischiano di assumere forme non lineari, contorte, a volte torbide; proprio per l’assenza della intermediazione istituzionale. Credo che, invece, occorra “ripristinare” ed esaltare, come è nello spirito della Costituzione, la forma di governo parlamentare, soprattutto con una buona legge proporzionale.
L’ASSOLUTISMO ISTITUZIONALE NON PORTA CON SÉ LA “STABILITÀ” TANTO PRETESA DAI MERCATI. I CONFLITTI NON SI CANCELLANO.
*( Giovanni Russo Spena, è un politico e accademico italiano, a lungo militante nei partiti della sinistra radicale.)
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