Inasprite le norme sull’ immigrazione: è solo l’inizio?

La deriva securitaria che ha caratterizzato negli ultimi anni le politiche italiane sull’immigrazione ben si iscrivono in un contesto di segno analogo a livello europeo. Il quadro che ci ha consegnato la scadenza elettorale di giugno 2024 presumibilmente vedrà i partiti dell’ultradestra provare a peggiorare ulteriormente la situazione esistente.

Con l’approvazione del Patto su immigrazione e asilo si sono sostanzialmente espunti i principi di solidarietà e accoglienza dal dibattito politico comunitario. Si parla di revisione in peius delle “norme Dublino”, di lotta alla “strumentalizzazione dei migranti”, di inasprimento dei controlli alle frontiere, di banca dati dei digitale degli irregolari.

Ancorché le pressioni della società civile organizzata siano riuscite a limitare i numeri dei voti favorevoli in sede di approvazione dei regolamenti, nella sostanza scompare ogni elemento solidale e si é scelto di seguire solo le logiche della sicurezza fino a giungere a legittimare l’esternalizzazione delle frontiere.

Va evidenziato che il governo di destra italiano ha tracciato la rotta di questo percorso. Le mosse di Meloni sul terreno della costruzione di intese con i governi dell’Albania e della Tunisia sono state convalidate con il consenso della Presidente uscente della Commissione. L’ignobile progetto, ormai in fase avanzata di realizzazione, di costruire centri di respingimento in Albania pone il governo italiano all’avanguardia sulla sperimentazione di una pratica che pare possa ricevere imitazioni e consensi.

Va pure osservato ad onore di verità che l’assenza di uno sguardo ampio capace di leggere in maniera razionale i flussi migratori ha rappresentato la cifra costante dell’approccio italiano. Emergenza come primo punto, nessuna visione oltre il quotidiano, attenzione alla percezione emotiva della questione. E rispetto alle responsabilità pregresse la sinistra, quando ha governato, non si è distaccata da questa impostazione. Nè è stata mai capace di affrontare le diverse problematiche organicamente sul piano della normativa.

Basti pensare, a titolo di esempio che, accanto ad una lodevole attenzione al tema dei diritti la legge Turco -Napolitano nel 1998 introduce all’art. 12 allo stesso tempo i Centri di permanenza temporanea, i famigerati CPT. Peggio ancora diversi anni dopo il ministro Minniti con il Memorandum Italia Libia ha addirittura affidato alla cosiddetta “guardia costiera” libica i compiti di contrasto dell’ immigrazione clandestina. Finanziando di fatto le milizie mafiose, i loro affari, la costruzione di autentici lager.

Se per il passato è mancata la capacità di confrontarsi con la presenza degli stranieri in Italia oltre la logica emergenziale o l’approccio lavoristico, con l’avvento del governo Meloni ed i proclami del suo inqualificabile ministro Piantedosi, tanto rozzo quanto pericoloso, la situazione è precipitata.Restano indimenticabili a proposito del ministro dell’interno espressioni come “carico residuale” o l’accusa di irresponsabilità mossa a chi sceglieva per se e per i propri figli la via del viaggio, della fuga da condizioni di invivibilità e pericolo.

Dalla strage di Cutro in avanti è stato un crescendo di misure vessatorie e disumane. Pensiamo solo all’ipotesi della fideiussione proposto come strumento alternativo alla detenzione. O alla assegnazione alle navi umanitarie, già sottoposte ad ogni tipo di controlli volti a ridurne la capacità operativa, di porti distanti centinaia di miglia dal luogo in cui vengono effettuati i salvataggi. Con danni sicuramente economici, ma con costi se è possibile ancora più alti sulla condizione fisica e psicologica di chi è arrivato su imbarcazioni precarie nel mezzo del Mediterraneo.

Sicuramente l’associazionismo solidale è alla costante ricerca nelle pieghe di tale normativa di ogni minimo spiraglio per contrastarne gli effetti. Altresì sta sviluppando un impegno quotidiano di monitoraggio e vigilanza sulle modalità di accoglienza previste dalle nuove norme. Pensiamo alla vicenda della già citata cauzione su cui il Governo ha proposto una sorta di “saldo” riducendo l’importo da 5000 a 2500 euro. Anche la magistratura si sta in più casi opponendo.

Da più parti sono emersi rinvii in Cassazione e alla Corte di giustizia europea su casi di procedure accelerate di frontiera per i richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri previsti dal decreto Cutro. O pensiamo anche alle resistenze che sono state poste dal Consiglio di Stato al regalo di motovedette “ricondizionate” ai nuovi alleati tunisini, modello di democrazia e giustizia sociale.

Ugualmente rilevante è la nuova attenzione sulla gestione del decreto flussi, strumento largamente usato da decenni sotto la pressione dei datori di lavoro, ma quasi sempre fonte di truffe, inganni, clandestinità. Ma probabilmente, più della vigilanza su norme e politiche, il compito principale in capo all’associazionismo è quello della promozione del protagonismo dei migranti, superando il rischio della “infantilizzazione” delle persone e della loro riduzione nel ruolo di beneficiari di servizi.

E anche qui c’è spazio per un impegno collettivo. Rilanciare una riflessione che parta dal presente ma guardi ad un futuro altro sul modello del sistema di accoglienza. Partendo dal sistema SAI che ha il pregio di nascere dal basso e di coinvolgere le comunità locali attraverso la rete dei comuni. Immaginando anche un suo ulteriore rafforzamento con la previsione di forme di accoglienza diffusa, anche domestica, capace di promuovere attivazione della società e costruzione di un livello più alto di consapevolezza. Lavorando nella costruzione di una visione diversa di società inclusiva.

E la promozione del protagonismo rafforza il cambio di visione rendendo percepibile che si parla di persone. Non di forza lavoro da sfruttare e poi buttare via, come ci ha drammaticamente mostrato la vicenda di Satnam Singh nelle campagne di Latina nei giorni scorsi.

Il migrante come forza lavoro da sfruttare, sottopagare, espellere. E, quando serve, utilizzare come capro espiatorio da dare in pasto alle paure e ai riflessi condizionati rispetto a tutto quanto non si conosce. Il prossimo autunno cade l’anniversario di una delle più grandi manifestazioni contro il razzismo e per l’accoglienza. Sono trascorsi 35 anni da quell’ottobre di mobilitazione e di lotta promosse dai sindacati e dalle associazioni, subito dopo l’uccisione di Jerry Masslo e poco prima della approvazione della legge Martelli nel 1990.

A riprova del fatto che quando si è in grado di costruire sensibilizzazione, consenso organizzato, mobilitazione si possono raggiungere traguardi importanti. Oggi potrebbero essere gli stessi soggetti collettivi a guidare la lotta per un contrasto allo stato di cose presenti. Nella consapevolezza che l’accettazione passiva della attuale deriva non è consentita a nessuno. 

Massimo Angrisano

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