TEMPI PIU’ VELOCI PER DIVENTARE ITALIANI. UNA RIFORMA NECESSARIA
Mentre la natalità crolla e la popolazione invecchia, milioni di stranieri che vivono legalmente e sono radicati nel nostro paese vengono privati dei diritti politici da una legge vecchia e ingiusta. Cambiarla è l’obiettivo della campagna referendaria per portare da 10 a 5 gli anni di residenza necessari per chiedere la cittadinanza italiana e poterla trasmettere anche ai figli minori. Una riforma ragionevole che ci metterebbe al passo con Europa e con la realtà
di Gianfranco Schiavone
La Legge che definisce chi è cittadino di un Paese e chi non lo è ci dice, più di qualsiasi altra legge, quale sia I’identità profonda di una collettività, come essa si percepisce e come vede il suo futuro. Uno Stato democratico, se è veramente tale, si fonda sulla promozione e la tutela dei diritti fondamentali, inclusi i diritti di ogni persona.
Perciò la natura stessa della democrazia viene contraddetta quando impedisce ad una parte cospicua della popolazione che in uno Stato vive stabilmente contribuendo alla sua crescita economica, sociale e culturale, di avere lo stesso trattamento degli altri cittadini e di accedere anche ai diritti politici, cioè partecipare alle scelte fondamentali che riguardano tutti.
L’Italia di oggi dall’inizio degli anni settanta (ovvero da cinquant’anni), da Paese di emigrazione (con oltre 6 milioni di italiani all’estero e oltre 64 milioni di oriundi d’Italia) è diventata Paese di immigrazione, con oltre 5 milioni di stranieri legalmente residenti, molti dei quali nati in Italia, a cui la vigente legge sulla cittadinanza italiana impedisce il diritto a partecipare pienamente alla vita pubblica.
Nello stesso tempo, come ci ricordano tutti gli studi sulla materia, l’Italia vive una forte diminuzione del tasso di natalità avviandosi verso un crollo demografico che si accompagna a un forte invecchiamento della popolazione: due fattori che agiscono a tenaglia mettendo in pericolo il suo futuro sotto il profilo economico, ma anche sotto il profilo della tenuta sociale.
In questo quadro preoccupante, malgrado le tante richieste, le campagne e le diverse proposte avanzate nella società e nel Parlamento, finora nessuna maggioranza parlamentare è stata in grado di approvare una riforma legislative che adegui la vetusta legge italiana sulla cittadinanza al nuovo quadro storico che stiamo vivendo.
Come è noto la vigente legislazione italiana è vecchia di trent’anni e soprattutto quando fu modificata, con la L. 91/92 la nuova norma non apportò alcuna apertura, decidendo di mantenere ferma l’impostazione di fondo, ovvero il principio della acquisizione per discendenza da italiani (quasi si tratti di un privilegio dinastico).
Non solo: con una scelta politica veramente antistorica, la norma venne persino peggiorata su un punto essenziale, ovvero si decise di portare da 5 a 10 anni la concessione della cittadinanza per lunga residenza per i cittadini di Paesi extra UE.
L’Italia cosi si dotò alla fine del XX secolo di una legge avente requisiti più restrittivi di quelli fissati ad inizio dello stesso secolo, con il regio decreto del 2 agosto 1912, n. 949. Si produsse in tal modo il paradosso di un Paese che si chiudeva a riccio rifiutando un cambiamento che nel Paese reale ha continuate ad avvenire.
Sono passati trent’anni ma l’Italia di oggi è purtroppo ancora inchiodata a questo paradosso. Nel 2006 un disegno di legge provò a porre rimedio al folle errore del 1992, ma senza successo e i restanti pochi interventi normativi effettuati sulla cittadinanza negli ultimi anni sono andati tutti nella direzione di inasprire le norme, ad iniziare dalla dilatazione dei tempi, oggi abnormi (tre anni) per la conclusione del procedimento amministrativo di naturalizzazione.
Mentre l’Italia continua ad attorcigliarsi su se stessa, il resto dell’Europa, pur tra molte differenze, sta prendendo strade del tutto diverse: il termine di 5 anni di soggiorno legale ininterrotto per la concessione della cittadinanza ai cittadini di Stati non appartenenti alla UE è oggi previsto in Francia, Germania, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, Lussemburgo, Svezia.
La Slovenia esige invece qualcosa di più, ma meno dell’Italia, ovvero 8 anni, e salvo l’eccezione della Spagna che mantiene ancora (e ritengo per poco) il requisito di 10 anni di residenza (con molte eccezioni tuttavia in quanto il termine è drasticamente ridotto a solo 2 anni per i cittadini d’origine dei paesi ispano-americani) nell’UE solo Polonia, Croazia e Austria, ovvero paesi tradizionalmente chiusi verso le migrazioni, sono rimasti sulla stessa posizione di dura chiusura dell’Italia.
E’ in atto in questi giorni una campagna referendaria (www.referendumcittadinanza.it) che chiede ai cittadini/e italani/e di firmare entro il 30 settembee 2024 la richiesta di indire un referendum abrogativo di uno degli articoli della L. 91/92 (l’articolo 9 c.1 lettera b) per portare a 5 anni di residenza legale in Italia il periodo necessario per chiedere la cittadinanza italiana per lunga residenza.
La procedura per ottenere la cittadinanza rimarrà comunque di tipo concessorio e lo straniero maggiorenne per ottenerla dovrà dimostrare un forte radicamento sociale, una stabilità economica ed essere incensurato dal punto di vista penale. Il numero dei beneficiari potenziali dell’effetto del referendum è molto significative, perché secondo le statistiche ISTAT, sugli oltre 5 milioni di stranieri legalmente residenti in Italia al 1° gennaio 2023, sono oltre 2.300.000 i cittadini già titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; un permesso che viene rilasciato a chi ha requisiti simili a quelli richiesti per l’acquisto della cittadinanza. Molti degli Stranieri perciò potrebbero decidere, con tempi dimezzati rispetto a quanto accade oggi, di presentare la domanda di concessione della cittadinanza, e ottenendola, diventerebbero automaticamente cittadini italiani anche i loro figli minorenni e conviventi Una riforma dunque, di assoluto buon senso, semplice e chiara (come spesso sono le grandi riforme) in linea con |’evoluzione generale in Europa.
Certo, si tratterebbe di una modifica non esaustiva della necessità di una più ampia riforma della cittadinanza per nascita (ius soli), e di quella che si potrebbe acquisire a seguito della frequenza scolastica da parte di un minore: il cosiddetto ius scholae, oggetto di tanti dibattiti, spesso assai confusi.
E’ proprio sulla relazione tra lo ius scholae e il quesito referendario che è opportuno fare una riflessione: il tempo abnorme delle attuali procedure (10+3 anni) impedisce a tanti genitori extra-UE che da vivono ¢ lavorano legalmente in Italia, di trasmettere la cittadinanza italiana ai loro figli prima del compimento della maggiore età,; ciò contribuisce ad aumentare artificiosamente nelle scuole italiane il numero di alunni che formalmente sono stranieri anche se in realtà sono nati in Italia o vi sono arrivati molto giovani (secondo le statistiche del Ministero dell’Istruzione, nel 2022/2023 gli alunni non italiani erano quasi 900.000, il 65% dei quali erano nati in Italia).
Per effetto della velocizzazione dell’acquisizione della cittadinanza ottenuta dai loro genitori in tempi più brevi, se il quesito referendario vincerà tanti minori, oggi forzatamente stranieri, diventerebbero automaticamente italiani. Una prospettiva che non rende affatto inutile una futura legge su uno ius scholae, che però verrebbe correttamente pensato come norma a tutela di quella ridotta quota di minori che, pur essendo cittadini di fatto per avere stabilmente vissuto in Italia, rischiano di rimanere esclusi dalla cittadinanza per l’impossibilita dei loro genitori a poterla ottenere, qualsiasi ne sia il motivo.
Un futuro ius scholae che non è ideato per fare ciò che non deve fare, ovvero fungere da sostitutivo della riforma normativa voluta dal quesito referendario, il quale chiede solo ciò che è insieme ovvio ed equo, ovvero che i genitori dei minori che frequentano le nostre scuole diventino cittadini italiani in tempi ragionevoli, e con essi, i loro figli.
Da molti non subito compresa nella sua importanza, la proposta referendaria va sostenuta con grande forza raccogliendo le firme necessarie nei pochissimi giorni a disposizione in quanto appare l’unica proposta in campo che può scuotere il torpore che avvolge la questione da troppo tempo.
La proposta non consiste in un piccolo aggiustamento di un quadro destinato a rimanere comunque distorto, bensì rappresenta un robusto, anche se non esaustivo, cambiamento che, dando piena inclusione all’interno del popolo italiano a tanti che contribuiscano alla crescita sociale, culturale ed economica dell’Italia, corregge una disciplina anacronistica e ingiusta, oltre che autolesionistica, cosi contrastando il declino del Paese.
FONTE: L’Unità del 18 settembre 2024
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