4/ I minatori e i politici in Belgio

Di Tonino D’Orazio

Non si può scindere Marcinelle dal suo contesto storico, cioè l’emigrazione italiana in Belgio, cioè la vita da minatori. Per alcuni articoli vi parlerò del Belgio, prima di iniziare la storia dei minatori italiani in altri paesi. Il numero degli italiani presenti in Belgio dopo la prima guerra mondiale, e già in pratica tutti minatori, passa da 3.723 (2,4 % della popolazione straniera) del 1920 a 37.134 nel 1938 (10,9 % degli stranieri). L’evoluzione della mentalità, le conseguenze della guerra, lo sviluppo dell’istruzione rendono sempre meno popolare il mestiere del minatore. Gli autoctoni non vogliono più scendere nelle miniere. Dal 1922 al 1923, dopo un accordo tra la Federcarbone belga e le autorità italiane, più di 6.000 giovani raggiungono le miniere del Belgio.

Dice Anna Morelli. (Docente di storia all’Università Libera di Bruxelles, oggi in pensione; carissima compagna, conosciuta negli anni ’70, già allora scriveva per “L’Incontro dei Lavoratori” quindicinale che avevo fondato per il Benelux nel ‘75), “Insieme a questi arrivi collettivi, tra il 1919 e il 1925, un gran numero di italiani raggiungono il Belgio individualmente, senza permesso di lavoro. Il giornale La “Nation Belge” mostra, nel 1922, la foto dell’arrivo alla Stazione di Bruxelles Midi di 235 candidati minatori venuti da Verona per lavorare nelle miniere di Charleroi. Ma erano rimasti in stazione perché non avevano i soldi per pagare il biglietto dei pochi chilometri rimasti”.

Il Belgio rimane, storicamente da sempre, un paese di grande accoglienza per i fuoriusciti politici, sindacali e per i semplici lavoratori in fuga dal fascismo italiano, anzi dai vari fascismi europei. Alcuni nomi illustri. Carlo Sforza (diventerà ministro degli Aff. Esteri dopo la liberazione), Arturo Labriola (ex sindaco di Napoli e Ministro del Lavoro), Luigi Ferrari (di Modena, dirigente del Partito Popolare), Ennio Gnudi (ex sindaco di Bologna ed ex deputato PCI), Giuseppe Di Vittorio (ex deputato e futuro Segretario Generale della CGIL). Ecc.…

“L’attivismo degli antifascisti italiani è molto “vivace”. Essi rappresentano una componente notevole del partito comunista belga. Su 2.000 iscritti, nel 1926, gli italiani sono 200. Il loro numero, nel 1931, arriverà a 370 su 1.000 iscritti”. Anche se sotto stretta sorveglianza da parte della Pubblica Sicurezza essi riescono a diffondere, tra il 1926 e il 1932, il loro giornale “Il Riscatto” con una tiratura di 3.000 copie. Partecipano a tutte le manifestazioni sindacali e sociali e sono presenti a tutte le sfilate del 1°Maggio. Partecipano a tutti gli scioperi. Pietro Nenni viene a parlare a Frameries il 1°Maggio del 1927, e Filippo Turati in ottobre dello stesso anno alla miniera di Hensies.

Alcune decine di loro sono comunque espulsi dal Belgio per l’attività sindacale, considerata “troppo sovversiva”. Durante la guerra di Spagna, 200 volontari italiani partono dal Belgio, tra il 1936 e il 1938, per difendere la Repubblica. Nel 1924 i Missionari italiani creano il primo centro religioso, in accordo con le autorità belghe al fine di recuperare gli emigrati dai ranghi socialisti e comunisti. Ma sono immediatamente percepiti come lunga mano del potere fascista. Vi sono comunque anche italiani favorevoli al fascismo e spesso lo scontro è violento tra le varie fazioni. Fernando De Rosa, anarchico e antifascista, il 24 ottobre 1929, spara al principe ereditario Umberto venuto a chiedere la mano di Marie-Josée al re Alberto. Il colpo va a vuoto.

Sta di fatto però che complessivamente tutta la collettività italiana era stata accolta, ma viveva nella miseria e nell’abbandono. “Tutte le testimonianze concordano nel dire che agli italiani erano riservati i lavori più malsani e che essi erano alloggiati in condizioni che i belgi non avrebbero mai accettato (per lo meno i Valloni, perché i Fiamminghi erano invece in baracche che non avevano nulla da invidiare a quelle degli italiani). In più sono sottoposti ai delatori, agli spioni, alle minacce di espulsione … Per lo stesso lavoro sono retribuiti meno dei belgi”.

Solo nel 1936 la mano d’opera italiana viene autorizzata a circolare liberamente, ma ormai la gran parte lavorava in miniera e vi rimase. Solo nelle grandi città alcuni iniziarono piccole imprese edili, artigiane e commerciali. Questa è un’altra storia del lavoro da raccontare, Paese per Paese. Eppure la guerra di Abissinia valorizza il sentimento di italianità (Arturo Labriola rientra in Italia). L’ambasciata e i Consolati italiani costruiscono una rete di servizi assistenziali e ricreativi. Colonie estive. Ma soprattutto creano le Scuole Italiane, interamente gratuite, a Bruxelles, Charleroi, Liegi, Genk, Tubize/Rebecq. Nell’anno scolastico 1939-40 vi sono più di 1.000 alunni.

Durante la seconda guerra mondiale.
Quando le truppe naziste occupano il Belgio inizia un periodo oscuro per gli italiani che vi risiedevano. Le autorità belghe, il 10 maggio 1940, arrestano diecine di socialisti, di comunisti, di anarchici (considerati tutti potenziali sovversivi) e li consegnano agli occupanti. Chi è sfuggito alla cattura avrà un periodo duro di clandestinità e seguirà la sorte di tanti democratici di tutta Europa in quel periodo. Molti erano stati schedati da tempo dall’Ambasciata e dai Consolati, a centinaia, nelle liste di “connazionali politicamente pericolosi”.

L’occupazione nazista favorì gli elementi fascisti, anche se non veramente numerosi, e i pro-fascisti. Questi ottengono più aiuti materiali in alimenti e medicine. Comunque, centinaia di anti-fascisti rimangono in Belgio, entrano nella Resistenza e vi partecipano attivamente. Molti di loro moriranno fucilati o nei campi di concentramento. La comunità italiana pagò un prezzo elevato, ma dopo la guerra, non ebbe nessun riconoscimento dallo stato belga. 

Anzi, entrati nella guerra fredda, il Regno non fu disposto a tollerare le attività dei comunisti italiani e questi furono semplicemente espulsi, anche alcuni insigniti di medaglia d’oro della Resistenza. I socialisti italiani entrarono nel Partito Socialista Belga e nel sindacato Fgtb. La clandestinità dei comunisti italiani in Belgio finì intorno al 1970.


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