
Il ‘Piano Sud 2030’ è “un vero e proprio documento programmatico”, che prova ad individuare una strategia “di ampio respiro”, con un orizzonte temporale “necessariamente di medio-lungo periodo”. Di positivo c’è soprattutto “una novità di metodo apprezzabile”, ma anche dal punto di vista del merito, il piano presenta “numerosi titoli che vanno nella direzione giusta”. Non mancano però i punti d’ombra, visto che “le misure proposte per il breve periodo non hanno nel concreto una grande capacità di impatto, né per mole di risorse investite, né per la loro stessa natura”. È un giudizio composito e articolato
quello che la Cgil dà del piano per il Sud, presentato dal presidente del Consiglio Conte nei giorni scorsi e dai ministri Provenzano (Sud) e Azzolina (Istruzione) in conferenza stampa a Gioia Tauro.
Il Piano – come spiegano nella loro analisi Riccardo Sanna (coordinatore area politiche per lo sviluppo) e Jacopo Dionisio (responsabile politiche per la coesione territoriale e il Mezzogiorno) – prevede un orizzonte temporale lungo, dieci anni ma è articolato in fasi progressive, la prima delle quali guarda al triennio 20-22, con alcuni interventi che andranno a regime già nei prossimi mesi.
Dal punto di vista delle risorse il piano poggia su tre pilastri che non prevedono un nuovo aggravio per la finanza pubblica con risorse aggiuntive, ma riguardano piuttosto l’efficacia e la capacità di spese delle risorse ordinarie e dei fondi nazionali ed europei rivolti alla coesione territoriale. Complessivamente, in ogni caso, l’obiettivo è una spesa complessiva di 21 miliardi nel triennio, naturalmente da ripartire tra i territori e i diversi filoni di intervento.
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Per leggere il documento integrale della Cgil:
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