n°03 – 15 Gennaio  2022 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

00 – Manuel Gómez*:  L’europeismo di David Sassoli. Il presidente del parlamento  europeo è morto l’11 gennaio. Aveva cominciato a fare politica  nelle associazioni cattoliche,  avvicinandosi negli anni  alla sinistra.

01 – Schirò* (Pd): sincero dispiacere per la prematura scomparsa di David Sassoli, autentico europeista al servizio dei cittadini. 11 gennaio 2022

01bis – Schirò *(Pd) – 2022: pensioni vecchiaia e anticipata e gli italiani all’estero.

02 – Schirò *(Pd): la proclamazione a senatore di Fabio Porta è una buona notizia per tutti gli italiani all’estero.

03 – Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci *: Rilancio in Italia e in Germania della raccolta firme in calce alle petizioni gemelle contro la proposta della Commissione europea di inserire nucleare e gas nell’elenco delle energie verdi europee.

04 – Vincenzo Vita*: Governo Draghi batti un colpo.  E’ stato appena trasmesso in televisione il film L’ufficiale e la spia sul caso Dreyfus.

05 – Giulio Cavalli*: Tutti gli  errori del presidente. Nella gestione della pandemia Mario Draghi ha anteposto i desiderata di Confindustria alla salute pubblica. Quanto al Pnrr l’uomo di Palazzo Chigi non ha coi molto i cittadini e non ha la forza politica per tenere insieme la maggioranza.

06 – Michele Bollino *: Un vaccino (anche) contro le disuguaglianze . La metà più povera della popolazione mondiale guadagna l’8% del reddito globale, mentre l’un per cento più ricco se ne intasca il 19%. Sono le cifre allarmanti del World inequality report, un focus sulle disparità socio-economiche che galoppano. E minano la democrazia.

07 –  On. La Marca (Pd)*: incontro parlamentari Italia-Spagna: la marca è intervenuta su diritti di rappresentanza in emigrazione e voto estero. 13 gennaio 2022

08 – Nel Mondo.

 


 

00 – Manuel Gómez*:  L’EUROPEISMO DI DAVID SASSOLI. IL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO  EUROPEO È MORTO L’11 GENNAIO. AVEVA COMINCIATO A FARE POLITICA  NELLE ASSOCIAZIONI CATTOLICHE,  AVVICINANDOSI NEGLI ANNI  ALLA SINISTRA.

l presidente del parlamento europeo  David Sassoli è morto l’11 gennaio, a  65 anni. Dal 26 dicembre 2021 era ricoverato nell’ospedale di Aviano per  gravi complicanze causate da una disfunzione del sistema immunitario. Il giornalista e politico italiano è il primo presidente a morire durante il mandato, che sarebbe terminato il 18 gennaio. Sassoli non si  sarebbe ricandidato.

Era stato eletto presidente nel luglio  2019, prendendo il posto di Antonio Tajani. Inizialmente Sassoli non doveva ricoprire l’incarico. Gli stati che compongono  l’Unione europea, dopo aver deciso che  quel ruolo sarebbe toccato al gruppo socialdemocratico (di cui Sassoli faceva parte), avevano stabilito di nominare un rappresentante dei paesi dell’est, Sergej Stanišev. Ma i deputati europei, guidati dalla  socialista spagnola Iratxe García Pérez, si  erano ribellati alle intenzioni dei capi di  stato e di governo dell’Unione eleggendo  Sassoli, che era stato vicepresidente del

parlamento europeo durante la legislatura  precedente. Sassoli è così diventato il diciassettesimo presidente dell’assemblea  da quando sono gli eurodeputati a eleggere chi ricopre l’incarico.

Il passato alla Rai I suoi ultimi mesi di lavoro sono stati segnati dai problemi di salute. A settembre

2021 aveva contratto una polmonite, causata dalla legionella. Ricoverato in ospedale, aveva trascorso due mesi di convalescenza in Italia. A novembre era tornato al  lavoro partecipando alla seduta plenaria  del parlamento europeo a Strasburgo,  mentre a dicembre aveva consegnato il

premio Sacharov per la libertà di pensiero  alla figlia dell’oppositore russo Aleksej  Navalnyj. Alcuni giorni dopo Sassoli era  stato nuovamente ricoverato in ospedale  per le complicanze che ne hanno causato la morte.

Sassoli era stato eletto al parlamento  europeo nel 2009, da capolista del Partito  democratico nella circoscrizione Italia  centrale. La sua popolarità gli aveva permesso di ottenere un record di preferenze: 412.500. In Italia il suo volto era molto  conosciuto. Fino a quel momento, infatti,

era stato conduttore e vicedirettore del  Tg1. Era entrato alla Rai nel 1992. Prima  di allora aveva lavorato per alcuni anni  per il quotidiano Il Giorno, dopo aver iniziato la carriera in piccoli giornali  e agenzie di stampa locali, seguendo i passi del  padre Domenico. Nato a Firenze il 30  maggio 1956, nel 2013 si era candidato alle primarie del Pd per scegliere il candidato a sindaco di Roma, sua città adottiva,  sfidando l’attuale commissario europeo  per l’economia Paolo Gentiloni e Ignazio  Marino, poi eletto sindaco. I suoi primi  passi in politica li aveva mossi nelle associazioni e nei movimenti cattolici, ma in  seguito aveva maturato posizioni più vicine alla sinistra e aveva preso le distanze  dal sostegno della sua famiglia alla Democrazia cristiana.

Da presidente del parlamento europeo  Sassoli si è scontrato con la maggior parte  degli eurodeputati spagnoli dopo che la  corte di giustizia europea aveva stabilito  che Oriol Junqueras, condannato per aver  promosso il referendum sull’indipendenza della Catalogna, poteva esercitare le  funzioni di europarlamentare. Possibilità  che invece la corte suprema spagnola negava. Sassoli ha riconosciuto lo stesso diritto agli altri eurodeputati indipendentisti fuggiti all’estero, mentre i parlamentari spagnoli avrebbero voluto che prima si  pronunciassero i servizi giuridici del parlamento europeo.

Appassionato di musica e storia classica, Sassoli era uno dei più ferventi europeisti della politica italiana, e come tale si  era comportato nel 2019 durante un incontro piuttosto teso con il premier britannico Boris Johnson sulla Brexit. “È  stato un incontro sincero, senza tante formalità. Johnson avanzava proposte che  non avevano una base giuridica solida e  non potevano essere un punto di partenza. Gliel’ho fatto notare con sincerità. Gli  ho detto che dovevamo agire con serietà

per rispetto dei cittadini europei e britannici”, aveva raccontato Sassoli al País.  Padre di due figli, era considerato in  Italia molto vicino al presidente della repubblica Sergio Mattarella. Aveva anche  ottimi rapporti con il Vaticano.

NOTA

Le Monde “Il lavoro in parlamento di David Sassoli è  stato ostacolato dalla pandemia”, scrive Le Monde. “In piena emergenza sanitaria”, prosegue il quotidiano francese, “aveva messo a disposizione alcuni locali del parlamento per la  preparazione di pasti caldi per chi ne aveva bisogno e per ospitare un centro informazioni,  dove fare anche test per il covid-19”. Durante

questo periodo aveva resistito alle pressioni  francesi per riportare gli eurodeputati a Strasburgo. “Dal 30 aprile 2021 a lui e ad altri rappresentanti dell’Unione europea era stato vietato l’ingresso in Russia a causa delle sanzioni imposte a marzo da Bruxelles contro Mosca”, decise per l’incarcerazione dell’oppositore Aleksej  Navalnyj e per altre violazioni dei diritti umani.

*( Manuel Gómez, El País, Spagna)

 

 

01 – SCHIRÒ* (PD): SINCERO DISPIACERE PER LA PREMATURA SCOMPARSA DI DAVID SASSOLI, AUTENTICO EUROPEISTA AL SERVIZIO DEI CITTADINI. 11 gennaio 2022

L’inattesa notizia della scomparsa di David Sassoli mi procura sincero rammarico e molta tristezza.

È stato uno dei primi volti della televisione nazionale entrato nella mia casa di immigrati italiani in Germania, e, allo stesso tempo, uno dei giornalisti più convincenti per serietà e impegno professionale.

La sua scesa in politica sul versante europeista è stata convinta e profonda, esemplare per  continuità e coerenza. La centralità dei diritti che Egli ha messo alla base del suo impegno politico-ideale e istituzionale è stata per me un costante punto di orientamento.

Il modo fermo e aperto con cui ha esercitato il difficile compito di Presidente del Parlamento europeo in un momento di transizione e di forti tensioni si è rivelato un fattore di stabilità e avanzamento allo stesso tempo. Anche a Lui si deve se l’Europa, di fronte alla terribile morsa della pandemia, ha risposto con il massimo livello di solidarietà e di rinnovamento mai toccato nelle sue politiche sociali e di investimento.

Ho avuto modo di conoscerlo in un incontro politico a Milano, nel quale la sua semplicità e la sua umanità ebbero modo di manifestarsi e di mettere a proprio agio tutti noi.

Ecco, il sorriso di quel breve saluto, io vorrei restituirlo oggi, con tutto il cuore, a David Sassoli nel momento dell’estremo saluto. Addio, Presidente, e grazie per quello che hai fatto per l’Europa che vogliamo e per i diritti dei suoi cittadini.

*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – – Camera dei Deputati

 

 

01bis – SCHIRÒ (PD) – 2022: PENSIONI VECCHIAIA E ANTICIPATA E GLI ITALIANI ALL’ESTERO

IN ATTESA DI UNA NUOVA RIFORMA PENSIONISTICA CHE QUESTO GOVERNO HA ANNUNCIATO DI VOLER INTRODURRE NEL 2022 (E DI EVENTUALI IMPORTANTI MODIFICHE DEL SISTEMA) RIMARRANNO PIÙ O MENO INVARIATI I REQUISITI, PER I PROSSIMI ANNI, PER MATURARE – ANCHE TRAMITE IL MECCANISMO DELLA TOTALIZZAZIONE IN REGIME INTERNAZIONALE – IL DIRITTO ALLA PENSIONE DI VECCHIAIA E ALLA PENSIONE ANTICIPATA ITALIANE PER I NOSTRI CONNAZIONALI RESIDENTI ALL’ESTERO. 14 gennaio 2022

I requisiti restano stabili: per la pensione di vecchiaia, sia per le donne che per gli uomini, 67 anni di età anagrafica fino al 2024 e 20 anni di contributi (maturabili in convenzione), mentre invece per la pensione anticipata a qualunque età anagrafica ci vorranno 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne fino al 2026.

Lo ha confermato e stabilito un decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, secondo cui, a decorrere dal gennaio 2023, i requisiti di pensionamento non saranno ulteriormente incrementati.

Se dauna parte l’età pensionabile per la pensione di vecchiaia fissata a 67 anni in Italia è tra le più alte in Europa e forse nel mondo occidentale dall’altra bisogna però considerare che, come indicano i dati dell’OCSE, l’Italia non è in realtà la più esigente per età effettiva di pensionamento: infatti tra il 2013 e il 2018 le lavoratrici italiane sono andate in pensione ad una media effettiva di 61 anni e 5 mesi, contro una media Ocse di 63 anni e 7 mesi; nello stesso periodo gli uomini sono andati in pensione ad una media effettiva di 63 anni e 3 mesi a fronte di una media Ocse pari a 65 anni e 4 mesi.

Questo accade perché il nostro sistema ha previsto nel corso degli anni, oltre alla pensione di vecchiaia, canali di pensionamento anticipato, tra i quali la pensione di anzianità che prescinde dall’età anagrafica e premia chi ha versato più contributi e poi negli ultimi anni una serie di alternative che hanno consentito di anticipare (ma non per tutti ovviamente) la pensione rispetto all’età pensionabile (e di ovviare alle evidenti rigidità della Riforma Monti-Fornero), come ad esempio Quota 100, Opzione donna, l’Ape sociale ed altre.

Sarebbe auspicabile come sostengono molti detrattori del sistema pensionistico attuale che queste misure estemporanee e non strutturali siano abolite una volta per tutte e si introduca invece con la prossima riforma un sistema di flessibilità “ragionata” che dia la possibilità alle persone di scegliere autonomamente la data di uscita dal lavoro a seconda delle proprie esigenze e dei propri bisogni e consenta quindi la facoltà di anticipare o ritardare l’uscita dal mercato del lavoro senza vincoli particolari se non un ricalcolo dell’importo della pensione, accanto ovviamente ad interventi – come chiedono i sindacati – che comunque riconoscano il lavoro di cura e quello delle donne, i lavori gravosi, aiutino i disoccupati con età avanzata e le categorie fragili e infine offrano una prospettiva previdenziale ai giovani e al lavoro povero, e tutelino il potere d’acquisto delle pensioni. Giova ricordare infine che dal primo gennaio 2022 aumenteranno, anche se di poco, gli importi delle pensioni.

Infatti la perequazione definitiva per il 2021 è pari a +1,7% da applicarsi dal 1° gennaio 2022 sulla base degli incrementi dell’indice dei prezzi al consumo accertati dall’Istat. Gli aumenti si applicano anche ai prorata italiani delle pensioni in regime internazionale.

*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – – Camera dei Deputati)

 

 

02 – SCHIRÒ (PD): LA PROCLAMAZIONE A SENATORE DI FABIO PORTA È UNA BUONA NOTIZIA PER TUTTI GLI ITALIANI ALL’ESTERO

La proclamazione di Fabio Porta a senatore della Repubblica, in sostituzione di Adriano Cario, dichiarato decaduto per irregolarità elettorali, è una buona notizia non solo per chi, come me, da tempo apprezza la persona e l’impegno politico e istituzionale messo in campo, ma per tutti i cittadini italiani all’estero.

Con questa decisione, di cui va dato merito ai colleghi e agli organi deliberativi e di controllo del Senato, si afferma un principio importantissimo per tutti noi: il voto per corrispondenza dei cittadini all’estero, pur essendo per sua natura più complesso ed esposto rispetto a quello in ambito metropolitano, può trovare, quando è necessario, nelle procedure elettorali e di controllo previste dalle leggi la sua completa legittimazione. Non ci sono, dunque, due realtà distinte ed estranee, ma una sola pratica democratica, sancita dalla Costituzione e regolata dalle leggi, che deve tenere conto, naturalmente, delle diverse realtà nelle quali essa si sviluppa.

Siamo, dunque, di fronte a un successo personale di Fabio Porta, al quale formulo le mie congratulazioni e gli auguri di buon lavoro, e, nello stesso tempo, all’affermazione della trasparenza e della legalità in un campo, quello del voto all’estero, che spesso è fatto oggetto, in modo strumentale, di troppi giudizi sommari e distorti.

Sei milioni e mezzo di connazionali sono non solo un’opportunità per l’Italia in ambito globale, ma anche un patrimonio di energie democratiche che possono aiutare il cammino del Paese soprattutto nei momenti difficili come quelli che stiamo attraversando.

Grazie, dunque, a Fabio Porta per averci dato l’occasione di ricordarlo e di riaffermarlo.

*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42 – 00186 roma)

 

 

03 – Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci *: RILANCIO IN ITALIA E IN GERMANIA DELLA RACCOLTA FIRME IN CALCE ALLE PETIZIONI GEMELLE CONTRO LA PROPOSTA DELLA COMMISSIONE EUROPEA DI INSERIRE NUCLEARE E GAS NELL’ELENCO DELLE ENERGIE VERDI EUROPEE. www.alfierograndi.it tramite aruba.it

OSSERVATORIO SULLA TRANSIZIONE ECOLOGICA – PNRR

Promosso da: Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, LaudatoSi’, NOstra

RILANCIAMO LA PETIZIONE RIVOLTA AL GOVERNO DRAGHI

Superate le 100 mila firme

A questo link https://chng.it/52bC5wSRHf è possibile firmare la petizione (che ha già raccolto più di 100mila firme)contro la proposta della Commissione Europea di inserire nucleare e gas nell’elenco europeo delle energie verdi, proposta che vuol dire in sostanza usare i soldi del Next Generation EU (in Italia PNRR) per queste fonti pericolose e inquinanti. Il nucleare è già stato bocciato da ben due referendum popolari in Italia (1987 e 2011). Ci sono pochi giorni per bloccare la proposta della C.E., usiamoli tutti.

L’Europa deve sviluppare fonti di energie veramente rinnovabili come eolico, fotovoltaico, geotermico, idraulico. Nucleare e gas fossile non lo sono.

Questa posizione inaccettabile della Commissione Europea è un cedimento alle pressioni della lobby nuclearista, che ha nella Francia il capofila. La Francia ha infatti bisogno di una quantità spropositata di miliardi di euro (si parla di 400) per mettere in sicurezza le vecchie centrali e per costruirne di nuove, oltreché per completare i costosissimi depositi per le scorie radioattive. Questi costi, scaricati sui Kw di energia elettrica, porterebbero l’energia da nucleare in Francia a livelli proibitivi. Ma i costi elevatissimi del nucleare civile vengono nascosti e caricati sulle finanze pubbliche. Per questo la Francia insiste per scaricare i costi del suo nucleare su tutta l’Europa e altri paesi sperano di fare altrettanto.

Contro questa proposta della Commissione si sta mobilitando la società civile europea. In particolare in Germania è stata presentata una petizione che chiede, in piena sintonia con la nostra, di escludere il nucleare e il gas dal novero delle energie rinnovabili.

Il problema del nucleare non è solo nei costi proibitivi. Ci sono problemi irrisolti nella sicurezza degli impianti. Gli incidenti nelle vecchie centrali in Francia, per fortuna non devastanti, si stanno moltiplicando. Ci sono pericoli per le persone e per l’ambiente nel funzionamento delle centrali nucleari e lo smaltimento delle scorie è problema non risolto. In Italia Sogin propone addirittura di mettere le scorie pericolose per migliaia di anni insieme a quelle a bassa radioattività. Almeno in Francia costruiranno due depositi distinti come indicano le direttive internazionali.

Il nucleare cosiddetto di nuova generazione è solo propaganda, le innovazioni negli impianti non cambiano la sostanza del nucleare a fissione. Per questo la Germania ha chiuso in questi giorni 3 centrali ed entro la fine del 2022 chiuderà le restanti.

Per quanto riguarda il gas fossile, la risposta alla speculazione sui prezzi – ormai alle stelle – deve essere fatta puntando su rinnovabili, rinnovabili, rinnovabili. Invece malgrado gli impegni presi al G20 e nella COP 26, già insufficienti, la lobby del gas fossile cerca di ottenere la proroga delle scadenze decise.

Così l’impegno a mantenere il riscaldamento entro un grado e mezzo di aumento diventerà impossibile, il resto sono chiacchiere, bla, bla.

FIRMANDO LA PETIZIONE ITALIANA (https://chng.it/52bC5wSRHf ) SI SOSTIENE ANCHE QUELLA GEMELLA TEDESCA E VICEVERSA.

IL GOVERNO ITALIANO E QUELLO TEDESCO POSSONO ANCORA BLOCCARE L’INSERIMENTO DEL NUCLEARE E DEL GAS FOSSILE TRA LE ENERGIE RINNOVABILI.

*(Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci – per l’Osservatorio sulla transizione ecologica)

 

 

04 – Vincenzo Vita*: GOVERNO DRAGHI BATTI UN COLPO.  E’ STATO APPENA TRASMESSO IN TELEVISIONE IL FILM L’UFFICIALE E LA SPIA SUL CASO DREYFUS.  QUELLA VICENDA SEGNÒ UNO SPARTIACQUE NELLA TERZA REPUBBLICA FRANCESE, TOCCATA DALL’INGIUSTA CAMPAGNA NEI  CONFRONTI DI UN INNOCENTE ACCUSATO DI SPIONAGGIO.

Ecco, il caso di Julian Assange ricorda, persino in peggio, quel buco nero. Infatti, sul giornalista australiano fondatore di Wikileaks pesa un’omologa accusa da parte degli Stati Uniti in base all’Espionage Act del 1917. Il rischio di una interminabile condanna si appalesa per chi ha avuto il coraggio di far venire alla luce crimini e misfatti delle guerre in Iraq e in Afghanistan, nonché connubi e complicità di numerosi Stati occidentali, con la cura di mantenere l’anonimato dei whistleblowers . Sul banco degli accusati Usa, Gran Bretagna e Paesi alleati, ivi compresa l’Italia. Bombardamenti massivi, attacchi armati alla popolazione civile, torture di Guantanamo disvelate sono tessere di un mosaico di orrori. Il grande sito di informazione, collegato fino al loro voltafaccia a numerose testate note ed influenti, ha rotto il sipario del silenzio che accompagna generalmente le politiche del cinismo bellico.

Da anni, almeno dal 2010, ha preso il via l’odissea di Assange, attraverso tribunali svedesi e poi britannici, con l’incombere – auguriamoci di no, visto che gli avvocati hanno fatto ricorso contro la sentenza dello scorso 10dicembre 2021 dell’Alta Corte di Londra – di una possibile estradizione oltre oceano. In quella sentenza si accettava l’appello proposto dagli Usa, dopo la precedente decisione del gennaio che aveva respinto al contrario la richiesta per motivi di salute. Del resto, lo stesso inviato speciale delle Nazioni Unite contro la tortura Nils Melzer aveva lanciato l’allarme, ipotizzando rischi suicidari. E così pure la compagna di Assange, avvocata Stella Morris.

Il calvario è passato dall’autoisolamento nell’ambasciata dell’Ecuador nel Regno Unito alla prigione dedicata ai peggiori criminali e terroristi di Belmarsh.

In caso di accoglimento dell’estradizione il pericolo concreto è che il tribunale americano commini una pena di 175 anni, secondo la consuetudine di quella giustizia di usare le addizioni e non la prevalenza della colpa. In tutto questo, quasi per un cinico disegno del destino, uno degli artefici principali della guerra in Iraq, Tony Blair, ha ricevuto la maggiore onorificenza elargita dalla Regina. In verità, già oltre un milione sono le firme di un appello contrario.

Che succederà? Ci sarà qualche iniziativa politica o diplomatica nei riguardi del presidente statunitense Biden (la divulgazione dei Pentagon papers sul Vietnam non ebbe conseguenze giudiziarie), affinché si conceda la grazia ad una figura eminente dell’informazione di inchiesta, cui – se mai – andrebbe conferito un premio Pulitzer? Qualcosa si muove, a parte i generosi sit-in dello specifico comitato nato anche in Italia e la tessera ad honorem consegnata attraverso Stefania Maurizi dall’Associazione Articolo21.

Ad esempio, contro l’estradizione si è schierato il vice premier australiano, mentre il presidente messicano ha offerto l’asilo politico al giornalista (v. art. a pag. 10, ndr). Purtroppo, a livello istituzionale finora, qui da noi, non va affatto bene. Anzi.

La mozione parlamentare presentata dal deputato Pino Cabras è stata bocciata e il governo si è voltato dall’altra parte. Al riguardo, che dice il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, rappresentante di una forza – il M5s – che intratteneva rapporti intensi con Assange? Errori giovanili?

Siamo al cospetto di una pagina decisiva per l’esercizio della libertà di informazione.

Una pagina che fa la Storia

*(Vincenzo Vita, giornalista e già senatore Pd, è presidente della Fondazione Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico)

 

 

05 – Giulio Cavalli*: TUTTI GLI  ERRORI DEL PRESIDENTE.  Un premier che si propone per il Colle pretendendo di decidere sul nuovo governo è un obbrobrio costituzionale.

NELLA GESTIONE DELLA PANDEMIA MARIO DRAGHI HA ANTEPOSTO I DESIDERATA DI CONFINDUSTRIA ALLA SALUTE PUBBLICA. QUANTO AL PNRR L’UOMO DI PALAZZO CHIGI NON HA COI MOLTO I CITTADINI E NON HA LA FORZA POLITICA PER TENERE INSIEME LA MAGGIORANZA.  MARIO DRAGHI SI È INSEDIATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO ASSUMENDOSI LA RESPONSABILITÀ DI “USCIRE DALLA PANDEMIA” E DI ORGANIZZARE TUTTO QUELLO CHE SERVIVA PER IL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA.

L’operazione di Mario Draghi è fallita. Riconoscerlo significa essere intellettualmente onesti e avere la lucidità di osservare il momento attuale.

Sulla pandemia Draghi probabilmente non ha fallito del tutto, notando la soddisfazione di Confindustria e di altri poteri che fin da subito hanno deciso di soste-nere questo governo e di applaudire ogni suo intercedere. Fin dal suo insediamento Draghi aveva parlato di «rischio calcolato» e nonostante qualche ingenuo abbia potuto pensare che ci si riferisse a una cautela misurata per tenere in piedi la salute pubblica e l’economia, oggi più che mai è evidente che quel «rischio calcolato» altro non fosse che lo spingere sull’acceleratore del Pii sacrificando quanto possibile la salute delle persone (e il rischio della loro ospedalizzazione). E vero che l’aumento dei contagi è generalizzato e che tutte le pandemie non possono certo essere preventivate nei loro sviluppi con qualche grafico di buona statistica ma la reazione di questo governo all’impennata di Omicron e a questo inverno cosi terribilmente simile a quello dell’anno scorso hanno denudato la linea di azione di Draghi e i suoi. Oggi non si butta l’occhio sui contagi provando a prevedere cosa potrà accadere domani ma si insiste nel valutare la capacità di contenimento dell’impatto per riuscire a tenere più aperte possibili le attività produttive e commerciali. Per Draghi la vera pandemia non sta nelle migliaia di morti che si sono affastellate in questi ultimi anni ma è tutta solamente nel calo di fatturato delle aziende. “Senza le attività aperte non si vive” è il mantra dei liberisti ad oltranza che come al solito non riescono ad avere un atteggiamento più moderno di un bifolco del Tennessee nel secolo scorso.

Ma gli errori di Mario Draghi non sono solo nell’impostazione economica (e lo ripeto, quelli che per noi sono errori per Draghi sono medaglie al petto da indossare con fierezza) ma sono anche e soprattutto di natura politica: se a Draghi è stato chiesto un “cambio di passo” rispetto al governo precedente allora non si può che notare una preoccupante continuità se non addirittura, in certi settori, un disagiato peggioramento. Quando si diceva che uno dei principali problemi del governo Conte fosse la fumosità di certe decisioni prese in Consiglio dei ministri e la diffusa circolazione di bozze di decreti per tastare il sentimento popolare non si sarebbe mai potuto immaginare che le cose sarebbero andate perfino peggio. Come accaduto in occasione dell’ultimo decreto, (tra l’altro pubblicato in Gazzetta ufficiale in piena notte, con il favore delle tenebre che tanto ha fatto scompisciare certi illuminati editorialisti) il governo ha dimostrato di non prendere decisioni convinte ma di galleggiare nella mediazione di mezze decisioni op- poste tra di loro di vari partiti. Siamo arrivati così a una vaccinazione obbligatoria che è obbligatoria solo dai cinquant’anni in su (una mostruosità dal punto di vista scientifico ancora di più alla luce dei dati che indicano i bambini come le vittime preferite di questa ultima ondata), siamo arrivati a un “liberi tutti” di vaccinati e di guariti senza tenere conto che tutti gli elementi a disposizione ci dicono che questi sono contagiosi e contagiati (seppure con minore ospedalizzazioni), siamo giunti a una babele di provvedimenti tra un baule di green pass in una babele di condizioni per le scuole e per gli uffici pubblici. In più non era ancora ufficiale il decreto, che già i partiti della maggioranza scrivevano comunicati stampa con le loro eccezioni alle decisioni prese. Draghi non ha in nessun modo la capacità politica di tenere in mano una maggioranza che continua a sostenerlo solo perché ha dato mandato a Draghi di accontentare certi poteri mettendoci la faccia. I partiti sono ben consapevoli che nel caso in cui andassero davanti ai loro elettori con decisioni fiacche e tiepide come quelle prese in questi ultimi mesi non riuscirebbero a strappare mezzo voto in più. Non è un caso che la presunta “mano dura” di Draghi (quella che ostenta con violenza politica contro i lavoratori e contro i sindacati) si sia trasformata in una carezza sul tema della vaccinazione: i no vax sono scontenti poiché hanno tutti gli elementi per poter gridare alla dittatura sanitaria ma anche i prò vax più convinti non possono che registrare con sconforto un’ammenda ridicola da 100 euro e una flaccida mediazione con la Lega che ha partorito come al solito norme surrettizie per non scegliere una reale vaccinazione obbligatoria.

Sul Pnrr gli ultimi sondaggi intanto dimostrano come la maggior parte degli italiani non abbia capito (o addirittura non abbia nemmeno saputo) di cosa si stia parlando, quali siano le decisioni prese e quali siano le direzioni che si intende percorrere. Che un Piano di rinascita e di resilienza nazionale stia tra le carte degli uffici dei ministeri senza accendere un’ampia discussione popolare è una sconfitta politica, l’ennesima, di una politica che puntava a rafforzare la propria credibilità e che invece ancora una volta appare distante, se non addirittura scollegata, dalla realtà. Se è vero che inizialmente il riserbo di Draghi tornava utile a dipingere una presunta serietà di un uomo “del fare” oggi l’omertà di Draghi come presidente del Consiglio risulta stonata anche per i suoi sostenitori più ferventi.

In ultimo, ma non ultimo, c’è l’orribile passaggio di Draghi sulla sua eventuale elezione a presidente della Repubblica: un presidente del Consiglio che autonomamente si propone per salire al Colle rivendicando una promessa ottenuta (ma esattamente da chi?) e che pretende di decidere come debba svilupparsi eventualmente la formazione di un nuovo governo, il tutto condito con la solita minaccia “o fate come dico io o me ne vado” (che ormai non funziona più) è un obbrobrio costituzionale.

MISSIONE FALLITA, MISTER DRAGHI.

*( da LEFT, Giulio Cavalli, è un attore, drammaturgo, scrittore, regista teatrale e politico italiano.)

 

 

06 – Michele Bollino *: UN VACCINO (ANCHE) CONTRO LE DISUGUAGLIANZE . LA METÀ PIÙ POVERA DELLA POPOLAZIONE MONDIALE GUADAGNA L’8% DEL REDDITO GLOBALE, MENTRE L’UN PER CENTO PIÙ RICCO SE NE INTASCA IL 19%. SONO LE CIFRE ALLARMANTI DEL WORLD INEQUALITY REPORT, UN FOCUS SULLE DISPARITÀ SOCIO-ECONOMICHE CHE GALOPPANO. E MINANO LA DEMOCRAZIA.

L’AUMENTO DEL 5-20% DEL DEBITO PUBBLICO NEI PAESI OCCIDENTALI DURANTE LA PANDEMIA RAPPRESENTA UNA VERA BOMBA A OROLOGERIA.

Elon  Musk costella il cielo di satelliti mentre  Mark Zuckerberg crea Meta, un universo virtuale di sua proprietà. Non sono scenari distopici dal futuro, ma la realtà che apre il 2022. Un mondo in cui la pandemia ha accelerato in maniera vertiginosa la crescita delle disuguaglianze e la concentrazione del capitale nelle mani di poche, pochissime persone. E a rischiare, in un mondo così polarizzato, è la stessa democrazia. Il World inequality report2022, lo studio sulle disuguaglianze elaborato dal think tank dell’economista Thomas Piketty, fotografa la situazione. Il 50% più povero della popolazione mondiale guadagna appena l’8% del reddito globale. Al 40% di classe media va il 38%, mentre il 10% più ricco si impossessa del 52% del reddito disponibile. Ma in quest’ultima classe è l’l% più ricco a detenere il livello massimo di ricchezza, con il 19% del reddito globale. La situazione peggiora ulteriormente se, oltre al reddito, si prende in considerazione anche la ricchezza generata da proprietà e asset finanziari. Rifacendo i conti, il patrimonio del 50% più povero della popolazione mondiale crolla al 2% del totale, mentre quello dell’ 1 % più ricco supera il 38%. In altri termini, 2,5 miliardi di persone possono contare su una ricchezza annua media di 2.900 euro, mentre 51 milioni di persone sfiorano un valore medio di 2,8 milioni di euro.

LE COSE NON CAMBIANO SE, AL POSTO DEI DATI GLOBALI, SI ISOLANO QUELLI DEI SINGOLI CONTINENTI. «E IMPRESSIONANTE NOTARE – si legge nel report – come la ricchezza posseduta dal 10% più ricco sia compresa tra il 60 e l’80% del totale in tutte le regioni. Questo rivela l’esistenza di un sistema di proprietà privata estremamente gerarchico in tutti i continenti, a prescindere dalle istituzioni politiche presenti o dal livello di sviluppo economico. Il Nord America, il continente più ricco al mondo, è anche quello più diseguale».

Risultato simile si ottiene spostando l’attenzione sul 50% più povero della popolazione che, in ogni continente, possiede tra l’I e il 5% della ricchezza disponi-bile: «In tutte le aree del mondo – scrivono gli autori del report – metà della popolazione è esclusa dal pos-sesso del capitale».

L’unica eccezione si incontra analizzando i dati della classe media. Se, in tutte le aree del mondo, questa detiene tra il 25 e il 30% della ricchezza, in Europa la percentuale sale al 40%. Il Vecchio continente è l’unica area del pianeta dove il “middle 40%” detiene più ricchezza del 10% più ricco. Un risultato raggiunto grazie all’esistenza di consolidati sistemi di Welfare state che permettono di definire l’Europa come «il continente meno diseguale al mondo».

L’importanza dello Stato sociale nel contrasto alle disuguaglianze emerge con chiarezza guardando gli effetti della pandemia. I programmi messi in campo dai Paesi occidentali sono riusciti a sostenere i lavoratori a basso reddito, generando addirittura una diminuzione delle persone in povertà assoluta. Nei Paesi con sistemi sociali meno sviluppati, al contrario, la crisi è stata più dura: secondo il Fondo monetario internazionale, sono oltre 100 milioni le persone precipitate in uno stato di povertà assoluta per colpa del Covid-19.

Gli interventi statali sono quindi riusciti a contrastare la povertà, ma non hanno avuto lo stesso successo nel frenare la crescita delle disuguaglianze. Diversi studi citati nel rapporto, infatti, mostrano come la pandemia abbia colpito in maniera molto diversa persone con redditi differenti. Negli Stati Uniti, ad esempio, nell’aprile 2020 il tasso di occupazione è crollato del 37% per i lavoratori con i salari più bassi e del 14% per quelli con i salari più alti. Allo stesso modo, durante la pandemia le classi benestanti hanno aumentato i propri risparmi, mentre tra le classi più povere sono aumentati i livelli di indebitamento.

Ma gli stimoli economici messi in campo durante la pandemia hanno avuto anche un altro effetto: l’aumento del debito pubblico e la definitiva scomparsa del capitale pubblico. Se, all’inizio degli anni 80, igoverni occidentali possedevano, attraverso imprese, infrastrutture ed altri asset, il 15-30% della ricchezza complessiva accumulata nei loro Paesi, nel 2020 questa percentuale è scesa vicino allo zero, con picchi negativi in Usa e Regno Unito.

L’aumento del 5-20% dei debiti pubblici nei Paesi occidentali rappresenta una vera bomba a orologeria: «In un modo o nell’altro – scrivono gli autori del report – questo debito andrà ripagato. E i governi potrebbero essere nuovamente tentati da un mix di austerity e tassazione regressiva». Misure già messe in campo dopo la crisi economica del 2008 e che hanno dimostrato di «colpire in maniera sproporzionata le classi con i redditi più bassi».

Stati con debiti pubblici più alti vuol dire governi inca-paci di mettere in campo quelle misure di welfare necessarie per contrastare la crescita delle disuguaglianze. Ma non solo. L’azzeramento del capitale pubblico costringe i governi a finanziarsi esclusivamente attraverso i mercati finanziari. Così, il peso degli investitori stranieri aumenta in maniera sproporzionata, riducendo l’autonomia e la capacità di scelta delle democrazie. Ma se i governi arretrano, qualcun altro avanza. E la classe dei “multimiliardari globali”, un gruppo ristrettissimo di persone sempre più influenti nelle vite di tutti. Per comprendere il loro potere, basta guardare alla velocità con la quale crescono le loro fortune. Negli ultimi 25 anni, il 50% più povero, il 40% di classe media e il 10% più ricco hanno incrementato i propri patrimoni rispettivamente del 3,7, 3,8 e 3%. Se si isola lo 0,01% più ricco, il tasso di crescita arriva però al 5%, che sale a 5,9% per lo 0,001%. Ma il dato tocca il livello più alto analizzando la crescita dello 0,000001% più ricco, ovvero quello dei 52 multimiliardari globali più ricchi, che hanno visto aumentare del 9,3% annuo i propri patrimoni. Un trend che non si è fermato con la pandemia che, anzi, ha visto toccare nuovi livelli record, con una crescita superiore all’ 11%. Non c’è quindi da stupirsi se la Nasa, una delle agenzie che riceve più finanziamenti dal governo Usa, si sia trovata con problemi di budget e abbia dovuto chiedere a Elon Musk di utilizzare la sua navicella Space-X per portare i propri astronauti sulla Stazione spaziale Internazionale. E lo stesso patron di Tesla è pronto a lanciare il suo progetto più ambizioso: Starlink, una galassia di oltre 1.600 satelliti che punta ad assicurare connessione 5G in ogni angolo del globo. Fatturato previsto: oltre 30 miliardi di dollari l’anno.

Ma Elon Musk non è l’unico multimilionario che tratta alla pari con i governi dei Paesi più importanti del pianeta. La Bill & Melinda Gates foundation, da anni una delle Ong più attive in Africa, siede ai tavoli con istituzioni come Oms e Banca mondiale. Lo scopo dichiarato della fondazione è la filantropia, che gli assicura ingenti sgravi fiscali, ma anche la creazione e l’apertura di nuovi mercati. C’è poi Mark Zuckerberg che, grazie a Facebook, gestisce i dati personali di circa 2,9 miliardi di utenti, pari al 35% della popolazione globale. Dati che, come dimostrato dallo scandalo Cambridge analytica, posso essere utilizzati per indirizzare l’opinione pubblica e manipolare campagne elettorali.

Non solo: sul proprio social network Zuckerberg ha il potere di censurare chi vuole. Anche il presidente de-gli Stati Uniti, come fatto con Donald Trump durante l’assalto a Capitol Hill dello scorso anno.

Alla lista dei multimilionari globali si aggiungono poi i signori della logistica, vero cuore pulsante del capitalismo dei servizi, e gli oligarchi che controllano le materie prime, vecchie e nuove. Un quadro che ha portato diversi osservatori, come Noam Chomsky, a parlare di “sistema neo-feudale”. «Ma la lotta alle disuguaglianze si può vincere – rassicurano gli autori del report -.

GLI STRUMENTI CI SONO, È UNA QUESTIONE DI SCELTE POLITICHE». SCELTE CHE, SPERIAMO, SAREMO ANCORA IN GRADO DI PRENDERE

*( Michele Bollino è giornalista dell’agenzia di stampa Dire)

 

 

07 –  On. La Marca (Pd)*: INCONTRO PARLAMENTARI ITALIA-SPAGNA: LA MARCA È INTERVENUTA SU DIRITTI DI RAPPRESENTANZA IN EMIGRAZIONE E VOTO ESTERO. 13 gennaio 2022

Ieri la Commissione esteri della Camera ha incontrato la delegazione dell’omologa Commissione del Congreso de los Diputados spagnolo con la prospettiva di avviare una cooperazione permanente tra le due Commissioni.

I temi al centro del confronto sono stati il rilancio dell’UE, la stabilità e la pace nel Mediterraneo, le strategie per lo sviluppo dell’Africa, la gestione delle migrazioni, i cambiamenti climatici e la sostenibilità, i diritti umani e la democrazia.

L’on. La Marca, unica eletta della circoscrizione estero ad essere presente, è intervenuta in spagnolo alla conclusione degli interventi della delegazione.

“Sono convinta – ha detto la deputata democratica –  che Italia e Spagna abbiano una convergenza di interessi e una facilità di comprensione reciproca che consenta ai nostri paesi di giocare un ruolo chiave a livello europeo e globale, soprattutto in questa difficile congiuntura segnata dalla pandemia”.

L’on. La Marca, dopo aver ricordato che la mobilità italiana ha messo solide radici in Spagna (quella italiana è la quarta comunità straniera) ha illustrato gli strumenti adottati dall’Italia per garantire una rappresentanza politica ai cittadini italiani residenti all’estero soffermandosi, in particolare, sull’istituzione della Circoscrizione estero e sull’elezione di parlamentari provenienti dall’emigrazione.

Infine, anche in considerazione dei rapporti di amicizia e di collaborazione con la diaspora spagnola in nord e centro America, l’on. La Marca ha chiesto notizie sugli strumenti adottati dalla Spagna per promuovere la partecipazione dei propri cittadini all’estero, anche con riferimento al voto all’estero.

L’On. Antón Gómez-Reino Varela, Vicepresidente della Commissione, nella sua replica, esprimendo interesse per la scelta italiana, ha ricordato l’istituzione dei Consejos de Residentes Españoles – CREs –  e del Consejo General de la Ciudadanía Española en el Exterior – CGCEE. Per quanto riguarda l’esercizio del diritto di voto, invece, ha precisato che gli spagnoli residenti all’estero possono votare dal paese estero di residenza, ma soltanto per i candidati nazionali. Su quest’ultima questione, ha aggiunto, è in corso un dibattito relativo ad una eventuale riforma costituzionale e vi sono proposte che – sul modello italiano – intendono consentire agli spagnoli all’estero di eleggere propri candidati.

“Mi auguro che l’esperienza italiana costituisca un modello positivo anche per la Spagna e che la ricchezza e la vivacità della diaspora spagnola nel mondo possa presto trovare una rappresentanza parlamentare. L’incontro è stato molto proficuo e rafforza la mia convinzione che queste occasioni di confronto vadano intensificate e rafforzate”  ha dichiarato l’on. La Marca al termine della riunione.

*(LaMarca, deputato PD)

 

 

08 – NEL MONDO.

USA

L’11 gennaio, in occasione di un discorso tenuto ad Atlanta, in Georgia, il presidente Joe Biden ha annunciato di voler modificare le regole del senato in base alle quali per approvare molte leggi è necessaria una maggioranza del 60 per cento. L’obiettivo è favorire l’approvazione di due leggi che garantirebbero l’accesso al voto di tutti i cittadini, armonizzando le norme elettorali a livello federale. Negli ultimi anni molti stati conservatori hanno introdotto riforme che ostacolano di fatto l’accesso al voto degli afroamericani.

CANADA

L’11 gennaio François Legault, primo ministro della provincia francofona del Québec, ha annunciato l’introduzione nelle prossime settimane di una tassa che sarà applicata solo alle persone che non si sono vaccinate contro il covid-19, come contributo al sistema sanitario. Secondo Legault, gli adulti che rifiutano il vaccino rappresentano “un onere finanziario per la collettività”. Nella provincia il 10 per cento degli adulti non vaccinati occupa il 50 per cento dei posti in terapia intensiva.

COREA DEL NORD

L’agenzia di stampa ufficiale Kcna ha confermato l’11 gennaio che il paese ha condotto, per la seconda volta in meno di una settimana, il lancio di prova di un missile ipersonico. Il leader Kim Jong-un ha assistito personalmente al lancio. I missili ipersonici viaggiano più veloci del suono e sono estremamente difficili da intercettare.

UNGHERIA

L’11 gennaio il presidente János Áder ha annunciato che le elezioni legislative si terranno il 3 aprile. Il premier sovranista Viktor Orbán, al potere dal 2010, punta a ottenere un quarto mandato consecutivo, ma affronterà per la prima volta un’opposizione unita, dalla destra nazionalista ai socialdemocratici. Il candidato di opposizione è Péter Márki-Zay, vincitore a ottobre delle primarie tra sei partiti.

ETIOPIA

L’11 gennaio fonti umanitarie e ospedaliere hanno affermato che almeno diciannove persone sono morte negli ultimi due giorni nei raid condotti con droni nella regione settentrionale del Tigrai. L’8 gennaio i ribelli del Fronte popolare di liberazione del Tigrai (Tplf) avevano accusato le forze governative di aver condotto un raid aereo contro un campo profughi in cui sarebbero morte 56 persone.

BURKINA FASO

Il procuratore militare di Ouagadougou ha annunciato l’11 gennaio l’arresto di otto militari accusati di pianificare un colpo di stato. Tra i militari arrestati c’è il luogotenente colonnello Emmanuel Zoungrana, comandante delle forze del settore ovest, impegnate nella lotta antiterrorista. Dal 2015 più di duemila persone sono morte negli attacchi jihadisti nel paese.

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