Il 3 dicembre i figli della diaspora italiana, gli iscritti all’anagrafe degli italiani residenti all’estero, avranno l’occasione di votare per il rinnovo dei propri organi di rappresentanza democratica, i Comites (e, in maniera indiretta, il CGIE).
Già altre volte ho scritto del paradosso di un organo di rappresentanza elettivo votato da una percentuale inferiore alle due cifre degli aventi diritto, e che prevede per l’iscrizione alle liste elettorali un atto volitivo forte.
Per la cronaca, in questa tornata elettorale le liste ammesse sono 244, per 115 Comites (di cui 9 di nuova istituzione). Rispetto alle precedenti elezioni, gioiscono le autorità, vi è un aumento del 55% del numero delle liste. Tuttavia, in molte circoscrizioni concorrerà una sola lista; in altre, non se ne è presentata nessuna, e questo nonostante una semplificazione normativa nella procedura per la presentazione dei candidati per queste elezioni.
In ogni caso, ora che le liste elettorali sono state presentate, emergono, come forse largamente prevedibile, nuove e vecchie criticità, in termini di programmi politici.
La prima, forse la più evidente, è legata a quelle circoscrizioni in cui una sola lista si presenta, per cui, de facto, la presentazione di un programma diviene più un esercizio di stile che non un enunciato politico rivolto ai possibili elettori.
Registro però, più in generale, nelle dichiarazioni programmatiche che ho potuto leggere o ascoltare, sia per le liste come anche per i singoli candidati, spesso, una grande confusione sul ruolo e le funzioni di questi organi rappresentativi.
Due affermazioni, in particolare, mi hanno colpito, perché ricorrenti e perché esprimono una certa confusione sulle opportunità, limiti e potenzialità dell’uso del web e dei social.
La prima, ascoltata e letta più volte, ed espressa da candidati in circoscrizioni consolari diverse, è l’aspettativa che i Comites diventino una “rete” che permetta agli italiano all’estero di entrare in contatto, per favorire lo scambio di informazioni e l’organizzazione di eventi ricreativi.
Nessuno, ovviamente, nega che, come recita la legge, “ciascun comitato […] contribuisce ad individuare le esigenze di sviluppo sociale, culturale e civile della propria comunità di riferimento”; tuttavia le formulazioni lette e ascoltate suggeriscono una incomprensione del proprio ruolo istituzionale e che i futuri membri dei Comitati stiano scambiando i mezzi messi loro a disposizione con i fini del proprio mandato. Più interessante sarebbe stato ascoltare e leggere, da parte dei candidati e dei portavoce, con quali criteri le loro liste intendano gestire nei diversi territori i fondi, nazionali e regionali, che i Comites amministrano; quali posizioni hanno rispetto ai gruppi informali sulle reti social e le informazioni che vi vengono scambiate; se e quali sono le loro proposte in discontinuità rispetto ai precedenti Comitati. Altrimenti, nella migliore delle ipotesi, si è portati a interpretare il ruolo del Comites come un comitato organizzatore, e non un luogo politico di confronto e rappresentanza di interessi anche diversi; nella peggiore, e a voler pensare male, si può arrivare a ipotizzare un utilizzo dei fondi pubblici a cui i Comites attingono per il fine politico di perpetuare ad libitum le liste stesse.
La seconda affermazione ricorrente è l’impegno, espresso dalla quasi totalità dei candidati, di impegnarsi per la promozione e la diffusione della lingua e della cultura italiana. Tuttavia, questi obiettivi sono quasi sempre declinati come difesa delle tradizionali modalità di insegnamento della lingua italiana; a scuola per i bambini; tramite associazioni, per gli adulti. Le criticità di un tale approccio non sono affrontate (quanti classi bilingue, in Francia? Quanti licei italiani?), mentre sono assenti da quasi ogni discorso problematiche come le restrizioni legate alla geolocalizzazione delle piattaforme di streaming o dei portali web della radiotelevisione italiana. Problematiche che faranno forse sorridere, ma che provocano periodicamente ondate di indignazione alla scoperta di reti di ridiffusione clandestina di programmi televisivi; o che sottintendono il mancato accesso per molti connazionali all’informazione e alla programmazione della TV pubblica, anche quella generalista (e, nel tempo del WorldWideWeb, la piattaforma satellitare Tivùsat NON può essere la sola risposta da parte della politica italiana).
Purtroppo, la qualità politica delle liste candidate rischia di rispecchiare, ancora una volta, il grado di partecipazione e preparazione dell’elettorato dei Comites.
In un momento storico in cui molti rappresentanti delle istituzioni nazionali sognano, senza neppure nasconderlo, di poter sostituire a degli organismi di rappresentanza elettivi degli albi associativi di nomina consolare, dispiace molto questa constatazione.
FONTE:https://lanouvellevague.altervista.org/
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