Il protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori per una vera riforma della pubblica amministrazione e la valorizzazione del lavoro pubblico

Contributo di riflessione sul “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale” delle compagne e dei compagni della FLC e FP di Lavoro Società per una Cgil unita e plurale, riuniti il 12 marzo scorso in modalità videoconferenza

“Il nostro Paese riparte dalle donne e dagli uomini della Pubblica Amministrazione, nello Stato, nelle Regioni e negli Enti locali, nel sistema della Conoscenza e nella Sanità e nelle agenzie pubbliche” e “l’innovazione dei settori pubblici […] richiede una partecipazione attiva delle lavoratrici e dei lavoratori”: così si legge nella premessa del “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale”, sottoscritto lo scorso 10 marzo dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Ministro per la Pubblica Amministrazione e dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil.

Ma qui non possiamo non rilevare una contraddizione tra le dichiarazioni e i fatti. Si tratta di un patto calato dall’alto, privo di qualsiasi coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori, che non solo non hanno potuto discutere prima dei suoi contenuti ma non ne hanno avuto alcuna informazione preventiva, se non nelle indiscrezioni di stampa di poche ore prima della cerimonia di sottoscrizione.

Per quanto riguarda le nostre categorie sindacali e la nostra confederazione siamo di fronte a tempi e modalità che si scontrano con la democrazia interna e con le regole che stabiliscono la discussione e il mandato da parte degli organismi direttivi. Ma nemmeno gli organismi statutari delle categorie sono stati consultati e informati.

Nel rapporto con lavoratrici e lavoratori e nella nostra idea di democrazia il metodo è sostanza e quanto accaduto sul “Patto” – prima e al di là dei suoi contenuti – costituisce una modalità non consona di approccio, tanto più vista l’importante e significativa materia del suo contenuto, che riguarda non solo i 3,2 milioni di lavoratrici e lavoratori pubblici, ma l’intero mondo del lavoro e la società tutta.

Poiché per volgere a favore delle lavoratrici e dei lavoratori – e dei cittadini tutti – le molte aree grigie del “Patto”, ed ottenere che siano coerentemente tradotte quelle condivisibili sarà necessario mettere in campo iniziative a sostegno delle nostre richieste, il mancato coinvolgimento preventivo e costante dei lavoratori e delle strutture corre il rischio di depotenziare la nostra capacità di mobilitazione.

La scelta del termine “Patto” può richiamare – ed esplicitamente lo ha fatto nelle sue dichiarazioni ufficiali il ministro Brunetta – le politiche concertative dei primi anni ’90 e l’accordo del 1993, politiche che, per quanto riguarda la Cgil, sono state in più Congressi valutate come definitivamente superate, con un giudizio critico sui loro risultati.

Il testo del “Patto” contiene richiami importanti e innovativi sul lavoro pubblico e sulle relazioni sindacali – una nuova “narrativa” si direbbe – soprattutto se paragonate a posizioni anche recenti del neoministro e alle norme scaturite dalla sua precedente gestione dello stesso ministero.

Non si tratta qui, anche per l’autorevole sigillo del Presidente del Consiglio, di fidarsi o meno di Brunetta – nutriamo poca fiducia su un suo reale cambiamento di impostazione, basti porre attenzione alle sue ultime dichiarazioni o leggere le linee programmatiche presentate all’audizione nelle Commissioni parlamentari riunite.

Occorre sempre partire dalla realtà della vigenza di norme che hanno fortemente penalizzato e svalorizzato il lavoro pubblico, ridotto il perimetro della funzione pubblica e dei diritti e servizi universali, favorito privatizzazioni ed esternalizzazioni, riportato a legificazione materie importanti della contrattazione collettiva, tagliato pesantemente i bilanci delle amministrazioni pubbliche e bloccato per un decennio assunzioni e turn-over, ridotto il perimetro delle relazioni sindacali e della contrattazione, introdotto norme draconiane sulla malattia. Il “Patto” fa riferimento “al superamento dei limiti di cui all’art.23, comma 2, del d. Lgs. 75/2017” ma è tutta una serie di norme legislative che va abolita e superata se si vuole ripristinare una piena agibilità della contrattazione sindacale e ricostruire riconoscimento e valorizzazione del lavoro pubblico.

Siamo in presenza di un accordo quadro generale, una occasione certo da utilizzare, sapendo che per costruire il reale cambiamento e il cambio di paradigma avrà bisogno di essere verificato e coerentemente applicato nei tavoli di trattativa, rapportandosi alla realtà in cui si trova oggi la PA, a partire dai settori determinanti come la sanità, la scuola, l’università e la ricerca.

Negli ultimi dieci anni – riconosce lo stesso Brunetta – si sono persi un milione di posti di lavoro, tra il 2019 e il 2020 la PA ha perso circa 190.000 dipendenti e entro i prossimi due–tre anni si prevede l’uscita di altre 300.000 persone.

È evidente che tra i principi e la loro traduzione non solo il metodo, cioè la condivisione e il confronto costante, ma anche il merito, cioè quello che sarà scritto nei decreti e negli atti di indirizzo per i contratti, dovrà essere coerente. I giudizi compiuti verranno dati sul lungo periodo, provvedimento per provvedimento. Non possiamo che misurare prossimità o distanza sul merito, è un tratto di serietà che chi esercita una responsabilità deve sempre avere l’accortezza di osservare.

La necessità di una profonda riforma della Pubblica Amministrazione è stata ed è al centro delle rivendicazioni della Cgil e delle nostre categorie – anche con lotte e mobilitazioni spesso non sostenute da altri sindacati. Siamo ancor più consapevoli e determinati a perseguirla di fronte alle tragiche conseguenze della pandemia da Covid-19 – che non sarà di breve durata e che ha ulteriormente dimostrato l’indispensabilità e il valore del lavoro pubblico, in tutti i comparti – e per sostenere al meglio le opportunità derivanti per il nostro Paese dall’accesso ai fondi del Next Generation Eu.

Sarebbe però un’ulteriore contraddizione e soprattutto l’ennesima occasione mancata se, come sembra trasparire in alcune affermazioni e da alcuni dei suoi contenuti, si volesse finalizzare la “riforma” solo o principalmente a provvedimenti di efficientamento, “semplificazione”, “smaltimento dell’arretrato”, “rapidità di risposta” alle esigenze delle imprese traguardate unicamente alla, pur fondamentale, “messa a terra” dei progetti del Ngeu.

Non si può che partire da questo cronico e voluto sottodimensionamento del settore pubblico nel nostro Paese, anche nel confronto con gli altri paesi europei: la Francia ha 5,6 milioni di lavoratori pubblici, la Germania ne ha 4,8 milioni. Da noi 13 lavoratori su 100 sono nel settore pubblico, in Francia 20 su 100, in Spagna e Gran Bretagna 16 su 100.

Il blocco del turnover, praticato ormai da un ventennio, la crescente precarizzazione, le esternalizzazioni hanno innalzato notevolmente l’età media, tra le più alte d’Europa. Il primo grande investimento è dunque quello di un massiccio piano di assunzioni, a partire dalla stabilizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori precari, in tutti i comparti della pubblica amministrazione e – come ci ha insegnato la pandemia – avendo particolare attenzione alla sanità, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione e la sanità territoriale alla scuola e all’università per garantire maggior scolarizzazione e il diritto allo studio senza discriminazioni e diseguaglianze.

Anche in relazione alle figure tecniche, particolarmente legate all’attuazione del Ngeu, non è accettabile una nuova tornata di assunzioni a termine – questa volta di tre–cinque anni – reclutando personale attraverso le agenzie private o ricorrendo al modello aziendalistico privato, né una nuova politica di “incarichi” temporanei, così come vanno valorizzate le professionalità già presenti tra lavoratrici e lavoratori in organico, molto spesso con qualificazioni e professionalità ben superiori alle mansioni svolte.

Se da un lato, nella premessa il “Patto” esplicita, positivamente, che “i rinnovi contrattuali sono un investimento politico e sociale”, dall’altro troppe volte nel testo compaiono i termini “confronto”, “dialogo” in luogo di “contrattazione”, peraltro, come già detto, fortemente limitata dalle norme in vigore.

Allo stesso modo, il positivo riavvio della negoziazione sui Contratti nazionali – con l’incontro preliminare presso l’Aran del 12 marzo – sconta il limite delle risorse stanziate dalla legge di bilancio dal precedente governo Conte, che la Cgil e le nostre categorie hanno sempre valutato come insufficienti. La salvaguardia dell’elemento perequativo che “confluirà nella retribuzione fondamentale” avverrà all’interno dello stesso limite di risorse e saremo ben lontani da un aumento medio di 107 euro, come strombazzato dai media quasi a voler rimarcare che il lavoro pubblico sarebbe “premiato” in conseguenza alla sigla del “Patto”. Per la revisione dei sistemi di classificazione il “Patto” indica “lo stanziamento di risorse aggiuntive nella legge di bilancio 2022”.

Positivo appare l’impegno (punto 2.) a superare la gestione emergenziale delle prestazioni a distanza e a disciplinarle nei contratti nazionali del triennio 2019-21, anche riguardo agli “aspetti di tutela dei diritti sindacali, delle relazioni sindacali e del rapporto di lavoro (quali il diritto alla disconnessione, le fasce di contattabilità, il diritto alla formazione specifica, il diritto alla protezione dei dati personali, il regime dei permessi e delle assenze ed ogni altro istituto del rapporto di lavoro e previsione contrattuale)”.

Così come sarebbe un passo avanti il riconoscimento del diritto dei lavoratori alla formazione continua in orario di lavoro, ma anche questo dipende fondamentalmente dall’assegnazione di significative risorse aggiuntive e dall’effettiva possibilità di contrattazione collettiva dei profili professionali, della progressione di carriera, di tempi, modalità, contingenti, contenuti della formazione stessa.

Su tutto incombe una concezione – che sembra ancora centrale in alcuni passaggi del testo del “Patto” – basata sul rilancio della premialità e della meritocrazia, che tende a discriminare a priori lavoratrici e lavoratori e lascia, neanche tanto sullo sfondo, la narrazione tossica di un’amministrazione pubblica inadeguata non per i problemi strutturali qui sommariamente delineati, ma per i limiti dell’impegno soggettivo del personale, o comunque di una larga parte di esso.

Preoccupa sul piano valoriale il continuo richiamo a una PA garante dei servizi rivolti ai cittadini e alle famiglie ma anche dell’impresa e del mercato privato: non vorremo che “anche” significasse “soprattutto”. Fatto salvo l’importante ruolo da svolgere nei confronti delle attività economiche, non smetteremo mai di ribadire il ruolo della Pubblica Amministrazione come garante della piena cittadinanza e dei diritti sociali ad essa sottesi.

Significative le affermazioni che si leggono nelle slide dell’audizione parlamentare del ministro: “Intendiamo accrescere l’osmosi con il settore privato”; “Dobbiamo Immaginare nuovi modi di organizzare il lavoro attraverso i quali favorire una sempre maggior interazione tra le diverse amministrazioni e con il privato”; “La mobilità sarà considerata essenziale a fini dei percorsi di carriera”; “Pluralità di fornitori e di servizi d’interesse collettivo uscendo dal perimetro pubblico”; “Premialità dei dipendenti pubblici non piatta ma legata ai risultati”; “Per rafforzare il ricambio generazionale e l’immissione di giovani con nuove competenze si potrebbe ipotizzare un meccanismo volontario di incentivi all’esodo di persone vicine all’età pensionabile e con professionalità non adeguate a cogliere la sfida dell’innovazione tecnologica o non più motivate a rimanere nel settore pubblico”.

Troppi rimandi a quella retorica manageriale che costituisce un potente strumento di propaganda e persuasione della nuova ragione del mondo rappresentata dall’ideologia del neoliberismo e del lavoratore imprenditore di se stesso. La battaglia politica contro il neoliberismo si sostanzia anche in una battaglia delle idee a livello di linguaggio.

Se rinnovare e riqualificare il ruolo e la funzione generale della PA, per noi in funzione e al servizio del cittadino e dello Stato, è precondizione per ricostruire il modello sociale e di sviluppo futuro, occorre allora mobilitare ingenti investimenti per un piano occupazionale, rivolto non solo al rinnovo del turn-over ma al recupero dei tanti posti di lavoro persi in questi anni – ridando centralità e riconoscimento effettivo al lavoro pubblico nella sua interezza.

Infine, pur consapevoli che si tratti di una pratica negoziale che viene ormai da lontano e che si mascheri dietro la parificazione di “diritti” tra lavoratori privati e pubblici, continuiamo a denunciare come del tutto incoerenti e, per il pubblico impiego in particolare, autolesionisti gli istituti del welfare contrattuale e delle agevolazioni fiscali per queste prestazioni e per il salario di produttività. È del tutto paradossale che lo Stato – nelle sue articolazioni – incentivi i dipendenti pubblici a fruire di prestazioni di welfare “che integrino e implementino le prestazioni pubbliche”. Il welfare contrattuale contribuisce a minare il principio e la pratica dell’universalità dei diritti e dei servizi pubblici, favorisce il privato, alimentando quella sussidiarietà tanto richiamata in questi anni e da preferire allo Stato, crea diseguaglianze tra lavoratori e tra essi e pensionati e disoccupati, e distoglie doppiamente – direttamente e con la defiscalizzazione – risorse dai servizi pubblici: la collettività paga benefici goduti da pochi e gestiti dai privati, con i relativi profitti. Allo stesso modo la detassazione non costituisce un vantaggio per i lavoratori (basterebbe un maggior aumento degli stipendi, una parte dei quali ritornerebbe allo Stato in termini di tasse), mentre sancisce definitivamente – proprio quando si dichiara che si vuole porre mano a una, per noi necessaria, riforma organica del sistema fiscale – la politica di detassazione e decontribuzione tanto invocata dalle imprese.

I prossimi mesi – in tempi ravvicinati – saranno decisivi per un confronto e uno scontro sul ruolo dello Stato e del pubblico in economia e sulla riforma, democratica, partecipata, universalistica della Pubblica Amministrazione. Decisivo sarà il protagonismo delle lavoratrici e dei lavoratori, sia pubblici, che più in generale, giacché la qualità e universalità del pubblico è fondamentale per tutti i lavoratori e tutti i cittadini. Il primo terreno di verifica per Fp e Flc e per la Cgil nel suo insieme è quindi un rapido recupero del rapporto con le lavoratrici e i lavoratori del pubblico impiego, a partire dal superamento delle criticità del “Patto” – sulla base delle piattaforme rivendicative costruite e sostenute dalle lotte di questi anni – e della coerente applicazione dei contenuti positivi presenti nel “Patto” sottoscritto.

Tutto questo può avvenire solo sulla base di un forte rapporto tra lavoratori e rappresentanza sindacale e della rimozione dei vincoli e limiti posti al pieno dispiegarsi della contrattazione collettiva da parte delle categorie titolate e interessate, dentro la visione generale e la necessità di un radicale cambiamento, per il nuovo modello sociale e economico che abbiamo indicato come Confederazione.

Le compagne e i compagni di Lavoro Società per una Cgil unita e plurale di Flc Cgil e Fp Cgil
15 marzo 2021

 

FONTE: https://www.sinistrasindacale.it/index.php/documenti/1907-il-protagonismo-delle-lavoratrici-e-dei-lavoratori-per-una-vera-riforma-della-pubblica-amministrazione-e-la-valorizzazione-del-lavoro-pubblico

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