di Selly Kane
Dopo un anno, il governo in carica, come annunciato in campagna elettorale, ha messo in atto la propria politica in materia di immigrazione, in maniera emergenziale e ignorando la strutturalità di un fenomeno complesso e di portata globale. Dodici mesi segnati da una serie di misure emergenziali che vanno dai porti chiusi ai respingimenti, all’aumento dei centri rimpatri, alla criminalizzazione delle Ong che prestano soccorso, alla esternalizzazione delle frontiere, fino al (fallito) accordo con la Tunisia e, nei giorni scorsi, a quello con l’Albania.
Il governo non ha in alcun modo considerato la tragedia di Steccato di Cutro, dove hanno perso la vita 94 persone, tra cui 35 minori, a seguito di un naufragio al largo delle coste calabresi: una tragedia che si poteva evitare se fossero state garantite le operazioni di soccorso, visto che l’imbarcazione si trovava in pericolo e le condizioni meteorologiche erano pessime. Invece il governo, in quella tragica circostanza, ha puntato il dito sui cosiddetti scafisti e trafficanti di esseri umani, negando la propria responsabilità.
Perseverando in questa ottica vergognosa, il governo ha emanato il cosiddetto decreto Cutro, un decreto che non affronta nessuna delle cause che spingono le persone ad attraversare il mare rischiando la propria vita per raggiungere l’Europa, riduce le garanzie per richiedenti asilo e per le persone bisognose di protezione umanitaria, con profonde restrizioni sulla protezione speciale (ex protezione umanitaria). Ha emanato poi un’altra misura che genera insicurezza e irregolarità, con l’ulteriore smantellamento del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai), così i richiedenti asilo non potranno più essere accolti nel sistema Sai, ma verranno collocati all’interno di centri di trattenimento generalizzato. Tutto questo in violazione dei trattati internazionali che vincolano ogni governo a garantire un accurato esame di ogni domanda di asilo.
Questo approccio emergenziale porta ad un aumento dell’irregolarità, e fomenta il sentimento di paura intorno al fenomeno migratorio, che viene utilizzato, strumentalmente, come un’arma di distrazione di massa rispetto ai reali problemi del paese, e che dovrebbero essere al centro delle priorità dell’agenda politica, mentre il tema della migrazione potrebbe rappresentare almeno una parte delle soluzioni.
Invece il governo, nella sua politica propagandista e demagogica, ha continuato a adottare misure sempre più restrittive, securitarie e inumane, e si è fatto promotore, a livello europeo, di accordi con paesi terzi, come quello Ue-Tunisia. Il memorandum di intesa con la Tunisia prevede che l’Europa versi 150 milioni al governo tunisino, di cui 70 dedicati al controllo delle frontiere e al contrasto dell’immigrazione irregolare, potenziando la guardia costiera tunisina e fornendole nuovi equipaggiamenti: navi, radar e telecamere termiche. Il presidente tunisino Kais Saied, per ragioni di politica interna, ha preferito finora non dare seguito al memorandum. Va ricordato che, anche in passato, sono stati numerosi gli accordi di controllo delle frontiere e rimpatri siglati tra Italia e Ue con paesi terzi, come la Libia e la Turchia; paesi dove, come è noto, vengono violatati sistematicamente i diritti umani, e su questo già numerose sentenze della Corte europea dei Diritti Umani (Cedu) si sono pronunciate, ed hanno condannato i paesi per questi gravi reati.
Un esito a cui probabilmente non sfuggirà il nuovo protocollo d’intesa firmato tra Italia e Albania, dove il governo italiano costruirà un centro di prima accoglienza e un centro per il rimpatrio che, ogni anno, dovrebbero gestire fino a 36mila migranti salvati in mare. Il modello securitario italiano trasferito fisicamente in Albania. Secondo la presidenza del consiglio sarà possibile processare le domande di asilo e rimpatrio in soli 28 giorni, con il chiaro intento di adottare di fatto una politica di respingimenti collettivi. Si continuano ad utilizzare le risorse non per affrontare il tema di una nuova politica migratoria nei paesi dell’Ue e per costruire nuovi strumenti per l’ingresso regolare nel nostro paese, ma per spostare i migranti al di fuori dell’Ue, come se non fossero persone ma merce. Una procedura di delocalizzazione di questo tipo è contraria a tutte le norme di diritto internazionale in materia di protezione e asilo.
Per quanto riguarda gli immigrati che lavorano e vivono in Italia da decenni, pagano le tasse, contribuiscono allo sviluppo e al benessere di questo paese – cittadini senza i quali economia, stato sociale, ricambio generazionale andrebbero in sofferenza – si continua ad assistere a politiche discriminatorie, vessatorie e di esclusione, sia a livello di governo centrale che in alcune amministrazioni locali. Tutto questo si aggiunge alla questione centrale delle giovani e dei giovani nati e cresciuti in Italia, ai quali non viene tuttora riconosciuta la cittadinanza, rendendo sempre più faticoso il loro percorso di autodeterminazione e di progettazione del proprio futuro.
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