FRANCIA: Il Consiglio Costituzionale da ragione a Macron e acuisce la crisi democratica

di Sandro De Toni

Il Presidente eletto al primo turno con il 27% dei votanti (e al ballottaggio per lo più votato per sbarrare la strada alla candidata dell’estrema destra) e che dispone di una minoranza di deputati all’Assemblea nazionale, ha imposto la contro-riforma delle pensioni senza un voto parlamentare. Il Consiglio Costituzionale, i cui membri sono tutti di nomina politica, venerdì 14 sera ha convalidato il suo operato e dichiarato inammissibile il referendum popolare impedendo ogni sbocco democratico alla crisi del rapporto tra le istituzioni della Quinta Repubblica e il popolo francese che rifiuta a più del 70% il progetto del Governo. Macron si è affrettato a promulgare la legge in piena notta (“come un ladro” ha sottolineato Fabien Roussel, segretario del PCF) cercando di chiudere definitivamente questo dossier facendo entrare in vigore il provvedimento dal 1° settembre. Il più importante movimento di protesta popolare degli ultimi 50 anni che ha infiammato le strade e le piazze da più di tre mesi con dodici giornate nazionali di scioperi e manifestazioni, blocchi di officine, di rotatorie, di porti, di raffinerie e di stazioni ferroviarie, con centinaia di proteste spontanee che hanno visto un ruolo crescente dei giovani e degli studenti, viene così liquidato con freddezza tecnocratica. E questo per favorire il capitale finanziario che da tempo chiede misure che favoriscano il settore assicurativo e un sostegno con misure fiscali ai loro profitti.

Ma la partita non è chiusa. L’intersindacale che raggruppa otto sindacati dei lavoratori e cinque organizzazioni studentesche ha invitato il popolo a manifestare in tutta la Francia il prossimo 1° maggio. La sera di venerdì si sono svolte manifestazioni spontanee di protesta un po’ in tutto il Paese, da Parigi a Marsiglia, da Lione a Bordeaux fino a Rennes in Bretagna. I camionisti di “Bison futé” (Bisonte sagace) hanno organizzato blocchi stradali a Rouen, nella zona industriale di Le Havre ed a Marsiglia. Gli aderenti alla CFDT, uno dei sindacati moderati, hanno bloccato la piattaforma alimentare vicino a Strasburgo che spedisce mille tonnellate di prodotti freschi al giorno in tutta la Francia. La fisionomia delle istituzioni della Quinta Repubblica è ben rappresentata da una bella foto della Reuters che inquadra 500 RoboCop con caschi e scudi allineati in fitte schiere in una stretta via a protezione della sede del Consiglio Costituzionale al Palais Royal in pieno centro di Parigi. È il simbolo della politica scelta da Macron per affrontare le contestazioni popolari fin dall’epoca dei gilets jaunes: disprezzo e violenta repressione poliziesca.

La lotta non è finita” dichiarano i sindacati e soprattutto “non si tratta di una sconfitta”. E certamente la collera e la rabbia è tanta, condivisa in tutti i gangli della società, ma anche per il campo avverso alla riforma si deve porre adesso un problema di aggiustamento della propria strategia. Dopo tre mesi di mobilitazioni contro la riforma la radicalità del potere rende necessaria una revisione delle modalità di lotta.

SI IMPONE UNA NUOVA STRATEGIA DI LOTTA

In particolare, si impone una riflessione per rendere ingovernabile il mondo del lavoro. Di fronte ad un imponente partecipazione alle manifestazioni (che in alcune giornate ha superato i tre milioni di manifestanti) non si ha un’incidenza altrettanto forte degli scioperi nei vari settori produttivi e dei servizi. Il che consente al Governo di rimanere fermo sulle sue posizioni senza subire le pressioni del mondo imprenditoriale. La massiccia mobilitazione, l’unità sindacale e il grande sostegno da parte dell’opinione pubblica, non sono riusciti a bloccare l’economia. Gli scioperi sono numerosi, a volte durano settimane, ma sono in settori limitati, locali e poco coordinati. La controprova c’è stata il 7 marzo scorso quando l’intersindacale ha chiamato a “bloccare il Paese”, c’è stato una grande partecipazione ai cortei ma gli scioperanti sono risultati una minoranza sia pure significativa. Insomma, l’economia continua a funzionare. Lo stesso Macron lo avevo sottolineato polemicamente nel corso del suo viaggio in Cina: “Non mi si dica che il Paese è fermo. Non è vero”. Adesso il rischio è che i manifestanti più determinati caschino nella trappola della violenza che consentirà al Presidente di ergersi a tutore dell’ordine ed a giustificare la repressione poliziesca non solo dei black block ma anche delle manifestazioni sindacali come peraltro sta già avvenendo da tempo. Il rischio è che il movimento si spenga in una spirale di confronti minoritari e violenti con la polizia.

È evidente che non basta proclamare lo sciopero generale affinché il Paese si blocchi effettivamente. Dopo decenni di politiche liberiste che hanno frantumato il mondo del lavoro è già un miracolo che i ceti popolari francesi siano riusciti a reagire con questa forza all’ennesimo tentativo di vanificare le loro conquiste sociali. L’inflazione colpendo le tasche dei lavoratori inibisce a molti la possibilità di aderire agli scioperi. Certo il movimento ha coinvolto lavoratori e lavoratrici poco abituate alle mobilitazioni, nelle grandi, medie e piccole città e una tale unità sindacale non si era mai vista. Ma nei settori dove si sono condotti degli scioperi prolungati come nei trasporti, nelle raffinerie o nella nettezza urbana di Parigi, malgrado che le “caisses de grèves” (casse di solidarietà per gli scioperi) abbiano raccolto complessivamente più di 4 milioni di euro, si averte una certa stanchezza. Nel privato gli scioperi sono stati episodici. I sindacati francesi sono inoltre assai deboli dal punto di vista organizzativo, malgrado in questi ultimi mesi i loro effettivi siano aumentati del 20-30%, il tasso di sindacalizzazione è di circa il 10% in media e del 8% nel privato (in Italia superava secondo il Cnel il 33% nel 2011, oggi dovrebbe essere comunque superiore al 20%).

Alcuni sindacalisti propongono uno “sciopero di massa” non basato su indicazioni che provengano dall’alto, su giornate topiche, ma su una diffusione di azioni organizzate dal basso, anche dure e a ripetizione nelle imprese e soprattutto nei servizi, il cuore dell’economia moderna. Il movimento dovrebbe fare un salto politico, salto peraltro richiesto dalla partecipazione in massa dei giovani, che metta in discussione il significato del lavoro, della produzione anche in riferimento alla crisi ecologica, le condizioni di lavoro, la precarietà, i salari, insomma la struttura stessa dell’economia. E, infine, ma non per ultimo come importanza, occorrerebbe battersi per l’obiettivo di una riforma costituzionale che renda le istituzioni più democratiche: il progetto della Sesta Repubblica. La questione è sapere se l’unità sindacale reggerà a tale cambio di strategia. La stessa CGT che ha svolto il suo congresso a fine marzo scorso si è divisa al riguardo e il segretario uscente Philippe Martinez è stato contestato per la sua linea giudicata troppo morbida e la sua candidata alla segretaria generale bocciata. I sindacati di categoria più combattivi hanno poi imposto come nuovo leader Sophie Binet. Il sindacato di base Solidaires e settori della stessa CGT hanno costituito una rete per lo sciopero generale. Ma rimane dubbio il consenso della CFDT, l’altro grande sindacato francese, a questo cambio di paradigma.

Sul piano politico il movimento ha indebolito grandemente la presidenza Macron. In caso di elezioni politiche, oggi come oggi, il partito del Presidente, Renaissance, non otterrebbe che il 22% dei consensi, 4 punti in meno rispetto al 2022. Mentre il Rassemblement national della Le Pen passerebbe dal 19% al 26% secondo un sondaggio IFOP di fine marzo. La Nupes, l’alleanza di sinistra, rimarrebbe stabile al 26%. Nelle ultime settimane il clima unitario a sinistra si è guastato per le polemiche del PCF con La France Insoumise (LFI), la convergenza in un’elezione suppletiva della candidata della destra socialista con i macroniani che ha consentito di sconfiggere una candidata della LFI appoggiata dalla Nupes. La stessa LFI è attraversata da tensioni che fanno riferimento a problemi di democrazia interna ed alla successione di Jean-Luc Mélenchon. Insomma, un quadro complesso che impone ai sindacati e alla sinistra di fare un salto di qualità nella loro strategia di lotta e nel prospettare uno sbocco politico credibile ai milioni di francesi che si sono mobilitati contro le politiche liberiste del loro Presidente.

 

 

FONTE: dall’App “Servizio Pubblico” di Michele Santoro – https://www.serviziopubblico.it/

 

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