19 06 08 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL ESTERO ED ALTRE COMUNICAZIONI.

00 – EUROPA: tutelare le nuove migrazioni, quali responsabilità.
01 – Giovani Italiani All’estero – E. Letta al festival economia :”non c’è l’invasione, c’è l’esodo dei giovani. Non li dobbiamo bloccare ma far si che le esperienze fuori diventino risorsa per investimento in italia”
02 – L’on. La Marca (PD) A Montreal per la festa della repubblica.
03 – «Basta liti o vado via». L’ultimatum di Conte è un’arma scarica. Governo. Il premier chiede risposte rapide. Salvini non lo fa nemmeno finire: «Avanti senza perdere tempo». Di Maio: «Subito un vertice». Sulla Flat tax l’avvocato non può sbilanciarsi e alla Lega concede solo uno spiraglio sul rimpasto.
04 – Miliardi per la felicità, Jacinda Ardern inventa la finanziaria del benessere. La premier neozelandese annuncia che investirà in aiuti psicologici. Per la prima volta un Paese inserisce nel bilancio indicatori come la solitudine.
05 – Flat tax: un amo elettorale della Lega, modello Putin. Tassa unica al 15% . In Italia come Russia dove 52% delle famiglie riesce a sfamarsi e vestirsi, il 3% più ricco possiede l’89% delle risorse del paese, con una crescita modesta (1% nel 2017 e 2018)
06 – E CI RISIAMO. Trump minaccia la sanità, ma Londra risponde in piazza, Usa/Gb. Il presidente Usa: servizio sanitario sul tavolo dell’accordo bilaterale post-Brexit. Decine di migliaia di manifestanti contro la visita di Stato. E lui: «Non incontro Corbyn»

00 – EUROPA: TUTELARE LE NUOVE MIGRAZIONI, QUALI RESPONSABILITÀ
Venerdì 28 giugno 2019 dalle ore 09:30 alle 14:00
Centro Congressi Frentani – Via dei Frentani, 4, 00185 Roma
Relazioni del Comitato scientifico del FAIM: Prof. Enrico Pugliese, Prof. Matteo Sanfilippo, Prof.ssa Grazia Moffa

TEMI PER LA DISCUSSIONE
1)- Alla presa d’atto della significativa ripresa dell’emigrazione italiana, che sta avvenendo a livello anche istituzionale, non corrispondono iniziative volte a rendere meno gravosi i percorsi emigratori degli italiani che emigrano né a ridurre i motivi economici e sociali che sono alla base della nuova spinta emigratoria. Allo stesso tempo le mutazioni intervenute nel quadro economico e politico-sociale nei paesi di arrivo rendono, in quei paesi, più difficile la difesa dei diritti sociali e civili dei nuovi migranti. Si va affermando, nei diversi paesi, a partire dalla Brexit, ma non solo, un ambiente ostile volto a disincentivare l’immigrazione dei lavoratori comunitari.
2)- L’emergere dei cosiddetti “sovranismi” influenza ed accentua questi atteggiamenti che si rivolgono non solo verso gli extracomunitari, ma ormai anche verso i cittadini comunitari, con effetti di riduzione e di parziale esclusione dai sistemi di welfare (come, ad esempio, nel caso dell’indennità di disoccupazione o dell’assegno sociale), e con la crescita di espulsioni per motivi economici. A ciò si aggiunge il peggioramento, delle condizioni di inserimento e collocazione lavorativa, dei protagonisti della nuova emigrazione italiana in mercati del lavoro sempre più precarizzati.
3)- Un ulteriore elemento di riflessione troppo spesso evitato
riguarda le condizioni e gli effetti della nuova emigrazione per le aree di partenza, in particolare, per quanto ci riguarda, per le regioni del Mezzogiorno, da dove si emigra, oltre che all’estero, anche e in modo consistente verso il Nord Italia. Nell’ultimo decennio si registra un processo massiccio di spopolamento di intere aree montane e collinari con un aggravamento negli ultimissimi anni. Con ciò si spopola il Mezzogiorno, ma anche aree interne del centro-nord, con un effetto a catena per cui emigrazione genera a sua volta ulteriore emigrazione. Torna a riproporsi con forza la questione irrisolta dello sviluppo diseguale del Sud rispetto ad altre aree dell’Italia, che è questione nazionale e che riguarda l’intero paese. Da qui la necessità di una scelta politica strutturale di investimenti e di occupazione, la necessità, in questo quadro, di piani straordinari di intervento volti a migliorare le condizioni economiche e sociali del Sud ma anche delle aree del nord del paese più colpite dagli effetti della globalizzazione
4)- Questo ci porta ad un altro tema da affrontare: i nuovi processi emigratori intraeuropei determinano una concentrazione di popolazione nei luoghi dove si concentra ricchezza, forte attività produttiva e potere politico e un progressivo decremento di popolazione, parallelo alla crescita di povertà, nelle aree periferiche europee. In Italia si accentua lo storico dualismo Nord-Sud Italia che indebolisce l’intero paese, nord compreso. Analoghi fenomeni caratterizzano altre aree del nostro continente. La principale contraddizione che attraversa l’Europa è quella di un peggiorato rapporto fra centro e periferie. Accanto ai paesi mediterranei, i paesi dell’Est hanno perso e perdono quote ancora più consistenti di popolazione a vantaggio delle aree centrali. Contemporaneamente ha luogo il fenomeno delle migrazioni degli anziani verso altri paesi, attratti da incentivi fiscali e dal più basso costo della vita.
5)- Rispetto a tali scenari ci si è occupatati troppo di presunte invasioni di immigrati dall’estero, mentre non ci si è occupatati – in Italia come in Europa – di realizzare politiche di sviluppo e di riequilibrio tra aree periferiche e centrali. Piuttosto, il sud dell’Europa si è, per così dire, allargato ad Est e la concentrazione del potere economico e politico richiama forza lavoro da queste aree, proprio mentre le politiche sovraniste creano ambienti ostili agli immigrati stessi.
6)- Per quanto riguarda la composizione della nuova emigrazione si può confermare che si tratta di una emigrazione sempre più spinta dalla necessità e sempre meno di una libera mobilità basata su libere scelte individuali. Secondo i dati disponibili i laureati costituiscono poco più di un quarto del totale degli emigranti; la principale componente “in fuga” continua a essere quella delle braccia; di ciò è necessario prendere atto. Ed è altrettanto necessario dotarsi a livello nazionale ed europeo di politiche che riguardino tutti gli emigrati, a prescindere dai loro diversi livelli di scolarizzazione e qualificazione ed ovunque essi si trovino.

01 – GIOVANI ITALIANI ALL’ESTERO – E. LETTA AL FESTIVAL ECONOMIA :”NON C’E’ L’INVASIONE, C’E’ L’ESODO DEI GIOVANI. NON LI DOBBIAMO BLOCCARE MA FAR SI CHE LE ESPERIENZE FUORI DIVENTINO RISORSA PER INVESTIMENTO IN ITALIA”
In una sala strapiena, moltissimi i giovani, l’esordio di Enrico Letta non poteva che essere indirizzato al ricordo del ragazzo europeo per antonomasia, Antonio Megalizzi, “Trento vuol dire soprattutto, questo”. “Abbiamo parlato di migrazioni con tutta la libertà e la schiettezza che oggi questa mia condizione mi consente, la grande fake news nel nostro Paese, oggi, è che stiamo parlando giustamente di migrazioni ma nella direzione sbagliata – ha affermato il direttore della Scuola di Affari internazionali dell’istituto di studi Politici di Parigi, Enrico Letta.

Per Letta, la questione non è l’invasione, che non c’è, la questione è l’esodo che c’è dei tantissimi giovani italiani che se ne stanno andando dal Paese e se non ci rendiamo conto che la principale preoccupazione che dovremmo avere oggi è esattamente quella di capire non di bloccarli qui ma di far sì che queste esperienze che fanno fuori diventino risorsa fantastica per l’investimento sul nostro Paese”. Enrico Letta a questo proposito ha ricordato che nella sua Università il “quarto gruppo studentesco, ma a livello accademico, sono gli Italiani”. A conferma delle grandi risorse italiane all’estero.

Il già presidente del Consiglio dei Ministri, parlando della Scuola di formazione che ha fondato, ha ricordato che l’ha voluta dedicare ad un grande italiano, un grande Trentino, Beniamino Andreatta, a cui “ero molto legato per motivi accademici, storici, politici” (è stato il suo “maestro” e ha rivestito il ruolo di capo della segreteria 1993-1994 quando Beniamino Andreatta – Governo Ciampi – era Ministro degli Esteri ndr.).

Raccontando dell’esperienza dei 400 giovani che hanno frequentato la scuola di politica ha raccontato dell’esperienza gratuita per alcuni di questi ragazzi, dopo una severa selezione, che si finanzia con delle borse di studio che alcune persone hanno messo a disposizione. “E ci sono professori che hanno fatto grandi esperienze nella loro vita e che hanno il senso del ‘dare indietro’, di restituire. Vuol dire che fanno corsi gratuitamente a questi ragazzi che non avrebbero la possibilità di fare master. Vederli crescere è un’esperienza straordinaria.

Perchè la formazione? Secondo me il nostro Paese è arretrato e oggi si è fermato e sta tornando indietro pesantemente a partire dalla crescita esponenziale dei fenomeni di diseguaglianza nel campo formativo che generano, a catena, la crescita delle disuguaglianze nel nostro Paese, alla radice di gran parte dei problemi che stiamo vivendo.

Qual’è la differenza principale fra il miracolo economico e oggi? – ha continuato l’autore di ‘Ho imparato? – Il miracolo economico ha vissuto su una convergenza sociale nel campo della formazione. Mio padre abruzzese, mia mamma sarda vanno via dalle loro regioni e si ritrovano con le borse di studio a Pisa, dove studiano insieme a ragazzi friulani, siciliani, piemontesi, ragazzi di tutti i ceti sociali, figli di laureati e figli di persone laureate, tutti insieme una mixità che non si è mai ripetuta più, nel nostro Paese e che ha creato una sintonia generazionale tra persone che avevano esperienze di censo e di ceto completamente diverse tra di loro. L’Italia si è creata lì, in quell’esperienza il miracolo economico è avvenuto lì, perché tutti puntavano al fatto che i loro figli facessero di più del pezzo di strada che avevano fatto loro.

Oggi la cosa che mi preoccupa di più è che la società è divisa in due grandi insiemi, una minoranza, le famiglie che hanno mezzi economici propri, che mandano i figli a studiare all’estero, (in varie esperienze di diverso livello), una costante, un esodo che va in quella direzione, una minoranza. E poi c’è la maggioranza delle famiglie senza mezzi, quindi il percorso di studio è dentro le mura domestiche senza l’opportunità di quella minoranza. E questo fossato che si sta creando sta creando allontanamento fra queste due parti.
Torna la logica del censo e non quella del merito e questa divisione sta diventando drammatica, perchè è la divisione che genera le principali disuguaglianze.

Fare esperienza all’estero è fondamentale, aprirsi.

Perché per me questo è il tema principale, una piccola goccia, lo so benissimo, ma è proposta principale che metto nel libro che è quella dell’Erasmus per i 16enni, bisognerebbe che in questa legislatura europea i soldi venissero messi, in una quantità molto maggiore rispetto a quanto si sta facendo oggi per l’Erasmus.
In Italia su 18 milioni di giovani partono per l’Erasmus fra i 30 e i 40 mila (solo) e sono usciti, almeno una volta, dall’Italia, 1 milione e mezzo di questi 18 milioni. Gli altri, no. Sedici milioni e mezzo, no. Questa questione sta diventando la questione principale la divisione tra un gruppo minoritario di giovani cosmopoliti, figli di famiglie cosmopolite che tendenzialmente tendono poi ad andarsene e una maggioranza che non vive queste esperienze perchè il sistema non lo consente. Perchè l’Erasmus per i 16enni? – ha continuando Enrico Letta –

Vorrei avere bacchetta magica, vorrei essere per un giorno il presidente di tutte le istituzioni europee per tre ore e, con una bacchetta magica, spostare le risorse da tante voci di bilancio dove possono essere tranquillamente tolte e messe tutte su questa proposta: tutti i ragazzi europei di 16 anni dentro il loro percorso scolastico fanno tre mesi in un altro paese con una situazione costruita con tutte le garanzie del caso e questo finirebbe per essere la capacità per i ragazzi, ma anche per le famiglie, di sentirsi a casa loro sia a Klangefurth sia a Barcellona e fare questo vorrebbe dire dare a loro un’apertura straordinaria e creerebbe, soprattutto, il meccanismo di lotta alla disuguaglianze”

02 – L ‘ON. LA MARCA (PD) A MONTREAL PER LA FESTA DELLA REPUBBLICA. Domenica 2 giugno, l’On. Francesca La Marca ha partecipato alla Festa della Repubblica italiana organizzata dal Consolato di Montreal presso la storica Casa d’Italia di Saint Léonard. Ha ricevuto ospiti e invitati la neo Console generale Silvia Costantini.
Presenti circa 300 esponenti della comunità e diversi rappresentanti politici e istituzionali. Ai presenti hanno rivolto il loro saluto un rappresentante del Comitato della Casa d’Italia, la Console, generale, il Vice Console, il Ministro italo-canadese Lametti e l’On. Francesca La Marca.
Nel corso della serata sono stati conferite le onorificenze di Cavalieri del Lavoro ad alcuni componenti della comunità italiana del Québec. Hanno fatto seguito un concerto e un ricevimento offerto agli ospiti.
Nel suo intervento, l’On. La Marca ha sottolineato la forte saldatura che la festa della Repubblica, “la più amata dagli italiani”, ha avuto con le nostre comunità in ogni parte del mondo. Per gli italiani in Canada, poi, la ricorrenza ha un valore ulteriore perché, grazie al contributo che i soldati canadesi hanno dato alla liberazione dell’Europa e dell’Italia, essa può essere considerata la festa dell’incontro dei due Paesi nella libertà e nella democrazia. “Il vincolo che noi italiani abbiamo con i canadesi – ha continuato la parlamentare – è di duplice gratitudine: per avere contribuito con il sacrificio di tanti loro giovani figli a farci riacquistare la libertà e a farci ritornare nel concerto dei popoli democratici; per averci offerto, soprattutto dopo i disastri della guerra e i ritardi sociali del fascismo, l’opportunità del lavoro e del futuro”. Un debito ben ripagato dagli italiani venuti in Canada, che con il loro lavoro hanno dato un notevole impulso alla modernizzazione e allo sviluppo del loro Paese di adozione.

La democrazia e la libertà si difendono, però, anche evitando che i bisogni insoddisfatti diventino rabbia e disamore per le istituzioni. Il vero problema, oggi, in Europa e in Italia è la mancanza di lavoro, che induce soprattutto i giovani a partire e a cercare altrove delle opportunità.

“La Repubblica, dunque, è libertà e democrazia, ma anche necessariamente solidarietà”, ha concluso La Marca. “Per questo, per quanto mi è possibile, il mio impegno istituzionale sarà rivolto a rendere più fluidi gli scambi tra Canada e Italia, in nome non solo del comune passato emigratorio, ma anche delle presenti necessita”.On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D.

03 – «BASTA LITI O VADO VIA». L’ULTIMATUM DI CONTE È UN’ARMA SCARICA. GOVERNO. IL PREMIER CHIEDE RISPOSTE RAPIDE. SALVINI NON LO FA NEMMENO FINIRE: «AVANTI SENZA PERDERE TEMPO». DI MAIO: «SUBITO UN VERTICE». SULLA FLAT TAX L’AVVOCATO NON PUÒ SBILANCIARSI E ALLA LEGA CONCEDE SOLO UNO SPIRAGLIO SUL RIMPASTO, di Andrea Colombo

Annunciata con gran squillo di fanfare, un tweet che convoca la stampa a palazzo per le 18.15, cioè a mercati chiusi, perché il premier «ha da dire cose importanti», la conferenza stampa di Giuseppe Conte è di quelle che non modificano di una virgola la situazione e forse anzi mette ancor più a nudo l’impotenza del premier. E’ un appello alla responsabilità rivolto direttamente ai due leader e suoi vice, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, perché smettano di litigare, di invadere il campo altrui, di farsi la guerra senza esclusione di colpi per tornare a quella «leale collaborazione» che considera la chiave per riprendere il lavoro. Ma per questo sarebbe necessario riconoscere i problemi e affrontarli. Il capo senza più poteri del governo non può farlo. Deve addossare ogni responsabilità alla «serie ravvicinata di prove elettorali conclusa dalle europee, che io avevo sottovalutato». Polvere sotto il tappeto.

PER FORZARE LA MANO Conte mette sul tavolo la pistola. O i due dicono chiaramente che sono pronti a smetterla e lo dimostrano con i fatti oppure «sono pronto a rimettere il mandato nelle mani del presidente». E’ un’arma scarica. Se tra i soci della maggioranza non tornerà almeno una parvenza di sereno, nel giro di un paio di settimane non ci sarà più nulla da cui Conte possa dimettersi. L’espressione, qualche volta, dice e rivela più delle parole, specialmente quando a parlare è un maestro nell’arte del non dire. L’espressione di Conte, ieri, era disperata. «Chiedo una risposta chiara e rapida», ha detto. Quella della Lega arriva ancora prima che la conferenza stampa sia finita. «Non abbiamo mai smesso di lavorare, siamo pronti, vogliamo andare avanti e non abbiamo tempo da perdere», replica Salvini. Poi sciorina la lista immutata dei «sì» che reclama. E tutto torna seduta stante al punto di partenza.

L’INQUILINO DI PALAZZO Chigi cerca di rimediare all’errore clamoroso commesso in campagna elettorale, sbilanciandosi, su pressione di un Di Maio terrorizzato dai sondaggi, a favore dei 5S. «Io non sono del Movimento 5 Stelle. Quando mi contattarono nella scorsa legislatura dissi chiaramente che non li avevo votati e non sono iscritto. Non sapete quante volte, in consiglio dei ministri, ci sono state tensioni con loro». Il tentativo di recuperare il ruolo super partes è una mossa giusta e quasi obbligata, ma tardiva e probabilmente ormai inutile.

Nel merito, Conte può dire pochissimo. La Tav? «Non possiamo accantonare l’analisi costi-benefici. Ho parlato con Macron, a breve ci sarà un passaggio con l’Europa. Al termine trarremo le fila». I decreti Crescita e Sblocca cantieri, che giacciono paralizzati dallo scontro nella maggioranza da ben prima della campagna elettorale? «C’è un vertice stasera». Il vertice in effetti c’è e secondo i pronostici della vigilia la Lega potrebbe accettare di rimaneggiare il suo emendamento che riscrive il dl in cambio dell’accettazione da parte dei 5S. Ma il ministro Toninelli schiuma rabbia: «Quell’emendamento è una provocazione». Al vertice serale la mediazione non si trova: se non si troverà nemmeno nei prossimi giorni la situazione potrebbe precipitare subito.

Ma quel che rende probabilmente impossibile la missione di pace dell’avvocato Conte è che il premier si trova al centro di un fuoco incrociato non su uno ma su due fronti, che non si sovrappongono però potenziano vicendevolmente l’effetto esplosivo. C’è la guerra nella maggioranza ma c’è anche, più temibile e più temuto, il conflitto che monta con l’Europa. Qui Conte prende posizione senza giri di parole, schierandosi con il Colle, che ha probabilmente suggerito l’uscita di ieri: «Le regole europee vanno rispettate finché non riusciremo a cambiarle. La prossima manovra dovrà mantenere un equilibrio dei conti. Una procedura d’infrazione ci farebbe molto male». Significa, in concreto, che sul punto chiave, la Flat Tax, Conte deve sgusciare e svicolare, appellarsi al fatto che «non ci sono solo le due aliquote, è una riforma molto più vasta e complessiva».

COSE CHE SI DICONO quando non si vuole rispondere. O quando non si può, perché se dicesse sì alla tassa della Lega lo spread andrebbe alle stelle, se dicesse di no il governo finirebbe sotto terra subito. Quindi il presidente del consiglio deve trattare con le mani legate. Tutto quel che può concedere all’offensiva leghista è uno spiraglio sul rimpasto. Non lo chiede né lo promette ma non avrebbe nulla in contrario. Che basti a spegnere l’incendio è ben poco probabile. La risposta di Salvini arriva quasi in tempo reale: «Sul rispetto delle regole europee il voto è stato chiaro». E stavolta Di Maio, terrorizzato dal rischio di voto, capovolge le posizioni assunte un paio di settimane fa e concorda: «Serve subito un vertice di governo per discutere la revisione di vincoli europei».

04 – MILIARDI PER LA FELICITÀ, JACINDA ARDERN INVENTA LA FINANZIARIA DEL BENESSERE. LA PREMIER NEOZELANDESE ANNUNCIA CHE INVESTIRÀ IN AIUTI PSICOLOGICI. PER LA PRIMA VOLTA UN PAESE INSERISCE NEL BILANCIO INDICATORI COME LA SOLITUDINE. (di Irene Soave da il Corriere della sera)

La voce più cospicua è la salute mentale: l’equivalente di più di un miliardo di euro in 5 anni per inserire uno psicologo in ogni ambulatorio di medicina di base, ridurre i crescenti tassi di suicidio e potenziare la lotta a dipendenze, ansia e depressione. Poi lotta alla povertà infantile e alla violenza domestica, emergenze nazionali; aiuti ai senzatetto, alle comunità indigene e alla ricerca contro il global warming, per un totale di 3,5 miliardi di dollari neozelandesi (2 miliardi di euro) di fondi extra. Ma soprattutto l’impiego dei Living Standards Framework, cioè di parametri dello standard di vita: diversi indicatori — dalla qualità dell’acqua alla solitudine dei cittadini all’accesso al mercato immobiliare — che con la tradizionale analisi economica costi-benefici dovranno orientare le politiche di ciascun ministero, in un esperimento che la Nuova Zelanda è il primo Paese al mondo a condurre. Il governo laburista di Jacinda Ardern, che a 38 anni è la più giovane capo di governo donna al mondo, ha presentato ieri la finanziaria 2019, ribattezzata il «bilancio del benessere».
Già altri Paesi monitorano il benessere psicologico dei propri abitanti. Ad esempio il Bhutan, che ha introdotto il concetto di Felicità interna lorda. La Nuova Zelanda, però, è il primo a inserire indicatori di questo tipo in una legge di bilancio. Il «Bilancio del benessere» era molto atteso dalla comunità internazionale già da gennaio, quando Ardern lo aveva annunciato al World Economic Forum di Davos. A una tavola rotonda intitolata «Oltre il Pil» aveva parlato per la prima volta di «Wellbeing budget», sottolineando come la montata dei populismi nel mondo si debba anche a una scarsa incidenza della politica sulle condizioni di vita dei cittadini. «Noi — aveva detto — faremo diversamente».

«Molti neozelandesi — ha ribadito ieri il ministro delle Finanze Grant Robertson presentando il bilancio al Parlamento — non beneficiano nelle loro vite quotidiane della crescita economica del Paese». Che è spedita: secondo le previsioni dell’Fmi l’economia neozelandese crescerà del 2,5% nel 2019 e del 2,9% nel 2020. Benessere significa, ha proseguito il ministro, «mettere tutti i cittadini in condizione di vivere una vita che abbia per loro significato ed equilibrio».

Dunque lotta ad ansia, depressione, dipendenze che colpiscono secondo il governo circa 325 mila cittadini: «Un tema che sento molto — ha detto Jacinda Ardern — perché quasi tutti noi abbiamo amici o famigliari che ne sono affetti. Sapere che da oggi un cittadino può andare dal medico di base e trovarci supporto psicologico adeguato è un primo passo cruciale». Altri 320 milioni sono stati stanziati per combattere la violenza domestica: la polizia riferisce di una denuncia ogni 4 minuti. E un miliardo di dollari (580 milioni di euro) vanno alla lotta contro la povertà infantile, altra piaga nazionale: secondo l’Unicef il 27% dei bambini non dispone di cibo nutriente, cure mediche adeguate e di una casa calda e asciutta. L’opposizione conservatrice — per bocca del leader Simon Bridges — parla di operazione «di facciata». Ma gli osservatori internazionali guardano all’esperimento con attenzione. Non solo loro: alla vigilia della presentazione della nuova legge, sono stati riscontrati duemila tentativi di hackeraggio ai server governativi.

05 – FLAT TAX: UN AMO ELETTORALE DELLA LEGA, MODELLO PUTIN. TASSA UNICA AL 15% . IN ITALIA COME RUSSIA DOVE 52% DELLE FAMIGLIE RIESCE A SFAMARSI E VESTIRSI, IL 3% PIÙ RICCO POSSIEDE L’89% DELLE RISORSE DEL PAESE, CON UNA CRESCITA MODESTA (1% nel 2017 e 2018) di Luigi Pandolfi da Il Manifesto.

Non è scontato che la flat tax, la tassa unica al 15% per ricchi e poveri, vedrà la luce in questa legislatura. Ringalluzzito dal 34%, Salvini l’ha rimessa al centro dell’agenda del governo, ma che si tratti soltanto di un amo elettorale è ipotesi tutt’altro che peregrina.

Il voto anticipato non è più un tabù, pesano sulle scelte del governo (e del governo che verrà) la congiuntura economica sfavorevole e lo stato dei conti pubblici, sui quali, com’è noto, è puntata l’attenzione di Bruxelles – più vicina la richiesta di una procedura d’infrazione per eccesso di debito – e, soprattutto, dei mercati finanziari (lo spread è tornato a surriscaldarsi).

Intanto, è opportuno chiedersi, in linea di principio, se una simile misura sarebbe rispondente ai bisogni reali del Paese e dei ceti popolari, la stragrande maggioranza della popolazione, quelli che in questi anni hanno sopportato tutto il costo della crisi (e in tanta parte hanno votato per la Lega il 26 maggio).

In Europa, l’Italia è ai primi posti in quanto a disuguaglianze sociali e povertà. Condividiamo il podio con la Romania. Numeri allarmanti, figli della crisi prolungata e della sua insana gestione imperniata su tagli draconiani al welfare state e su politiche di svalutazione del lavoro: il 5% più ricco della popolazione possiede patrimoni e risorse finanziarie pari a quelle possedute dal 90% più povero, cinque milioni sono le persone in condizione di grave deprivazione materiale (10 milioni considerando anche i «poveri relativi», 17 milioni a rischio esclusione sociale). Siamo qui: chi non lavora è povero, chi lavora è povero lo stesso.

Non c’è bisogno della laurea in economia per rendersi conto che a fronte di una simile, e drammatica, situazione l’unica azione riparatrice, riequilibratrice, sarebbe quella di drenare risorse dall’alto verso il basso, mediate una maggiore progressività dell’imposizione fiscale. Anche con l’introduzione di una tassa patrimoniale sulle grandi ricchezze.

D’altro canto, è universalmente riconosciuto che proprio la graduale «erosione della progressività fiscale» sia alla base dell’esplosione delle disuguaglianze nei paesi occidentali e che lo stesso effetto abbiano avuto in questi anni le varie sperimentazioni di tasse più o meno «piatte» in alcuni paesi dell’ex blocco sovietico, a cominciare dalla stessa Russia. Il modello che piace a Salvini e a Berlusconi, l’esempio tangibile delle «magnifiche sorti e progressive» dell’uguale tassazione per chi ha tantissimo e chi non ha (quasi) niente.

In Russia, dal 2001 è in vigore un regime fiscale per le persone fisiche basato su un’unica aliquota al 13% (24% per le imprese), tra le più basse al mondo. Un Paese dove il 52% delle famiglie riesce a malapena a sfamarsi e a vestirsi e il 3% più ricco della popolazione possiede l’89% delle risorse finanziarie (depositi bancari, obbligazioni, azioni), con una crescita media annua piuttosto modesta (poco sopra l’1% nel 2017 e nel 2018, dopo la dura recessione del biennio precedente). Miracolo della flat tax. L’abisso verso cui vorrebbero condurci i reaganiani con trent’anni di ritardo di casa nostra.

Torniamo in Italia. Le recenti stime dell’Istat sulla crescita (+0,1% nel primo trimestre, -0,1% rispetto al primo trimestre del 2018) e l’inflazione (a maggio +0,1% su base mensile e 0,9% su base annua) dicono una cosa molto semplice: quella italiana è una crisi di domanda. Pesano disoccupazione e sottoccupazione, bassi salari, la forbice tra nord e sud che si è ulteriormente allargata in questi anni. Un classico scenario keynesiano.

Se ne esce con politiche fiscali maggiormente espansive che, nelle condizioni generali date, non possono che essere finanziate attraverso un travaso di risorse da chi ha di più, molto di più, a chi ha di meno e molto di meno. Ridurre le disuguaglianze per rilanciare l’economia, facendo bene anche ai conti pubblici, insomma. Esattamente il contrario di ciò che vorrebbe propinarci Salvini con la complicità dei 5 Stelle.

06 – E CI RISIAMO. TRUMP MINACCIA LA SANITÀ, MA LONDRA RISPONDE IN PIAZZA, USA/GB. IL PRESIDENTE USA: SERVIZIO SANITARIO SUL TAVOLO DELL’ACCORDO BILATERALE POST-BREXIT. DECINE DI MIGLIAIA DI MANIFESTANTI CONTRO LA VISITA DI STATO. E lui: «Non incontro Corbyn» ( di Leonardo Clausi da Il Manifesto)

Londra ha accolto Donald Trump con il suo miglior grigiore, la sua migliore pioggia, i suoi migliori manifestanti. E mentre il pallone gonfiato con l’effige del presidente degli Stati uniti sventolava irriverente sulle decine di migliaia di teste accorse a dire no al rituale diplomatico ossificato, vuoto e opulento riservatogli, l’effigiato – non meno gonfiato – continuava il tour delle massime cariche dello stato britannico.

Compresa naturalmente la trisavola coronata: Trump ama Elisabetta seconda (anche se probabilmente non ricorda la prima) ed esalava sincero rispetto e soddisfazione al cospetto della sovrana. I ritratti fotografici dei due entourage al completo sono già in attesa di cornice e caminetto su cui fare mostra di sé tra un libro di self-help e un bel merluzzo parlante (d’oro). Se solo mamma potesse vederli. «È una donna fantastica, una persona fantastica», ha detto, dando pericolosamente fondo al suo vocabolario da tredicenne.

Ieri era il secondo giorno della visita di Stato in Gran Bretagna dell’ormai familiare volto della democrazia americana attuale. Non senza un certo imbarazzo, Trump è stato lusingato dall’establishment dell’ex dominatore coloniale del suo grande paese, che non ha esitato a srotolare il protocollo delle visite intergalattiche, anche se non lo ha scarrozzato nel calesse intagliato della sovrana né è stato invitato a pernottare a Buckingham Palace, dove l’unico divano-letto disponibile era fuori uso.

Ma è stato comunque l’ospite d’onore di un banchetto per 170 in-dignitari, che ha saputo impreziosire con la solita gaffe da rotocalco di chi proviene da un paese senza medioevo: anche lui – come la moglie del suo predecessore, Michelle Obama – ha toccato la monarca, purtroppo senza sparire o trasformarsi in qualcosa di meno dannoso per l’uomo e la natura. Nemmeno a lei è successo nulla.

Dopo un incontro a Downing Street con Theresa May – già passata remota e ormai portiera del numero dieci, da giorni ormai con i bagagli dietro la porta – suggellato da una conferenza stampa dove i due leader hanno ripercorso a memoria tutto il repertorio dal 1945 sul rapporto speciale (dove specialità deve occultare una parità fittizia), Trump ha ribadito il suo convincimento che Brexit sia una gran cosa e di voler fare un grande accordo di libero scambio con il Regno Unito.

Aggiungendo, non senza eccitare ulteriori controversie tra i paladini bipartisan del National Health Service (l’Nhs è il primo servizio sanitario pubblico europeo dopo la seconda guerra mondiale), che lo stesso Nhs sarà oggetto di negoziazione nel trattato, alimentando le speculazioni di una sua privatizzazione a imprese statunitensi.

Trump, che non si è dimostrato avaro di preziosi suggerimenti al futuro leader britannico (uscite dall’Ue senza accordo e senza pagare l’indennità di divorzio, poi stipuliamo un mega-accordo bilaterale: musica per le orecchie dei più euroscettici Tories in corsa per la leadership), ha ribadito la sua posizione sulla Nato (i Paesi membri devono aumentare i budget per la difesa), ha annunciato di voler incontrare Michael Gove – tra i più pericolosi ideologi Tories perché meno ignorante – e ieri sera ha incontrato Farage, da lui lodato a ogni piè sospinto e che avrebbe visto volentieri come ambasciatore a Washington. Restano tuttavia vari golfi da colmare: sul clima, sulla Cina (vedi Huawei) e sull’Iran.

In conferenza stampa Trump ha poi annunciato di rifiutato un incontro col temuto futuro leader britannico. «È una forza negativa», ha detto giustificando la propria decisione, usando un tropo new age che – come buona parte della cultura new age nel suo complesso – non significa un bel nulla. Parliamo naturalmente di Jeremy Corbyn che, a sua volta “fuori le mura” di Downing Street, faceva quello che sa fare meglio: parlava ai manifestanti affluiti davanti a Whitehall di quelle cose utopiche come pace, giustizia, collaborazione, umanità, accoglienza: vocaboli ormai espunti dai dizionari di quest’Europa sempre meno veteroliberale e più neofascista.

Ore prima, ai microfoni del programma mattutino Today di Bbc Radio 4, Emily Thornberry, sagace ministro degli Esteri ombra, aveva difeso la scelta di Corbyn di boicottare l’illustre cenone, nonostante tra loro ci sia disaccordo (sullo sciagurato secondo referendum in primis): «È un predatore sessuale, un razzista ed è giusto dirlo – ha detto Thornberry di Trump – Credo che ci sia bisogno di chiedersi quando il nostro Paese è diventato così timoroso. Perché non cominciare a dire le cose come stanno?».

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