L’odio e la vendetta incendiano la Francia

di Sandro De Toni

Un film premonitore del 1995 di Matthieu Kassovitz era intitolato La haine (l’odio) e raccontava le rivolte notturne avvenute in seguito al selvaggio pestaggio poliziesco di un ragazzo, Abdel. Adesso, in Francia, è il momento in cui si esprime l’odio dei giovani della terza generazione degli immigrati dal Magreb e dall’Africa subsahariana contro lo Stato. I giovani ed i giovanissimi delle banlieue francesi sono in rivolta dopo l’uccisione di Nahel, 17 anni, da parte di un poliziotto. Le forze dell’ordine avevano in un primo momento affermato che il ragazzo cercava di investire con la sua auto gli agenti. Sfortunatamente per loro un video ha mostrato chiaramente che la sua uccisione è avvenuta a freddo senza nessun pericolo per i poliziotti (nel suono del video l’agente afferma distintamente: “sto per ficcarti una pallottola in testa”). L’odio è innanzitutto quello delle istituzioni, a partire dalle forze dell’ordine, contro questi giovani e gli abitanti delle periferie.

Una altra grande rivolta ci fu nel 2005, dove per tre settimane le periferie francesi si incendiarono in seguito alla morte di due giovani, Zyed Benna e Bouna Traoré, che inseguiti dalla polizia, si erano rifugiati in una cabina di trasformazione elettrica rimanendo fulminati. Il Ministro dell’interno dell’epoca, Sarkozy, dichiarò tolleranza zero contro “la racaille” (la feccia), affermando che bisognava pulire le città con l’uso del “Karcher”, cioè con getti d’acqua ad alta pressione. Fu proclamato lo stato di emergenza, alla fine del quale, ristabilito l’ordine, le promesse di soluzioni e di sghettizzazione dei quartieri scomparvero.

Con la loro rivolta i giovani chiedono innanzitutto rispetto e rivendicano la loro dignità. La dignità che viene loro negata con i ripetuti controlli polizieschi su base facciale, con il degrado dei servizi sociali, la disoccupazione giovanile di massa, le assunzioni negate a chi non è bianco, i lavoretti precari e sottopagati, il razzismo, l’islamofobia, mentre il fallimento scolastico e la descolarizzazione sono strutturali. Con questi atti violenti la gioventù rifiuta la violenza più devastatrice: quella del disprezzo e dell’indifferenza.

La Presidenza Macron si è distinta nel portare avanti il suo programma liberista con l’uso massiccio della repressione poliziesca, dei lacrimogeni, dei manganelli, delle flash-balls, contro i gilets jaunes (50 mutilati), i manifestanti contrari alla riforma delle pensioni, gli ambientalisti che protestavano contro i mega bacini idraulici, e con lo scioglimento dell’associazione ecologista “Les soulévements de la terre”.

Nessun dialogo con la società ma sempre più reparti speciali delle forze dell’ordine per sedare le piazze. Attualmente 45mila agenti sono mobilitati, sono scesi in piazza dei blindati, misure legislative sono in preparazione contro i social e per coinvolgere i genitori nella responsabilità penale di ciò che fanno i figli. Il Governo non esclude, come chiedono la destra e l’estrema destra, il ricorso allo stato di emergenza, scenario nel quale l’arbitrio della polizia non avrebbe più remore.

Non meraviglia dunque un comunicato dei sindacati più rappresentativi della polizia (Alliance e Unsa) che si dicono “in guerra” e chiamano alla lotta contro i “nocivi” e “le orde selvagge”, dichiarando “domani saremmo in resistenza e il governo dovrà prenderne atto”. Il clima creato da Macron e dalle sue politiche lascia dunque spazio all’appello alla guerra civile da parte di questi “sindacati”.

Anche una parte del mondo del calcio alimenta l’odio e le discriminazioni. L’allenatore del Paris Saint-Germain, Christophe Galtier, quando nel 2022 allenava la squadra di Nizza avrebbe dichiarato che “non si dovrebbe avere tanti neri e musulmani in squadra” e che si dovrebbe “porre un limite al numero di giocatori musulmani”. Per fortuna non tutto il calcio la pensa così: Kylian Mbappé e i “Bleus” della nazionale hanno stilato un appello in cui dicendosi scioccati dalla morte di Nahel e di capire le ragioni che sono alla base della collera delle banlieue in cui molti di loro sono vissuti, invitano i giovani “a non distruggere i loro quartieri, le loro città, i loro luoghi di crescita e di prossimità”.

Nella stampa si traccia un parallelo con le rivolte dei ghetti statunitensi. Lì l’eredità è quella dello schiavismo, in Francia quella dell’impero coloniale. La società francese non sembra nel suo complesso aver fatto i conti con la decolonizzazione, tanto che lo stesso Macron pur in visita ultimamente ad Algeri, non si è mai scusato per la guerra brutale condotta dall’Armée contro il FLN e l’intera popolazione algerina. Le popolazioni arrivate dalle ex-colonie sono rimaste sospette agli occhi della polizia come fu nel periodo della guerra d’Algeria.

Non è caso che la stessa ONU tramite il portavoce dell’Alto-Commissario ai diritti dell’uomo, Ravina Shamdasani, abbia richiamato la Francia “ad affrontare con serietà i profondi problemi di razzismo e di discriminazione razziale presenti nelle forze dell’ordine”. Il Ministero degli esteri ha risposto che “ogni accusa di razzismo o di discriminazioni sistematiche da parte delle forze dell’ordine in Francia è totalmente infondata”. Anche la Confederazione sindacale internazionale (CSI) ha accusato la Francia di brutalità poliziesche per gli arresti indiscriminati e l’abuso di gas lacrimogeni in occasione delle manifestazioni contro la riforma delle pensioni.

I giovani pur rivendicando, senza crederci troppo, “giustizia”, in realtà dichiarano senza mezzi termini di volersi “vendicare” dei poliziotti e dello Stato. Essi ritengono che la politica con qualsiasi modalità, voto, manifestazioni, attività associative, non consentirà di cambiare le loro condizioni di vita. Paradossalmente, molte delle loro azioni danneggiano gli abitanti dei propri quartieri: auto bruciate, piccoli negozi saccheggiati alla pari dei centri commerciali, 50 edifici scolastici incendiati così come delle biblioteche. I giovani dei quartieri popolari se la prendono con le sedi dei servizi pubblici perché è l’unica traccia, insieme alla polizia, che rappresenta in loco il potere dello Stato. Distruggere queste sedi rappresenta una risposta, anche se in una logica di autodistruzione.

Il Governo si chiude in una escalation securitaria e verbale che non fa che aggravare la situazione. Mentre servirebbe una profonda riforma delle forze dell’ordine, un’agenzia di controllo esterna e indipendente della polizia stessa, lo scioglimento dei reparti speciali, l’abrogazione della legge Cazeneuve (un socialista!) del 2017 e del conseguente “permesso di uccidere” impunemente, un piano di investimenti nei quartieri popolari per ristabilire dei servizi pubblici degni di questo nome.

L’alternativa è una crescita della richiesta di “ordine e legge” da parte di tutte le destre e dei ben-pensanti e dell’auto-isolamento ghettizzante nell’islamismo radicale da parte dei giovani delle periferie.

Quello che il potere vuole evitare, il suo incubo, è che la diagonale della rabbia, dagli ecologisti agli lavoratori mobilitati contro la contro riforma delle pensioni ai giovani banlieuesards, faccia emergere un fronte di classe che potrebbe fare la differenza. Un compito, comunque, non facile per la sinistra francese.

 

FONTE: S. De Toni/S.P.

 

 

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