Consapevolezza e ascolto della realtà per governare migrazioni e sviluppo

Lettere al Direttore
 
Marco Tarquini (da Avvenire del 4 settembre 2019)

Caro direttore,
la storia dei popoli è stata, per lo più, storia di conflitti: espansione da parte degli uni, difesa da parte degli altri. In questa prospettiva si inserisce oggi il problema delle migrazioni. L’Abbé Pièrre l’aveva a suo tempo previsto: un Occidente sempre più ricco diventa per i poveri del Sud del mondo una potente calamita che spinge i poveri stessi a travasarsi nei Paesi della sicurezza e del benessere. Di fronte a questo fenomeno, la reazione più immediata da parte dei Paesi del benessere è stata la difesa: chiudersi a riccio, innalzare barriere, erigere muri, bloccare porti. Ora, pensare che questa sia un’operazione risolutiva del problema migrazioni, è miopia e ingenuità. La soluzione cammina per altre strade. I poveri emigrano per scampare a situazioni di disagio, rischio, sofferenza e bisogno, esistenti nei Paesi di origine. Così è stato anche per l’emigrazione italiana dopo l’unità d’Italia. Il rimedio adeguato è uno solo: realizzare nei Paesi del Sud situazioni economiche, e sociali di tranquillità e sviluppo culturale, sociale ed economico. Guarda caso, è quanto pensarono, a metà Ottocento i veronesi don Mazza e il missionario Comboni, il primo iniziando e il secondo continuando e realizzando il progetto fino alla morte, precoce. Mazza e ancor più Comboni guardavano all’Africa non per sfruttarla, ma in funzione di sviluppo globale, in termini di evangelizzazione e promozione umana. E questo doveva essere fatto in loco. Comboni parla al riguardo di agricoltura, commercio, artigianato e scuole, fino all’università. Un singolare modello di convivialità: aiutare gli africani a rendersi responsabili del loro sviluppo, ma sul posto. Non sembra che i politici attuali, soprattutto in Italia, abbiano presente nella loro mente, questo modello. Non risulta si agisca molto, a livello internazionale, per far crescere le realtà locali sul piano economico, sociale e democratico-politico. Piuttosto si gioca sui conflitti vissuti come opportunità di fare affari con la vendita di armi. Che diventano causa di fame, malattie e, per chi può, di fuga. Il circolo si chiude con le migrazioni. Da cui si pensa a difendersi con muri, barriere e filo spinato. Non ci vuole molta intelligenza per capire che questo sistema non funziona e se non si ricorre ai ripari è destinato a peggiorare sempre più. Da parte di chi non ha potere, resta una sola cosa: auspicare e sperare che chi può cambi approccio e si muova secondo le direzioni indicate dagli illuminati veronesi dell’Ottocento.

Gianfranco Carletti Verona

 

Proprio così, gentile e caro amico, ci serve la santa e civile consapevolezza e dedizione di don Nicola Mazza (“don Congo” per gli amici) e del vescovo missionario Daniele Comboni. E questo, oggi, significa, prima di tutto un ascolto vero e fattivo di ciò che papa Francesco con cristiana sapienza continua a dire e a proporre a credenti e non credenti, a potenti e cittadini semplici di un mondo che dobbiamo saper pensare e vivere come «casa comune» secondo il disegno di Dio e l’umana responsabilità. Ecco perché su queste pagine ci impegniamo per dimostrare che «la consapevolezza cambia il mondo». E cerchiamo di farla crescere. Possiamo esser certi che il viaggio apostolico che il Papa sta iniziando in Africa ci darà ulteriori spunti di riflessione e motivi di impegno. Sarà il viaggio delle “tre M” – Mozambico (la pace conquistata e da fare sempre più giusta) , Madagascar (la dolcezza di un popolo e l’amarezza delle disuguaglianze) e Mauritius (la convivenza multietnica e interculturale). Bisogna auspicare e sperare sempre, e sempre – come ci esorta Francesco – ognuno per la sua parte, piccola o grande, bisogna pregare e agire. Le due cose insieme, perché un’azione senz’anima, fine a se stessa, non salva niente e nessuno e non costruisce duratura giustizia.

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