In ricordo di Rossana Rossanda, ancora comunista ancora dissidente

(Da Micromega) – Pubblichiamo una conversazione della fondatrice del Manifesto con Marco D’Eramo pubblicata sul secondo numero di MicroMega, anno 2017. Più di cento nomi compaiono in questa intervista. Da Togliatti a Pajetta, da Castro a Ingrao, la vita della fondatrice del Manifesto ha incrociato quella dei maggiori protagonisti della sinistra (italiana e non solo) dal dopoguerra a oggi. E lei stessa ne è stata una delle figure più influenti. “Se tu non ti occupi di politica, la politica si occupa di te”.

Rossana Rossanda in conversazione con Marco D’Eramo

Verso la fine di La ragazza del secolo scorso scrivi una frase strana: «Del resto, il mio scacco come persona politica è totale soltanto da una ventina d’anni». Poiché tu scrivevi queste parole nel 2005, il tuo «scacco come persona politica» si riferiva alla metà degli anni Ottanta, non prima, non dopo. Bizzarro, no?

Bizzarro.

Ma perché?

Forse perché avvertivo che stava maturando una crisi definitiva nel Partito comunista, cui devo la mia identità politica. La crisi non era recente, tanto meno è avvenuta con la caduta del Muro di Berlino. Nell’89 si è solo catalizzata: il Pci non ne ha dato una spiegazione. Si è limitato a incassare il giudizio dei suoi avversari storici: «Era sbagliata l’idea stessa di comunismo». Identica posizione tra i russi, i cinesi, i cubani. Nessuno cerca di dare un’altra spiegazione, nessuno di loro dice: «Perseguivamo un ideale giusto ma abbiamo commesso i seguenti errori». Nessuno si chiede perché la crisi abbia colpito tutti e nello stesso momento.

Non è forse dovuto anche al fatto che il marxismo non ha previsto gli effetti del marxismo? Nel senso che l’esistenza stessa del marxismo, con tutto quel che ha comportato in termini di nascita di movimento operaio e di regimi proclamatisi marxisti, ha fatto sì che le previsioni del marxismo non si realizzassero?

Sì, in parte, se intendi dire che all’estendersi del comunismo si sono opposte potenze o forze politiche di indirizzo soprattutto neoliberale: le avevano spaventate non solo le virtù, ma soprattutto i vizi dei partiti comunisti e dei cosiddetti socialismi reali. Ma c’era un nostro limite teorico: quel che Marx dice della contraddizione fra sviluppo delle forze produttive e sistema politico del capitale lo abbiamo concepito come un processo sicuro, inesorabile, che si sarebbe concluso con la vittoria del comunismo. Cosa che non si è verificata. Alla domanda «quando è avvenuta la crisi nel comunismo russo?», risponderei: quando Lenin afferma «bisogna saper chiudere una rivoluzione» e lo fa con la Nuova politica economica. Forse la verità è che non si chiude una rivoluzione se non approfondendola, e non nel senso di «reprimere più avversari», ma approfondendo il carattere irreversibile della nuova società, cioè nella direzione contraria a quella che Lenin credette di dover scegliere. Probabilmente era dovuto anche al fatto che la Rivoluzione del ’17 è avvenuta come una mobilitazione di minoranze relative e in pochi luoghi, non di tutta la popolazione e su tutto il territorio della futura Unione Sovietica. Sicché quando i bolscevichi hanno avuto il potere, hanno dovuto gestire un paese enorme con enormi problemi, e segnato da una grande arretratezza e con una popolazione in gran maggioranza non alfabetizzata. Il problema del diverso sviluppo fra città e campagne riemerge alla fine del ventennio con l’accelerazione imposta ai contadini, ma soprattutto con il fatto che bisogna nutrire gli operai con la loro produzione – questione che ha portato allo scontro con Bukharin.

Secondo me è l’Unione Sovietica ad aver sotterrato il vero internazionalismo.

Lascia perdere. Non è stato un proposito, ma un effetto. La Terza Internazionale è stata una forza unitaria che ha affrontato problemi che l’Occidente neppure si sogna. Che poi essa non fosse l’internazionalismo come lo pensiamo noi, è un’altra storia. All’interno del suo gruppo dirigente ci fu discussione vera. Non è stato un legame puramente formale.

Non è solo il comunismo sovietico a essere stato tradito, c’è stata anche la sconfitta del maoismo. Adesso, quarant’anni dopo, come vedi la traiettoria del maoismo?

Ho pensato che il maoismo rappresentasse, diciamo, una opposizione di sinistra al XX congresso del Pcus e alla linea di Khrušcˇëv. L’Occidente sostiene invece che è stato una forma di dittatura. Sospendo il giudizio.

Tutto quello che si legge sulla Rivoluzione culturale è che era peggio dei gulag staliniani.

Conosco questa letteratura, ma non c’è nessuno che mi offra serie pezze di appoggio, anche per la difficoltà di esplorare un mondo assai diverso dal nostro.

Ma com’è che il maoismo è stato sconfitto in modo così totale?

Perché all’interno del Partito comunista cinese c’era una posizione che, soltanto per intenderci, chiamerei socialdemocratica, favorevole a uno sviluppo sociale sì, ma più lento. Mao le ha dato una zampata pubblicando il famoso «Bombardate il quartier generale», cioè legittimando e scatenando l’ondata di protesta che si era aperta all’Università di Pechino. Anche sul modo in cui ci viene raccontata quella vicenda ci sarebbe da indagare: non credo che Lin Biao stesse scappando con dei soldi verso l’Unione Sovietica. Magari è stato ucciso.

 

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