Luciano Vecchi: “Dobbiamo investire sui nostri connazionali all’estero: in gioco c’è una parte del futuro di tutta l’Italia”

di ROBERTO ZANNI

 

Grande competenza, lunga esperienza e una passione innata. Così è stato facile per Elly Schlein confermare Luciano Vecchi alla guida di una delle componenti più significative del Partito Democratico, il dipartimento Italiani nel mondo. Oltre sei milioni di connazionali e parliamo solo di coloro che hanno la cittadinanza, ma ai quali se ne aggiungono tantissimi altri per discendenza, le cui problematiche, ma anche speranze, fanno ora nuovamente riferimento all’incessante impegno di Luciano Vecchi, già parlamentare europeo e consigliere regionale in Emilia Romagna.  La nomina della segreteria nazionale del PD risale a poco più di un mese fa e oggi Vecchi si siede con ‘Gente d’Italia’ per raccontare presente e futuro del suo dipartimento, ma soprattutto degli italiani all’estero.

 

– Vecchi, come funziona il dipartimento del quale è a capo?

 

“Il Partito Democratico tra tutti i partiti italiani, riguardo alla rete all’estero, è il più strutturato, basato sul volontariato, di soldi non ce ne sono, ma abbiamo più di 100 circoli, circa 5.000 iscritti nei cinque continenti e i Paesi dove ci sono più circoli sono raggruppati in federazioni. La nostra caratteristica unica è che da un lato i nostri organi sono eletti dal basso e non nominati dall’alto, in questo modo la nostra base partecipa e decide sulla strutturazione del partito all’estero. In secondo luogo gli iscritti all’estero sono ampiamente rappresentati in tutte le strutture del PD in Italia e su circa mille membri dell’Assemblea Nazionale quasi 80 lo rappresentano, come 6 membri della Direzione sui poco più di 100.
Tutto ciò perchè per noi il PD fuori dai confini deve rappresentare due aspetti, primo essere parte delle comunità italiane dei Paesi dove si vive, lavora studia e, contemporaneamente, essere parte del partito italiano, partecipando anche ai meccanismi decisionali. In questo contesto, l’unica eccezione, è il sottoscritto che viene nominato dalla segretaria del partito, in quanto svolgo una doppia funzione: di coordinamento della rete estera e responsabile tematico per il partito rispetto alle politiche per gli italiani nel mondo. E dopo la mia nomina da parte della Schlein, come fecero in precedenza Zingaretti e Letta, ho avuto l’ulteriore soddisfazione di registrare un consenso generale da parte dei nostri militanti.”

 

– Quando si parla di ‘italiani all’estero’ purtroppo sono soprattutto i problemi quelli che vengono alla luce: lei, il suo dipartimento, avete già un’agenda su quelle che sono le priorità?

 

“Una premessa: per noi gli italiani all’estero sono, o meglio dovrebbero essere, due cose: da una parte cittadini, e quindi poter esercitare i loro diritti e doveri pur non vivendo sul territorio nazionale. In secondo luogo – tenendo presente che sono oltre sei milioni poi altre decine di milioni quelli che comunque continuano ad avere qualche rapporto con l’Italia – noi pensiamo che dovrebbero essere considerati anche una risorsa per il futuro del nostro Paese.
Dai libri abbiamo imparato che gli ‘emigranti’ come si diceva un tempo, per decenni hanno contribuito a mantenere in pari la bilancia dei pagamenti grazie alle rimesse, aspetto che non è peraltro venuto meno ora.
Oggi si è aggiunto un altro aspetto strategico: l’Italia che fa parte della UE, che appartiene al ‘mondo industrializzato’, sempre per usare una terminologia di un tempo, dove può avere i propri vantaggi competitivi?
Uno di questi dovrebbe essere individuato in quelle persone che pur vivendo fuori dai confini nazionali, possono giocare un ruolo importante sul piano economico, culturale, sociale, dell’innovazione.
 La domanda è questa:  il sistema Italia ha investito e lo sta facendo tuttora per coloro che sono cittadini e rappresentano una risorsa? La risposta è no ed è da qui che poi sorgono le nostre priorità.
In primo luogo avere servizi consolari dignitosi, a cominciare dal poter avere un documento dal proprio consolato in tempi decenti. Faccio solo un esempio: in Germania un cittadino italiano maggiorenne che abbia i requisiti per ottenere la nazionalità tedesca, fa prima a ottenere la seconda cittadinanza piuttosto che un passaporto italiano al Consolato. Solo un caso tra tanti, ma è chiaro che se negli ultimi vent’anni sono raddoppiati gli italiani all’estero e le strutture invece si sono indebolite senza essere compensate dalle nuove tecnologie, è evidente che ci troviamo di fronte a un disinvestimento nei confronti degli italiani che vivono fuori dal nostro Paese”.

 

– Per quello che concerne le risorse: qual è la situazione attuale?

 

“L’esempio è recentissimo: alla Camera si sono esaminati i provvedimenti del Governo sul made in Italy che contano su fondi del Pnrr, quindi nemmeno sul bilancio dello Stato e i parlamentari del PD hanno partecipato attivamente, presentando proposte che sono state però tutte respinte dalla maggioranza. Ecco: il Governo dice di puntare sul made in Italy, ma al tempo stesso dimezza i fondi per l’insegnamento della lingua e della cultura italiana all’estero. Come si fa a dire puntiamo sulla promozione del made in Italy nel mondo contemporaneamente tagliando i fondi alla rete delle Camere di Commercio italiane all’estero? C’è al momento una idea centralistica, burocratica che prescinde completamente dal fatto che noi abbiamo oltre a milioni di connazionali anche associazioni, comites, rete d’impresa, di ricercatori che invece potrebbero, vorrebbero, dovrebbero svolgere un ruolo essenziale per la promozione del sistema Italia”.

 

– Si può fare un bilancio di quello che è successo in questo ultimo anno?

 

“Se prima avevamo delle insufficienze, da quando c’è il governo Meloni siamo arrivati a riduzioni o addirittura sparizioni di risorse, attenzioni, strumenti. Si può aggiungere: ma come? Fratelli d’Italia non è il partito erede di quello di Mirko Tremaglia che ha svolto un ruolo storicamente importante per il fatto di porre nell’agenda italiana il tema degli italiani nel mondo? Eppure sta dando prove esattamente dell’opposto.
E io devo fare una considerazione amara: era facile parlare retoricamente e  trionfalmente degli italiani all’estero quando il nostro Paese rappresentava solo l’emigrazione, ma da quando l’Italia è diventata anche una nazione di immigrazione – ma sono più i connazionali all’estero sempre in aumento piuttosto che gli stranieri qui, che diminuiscono – parlare di questo fenomeno vuole dire affrontare entrambi gli aspetti e se si rivendicano diritti per i connazionali e si negano a chi arriva in Italia, questo è un problema e una contraddizione evidente. Quando dalla retorica si deve passare a un’assunzione di responsabilità, la destra italiana è completamente sparita e non lo si vede soltanto nei tagli di bilancio, ma anche nei cambi delle normative. Nelle discussioni sul Bilancio al Senato abbiamo presentato emendamenti per cercare di evitare ulteriori tagli all’estero, ma finora sono stati tutti respinti”.

 

Prospettive non certo esaltanti per almeno sei milioni di cittadini italiani.

 

“Questo non significa che facendo questa analisi non rosea, ci stiamo arrendendo: rimane intatta anzi più forte la nostra volontà di cambiamento. Siamo attori ma anche assolutamente a disposizione e le nostre comunità nel mondo devono far sentire la propria voce, perchè c’è un pezzo del futuro di ognuno di noi che è in gioco, sia che si viva in Italia oppure fuori, perchè se si rinuncia a investire su una risorsa che è già disponibile si fa un errore molto grave. Voglio essere chiaro: le colpe non sono nate oggi, ma in questo momento si sta affossando quello che c’era già”.

 

Fine Prima parte

(Continua)

 

FONTE: https://www.genteditalia.org/2023/12/10/luciano-vecchi-dobbiamo-investire-sui-nostri-connazionali-allestero-in-gioco-ce-un-parte-del-futuro-di-tutta-litalia/

 

 

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