IL DIBATTITO SUL SALARIO MINIMO
PROSEGUE LA DISCUSSIONE NELLA CGIL. UN ARTICOLO SUL CORRIERE DELLA SERA
Ne parla Enrico Marro sul Corriere della Sera: “Il salario minimo e le sfide della Cgil” . “L’apertura del primo sindacato: 9 euro soglia garantita? Questione non banale “(p. 32)
Più dubbi che certezze «Ogni volta che ne dibattiamo, abbiamo più dubbi che certezze» dice Tania Scacchetti, segretaria confederale.
Parlare di una Cgil tentata dal salario minimo per legge forse è troppo, ma dopo aver seguito ieri il seminario sul tema, svoltosi nella sede del sindacato guidato da Maurizio Landini, si ha la conferma che la confederazione si muove con cautela e non ha ancora preso una posizione netta. Che, del resto, sarebbe impossibile, visto che il disegno di legge dei 5 Stelle, che introduce il minimo di 9 euro lordi l’ora, ha già subito modifiche in commissione Lavoro del Senato e altre potrebbe subirne prima di arrivare in aula. Ecco perché la segretaria confederale, Tania Scacchetti, commentando le ricerche della Fondazione Di Vittorio sul salario minimo nel contesto internazionale e sull’impatto che esso avrebbe in Italia, dice: «Tutte le volte che ne dibattiamo vengono più dubbi che certezze». Il fatto è, come ricorda Scacchetti, che la proposta di legge presentata dalla stessa presidente della commissione Lavoro, Nunzia Catalfo, non nasce dal nulla, ma dalla constatazione che c’è almeno un 12% di lavoratori che riceve salari inferiori a quelli stabiliti dai contratti. Non solo i grillini ma tutte le forze politiche hanno presentato disegni di legge per fissare un minimo orario per legge, come c’è in quasi tutti gli altri Paesi. I sindacati e le imprese si sono chiusi a riccio, temendo di perdere il loro core business, ovvero la contrattazione.
Ma, ha osservato Scacchetti, il ddl Catalfo prevede un salario minimo che non è alternativo al contratto, ma è invece la soglia sotto la quale non può scendere lo stesso contratto. Certo, aggiunge la Cgil, si tratta comunque di «un’ingerenza» nella contrattazione. Ma di un’ingerenza che è anche una sfida, perché 9 euro lordi l’ora, che, dopo le modifiche in commissione, si riferiscono al «trattamento economico minimo» (e non più a quello «complessivo»), sono spesso più di quanto garantiscano i minimi contrattuali. Questioni, conclude Scacchetti, «non proprio banali».
E SU REPUBBLICA I CONTI REALI SULL’OPERAZIONE SALARIO MINIMO
Il punto di Valentina Conte a pagina 20 di Repubblica:
Compensare un salario minimo orario a 9 euro l’ora con un taglio al cuneo fiscale si può. Ma costa almeno 5-6 miliardi. Una cifra di tutto rispetto, su cui lavorano i tecnici del governo. «Chi frena il salario minimo pugnalai lavoratori», ripete il ministro pentastellato Luigi Di Maio. «Si può fare, ma a costi invariati per le imprese», insiste il suo sottosegretario, il leghista Claudio Durigon. Alzare la paga di alcuni lavoratori – 2,9 milioni secondo l’Istat ad oggi pagati meno di 9 euro lordi all’ora – tagliando il costo del lavoro per tutti: questa la sfida. D’altro canto, una limatura mirata del cuneo fiscale – la differenza tra la retribuzione lorda e quella netta – ai soli datori di lavoro obbligati ad adeguarsi alla nuova soglia oraria sarebbe aiuto di Stato. E in quanto tale sanzionato dall’Europa. La battaglia sul salario minimo orario sta ai Cinque Stelle come la flat tax ai leghisti. Dopo reddito di cittadinanza e quota 100, sono le due nuove misure bandiera degli alleati di governo da piazzare nella legge di bilancio per il 2020, sulla carta già esplosiva. Ai 25 miliardi tra aumenti Iva da disinnescare e spese indifferibili da rifinanziare, si aggiungono almeno 12-13 miliardi per la tassa piatta e appunto 5-6 di
taglio del costo del lavoro per compensare il salario minimo. Se poi sommiamo i 7 miliardi di correzione dei conti chiesti dall’Europa, si sfonda quota 50 miliardi. Proiezione prudente, perché sia la flat tax che il taglio del cuneo potrebbero pesare di più. L’Istat stima, tenendo però fuori dal computo i lavoratori agricoli, che portare a 9 euro all’ora il salario minimo orario per 2,9 milioni di persone costerebbe ai datori 3,2 miliardi (+12,7%), per un incremento annuo medio in busta paga per il lavoratore di 1.073 euro. Il maggior costo per le imprese potrebbe essere compensato, come pretende la Lega, con un taglio del cuneo fiscale. Un’operazione, come detto, da estendere a tutti. Ogni punto di cuneo costa almeno 2,5 miliardi. Tagliarne due significa mettere in conto almeno 5 miliardi. Se un’azienda passa dal 23% al 21% di contributi previdenziali accantonati per conto del lavoratore, questo rischia una pensione più bassa in futuro. Ecco perché serve una copertura dello Stato. Quel taglio del cuneo va cioè “fiscalizzato”.
Semplificando: un’azienda con due lavoratori – uno pagato 7 euro l’ora e l’altro 11,8 per una retribuzione annua lorda di 24 mila euro – risparmierà 480 euro sul secondo grazie al taglio di due punti del cuneo. E potrà permettersi di alzare lo stipendio al collega, la cui busta paga annua sale di 571 euro perché un’ora del suo lavoro vale ora 9 anziché 7 euro. Il conto non è in paro. Alla fine l’azienda ci rimetterebbe comunque circa 90 euro all’anno. Un peso sostenibile però, tenuto conto che beneficerebbe del taglio del cuneo anche sul resto dei dipendenti. La sfida dunque è aperta. La soglia dei 9 euro lordi viene considerata da molti economisti troppo alta. Il rischio è quello di spingere le aziende a tagliare le ore o i posti, specie al Sud. O passare al nero. Tutto da dimostrare l’effetto opposto di una limatura del cuneo.
FONTE: Cgil
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