AUTONOMIA, LA TRAPPOLA PER SMANTELLARE L’ITALIA

di Massimo Villone (*)

Alcuni ministri hanno alla fine scoperto che l’au tonomia differenziata fa male. Oltre che le opposizioni, l’avevano detto esperti, studiosi, Svimez, sindacati, Confindustria, associazioni di ogni tipo e caratura, Ufficio parlamentare bilancio, Bankitalia, persino la Chiesa. Ma il baratto sulla trilogia horror delle riforme era blindato.
Lacrime di coccodrillo?
Forse pensavano che l’autonomia differenziata fosse cambiare la targhetta sulla porta di qualche ufficio. Grave errore. Per chi la cerca è un massiccio trasferimento di poteri, funzioni e risorse dal centro alla periferia. Parlamento e ministeri si svuotano, il ceto politico e le istituzioni nazionali – incluso il vagheggiato premier assoluto – sono drasticamente ridimensionati.
Diventa difficile o impossibile ridurre con politiche nazionali divari territoriali e diseguaglianze. Si gonfiano invece a dismisura le istituzioni e il ceto politico regionali, a partire dai “governatori ”. Si spiegano anche così le ambiguità sulla strategia referendaria, sull’inutile singolo quesito abrogativo parziale e sui ricorsi alla Consulta.

O forse la destra non leghista credeva di giocare un tressette col morto, relegando in quel ruolo Calderoli. Invece, il ministro li ha messi tutti nel sacco. Per qualcuno non c’è da preoccuparsi, perché la 86/2024 è una legge “vuota”, in quanto è solo procedurale, e non concede di per sé la maggiore autonomia. Vero e falso insieme.
La legge Calderoli non è “vuota”, perché disciplina il negoziato che produce l’intesa, compresa la stipula e la firma. Si procede con tempi scanditi, senza potere di interdizione del Parlamento o delle Conferenze. Non si disturbi il manovratore (Calderoli). Ed è proprio nel negoziato che si scrive il danno ad altre regioni o al paese.
L’intesa va poi al voto parlamentare a maggioranza assoluta, ma solo dopo la stipula e la firma da parte del Presidente del consiglio.

Un diniego di approvazione metterebbe a rischio il governo. Aspettiamoci tormentoni su questioni di fiducia per mettere in riga una maggioranza riottosa. In breve, la legge recante la maggiore autonomia ex art. 116.3 vedrà un voto vincolato, non in diritto ma in politica. Ora a Lombardia e Veneto si accoda il Piemonte. Le schede piemontesi – ben 124 pagine – ci descrivono per tutte le materie il ritorno allo stato sabaudo. L’unica motivazione è l’interesse della regione, senza valutazioni circa l’impatto su altre regioni o sul sistema paese. Per la 86/2024 solo il Presidente del consiglio può limitare il negoziato al fine di tutelare l’unità giuridica ed economica e le politiche pubbliche prioritarie.
Ma azionerà ora per le tre regioni il freno, come avrebbe dovuto invece fare molto prima?

Una segnalazione a Meloni per carità di patria. Le tre regioni chiedono funzioni in materie strategiche subito devolvibili, come commercio con l’estero e rapporti con l’UE. Insieme, hanno circa 20 milioni di abitanti.
Nell ’UE – senza contare l’Italia – sarebbero uno Stato ai primi posti per dimensione, dopo Germania, Francia, Spagna, Polonia e la candidata all’adesione Ucraina. Ancor più con Friuli-V.G., Trentino-A.A., Liguria, Emilia-Romagna. E se, acquisita tutta la maggiore autonomia richiesta, creassero con leggi regionali organi comuni per gestire le funzioni come l’art. 117.8 Cost. consente?
Ad esempio, una assemblea rappresentativa emanazione dei consigli, insieme a un direttorio dei presidenti? Cosa rimarrebbe dell’Italia che conosciamo? Roma avrebbe solo la possibilità di un ricorso in via principale contro le leggi istitutive. Con quali argomenti? E certo ci sentiremmo dire, come accade oggi con l’autonomia differenziata, che attuano la Costituzione.
Il punto è che un trasferimento massivo di funzioni dal centro alla periferia rende realistico lo scenario di una macroregione. Calderoli è un fan. Nel marzo 2013 presentava un ddl costituzionale (AS 7) in cui l’autonomia differenziata era condizionata proprio alla istituzione di una macroregione, cui si legava la riserva di non meno del 75% del gettito tributario maturato sul territorio (art. 1). E se il disegno ultimo non fosse quello – davvero demenziale – di un’Italia arlecchino fatta di 21 staterelli? Se fosse, piuttosto, quello di due o tre paesi giustapposti, come nell’originaria idea di Miglio e della Lega? Per questo il contrasto è essenziale fin d’ora, con l’unico quesito totalmente abrogativo e i ricorsi alla Consulta. E non è affatto una guerra Sud contro Nord.
Quanto ai ministri, siano pronti al sacrificio. Suggeriamo per un’estrema resistenza e testimonianza la crocifissione alla scrivania. Nei Tir che portano via faldoni e suppellettili ci siano anche loro, almeno uno per regione. Cosa non si farebbe per la patria.

 

(*) – Massimo Villone è professore emerito di Diritto costituzionale all’Università Federico II di Napoli

 

FONTE: Il Fatto Quotidiano del 14/07/2024

 

 

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