Parliamo dei migranti che arrivano e non… dei giovani che vanno via

Non sappiamo ancora come la nuova guerra nella striscia di Gaza potrà incidere sui flussi migratori della gente che fugge dall’inferno diretta in Europa attraverso i corridoi orientali: di certo si tratta di un nuovo fronte che si apre per l’ Unione Europea

 

di Pino Pisicchio (da La Gazzetta del Mezzogiorno del 30-10-23)

Non sappiamo ancora come la nuova guerra nella striscia di Gaza potrà incidere sui flussi migratori della gente che fugge dall’inferno diretta in Europa attraverso i corridoi orientali: di certo si tratta di un nuovo fronte che si apre per l’ Unione Europea. La questione migratoria tiene banco da tempo a Bruxelles, annegando nel fiume dei buoni propositi che sfocia nel mare dell’impotenza. È l’argomento principe dei «sovranisti» come il premier ungherese Orban, che costruiscono campagne elettorali andando sul pesante con l’appello alla paura («arrivano i terroristi, gli stupratori seriali, i parassiti» eccetera).

In realtà andrebbe guardato un po’ meglio il quadro statistico per poter valutare con qualche elemento di oggettività, la situazione senza cedere alle suggestioni. Prendiamo, ad esempio, la situazione italiana. Siamo un Paese di primo approdo per i flussi che provengono dal Mediterraneo, a partire dal primo decennio degli anni dieci, dopo le primavere arabe. Basterebbe citare Lampedusa per evocare nell’immaginario collettivo un dramma che si ripete con numeri ingenti e con regolarità che nessun programma «securitario» potrebbe mai fermare. Tuttavia, al di là della percezione diffusa dalla politica e dai media, ci sono i dati: nel decennio che va dal 2011 al 2021 i migranti entrati a far parte della comunità nazionale italiana sono stati 643 mila. Pochi, tanti?

Il punto non è questo, ma riguarda la conoscenza di un altro dato sottaciuto da politica e media, che concerne i flussi migratori italiani verso l’estero. Sì perché c’è un fenomeno strisciante, di proporzioni ingenti, che tende ad essere sottaciuto ed è quello dei nuovi emigranti italiani. Certo, non si tratta dei meridionali e dei veneti che dalla fine dell’Ottocento agli anni ‘60 hanno girato il mondo con la valigia di cartone. Oggi sono giovani qualificati, laureati e spesso anche specializzati, buoni conoscitori delle lingue.

Il numero è sorprendente: dal 2012 al 2021, 248 mila giovani italiani tra i 25 e i 34 anni, forniti di alta specializzazione, ha cercato e trovato lavoro all’estero.

La meglio gioventù scappa via, dunque, e noi non facciamo niente per impedire un depauperamento che ci sottrae classe dirigente e cervelli. E che ci costa: ogni famiglia italiana spende in media per la formazione di un giovane, dalla scuola dell’obbligo alla laurea, non meno di 130 mila euro.

Questi dati raccontano molte cose ma almeno un paio merita una citazione. La prima: il nostro sistema universitario non deve essere poi così malvagio se i giovani laureati italiani sono così ben accolti all’estero. La seconda: questi ragazzi sono davvero il nuovo volto dell’emigrazione italiana. Qual è, infatti, la spinta che li porta fuori dall’Italia? Evidentemente un posto di lavoro decente e all’altezza degli studi fatti e della professionalità acquisita: in media andranno a guadagnare il 42% in più di quanto guadagnerebbero in patria. Dunque non si tratta di una scelta fatta tra due possibilità alla pari, perché probabilmente se si potesse scegliere una soluzione di lavoro sotto casa sarebbe più comodo.

È inutile dire che la perdita secca dei giovani laureati è delle regioni meridionali, perché il Nord ciò che perde lo recupera con le migrazioni interne provenienti dal Sud. Insomma: prima di lanciare gridolini di allarme sui giovani migranti che vengono da lontano, diamo un’occhiata ai nostri giovani che se ne vanno.

 

FONTE: https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/editoriali/1442712/parliamo-dei-migranti-che-arrivano-e-non-dei-giovani-che-vanno-via.html

 

 

 

 

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