India: il lavoro e la produzione dopo le misure anti-Covid, a partire dai migranti (interni), in un’analisi di Down To Earth

di Marinella Correggia

«Il collasso economico dovuto alle misure anti-Covid ha reso visibili gli invisibili. Adesso diamo valore al loro lavoro, mal pagato, sempre considerato fungibile»: un’affermazione che si adatta benissimo al contesto dell’Italia. Quelli che stavano a casa si sono accorti di dipendere da figure professionali prima neglette: agricoltori, commesse, fattorini – oltre che dal personale sanitario a tutti i livelli. E soprattutto, si è capito quanto siano essenziali le braccia straniere per la raccolta dell’ortofrutta, componente fondamentale della nutrizione. Non per niente oggi 21 maggio è il giorno dello sciopero dei braccianti stranieri (anche in nome degli italiani) https://twitter.com/aboubakar_soum/status/1263445146705825792?ref_src=twsrc%5Egoogle%7Ctwcamp%5Eserp%7Ctwgr%5Etweet

De te fabula narratur. Ma in realtà quella frase sul collasso economico si riferisce all’India. Sul quindicinale on-line (lo raccomandiamo) Down to Earth del Centre for Science and Environment (Cse), Sunita Narain si occupa appunto dei migranti interni della Federazione indiana. Nel futuro dopo il lockdown iniziato il 24 marzo, quale sarà il futuro del lavoro e della produzione? Chi produrrà, come, cosa e per chi? Domande classiche ma cruciali. «In queste settimane siamo stati tutti scioccati nel vedere dalle nostre case le immagini dei lavoratori migranti che, persa la fonte di reddito, sono stati costretti a tornare nei loro villaggi. Abbiamo saputo di vittime in questi viaggi faticosi. Siamo tutti traumatizzati».

Riconoscendo che gli aiuti governativi a queste persone ci sono stati, ma in misura insufficiente, Narain spiega: «Potranno tornare quando le cose migliorano oppure no. Nelle città già l’assenza della loro forza lavoro si sente, perfino per certi servizi municipali essenziali. Ma dobbiamo discutere non solo del ritorno dei migranti, ma di che cosa questo significherà per il futuro del lavoro e della produzione; non solo in India ma nel mondo».

I lavoratori provenienti dalle campagne indiane o da altri Stati vivevano in tuguri all’interno delle fabbriche, vicini all’inquinamento e ai gas tossici. Eppure prima d’ora «non ci siamo mai soffermati a chiedere ragione di questo. La forza lavoro ha bisogno di lavorare; l’industria ha bisogno di forza lavoro. Ma adesso questa se ne è andata. Alcuni dicono che non torneranno». In ogni caso, «il lavoro deve essere reimmaginato, ed è un’opportunità per rinnovare le economie rurali e renderle resilienti. Non sarà facile.»

Una legge ci sarebbe, ad aiutare in questa direzione. Nel 1970, lo Stato del Maharashtra fu colpito da una grave carestia. Si temeva un massiccio esodo dalle campagne disperate, con conseguente saturazione delle città. A quel punto si introdusse l’Employment Guarantee Scheme (Egs), per aiutare le persone a rimanere nei loro luoghi d’origine. Dall’Egs dopo molti decenni nacque il Mahatma Gandhi National Rural Employment Guarantee Act (Mnrega: Legge nazionale Mahatma Gandhi per la garanzia dell’impiego rurale). Una specie di patto fra città e campagna, una soluzione win-win. Una legge, tuttavia, un po’ usurata. Spiega Sunita Narain: «Da lì si può partire per un lavoro che ricostruisca il capitale naturale: acqua, foreste, pascoli, orticoltura e sopravvivenza».

Ma «questo riporta alla questione della produzione – in India come in tutti gli altri paesi del mondo che cercano di far ripartire le fabbriche e ricostruire le economie. Il fatto è che l’economia globale è costruita sul lavoro mal pagato e sulla mancanza di una vera protezione ambientale…costa dare salari e condizioni di vita decenti ai lavoratori; come costa proteggere aria e acqua e non sversare rifiuti. I ricchi non volevano pagare questo costo. Volevano merci a buon mercato. Ecco perché la produzione è stata delocalizzata da noi. E adesso che succederà?».

Un mondo nuovo è da costruire. E che non assomigli all’omonimo romanzo di fantascienza distopica scritto da Aldous Huxley. Piuttosto, a una neotopia. I prossimi mesi e anni lo diranno.

 

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