COVID-19: Cari sindaci, per gli aiuti alimentari alle fasce deboli, comprate dai contadini. E riaprite i mercati, necessari alla sopravvivenza. Le proposte dell’Ari

Cari sindaci, per gli aiuti alimentari alle fasce deboli, comprate dai contadini. E riaprite i mercati, necessari alla sopravvivenza. Le proposte dell’Ari

di Marinella Correggia

 

Il virus Sars-CoV-2 sta assestando duri colpi al forsennato commercio agroalimentare globale. Diversi paesi produttori di derrate iniziano a interrompere le esportazioni.

Come leggiamo qui (https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_crisi_alimentare_globale_pu_essere_peggio_di_quella_sanitaria_e_economica_ma_non_ne_parla_nessuno/82_33935/), «non sono solo i consumatori a riempire le dispense. Sempre più governi si stanno muovendo per garantire l’approvvigionamento alimentare nazionale così da affrontare la pandemia di coronavirus. (…) Potrebbero essere indizi significativi di un’ondata di “nazionalismo alimentare” che interromperà le catene di approvvigionamento e i flussi commerciali del mercato globale?» Lo pensa la Chatham House: «E’ già un processo in corso – e tutto ciò che possiamo vedere è che il blocco peggiorerà».

Certo, i segnali non sono univoci. Pochi giorni fa il ministro dell’agricoltura del Queensland (Australia) ha dichiarato che la capacità di esportare cibo – nella fattispecie anche la trota corallina, un lusso alimentare – è un beneficio irrinunciabile e non sarà interrotta dall’impatto logistico delle misure di contenimento della pandemia.

Comunque, prosegue l’articolo succitato, a livello italiano la risposta può essere solo, a partire dall’emergenza, «una seria pianificazione di autosufficienza e una vera sovranità alimentare». La filiera agroalimentare italiana deve essere messa in grado di rispondere al fabbisogno dell’intera popolazione, anche riorientando la produzione.

Possiamo dunque intravedere, per il post-Covid 19, una sana sterzata verso le produzioni agricole locali e sostenibili? Un’emergenza aiuterà by default l’agricoltura contadina, in gravi difficoltà anche per l’inclemenza del tempo che ha registrato un inverno troppo mite seguito dal freddo proprio adesso, e dalla mancanza di pioggia?

Tutto – oltre che dalla faticosa resilienza delle campagne, compresi i braccianti soprattutto stranieri – dalle decisioni politiche. Anche quelle che si prendono nel mezzo della tempesta. Come ha più volte spiegato, fra gli altri, l’Associazione rurale italiana (Ari), «quando l’emergenza avrà fine, non saranno le “immissioni di liquidità” a determinare la ripresa, ma la capacità, la volontà, la resistenza e l’autonomia produttiva di contadini, artigiani, piccole e medie aziende che operano a livello locale, la vera struttura portante dell’economia nazionale».

https://cambiailmondo.org/2020/03/20/emergenza-covid19-i-produttori-locali-garantiscono-laccesso-al-cibo-governo-ed-enti-locali-garantiscano-il-loro-supporto/

Ma accadrà «solo se nel frattempo (queste unità produttive) non saranno annientate definitivamente». E proprio per evitare questa deriva, l’Ari continua ad avanzare proposte. Nell’ultima lettera inviata al presidente dell’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) e ai prefetti, leggiamo: «In relazione alle misure contenute nell’Ordinanza Capo Dipartimento della Protezione Civile 29 marzo 2020, n. 658, recante aiuti per l’acquisto di generi alimentari per le fasce più deboli della cittadinanza, chiediamo che i Comuni italiani nello stilare i regolamenti per l’erogazione del contributo o nell’applicare quelli vigenti adottino criteri per agevolare e indirizzare tali acquisti di generi alimentari di prima necessità verso le produzioni agricole alimentari locali. Tale indirizzo, oltre che a sostenere la produzione di cibo locale, quindi con una ricaduta positiva sul tessuto socio economico territoriale particolarmente provato dall’emergenza sanitaria in atto, potrebbe contribuire all’aumento della consapevolezza da parte di tutta la cittadinanza delle enormi potenzialità che l’agricoltura di prossimità ha di alimentare i territori nei quali opera»

Insomma, gli aiuti a chi è in difficoltà potrebbero essere un’occasione per riorientare i consumi aiutando la sopravvivenza dei produttori locali e la salute dei consumatori.

Chi risponderà a questo appello?

L’Ari ribadisce poi: «Chiediamo alle SV di ottemperare al Dpcm dell’11/3/2020 informando i Sindaci dei Comuni italiani che la misura di chiusura indistinta dei mercati agricoli comunali non ottempera a nessuna norma contenuta nel Dpcm, ma altresì ha effetti dannosi sull’aspetto sanitario ed economico del nostro Paese: a) perché obbliga i consumatori a recarsi tutti negli stessi luoghi chiusi per approvvigionarsi di alimenti aumentando il rischio del contagio, quando la misura restrittiva posta in atto da molti Sindaci vorrebbe avere un valore di contenimento dello stesso, b) perché impedisce a produttori agricoli di mettere in atto l’unica azione che consente loro di avere un reddito a fronte del lavoro svolto, proprio mentre la stagione agricola sta entrando nel suo periodo più produttivo».

Gli spazi mercatali, banchi e spacci nelle aziende, si possono organizzare benissimo – ed è accaduto in varie località –, per rispondere alle esigenze di distanziamento sociale. Le ordinanze di divieto fanno male.

E fanno malissimo nel Sud del mondo. Come spiega Grazia de Mura dal Burkina Faso (https://emigrazione-notizie.org/?p=30555), la chiusura dei mercati è una misura improponibile per chi vive alla giornata (è faticosissimo anche «restare a casa» – in questa stagione calda, negli spazi fatiscenti spesso inferiori a 15 metri quadrati tutto compreso, tetto in lamiera, famiglie numerose…). I poveri vivono alla giornata, non hanno riserve, comprano man mano, in un’economia di «dettaglio del dettaglio». Chiudere «tutto un paese che vive di economia di sussistenza» è una condanna a morte se la misura non si accompagna al sostegno almeno alimentare per «le famiglie che vivono di quel che producono».

Secondo una recente valutazione dell’Onu (https://reliefweb.int/report/burkina-faso/number-hungry-people-spikes-central-sahel-covid-19-looms), il numero di affamati nella fascia centrale del Sahel sta producendo una crisi umanitaria incontrollata, a causa delle misure prese per arginare la diffusione del virus Sars-CoV-2. Ben 5 milioni di persone si trovano in situazione di grave insicurezza alimentare.

 

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