01 – Segreteria Deputate PD Estero*: commissione esteri: risoluzione del partito democratico per il miglioramento dei servizi consolari per i cittadini all’estero e le imprese.
02 -L’on. La Marca (Pd)*, incontra l’ambasciatore italiano in Canada in occasione della prima visita ufficiale a Toronto.
03 – In piazza a Milano e Roma per i diritti. La mobilitazione in risposta all’affossamento in Senato del Ddl Zan, la proposta di legge contro l’omotransfobia. Almeno diecimila persone sono scese in piazza all’Arco della Pace, a Milano, per protestare contro l’affossamento del ddl Zan in Senato
04 – Gli Stati Uniti rilasciano il primo passaporto con l’indicatore di genere “X”.
05 – Scienza*: Un’app italiana è stata scelta dall’Onu come manuale di vita sostenibile. Si chiama AWorld, è stata selezionata dalle Nazioni Unite in vista di Cop26 e prova a guidarci nelle piccole scelte quotidiane per affrontare la crisi climatica
06 – Giovanni Paglia*: La sinistra non sia conservatrice dell’Italia diseguale. Agenda Draghi. La sinistra non può diventare conservatrice nell’Italia di oggi, adeguarsi alla cosiddetta Agenda Draghi, schierarsi dalla parte dei due terzi che hanno ancora qualcosa da difendere e rinunciare a rappresentare gli interessi e le aspirazioni di chi galleggia o affonda.
07 – The Hindu, India*: Sul clima gli annunci non servono La democrazia è una lotta. Nei prossimi giorni le delegazioni di almeno 120 paesi si ritroveranno a Glasgow per la 26a
conferenza delle Nazioni Unite sul clima .
08 – Da Parigi a oggi: la strada che ha portato alla Cop26
01 – Segreteria Deputate PD Estero*: COMMISSIONE ESTERI: RISOLUZIONE DEL PARTITO DEMOCRATICO PER IL MIGLIORAMENTO DEI SERVIZI CONSOLARI PER I CITTADINI ALL’ESTERO E LE IMPRESE
“La situazione dei servizi consolari per i cittadini e le imprese versa ormai in una situazione preoccupante e non più sostenibile. Sono in discussione i diritti di cittadinanza dei nostri connazionali nei rapporti con la pubblica amministrazione e la possibilità di sostenere in modo efficiente ed adeguato la ripresa dei nostri interessi nazionali in ambito internazionale.
Anche su questo versante la pandemia ha prodotto i suoi effetti deleteri, che si sono cumulati con limiti e carenze strutturali, ad iniziare dalla drastica diminuzione del personale, determinati dalle politiche di contenimento finanziario dell’ultimo quindicennio.
IL PD, negli anni scorsi, si è fatto carico a livello parlamentare e di governo della ripresa delle assunzioni di personale, per fare fronte al blocco del turnover.
Ora assume l’impegno, anche in vista della prossima legge di bilancio, di promuovere uno sforzo ulteriore presentando nella Commissione esteri della Camera una risoluzione volta a impegnare il Governo ad adottare un piano straordinario di emergenza per riattivare la piena funzionalità degli uffici e riassorbire gli arretrati e ad avviare un programma di medio termine per consentire che la rete estera possa assolvere in modo efficiente e dinamico ai suoi compiti di istituto.
La risoluzione, frutto di un impegno diretto delle deputate Angela Schirò e Francesca La Marca e sottoscritta dalla Capogruppo PD in Commissione esteri, on. Lia Quartapelle, dovrà essere al più presto calendarizzata allo scopo di costituire la base di un impegno duraturo per adeguare il sistema dei servizi consolari alla domanda dei cittadini all’estero e alle esigenze delle nostre imprese impegnate in un percorso di internazionalizzazione.
Si tratta di una proposta per altro aperta al confronto e alla collaborazione degli altri gruppi parlamentari, oltre che a una costruttiva interlocuzione con il Governo.
Siamo di fronte a un problema delicato che attiene ai diritti di cittadinanza di oltre sei milioni di persone e al sostegno degli interessi nazionali. Per questo chiamiamo tutti a un costruttivo dialogo e a una comune responsabilità”.
RISOLUZIONE SUI SERVIZI RESI DALLA RETE ESTERA AI CITTADINI E ALLE IMPRESE
La III Commissione
Premesso che:
– I servizi consolari resi ai cittadini all’estero e alle imprese rappresentano una risposta dovuta
ai diritti di cittadinanza degli italiani all’estero e un importante fattore di sostegno e di
impulso per la proiezione del Sistema Paese in ambito globale;
– La rete estera nei primi lustri del nuovo secolo si è dovuta misurare con processi profondi e
dinamiche di cambiamento, quali la costante espansione della presenza dei cittadini italiani
all’estero e il progressivo incremento del commercio con l’estero, soprattutto nei settori vitali
del made in Italy, che ne hanno messo a dura prova la capacità di rispondere con efficacia a
una domanda crescente e differenziata, sia sul piano degli adempimenti amministrativi che
di quello delle funzioni promozionali;
– La presenza all’estero degli italiani di cittadinanza, infatti, che nel 2006, all’entrata in
funzione della circoscrizione Estero, ammontava a 3.106.251, a distanza di 15 anni supera
formalmente i 5,5 milioni (+76,6%) e, secondo i più attendi bili dati delle anagrafi consolari,
sarebbe raddoppiata, superando ormai i 6,2 milioni;
– Alla crescita quantitativa della platea degli utenti si aggiunge l’attribuzione alla rete consolare
di nuove funzioni rispetto a quelle tradizionali, sia di natura amministrativa in conseguenza
di una progressiva articolazione delle normative e delle regolamentazioni, sia di natura
promozionale;
– In attuazione del decreto-legge 21 settembre 2019, n. 104, convertito con modificazioni dalla
legge 18 novembre 2019, n. 132, sono state trasferite al MAECI importanti funzioni relative
alla internazionalizzazione delle imprese, in precedenza di competenza del MISE, e nello
stesso tempo rafforzate le strategie volte all’incremento del turismo culturale, della ricerca in
ambito internazionale, del turismo delle radici e del turismo enogastronomico, affidate e/o
coordinate dalle strutture estere del MAECI;
– Questi processi espansivi non hanno avuto una risposta organizzativa e funzionale adeguata
a causa della crisi finanziaria ed economica di rilevanti proporzioni del 2007-2008 e del
condizionamento dei cogenti impegni europei, che hanno indotto ad adottare una linea di
risanamento e contenimento finanziario, concretizzatasi in politiche di spending review. In
concreto, essa si è tradotta per il sistema dei servizi erogati dalla rete estera nella riduzione
delle sedi distribuite sul territorio (consolati, agenzie consolari, Istituti di cultura, ecc.) e nella
persistenza per oltre un decennio del blocco del turnover del personale del MAECI;
– A fronte di una presenza di connazionali distribuita in 236 Paesi del mondo, nel 2015 sono
state chiuse quasi una cinquantina di strutture, di cui 36 sedi consolari, e quattro anni più
tardi erano cancellati 27 uffici consolari onorari, tra agenzie, consolati e viceconsolati, sia
pure molti dei quali residuali e inattivi;
– Nello stesso tempo, per quanto riguarda il contingente del personale, dal 2009 al 2019 la
pianta organica per le sole aree funzionali si è ridotta da 3.657 unità a 2.575 (-29,5%), con un
conseguente innalzamento dell’età media (56 anni) e maggiori difficoltà a trasferirsi
all’estero, soprattutto in aree geografiche lontane, spesso insicure sotto il profilo delle
condizioni ambientali;
– Al fine di contenere questo andamento, a seguito delle autorizzazioni ottenute nel 2018, la
Farnesina ha avviato le procedure concorsuali per l’assunzione di 177 funzionari
amministrativi e consolari nel biennio 2018-2019 e di 44 funzionari appartenenti all’area
della promozione culturale (assunti nel 2020), ai quali sono da aggiungere ulteriori 100 unità
di personale della terza area, autorizzate con la legge di bilancio 2019, e 200 unità di seconda
area;
– Le procedure di selezione delle 177 unità di funzionari amministrativi e consolari, ampliati a
277, si sono concluse solo nel corso del 2020, anche a causa della emergenza sanitaria in atto,
con conseguente rinvio delle relative assunzioni al 2021. Queste immissioni nei ruoli e la
prospettata assunzione delle unità di personale di seconda area, una volta conclusi i concorsi,
saranno tuttavia appena sufficienti a compensare le previsioni di quiescenza del medesimo
biennio;
– Di fatto, ad oggi, parrebbe che, rispetto a una ‘lista dei movimenti’ aperta di 400 posti in
organico da riempire, di cui 248 riferiti alla III area funzionale, solo 87 possono essere
ricoperti nel giro dei prossimi mesi, mentre per gli altri si possono fare solo discorsi di
prospettiva. È da tenere presente, inoltre, che solo i due terzi circa degli incarichi onorari
riconosciuti sono attualmente ricoperti;
– Negli ultimi anni, l’Amministrazione, per fare fronte a questa situazione di emergenza, ha
fatto ricorso in misura crescente a personale a contratto reclutato localmente, ma nel 2020
tale aumento di contingente (3.000 unità) ha subito un arresto, superato per il 2021 con un
nuovo aumento, previsto dalla legge di bilancio, pari a 80 unità. Tale necessaria e utile
soluzione, tuttavia, si presenta con caratteri parziali in quanto vi sono alcune funzioni
pubbliche che non possono essere affidate integralmente a personale reclutato localmente,
ad esempio in materia di riconoscimento della cittadinanza, di rilascio di passaporti, di
documenti di stato civile e visti, nonché di gestione del bilancio e del patrimonio delle sedi;
– Da oltre un decennio si sono sviluppati contatti e incontri con gli organismi rappresentativi
dei Patronati operanti all’estero per giungere alla definizione di una Convenzione volta a
definire protocolli di collaborazione nella fase istruttoria delle pratiche, che sarebbero di
grande sollievo per gli uffici consolari, senza pervenire tuttavia alla sottoscrizione della
Convenzione, nonostante si sia da tempo arrivati a un accordo su un testo condiviso;
– La limitazione dei contatti in presenza negli uffici consolari, dovuta alla pandemia, ha
richiamato l’esigenza di uno sviluppo più accelerato e diffuso dei programmi di
digitalizzazione in corso di realizzazione, soprattutto per quanto riguarda il sistema di
prenotazione, la distribuzione della carta di identità elettronica (CIE) e la possibilità di
acquisire lo strumento di identità digitale SPID come veicolo di accesso a distanza a una
pluralità di servizi amministrativi. Le criticità riscontrate in particolare sotto il profilo
dell’efficienza dei servizi di prenotazione, dei tempi di distribuzione delle CIE e del
compimento dall’estero delle procedure previste per l’acquisizione dello SPID non hanno
finora consentito di registrare sensibili miglioramenti nell’erogazione dei servizi ai cittadini
e alle imprese;
– Le ricadute sul funzionamento della rete estera delle misure di prevenzione della pandemia,
adottate dalle autorità locali e dal MAECI, di fatto hanno fortemente aggravato lo scompenso
dell’erogazione dei servizi rispetto alla domanda, determinando in tutte le aree continentali
un prolungamento dei tempi di attesa e di conclusione delle pratiche e generando arretrati
che si stanno cumulando con quelli ‘storici’, non solo nelle realtà dove questo fenomeno si
era stabilizzato e cronicizzato nel tempo;
– Sul piano degli interventi, dunque, è necessario e urgente prevedere un’iniziativa di
emergenza volta, come primo passo, a riportare il sistema dei servizi a un’ordinaria
funzionalità, in una prospettiva di riequilibrio strutturale delle risorse finanziarie, umane,
organizzative e tecnologiche da destinare alla rete estera, in una logica di sistema che porti
ad azionare, sia pure con la gradualità dettata dalle compatibilità con il bilancio dello Stato e
con quello del MAECI, le leve necessarie all’efficientamento della rete in modo coerente e
armonico, senza limitarsi ad azioni parziali, disorganiche ed episodiche;
Impegna il Governo:
– a definire e rendere operativo, con l’urgenza che la situazione richiede, un intervento
straordinario di emergenza volto a:
1) rafforzare la dotazione di personale nelle situazioni in cui si manifestino le maggiori
difficolta, a tale scopo utilizzando l’avanzo relativo all’indennità di servizio maturato per
l’impossibilità di assicurare, a causa della pandemia, il normale avvicendamento all’estero
e il previsto aumento delle presenze medie, nonché prevedendo nella legge di bilancio il
ricorso a risorse aggiuntive per il prossimo triennio per potere corrispondere, previo
allargamento della pianta organica riferita ai posti all’estero, le indennità di servizio
all’estero previste dall’art. 170 del Decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967,
- 18.
2) assicurare nell’immediato l’immissione di quote di personale a contratto aggiuntivo e il
potenziamento delle dotazioni informatiche e delle altre dotazioni strumentali, necessari
per riassorbire l’arretrato che si è accumulato nelle sedi, anche a tale scopo prevedendo
nella prossima legge finanziaria risorse adeguate e specifiche;
3) favorire un livello più equilibrato ed equo nella retribuzione del lavoro degli impiegati a
contratto locale, prevedendo, nel primo provvedimento utile un contributo adeguato a
correggere le sperequazioni salariali tra i contrattisti, finora solo in parte compensate dai
provvedimenti già operanti;
– Ad assumere, in una prospettiva di più lungo periodo, da avviare in ogni caso con la legge di
bilancio per il 2022 e per il triennio 1922-’24, un programma di riorganizzazione e riforma
della rete estera che tenga conto delle seguenti esigenze:
1) Inserire la riorganizzazione e il potenziamento della rete estera nei programmi di riforma
della pubblica amministrazione e di promozione della transizione digitale, obbiettivi che il
Governo e la maggioranza che lo sostiene perseguono nel quadro del PNRR;
2) Prevedere per ciascuna annualità del prossimo triennio le autorizzazioni di spesa e di
modifica del tetto degli specifici contingenti per procedere a un numero di assunzioni,
soprattutto nelle aree funzionali, adeguato a colmare i vuoti delle attuali piante organiche
e a reintegrare gradualmente, almeno in parte, la drastica riduzione di personale che si è
determinata nell’arco dell’ultimo decennio a causa del blocco del turnover;
3) Considerare il contingente dei 3080 contrattisti un elemento di natura strutturale nel
quadro funzionale del MAECI, da consolidare mediante un più equo trattamento retributivo
che tenga conto della variabilità del mercato locale e del costo della vita, la valorizzazione
del merito e la concessione di premialità in rapporto ai risultati, la possibilità di accedere a
percorsi di professionalizzazione qualificata, l’opportunità di immettere in ruolo una quota
di tale personale, previa modifica della dimensione del contingente e mediante concorso per
titoli ed esami, alla luce dell’esperienza realizzata per i lavoratori a contratto di
cittadinanza italiana con la legge 21 dicembre 2001, n. 442.
4) Cogliere l’occasione della pandemia per dare un reale impulso ai processi di
digitalizzazione, incrementando nell’immediato la distribuzione delle CIE anche al di fuori
del perimetro europeo, semplificando le procedure per l’utilizzazione del Fast.it per la
fruizione dei servizi consolari anche da parte di utenti di ordinaria alfabetizzazione digitale,
e cercando di superare le persistenti problematiche che rendono ancora molto difficile per
un residente all’estero il completamento delle procedure per l’acquisizione dello SPID. Si
sollecita, infine, una riconsiderazione dell’operatività della piattaforma Prenota online,
prevedendo quantomeno il contemperamento del sistema elettronico con quello a
interlocuzione personale;
5) Utilizzare in modo più efficace la rete onoraria di cui l’amministrazione all’estero dispone,
in particolare nelle circoscrizioni di ampie dimensioni, nelle quali essa può dare un sostegno
reale ai connazionali per l’espletamento di alcuni servizi di base e concorrere a
decongestionare la pressione sugli uffici consolari, impegnandosi a dare esecuzione alle
indicazioni contenute nella risoluzione n. 7/00629 del 05/05/2021, approvata dalla
commissione Esteri della Camera;
6) Valorizzare il ruolo di sussidarietà che i Patronati operanti all’estero possono assolvere sul
piano dell’istruzione delle domande di servizi, nei limiti e con le modalità fissate all’art. 11
della legge di riforma 30 marzo 2001, n. 152, procedendo alla sottoscrizione della
Convenzione MAECI-Patronati, rimasta in sospeso dopo ripetuti e approfonditi confronti
tra le parti interessate.
*( Luciano Vecchi (Responsabile PD Mondo), Lia Quartapelle (Capogruppo PD Commissione Esteri della Camera), Angela Schirò (Ripartizione Europa), Francesca La Marca (Ripartizione Nord e Centro America)
02 -L’ON. LA MARCA (PD)*, INCONTRA L’AMBASCIATORE ITALIANO IN CANADA IN OCCASIONE DELLA PRIMA VISITA UFFICIALE A TORONTO.
Lunedì sera a Vaughan, Ontario, si è svolta la prima visita ufficiale a Toronto del nuovo capo della diplomazia italiana in Canada, Ambasciatore Andrea Ferrari che, in occasione di un ricevimento organizzato dal National Congress of Italians in Canada, ha incontrato la comunità italiana residente a Toronto e dintorni.
Erano presenti numerosi rappresentanti della articolata comunità italiana dell’Ontario: i componenti del COMITES di Toronto, i consoli onorari, rappresentanti politici di varie istituzioni, compresi alcuni ministri locali, operatori dei media, rappresentanti dell’ENIT, dell’ICE, della Camera di commercio italiana dell’Ontario e numerosi altri.
Nel suo intervento, l’Ambasciatore ha detto di avere potuto conoscere in questi primi mesi di permanenza in Canada una comunità italiana consolidata e variegata, che ha saputo integrarsi nelle molteplici pieghe della società canadese. Ne è una testimonianza, per altro, il livello ragguardevole di successo raggiunto da molti suoi esponenti nei campi più diversi, da quello economico a quello culturale, dalla comunicazione alle rappresentanze istituzionali. Una comunità che, nonostante il suo elevato livello di integrazione, mantiene rapporti vivi con l’Italia e contribuisce non poco agli eccellenti rapporti tra i due Paesi.
A commento dell’indirizzo di saluto dell’Ambasciatore, l’On. La Marca ha espresso apprezzamento e soddisfazione per le sue parole, ripromettendosi di collaborare nel prossimo futuro con il capo della diplomazia italiana per affrontare i maggiori dossier che interessano la nostra comunità.
*(On./Hon. Francesca La Marca, Ph. D. Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America)
03 – In piazza a Milano e Roma per i diritti. LA MOBILITAZIONE IN RISPOSTA ALL’AFFOSSAMENTO IN SENATO DEL DDL ZAN, LA PROPOSTA DI LEGGE CONTRO L’OMOTRANSFOBIA. ALMENO DIECIMILA PERSONE SONO SCESE IN PIAZZA ALL’ARCO DELLA PACE, A MILANO, PER PROTESTARE CONTRO L’AFFOSSAMENTO DEL DDL ZAN IN SENATO.
I manifestanti hanno cantato «Bella Ciao» e «We Shall Overcome», lo storico inno del movimento . dei diritti civili statunitense. La manifestazione era promossa da Arcigay Milano, I Sentinelli di Milano e il Coordinamento Arcobaleno. Anche a Roma, nella «gay street» di San Giovanni in Laterano, a centinaia si sono ritrovati con le bandiere arcobaleno per far sentire la propria voce.
04 – Reuters. GLI STATI UNITI RILASCIANO IL PRIMO PASSAPORTO CON L’INDICATORE DI GENERE “X”. REUTERS WASHINGTON, 27 ottobre – Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha dichiarato mercoledì di aver rilasciato il primo passaporto americano con un indicatore di genere “X”, progettato per dare alle persone non binarie, intersessuali e non conformi al genere un indicatore diverso da maschio o femmina sul loro documento di viaggio, secondo una dichiarazione.
Il segretario di Stato Antony Blinken ha annunciato a giugno che l’indicatore X sarebbe stato offerto come opzione sui passaporti, dopo altri paesi tra cui Canada, Germania, Australia e India, che già offrono un terzo genere sui documenti.
Il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha dichiarato in una dichiarazione che gli Stati Uniti si stanno muovendo verso l’aggiunta dell’indicatore di genere “X” come opzione per coloro che richiedono passaporti statunitensi o rapporti consolari di nascita all’estero.
Price non ha identificato il titolare del primo passaporto di genere “X”, ma l’organizzazione per i diritti civili Lambda Legal ha affermato che il suo cliente Dana Zzyym era il destinatario.
“Sono quasi scoppiato in lacrime quando ho aperto la busta, ho tirato fuori il mio nuovo passaporto e ho visto la ‘X’ stampata audacemente sotto ‘sex'”, ha detto mercoledì in una dichiarazione Zzyym, un veterano intersessuale e non binario della Marina degli Stati Uniti. “Ci sono voluti sei anni, ma avere un passaporto preciso, uno che non mi costringa a identificarmi come maschio o femmina ma riconosca che non sono né l’uno né l’altro, è liberatorio”.
Zzyym, che usa pronomi di genere neutro “loro”, “loro” e “loro”, è nato con caratteristiche sessuali ambigue. Lambda Legal ha affermato nella dichiarazione che Zzyym ha subito diversi “interventi chirurgici irreversibili, dolorosi e non necessari dal punto di vista medico” dopo che i loro genitori hanno deciso di allevarli da ragazzo.
Dopo aver prestato servizio nella Marina degli Stati Uniti e aver frequentato la Colorado State University, Zzyym ha capito che erano nati intersessuali, secondo la dichiarazione.
Le precedenti richieste di passaporto di Zzyym sono state respinte in quanto richiedevano al richiedente di selezionare “maschio” o “femmina” come indicatore di genere.
“Quando ti viene negato l’accesso ai posti, ti senti come una prigione”, ha detto Zzyym in un’intervista televisiva mercoledì. “Mi piacerebbe davvero fare una battuta di pesca in Costa Rica o in Messico o qualcosa del genere… Quindi è un po’ come il mio primo sogno”.
Reportage di Simon Lewis a Washington e Maria Caspani a New York Report aggiuntivi di Mana Rabiee a Washington Montaggio di Steve Orlofsky e Matthew Lewis
I nostri standard: i principi di fiducia di Thomson Reuters.
05 – Scienza*: UN’APP ITALIANA È STATA SCELTA DALL’ONU COME MANUALE DI VITA SOSTENIBILE. SI CHIAMA AWORLD, È STATA SELEZIONATA DALLE NAZIONI UNITE IN VISTA DI COP26 E PROVA A GUIDARCI NELLE PICCOLE SCELTE QUOTIDIANE PER AFFRONTARE LA CRISI CLIMATICA
Un’app per guidarci verso comportamenti sostenibili, specialmente in vista della conferenza sul clima delle Nazioni Unite, Cop26. Si chiama AWorld, l’ha messa a punto l’omonima startup italiana e l’Onu l’ha selezionata come applicazione ufficiale a supporto della campagna ActNow contro la crisi climatica. L’app e la campagna si trovano d’altronde a meraviglia: la seconda punta proprio a promuovere le piccole azioni quotidiane, quelle che ciascuno di noi può mettere in pratica nella sua vita di tutti i giorni. “Ognuno di noi può aiutare a limitare il riscaldamento globale e prendersi cura del nostro pianeta – spiegano le Nazioni Unite -. Facendo scelte che hanno effetti meno dannosi sull’ambiente possiamo essere parte della soluzione e influenzare il cambiamento”. Piattaforme di queste azioni sono un chatbot e appunto l’app, lanciata un anno fa, grazie alle quali sono state finora registrati oltre quattro milioni di piccole-grandi scelte individuali.
“Non è stato facile arrivare al Palazzo di Vetro: la voglia di cambiare lo stato attuale delle cose, la determinazione e la certezza di riuscirci devono essere più grandi della paura di non farcela – spiega Alessandro Lancieri, 44enne cofondatore e responsabile tecnologico di AWorld, a Wired -. Noi ci abbiamo provato e ci siamo riusciti: nel settembre 2019 abbiamo avuto un incontro decisivo per il nostro futuro, quello con Martina Donlon, responsabile globale comunicazione delle Nazioni Unite. Dopo aver sentito la visione e il progetto che avevamo in mente ci ha ufficialmente invitato a creare una partnership con il Segretariato. Proprio in quel momento le Nazioni Unite stavano cercando uno strumento per fare esattamente quello che stavamo proponendo noi, e da lì è nato tutto. AWorld è diventata così l’app ufficiale a supporto della campagna ActNow contro il cambiamento climatico”.
COME FUNZIONA LA APP?
Lo scopo è funzionare come una guida per accompagnare le persone nel loro percorso verso la sostenibilità, sensibilizzare e spronare alla cittadinanza attiva. Il messaggio di fondo è che non occorre essere attivisti e scendere in piazza o compiere scelte radicali per vivere in modo un po’ più sostenibile di prima: basta iniziare dalle cose su cui si ha maggior controllo, ovvero le scelte quotidiane e lo stile di vita. “AWorld – perché non esiste un pianeta B – permette di suggerire e tracciare una serie di abitudini sostenibili, mostrando l’impatto di ogni persona in termini di CO2, acqua ed elettricità risparmiati – spiega Lancieri, che ha fondato la startup insieme a Marco Armellino, casse 1977 anche lui, Alessandro Armillotta (1986) – per raggiungere i nostri obiettivi abbiamo creato un vero e proprio metodo chiamato impact engagement, che si basa sull’integrazione di tre macro-fasi: Awareness, Engagement e Impatto (misurazione). L’app inoltre utilizza tecniche di gamification per incentivare gli utenti e coinvolgerli, attraverso contenuti educativi, misurazione dell’impatto e una community con cui interagire”.
Nell’app trovano poi spazio esperienze immersive battezzate Journeys, Habits e Challenges. I primi sono viaggi tematici formati da episodi interattivi (testi e video ispirazionali), che prendono di petto temi importanti riconducibili agli obiettivi di sviluppo sostenibile; al termine di ogni episodio l’utente può mettere alla prova le sue conoscenze attraverso quiz e sondaggi e decidere di ricevere suggerimenti quotidiani in base ad argomenti e trucchi settimanali sul tema della sostenibilità con notizie, eventi e consigli. Le Habits, invece, sono abitudini sostenibili quotidiane suggerite dall’app, che l’utente può registrare per rendersi conto di quanto possa essere importante ogni singola azione. Infine, attraverso varie Challenges – vere e proprie sfide di gruppo – la community si riunisce per agire insieme, sfidandosi e collaborando con l’obiettivo di raggiungere uno specifico obiettivo di risparmio. Nella sezione community l’utente può prendere parte a squadre già esistenti o crearne di nuove per sfidarsi e vedere l’impatto totale dell’azione collettiva. Dallo scorso settembre, inoltre, è stata attivata la funzionalità AWorld Eventi, con cui organizzare attività e momenti di azione per salvaguardare il pianeta.
“A un anno dalla data ufficiale del lancio AWorld ha raggiunto livelli sbalorditivi – spiega il cofondatore –. Siamo a 100mila download in tutto il mondo, quasi quattro milioni di habits registrate e la nuova funzionalità “eventi e azioni” che ha permesso non solo di lanciare una sfida mondiale per salvare il pianeta, ma anche connettere persone che ne hanno a cuore la salvaguardia. I contenuti che proponiamo sono scritti attraverso uno storytelling semplice e con rimandi alle esperienze quotidiane di ciascuno. Ci aspettiamo che questo tipo di formazione sia in grado di determinare cambiamenti consapevoli nelle scelte di vita delle persone, accompagnandole verso uno stile sempre più in linea con i temi legati alla sostenibilità”.
In occasione della Cop26 in partenza a Glasgow l’1 novembre AWorld ha lanciato una sfida: quella di impegnarsi insieme con un milione di azioni individuali per la salvaguardia del pianeta. Tanti piccoli gesti singoli che, uniti a quelli degli altri, possono fare la differenza. Si chiama One Million Actions Challenge, è stata proposta a inizio settembre ed è rivolta ad aziende, istituzioni, organizzazioni e persone, con lo scopo appunto di raggiungere un milione di azioni positive for People and Planet. Inoltre, sempre in vista dell’importante appuntamento scozzese, la startup ha organizzato un tavolo di discussione ed elaborazione di proposte concrete da parte di aziende, scienziati, attivisti, changemaker che è culminato nella giornata di riflessioni “Road to Cop26” del 24 ottobre scorso, creata per arrivare ad un documento programmatico. “Le proposte che AWorld affiderà alle Nazioni Unite durante i negoziati della Cop26 che si terranno a Glasgow a partire da domenica 31 ottobre ruoteranno su rigenerazione della biodiversità e creazione di aree marine protette al 2030 – aggiunge Lancieri -. Poi la creazione di un fondo unico globale in cui le imprese possano comunicare con le istituzioni per affrontare il cambiamento climatico e indirizzare i fondi correttamente; introduzione di un sistema di carbon pricing per attribuire un valore economico alla CO2 con l’obiettivo di aiutare imprese e Stati a monitorare e adattare la propria strategia ai potenziali rischi e opportunità legati alla transizione verso un’economia a basse emissioni”.
MA DAVVERO PUÒ BASTARE UN’APP a cambiare gli atteggiamenti di ogni giorno in tema di sostenibilità? “Molte delle app che usiamo ogni giorno hanno cambiato il modo in cui vediamo le cose, in cui interagiamo e comunichiamo – conclude il cofondatore -. Oggi abbiamo la possibilità di condividere in ogni momento frammenti della nostra quotidianità: un dolce fatto in casa, i successi personali oppure momenti che riteniamo importanti sono disponibili ai nostri amici direttamente sul loro smartphone. Perché allora non condividere anche comportamenti virtuosi e sostenibili? Sappiamo che non è facile cambiare il proprio stile di vita e farsi strada tra le occasioni a basso costo, la comodità di alcuni servizi o semplicemente un’abitudine”. AWorld tenta di dare una mano proprio in questa fase: se non sai da dove iniziare, sull’app trovi una lista di 34 abitudini sostenibili da tenere sempre sotto mano e da cui partire per migliorare la tua impronta ecologica e il tuo impatto.
*(da Wired scienza)
06 – Giovanni Paglia*: LA SINISTRA NON SIA CONSERVATRICE DELL’ITALIA DISEGUALE. AGENDA DRAGHI. La sinistra non può diventare conservatrice nell’Italia di oggi, adeguarsi alla cosiddetta Agenda Draghi, schierarsi dalla parte dei due terzi che hanno ancora qualcosa da difendere e rinunciare a rappresentare gli interessi e le aspirazioni di chi galleggia o affonda.
La realtà della politica e della società appaiono scisse e solo in parte sovrapposte. Da un lato abbiamo un Paese attraversato da disuguaglianze abissali, da un senso diffuso e radicato di ingiustizia subita, da nuovi e vecchi conflitti più o meno latenti. È l’Italia in cui è possibile essere licenziati via whatsapp, in cui milioni di persone lavorano private persino di un contratto, dove i salari sono bassi e al palo da decenni.
È l’Italia da cui si scappa per assenza di opportunità, in cui l’unico vero welfare di prossimità è la pensione dei nonni, che d’altra parte i nipoti non vedranno nemmeno da lontano. È l’Italia che dipinge di verde ogni discorso pubblico, ma intanto continua a programmare un futuro fatto di gas fossili e nucleare, e intanto pensa a privatizzare ciò che resta dei beni comuni.
È un Paese dove la cultura antiscientifica diventa fenomeno minoritario ma di massa, in cui la politica lascia agli idranti della Polizia il compito di spiegare le proprie ragioni, in cui davanti ad uno scetticismo diffuso sui vaccini si risponde con il ricatto verso chi lavora. Si parla sempre meno delle organizzazioni criminali, che tuttavia muovono pezzi sempre più rilevanti di economia “legale”. Su tutto aleggia un rancore sordo, una disillusione quasi unanime, un senso di regresso individuale, famigliare, clanico da qualsiasi forma di vita associata, che determina la crisi sempre più profonda di tutti i corpi intermedi e collettivi.
D’altro lato la retorica unanime dell’eccellenza garantisce la piena cittadinanza e quindi risorse e privilegi a circuiti sempre più ristretti di persone, in competizione reciproca ma sempre solidale. In questo quadro, che produce non a caso un astensionismo record, la destra arretra e una tiepida sommatoria chiamata centrosinistra trionfa nelle urne.
In altre parole, i progressisti sembrano trovare la ragione del proprio successo nell’abbandono del campo politico da parte della componente più in crisi della società. L’euforia per lo scampato pericolo, e persino l’ottimismo per i risultati futuri, passano per la rimozione del rifiuto di milioni di persone di considerare il processo democratico utile alla soluzione dei propri problemi.
È il portato del Governo Draghi, in cui la celebrazione a media unificati dei successi del’Italia relega in secondo piano la lunga processione di esclusi, sconfitti e marginalizzati nemmeno sfiorati dalla crescita del Pil. Si possono persino tagliare le tasse al 10% di redditi più elevati, come se la condizione materiale di quote crescenti di lavoratori non sia di precariato, iper-sfruttamento e fatica crescenti.
Il messaggio che passa è che il futuro appartenga ai vincenti, così come la facoltà di scelta, mentre agli altri tocca una silenziosa ritirata, per non disturbare il manovratore. Il paradosso è che questa situazione favorisca il centrosinistra, grazie alla scelta suicida dei sovranisti di collocarsi in blocco sul fronte no-vax, nonché al vuoto pneumatico di classe dirigente a destra.
La domanda che dovremmo porci è se dobbiamo accettare come positivo e incoraggiante un risultato elettorale dovuto ad un restringimento di fatto della cittadinanza, o piuttosto incassare il successo, ma come stimolo a cambiare in profondità lo schema.
La sinistra non può diventare conservatrice nell’Italia di oggi, adeguarsi alla cosiddetta Agenda Draghi, schierarsi dalla parte dei due terzi che hanno ancora qualcosa da difendere e rinunciare a rappresentare gli interessi e le aspirazioni di chi galleggia o affonda. Se lo facesse, tradirebbe se stessa in nome di un successo effimero.
La scelta è semplice: pensare che la sfida si giochi solo nel campo di chi ancora trova una ragione per votare, o aspirare a recuperare al gioco democratico chi oggi se ne sente completamente escluso.
In quest’ultimo caso, sono indispensabili proposte radicali sul piano dell’organizzazione del lavoro, della redistribuzione della ricchezza, dell’accesso ai beni e ai servizi fondamentali, dello stesso modello di sviluppo. Chi si chiede se esista ancora spazio alla sinistra del Pd, provi a partire da qui.
*( Giovanni Paglia è un politico italiano, deputato alla Camera durante la XVII legislatura della Repubblica Italiana e dal 2 febbraio 2021 vicesegretario di Sinistra Italiana)
07 – The Hindu, India*: SUL CLIMA GLI ANNUNCI NON SERVONO LA DEMOCRAZIA È UNA LOTTA
NEI PROSSIMI GIORNI LE DELEGAZIONI DI ALMENO 120 PAESI SI RITROVERANNO A GLASGOW PER LA 26° CONFERENZA DELLE NAZIONI UNITE SUL CLIMA .
(Cop26). Questo incontro rappresenta un appuntamento importante per la diplomazia climatica. Le principali economie sono tenute a riesaminare le azioni intraprese finora per raggiungere gli obiettivi fissati a Parigi nel 2015.
L’amministrazione di Joe Biden vuole cogliere l’occasione per celebrare il rientro degli Stati Uniti nell’accordo, e ha inviato delegazioni in diversi paesi per convincerli a impegnarsi ad azzerare le emissioni nette entro il 2050. Tra i paesi che non lo hanno ancora fatto, l’India e la Cina sono quelli che inquinano di più. L’argomento che usano da anni è che la crisi climatica si deve ai gas serra emessi dall’occidente per più di un secolo. Qualsiasi tentativo di risolverla richiede che i paesi occidentali facciano molto più di quanto promesso, o almeno che onorino gli impegni già presi. Come hanno mostrato anni di negoziati, i progressi sono lentissimi e ci si concentra più sul fare annunci da sbandierare che sul rendere concrete le misure necessarie. Per i paesi sviluppati, soddisfare la domanda di compensazioni avanzata dai paesi in via di sviluppo significa sborsare somme di denaro che difficilmente saranno approvate dalla politica nazionale. Per i paesi in via di sviluppo, accettare impegni sull’azzeramento delle emissioni significa dare l’impressione di aver ceduto alla prepotenza internazionale. La Cop26 potrà al massimo incentivare soluzioni che favoriscano la transizione all’energia pulita. Ma il mondo dovrà formulare una risposta.
*( The Hindu è un periodico in lingua inglese venduto nel sud dell’India; il Tamil Nadu è lo stato indiano dove viene venduto di più. Venne fondato nel 1878 sui principi della correttezza e della giustizia)
08 – Steven Greenhouse, The Guardian, Regno Unito*: Un riconoscimento per il loro impegno.
Negli Stati Uniti è in corso una grande ondata di scioperi. Segno che la pandemia ha cambiato i rapporti di forza tra datori di lavoro e dipendenti. Quali saranno le conseguenze?.
I sindacati degli Stati Uniti, che per decenni sono rimasti sulla difensiva, sono passati all’attacco: in tutto il paese sono stati organizzati scioperi per chiedere migliori condizioni di lavoro.
Secondo gli esperti l’attivismo continuerà a crescere, ma se porterà a un cambiamento duraturo è una domanda ancora aperta.
Molti lavoratori che durante la pandemia sono stati in prima linea rischiando la vita oggi chiedono paghe più alte e vogliono un riconoscimento per il loro impegno.
In un periodo in cui molti imprenditori si lamentano del fatto che non riescono a trovare manodopera, i lavoratori sentono di poter chiedere di più. Di certo aiuta il fatto che il presidente Joe Biden sia vicino ai sindacati, così come il sostegno dell’opinione pubblica all’azione sindacale, più forte rispetto al passato.
Ma alcune grandi aziende si stanno comportando come se non fosse cambiato niente, e continuano a sfruttare i lavoratori anche quando i profitti aumentano. I dipendenti della John Deere, che produce macchine agricole, dicono che l’azienda gli ha offerto un aumento di appena il 12 per cento in sei anni, che non tiene conto dell’inflazione. Nel 2020 lo stipendio dell’amministratore delegato è aumentato del 160 per cento, arrivando a 16 milioni di dollari, e i dividendi degli azionisti sono cresciuti del 17 per cento. I lavoratori hanno votato e hanno respinto con una maggioranza schiacciante la proposta dell’azienda. Il 14 ottobre hanno lanciato
uno sciopero in quattordici impianti. È il primo negli ultimi 35 anni. “Durante la pandemia abbiamo continuato ad andare in fabbrica”, dice Chris Laursen, operaio dello stabilimento di Ottumwa, in Iowa. “Ora vogliamo qualcosa in cambio”. Secondo Thomas Kochan, docente di relazioni industriali al Massachusetts institute of technology, è un momento particolarmente favorevole per i lavoratori.
La carenza di manodopera porta molte grandi aziende a offrire salari più alti. “In questo contesto gli scioperi, se avranno successo, potrebbero innescarne altri”. Kevin Bradshaw, operaio in sciopero dello stabilimento Kellogg’s di Memphis, in Tennessee, accusa l’azienda di prodotti alimentari di non aver riconosciuto il sacrificio dei lavoratori. Bradshaw spiega che durante la pandemia lui e i suoi colleghi hanno lavorato spesso per trenta giorni di fila in turni da dodici o perfino sedici ore. Per questo giudica offensiva l’ultima proposta contrattuale, che prevede salari più bassi per i nuovi assunti. “La Kellogg’s propone un taglio di 13 dollari per i nuovi arrivati”, spiega. Secondo Bradshaw, questo cambiamento penalizzerebbe la prossima generazione di lavoratori. La Kellogg’s ha risposto sostenendo che i suoi salari sono tra i più alti del settore e che il nuovo contratto permetterà di tenere testa alla concorrenza. I dirigenti della John Deere hanno detto che sperano di raggiungere un accordo con i dipendenti per fare in modo che i propri lavoratori continuino a essere “i più pagati nell’industria agricola”.
DIMISSIONI DI MASSA Ci sono molti altri scioperi in corso. Più di quattrocento lavoratori della distilleria Heaven Hill, in Kentucky, sono fermi da sei settimane. Da aprile mille minatori della Warrior Met sono in sciopero in Alabama. Centinaia di infermieri dell’ospedale Mercy di Buffalo hanno cominciato uno sciopero il 1 ottobre. Nella stessa giornata si sono fermati 450 metalmeccanici della Special Metals nello stabilimento di Huntington, in West Virginia. Trentamila dipendenti della Kaiser Permanente, una non profit che opera nel settore della sanità, hanno votato per entrare in sciopero. Belinda Redding, un’infermiera di Woodland Hills, in California, spiega che la Kaiser Permanente ha messo da parte 45 miliardi di dollari. “Durante la pandemia abbiamo dato il massimo”, racconta. “Abbiamo fatto straordinari su straordinari e le nostre vite sono state stravolte. C’erano i cartelli con la scritta ‘Qui lavorano gli eroi’. Per noi la pandemia non è ancora finita. Ma loro ci hanno offerto un aumento dell’1 per cento del salario”. Inoltre Redding critica la proposta di assumere nuovi infermieri con un salario più basso del 26 per cento rispetto ai dipendenti attuali. Secondo lei c’è il rischio di una carenza di personale. “È difficile immaginare che un nuovo infermiere s’impegnerà al massimo sapendo che guadagna molto meno dei colleghi”. La Kaiser ha risposto sottolineando che i suoi dipendenti guadagnano il 26 per cento in più rispetto alla media del mercato.
Nel frattempo molti lavoratori non sindacalizzati, esasperati dai salari bassi e dalle pessime condizioni di lavoro, si sono licenziati o si sono rifiutati di tornare all’impiego che avevano prima della pandemia. Ad agosto si sono licenziati 4,2 milioni di lavoratori. Secondo alcuni economisti, è una sorta di sciopero silenzioso con cui i lavoratori chiedono salari e condizioni migliori. “Stanno usando le dimissioni come un modo per esercitare il loro potere”.
Per quanto riguarda i lavoratori sindacalizzati, alcuni esperti fanno un parallelo tra l’attuale ondata di scioperi e quelle che ci furono dopo le due guerre mondiali.
Come sta succedendo oggi, i due conflitti spinsero molti statunitensi a farsi una domanda: non meritiamo, dopo tutto quello che abbiamo passato, condizioni e salari migliori? Robert Bruno, docente all’università dell’Illinois, è convinto che l’aumento della militanza dovrebbe spingere i datori di lavoro a rivedere il proprio metodo di contrattazione: dovrebbero abbandonare l’idea che i lavoratori si lasceranno sottomettere dalla minaccia della delocalizzazione. Bruno crede che gli aumenti salariali e il miglioramento delle condizioni di lavoro siano destinati a durare, quindi l’adesione ai sindacati aumenterà. Ruth Milkman, sociologa del lavoro della City University di New York, non è d’accordo. Secondo lei gli scioperi diminuiranno quando finirà la carenza di manodopera. L’adesione ai sindacati non aumenterà in modo rilevante, anche perché “non stanno facendo un grande lavoro di organizzazione”. Per Milkman la questione fondamentale è capire come rafforzare il movimento sindacale. Secondo la sociologa sarebbe importante che il congresso approvasse il Right to organize act, una legge che faciliterebbe la sindacalizzazione dei lavoratori, spingerebbe i sindacati a svolgere una maggiore attività organizzativa e aumenterebbe le possibilità di vincere le battaglie sui luoghi di lavoro.
*( Steven Greenhouse, The Guardian, Regno Unito, è giornalista e autrice, si occupa di lavoro e ambiente di lavoro.)
08 – DA PARIGI A OGGI: LA STRADA CHE HA PORTATO ALLA COP26. GLASGOW NON È STATA COSTRUITA IN UN GIORNO. LA CONFERENZA DELLE NAZIONI UNITE HA LE SUE RADICI NEGLI ULTIMI ANNI. NELLA SCONFITTA DI TRUMP E NELLA POPOLARITÀ DEI VERDI. NELLE PAROLE DI GRETA THUNBERG E NELLE PROTESTE DEI GIOVANI
La conferenza sul clima delle Nazioni unite, in breve Cop26, dovrebbe segnare la strategia di contrasto al riscaldamento globale del prossimo decennio, cioè degli anni decisivi nella lotta contro la crisi climatica. Gli esiti di un summit, quale che sia il tema, non si decidono mai per intero durante l’incontro vero e proprio. Molto avviene nei mesi precedenti, ed è fatto non solo di tavoli diplomatici, ma anche di tutto quanto gli sta attorno: delle decisioni di governi e parlamenti nazionali, degli avvenimenti economici e geopolitici, della presenza – o dell’assenza – di spinte dalle opinioni pubbliche. Cop26 sarà la tappa cruciale di una lunga marcia iniziata tempo fa.
Stabilire il punto di partenza di questa storia non è una scelta facile – la comunità scientifica parla di riscaldamento globale dal 1896 (!) – ma sicuramente non si può prescindere da Cop21, la Conferenza che ha portato agli accordi di Parigi. È lì che nel 2015 un raggiante Laurent Fabius, ministro dell’Ambiente sotto la presidenza Hollande, annuncia l’intesa. Ancora scottati dal fallimento della Cop15 di Copenaghen, il vertice che sei anni prima si era rivelato il più grande flop della storia dei negoziati per il clima, gli addetti ai lavori accolgono con sollievo i risultati raggiunti nella capitale francese. Per la prima volta gli stati si impegnano a mantenere l’aumento della temperatura sotto i 2° C rispetto all’era pre-industriale, e indicano come limite auspicabile i +1,5° C; per la prima volta si parla, seppure con una formula volutamente ambigua, di raggiungimento delle emissioni nette zero; per la prima volta i governi si impegnano a redigere e presentare piani quinquennali di risposta al riscaldamento globale.
DOPO PARIGI
Parigi è il momento di massimo ottimismo. I festeggiamenti non durano però a lungo, e gli anni seguenti si rivelano avari di buone notizie per il clima. Il tema esce dalle agende dei governi e dei media e, nonostante i proclami, numerosi studi certificano come quasi nessuna nazione al mondo, e nessuna delle grandi potenze, sia in linea col rispetto degli obiettivi fissati a Parigi. Nel 2017 Donald Trump annuncia l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo. Questa stasi dell’azione climatica, accompagnata dall’aumento vertiginoso delle emissioni, dura fino al 2019, quando sulla scena irrompe la nuova ondata di movimenti per il clima. Anticipati da alcuni fenomeni locali come il Sunrise movement americano, in tutto il mondo nascono proteste animate da giovani e giovanissimi uniti da un obiettivo comune: mantenere l’aumento della temperatura media globale sotto l’1,5° C come promesso a Parigi. È la nascita di Fridays for Future, Extinction Rebellion, Youth for Climate. È il periodo di Greta Thunberg e degli scioperi per il clima.
In Europa centrale e del nord le proteste si traducono nel boom dei Verdi alle elezioni europee del 2019, mentre nel mondo anglosassone il voto dei giovani per il clima spinge la sinistra radicale di Jeremy Corbyn nel Regno Unito, di Bernie Sanders negli Usa e del Sinn Féinn in Irlanda. Sono queste proteste a portare alla promessa della neo presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, di un Green deal per il clima da mille miliardi. Sempre il clima è uno degli argomenti sui quali vince la sua campagna elettorale lo sfidante democratico di Trump, Joe Biden.
L’entusiasmo delle piazze e il parziale cambio di rotta nelle urne occidentali, però, non si riflettono sui negoziati. Dopo un anno di proteste, la Cop25 di Madrid non porta a nessun risultato. Partita sotto cattivi auspici – la presidenza è cilena, ma i tumulti costringono gli organizzatori a spostare l’evento all’ultimo nella capitale spagnola. Le ambizioni sono limitate: l’incontro di fine 2019 aveva come unico obiettivo la definizione dell’articolo 6 degli accordi di Parigi, quello dedicato al mercato del carbonio. Un risultato minimo ma comunque mancato. L’ostruzionismo di Brasile, Australia e Stati Uniti (la cui uscita ufficiale si sarebbe concretizzata solo a fine anno) impedisce qualunque nuovo accordo.
Tutto rimandato a Cop26 dunque. E mentre i delegati tornano a casa, in Cina inizia a diffondersi una pandemia che da lì a qualche mese avrebbe stravolto la politica globale e quindi inevitabilmente anche i negoziati sul clima. Il Covid-19 assorbe l’attenzione, spegne le proteste e mette ogni questione non sanitaria in standby. Le emissioni decrescono a causa dei lockdown, ma la ripresa delle attività porta a un rimbalzo della CO2 già a fine anno, mentre Cop26, prevista per novembre 2020 a Glasgow, viene rimandata.
Si arriva così al 2021. L’anno della seconda e terza ondata, ma anche dei vaccini e dei piani di recupero delle economie. Per il clima è l’anno del ritorno degli Stati Uniti al tavolo negoziale e dei target senza precedenti. L’Unione europea annuncia l’intenzione di raggiungere le zero emissioni nette, cioè l’equilibrio tra gas serra emessi e gas serra riassorbiti, al 2050. Sulla stessa linea si accodano Usa, Regno Unito, Giappone, Corea del Sud e altri paesi più piccoli. Cina e Russia (quest’ultima con un annuncio di poche settimane fa) scelgono la strada della neutralità carbonica, relativa alla CO2 ma non necessariamente agli altri gas climalteranti, entro il 2060. Al Leader’s Climate Summit dell’aprile 2021 grandi paesi hanno ribadito o presentato i loro obiettivi a breve termine. La Cina ha promesso il picco nell’uso del carbone al 2025 e il picco delle emissioni al 2030; il Regno Unito ha stupito tutti promettendo un taglio del 75 per cento al 2035; l’Unione europea – dopo un lungo braccio di ferro tra parlamento e consiglio – ha optato per il 55 per cento al 2030, e gli Stati Uniti hanno deciso di ridurre le proprie emissioni del 50 per cento alla stessa data, ma calcolate rispetto ai livello del 2005 e non del 1990 come gli europei.
Difficile stimare l’effettiva portata di questi annunci. Scelte così lontane nel tempo permettono agli attuali leader, che difficilmente saranno ancora al loro posto nel 2050, di venire meno alle loro responsabilità. E non aiutano le contraddizioni nei piani nazionali: la Cina rimane un giano bifronte dell’azione climatica, prima per installazione di rinnovabili e riforestazione ma anche per crescita nell’utilizzo del carbone. Gli Stati Uniti portano il peso delle multinazionali fossili, di stati dipendenti dal fracking e di un sistema dei trasporti fondato sul binomio macchina-aereo. L’Europa, storicamente considerata paladina del clima, vive di una locomotiva tedesca alimentata a carbone e una periferia diffusa, Italia compresa, che costruisce gasdotti e si contende le riserve del Mediterraneo. Ci sono poi tutti gli altri, da nazioni come Russia o Arabia Saudita che dipendono dalle loro esportazioni di combustibile fossile, ai governi negazionisti di Brasile e Australia, alle decine di paesi poveri colpiti dalla crisi climatica ma senza i mezzi per porvi rimedio. Praticamente nessuno, infine, affronta nei proclami alcuni dei dossier più spinosi della crisi climatica come quelli relativi a consumo di carne e movimentazione delle merci.
PAROLE, PAROLE, PAROLE
In termini assoluti, insomma, rimane una distanza enorme tra le richieste della comunità scientifica e le azioni dei governi. È però impossibile non notare come queste promesse fossero impensabili solo pochi anni fa e che, timidamente, segni di transizione reale si affaccino: già oggi una regione ricca e industrializzata come la Scozia riesce a usare quasi esclusivamente fonti rinnovabili per la sua produzione elettrica, mentre il carbone prosegue il suo declino tra la Cina che promette di non finanziare più centrali all’estero e il nuovo governo tedesco che vorrebbe abbandonarlo nel 2030 – e non nel 2038 come stabilito dal precedente esecutivo.
Durante la PreCop il presidente della conferenza, il britannico Alok Sharma, è stato chiaro: gli obiettivi di Glasgow saranno l’accordo sul limite dell’1,5° C, l’abbandono del carbone in tempi rapidi e certi e il raggiungimento dei cento miliardi in «aiuti» (prestiti o trasferimenti) per la transizione nel sud globale. Obiettivi minimi, sicuramente insufficienti per qualunque climatologo, eppure non scontati.
A fare pressione, fuori, si annuncia già la presenza di decine di migliaia di manifestanti. Comunque vada a finire Cop26 si è guadagnata una riga nei libri di storia, fosse pure solo per il momento in cui è capitata – all’inizio del decennio cruciale per il clima e nel mezzo della ricostruzione post-pandemia. L’arrivare a cinque edizioni esatte da Parigi, poi, le impone il gravoso compito di effettuare il primo check-up di quei piani quinquennali che ogni nazione ha deciso di presentare – e i target climatici di cui sopra hanno alzato di molto l’asticella delle aspettative.
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