A 10 anni dai referendum sull’acqua pubblica tutto è rimasto come prima, salvo le tariffe e gli utili delle multinazionali

Occorre passare dalla società del profitto a quella della cura

di Andrea Vento

A 10 anni dalla storica vittoria nei referendum dell’11 e 12 giugno 2011, che aveva decretato la sottrazione della gestione del servizio idrico integrato alla logica di mercato con ritorno in mano pubblica, il comitato di San Giuliano Terme (Pisa) per l’Acqua Pubblica, ritiene doveroso riportare all’attenzione della comunità locale e nazionale il fatto che la schiacciante volontà popolare uscita dalle urne non ha trovato praticamente alcuna applicazione, salvo rari casi come a Napoli. Addirittura, dal dicembre 2020 l’acqua viene quotata in borsa, e come qualsiasi altro prodotto finanziario è divenuta oggetto di investimenti e speculazioni.

Un lacerante vulnus nel tessuto democratico del paese che ha ulteriormente ampliato la distanza fra le masse popolari, impoverite dagli effetti delle politiche neoliberiste e delle crisi sistemiche del capitalismo globalizzato, e il ceto politico, sempre più autoreferenziale e genuflesso agli interessi dei potentati economici e finanziari, che necessita di essere ricucito attraverso il riposizionamento delle politiche sui Beni Comuni al centro dell’agenda politica.

Paolo Carsetti, coordinatore del Forum dei movimenti per l’acqua, rivela come in Italia “negli ultimi 10 anni le tariffe del servizio idrico integrato sono aumentate di oltre il 90%, a fronte di un incremento del costo della vita del solo 15%, secondo la CGIA di Mestre. Se analizziamo i bilanci delle quattro multiutility (aziende di  forniture di servizi alla collettività, una volta pubblici n.dr.) quotate in borsa che gestiscono anche l’acqua – A2a, Acea, Hera e Riren – rileviamo come fra il 2010 e il 2016 dal 58% dell’impatto degli investimenti sul margine operativo lordo si è scesi al 40%. Evidentemente l’aumento degli investimenti assicurato non è avvenuto. E di tutti gli utili prodotti da queste quattro società, oltre il 91% sono stati distribuiti come dividendi“.

I fondi del PNNR, a nostro avviso, devono essere impiegati, rimediando al tempo sin qui sprecato a causa dell’inerzia politica, per implementare un piano nazionale di ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, al fine di sottrarre al profitto privato e riportare in mano pubblica ciò che costituisce un diritto universale dell’uomo, come sancito dalla Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu 64/292. Quest’ultima riconosce l’acqua potabile e i servizi igienico-sanitari come un diritto umano universale per il pieno godimento della vita e di tutti gli altri diritti fondamentali della persona, rendendo la gestione privata, finalizzata alla massimizzazione del profitto con elevate tariffe e scarsi investimenti nella rete infrastrutturale (che infatti perde a livello nazionale il 40% dell’acqua immessa), inconciliabile non solo con principi dei Beni Comuni, ma anche con il diritto internazionale, non che con la sostenibilità ambientale e sociale.

Occorre rivitalizzare questa lotta di civiltà, per il rispetto della volontà popolare, per la centralità dei Beni Comuni in ambito economico e sociale e per lo sviluppo della Società della cura, in antitesi con quella dell’individualismo, del profitto sfrenato e delle devastazioni ambientali.

 

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