di Alfiero Grandi (da strisciarossa.it, 16/9/2024)
Qualcosa non funziona nell’orientamento ufficiale degli Usa: non consentire all’Ucraina di usare i missili che hanno fornito a lunga gittata in territorio russo, ma consentire ad altri paesi della Nato di autorizzarlo, a partire dal Regno Unito. Questo sarebbe l’esito dell’incontro tra Biden e Starmer.
Viene sottaciuto che la conoscenza di quanto accade in Russia, compresi gli spostamenti di armi in zone più lontane, è fondamentale per gli ucraini e quindi è indispensabile il supporto Usa perché gli altri alleati non hanno la stessa capacità di conoscenza e controllo del territorio. In sostanza senza questi dati i missili verrebbero buttati a casaccio.
C’è qualcosa di ancora più importante. Se la Nato diventa un’alleanza “à la carte”, dove ciascuno decide per conto proprio, quindi diversamente da altri, può avvenire anche il contrario e cioè che qualcuno decida di uscire dal quadro degli obblighi dell’alleanza, a partire dal famoso articolo 5. Infatti se qualcuno decide di scatenare l’inferno non si capisce perché chi non condivide la scelta non possa abbandonare la compagnia prima del disastro, chiarendo che non entrerà in conflitto con la Russia per atti che alleati hanno deciso “motu proprio”, senza il consenso degli altri.
Del resto teoricamente le decisioni Nato dovrebbero essere assunte all’unanimità.
Questo dovrebbe prima possibile essere oggetto di un dibattito parlamentare. La questione ormai non è più solo armi si armi no, ma se le forniture dei singoli stati possono essere usate in territorio russo creando un fatto compiuto che potrebbe avere ricadute tremende su tutti i paesi interessati, fino alla guerra tra Nato e Russia, che del resto Zelensky non ha mai nascosto di augurarsi perché le difficoltà che ha oggi l’Ucraina non sono solo di armi ma soprattutto di soldati, senza i quali non potrebbero essere usate.
Un’analisi del generale Biagio Di Grazia ha evidenziato con chiarezza le carenze rilevanti di soldati, in particolare di ufficiali intermedi e l’offensiva ucraina a Kursk non ha certo migliorato la situazione degli effettivi militari.
Quanto hanno detto singoli Ministri (le armi italiane non verranno usate per incursioni in Russia) dovrebbe diventare una decisione vincolante del parlamento indicando i limiti precisi di utilizzo degli invii militari italiani, compresa la conoscenza dei materiali inviati, vincolando il governo a farla rispettare. Verba volant, scripta manent, ne va del futuro dell’Italia.
Altrimenti c’è sempre la soluzione di sospendere unilateralmente l’impegno ad attuare l’articolo 5, come altri decidono di correre il rischio di doverlo invocare, senza neppure cercare il consenso preventivo degli altri membri dell’alleanza. Del resto Ungheria e Turchia hanno sempre ritenuto di essere esentate da comportamenti richiesti ad altri componenti dell’alleanza, quindi non sarebbe una novità assoluta. Se la Nato è “à la carte” non può che essere vero per tutti i paesi che la compongono. In più c’è la delicata questione del dispiegamento di nuovi armamenti nucleari nei paesi Nato, tra cui l’italia. Sarebbe bene chiarire che non potrebbero essere usati senza l’ok del paese ospitante.
Questa escalation pone poi una questione più di fondo riguardo al problema della sicurezza reciproca dei contendenti. In Russia, c’è chi pensa, forse esagerando, di sentirsi circondato in modo sempre più stretto dalla Nato con relativi armamenti, anche atomici, e di conseguenza si sente minacciato. In effetti la Nato ha raddoppiato i suoi membri e i nuovi sono quasi tutti, tranne Finlandia e Svezia, o ex membri dell’Urss o ex alleati. L’Ucraina chiuderebbe il cerchio se entrasse nella Nato a pieno titolo. E’ vero la Russia ha reagito in modo rabbioso e sbagliato scatenando l’invasione dell’Ucraina e questo le ha alienato molte simpatie e per di più ha la responsabilità di avere innescato un processo di escalation militare che ha distorto gli obiettivi e la destinazione degli investimenti, messo in soffitta il cambiamento climatico, spinto le posizioni più aggressive e guerrafondaie a prevalere, diffondendo paura anziché dialogo e trattative come metodo per regolare diversità e conflitti.
Se l’impostazione è nemico/amico, ricercando la vittoria sull’altro anziché la coesistenza tra opinioni e regimi diversi, tanto più in epoca nucleare, l’escalation è inevitabile, ma se cambia lo schema e la vittoria non è più l’obiettivo ma un regime di coesistenza regolato e controllato, di competizione pacifica tutto lo scenario è destinato a cambiare.
La decisione di consentire agli ucraini di scagliare i missili a lunga gittata in Russia è un salto di qualità e potrebbe indurre a una conferma tremenda e minacciosa di Putin e del suo gruppo dirigente dei timori largamente usati per convincere l’opinione pubblica russa che l’invasione era inevitabile. Questo rafforzerebbe le pulsioni peggiori non quelle più disponibili ad evitare lo scontro. Sarebbe un guaio che questa escalation convincesse che era giusto temere di essere circondati da sistemi militari di distruzione. Paranoia forse, ma che potrebbe trovare ragioni per autoalimentarsi.
Occorre fermare questa giostra infernale, imporre il cessate il fuoco, riprendere il confronto attraverso conferenze di pace, rilanciando il ruolo dell’Onu e trovando vie per la pace. Quando il nucleare si affaccia sullo sfondo occorre avere il coraggio di difendere il futuro dell’umanità da quella sua parte che non si rende conto del pericolo sostenendo posizioni estremiste e guerrafondaie.
Eppure dopo la fine dell’Urss gli Usa ebbero il coraggio di scegliere la Russia come unico interlocutore nucleare convincendo ad esempio l’Ucraina a conferire i suoi armamenti alla Russia e infatti su questa base furono raggiunti trattati e diminuzioni degli armamenti nucleari.
Ora l’escalation viaggia veloce e chi ha ancora capacità di ragionamento deve avere la forza e il coraggio di fermare questa corsa verso l’abisso. Ha ragione il papa, la pace peggiore è sempre meglio di una guerra e per fortuna non ha mai smesso di parlare di pace.
Tutto sta tornando indietro: investimenti, tecnologie, cultura, ideologie, risorse verso gli armamenti, ovviamente costruiti per essere usati. Il complesso militare industriale di cui parlava Eisehnower lavora a pieno ritmo, fa affari d’oro e gli stati aumentano a dismisura le spese militari. Le soluzioni per la pace si possono trovare. Dispiace che Biden che nella prima parte del suo mandato presidenziale ha concluso con determinazione (anche se in malo modo) la guerra ventennale in Afghanistan non si renda conto che lascerà un mondo che ha almeno due focolai di guerra tremendi e pericolosi. Per questo occorre sperare nella vittoria di Kamala Harris per evitare i pericoli per la democrazia e il mondo che potrebbe rappresentare Trump e soprattutto per presentare agli Usa e alla Nato una via alternativa alla guerra con la Russia. Non sarà semplice ma la speranza è che l’avvicendamento tra i due presidenti crei le condizioni per dimostrare che una via di cessazione dei combattimenti e di pace è meglio dei rischi che derivano dall’escalation militare attuale, per questo l’Italia e altri paesi europei debbono fare sentire la loro voce e chiedere una posizione nuova e attiva per la pace dell’Unione Europea. Un’Europa subalterna non serve né a sé stessa né agli Usa.
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