19 06 29 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL ESTERO ED ALTRE COMUNICAZION

01 – PARLAMENTARI PD ESTERO: sviluppare il confronto sul voto all’estero salvaguardando i diritti di cittadinanza degli italiani all’estero.
02 – Schirò (PD): dal rapporto annuale ISTAT i nodi critici per il futuro del nostro paese: denatalità, invecchiamento e migrazioni.
03 – Franca Valeri: “Questa Italia non mi piace. Mi fa paura chi ha in mano il nostro avvenire”
04 – Registro lobby della camera, bisogna andare avanti.
05 – Sei mesi di tempo per cominciare a ridurre il debito. Dombrovskis e Moscovici aggiorneranno la Commissione Ue, la decisione verrà presa il 2 luglio a Strasburgo. Pressing su Roma in vista del CdM.
06 – Una classe dirigente ha fallito, e il Pd è all’ultima spiaggia. Invertiamo la rotta. L’alternativa a Salvini non è lontana; il blocco sociale del centro sinistra è sempre lo stesso; a sinistra del Pd c’è la coazione a dividersi e a perdere
07 – L’on. La Marca (PD) ha incontrato il Prefetto Rabuano del ministero dell’interno sulle problematiche della cittadinanza Italiana Roma
08 – La domanda è che fare…. Una nuova via con la sinistra in Danimarca. Europa governata dalla paura. Cosa dire del crimine in Italia? QUANDO I SENTIMENTI E NON LE IDEE DIVENTANO LA BASE DELLA POLITICA ED È LA PANCIA E NON IL CERVELLO A DECIDERE, SIAMO ENTRATI NEL REGNO DELLA MITOLOGIA E ABBIAMO LASCIATO LA REALTÀ FUORI DALLA SCENA. Ma il fatto più importante (che è vero anche per tutta Europa) è che ora un italiano su quattro ha più di 65 anni, paragonato ad un immigrato su 50. In Italia ci sono due pensionati su tre persone che lavorano. Come potrebbe sopravvivere il sistema pensionistico senza immigrati? E ORA GLI OVER 65 SONO ORA QUELLI CHE VOTANO PER I SOVRANISTI…

01 – PARLAMENTARI PD ESTERO: SVILUPPARE IL CONFRONTO SUL VOTO ALL’ESTERO SALVAGUARDANDO I DIRITTI DI CITTADINANZA DEGLI ITALIANI ALL’ESTERO.
L’annunciato disegno di legge dei 5Stelle sulla riforma del voto all’estero, a firma del Presidente della commissione esteri, Vito Petrocelli, è stato depositato al Senato. E’ possibile quindi delineare una base di confronto con la nostra proposta presentata ormai da un anno nei due rami del Parlamento.
Prima di fare osservazioni di merito, ne facciamo una di metodo. Tutta la partita dei diritti elettorali degli italiani all’estero, nonché l’istituzione degli organismi di rappresentanza, è stata sempre affrontata con spirito unitario e di collaborazione, che ha consentito di raggiungere risultati concreti pur in presenza di posizioni contrarie e di ostacoli non lievi. Nonostante la discutibile premessa del cosiddetto Accordo di governo, che parla del voto all’estero in termini prevalentemente scandalistici, vogliamo credere che anche questa volta l’approccio non sia diverso, per non correre il rischio che colpi di mano a maggioranza intacchino irrimediabilmente un insieme di prerogative consolidato.
Sulle questioni di merito, oltre a diverse consonanze, troviamo due punti di netto distacco: l’inversione dell’opzione (chi vuole votare all’estero si deve prenotare) e l’ineleggibilità dei componenti dei COMITES e del CGIE.

Nessuno ci deve dire quali effetti di maggiore sicurezza e risparmio determinerebbe l’introduzione dell’opzione inversa, ma nessuno può far finta di non capire che la drastica caduta della partecipazione (le ultime elezioni dei COMITES insegnano!) che tale soluzione comporterebbe, nel clima con il quale oggi si guarda al voto all’estero, rischierebbe di essere il prologo di una possibile cancellazione dell’intero sistema definito con la riforma costituzionale e con la legge 459. Insomma, un salto nel buio.

Lasciando da parte toni polemici e propagandistici, diciamo una sola cosa. Prima di precipitare in decisioni che rischierebbero di avere un impatto sostanzialmente devastante, apriamo un piano di dialogo e di confronto, facendo uno sforzo sincero per arrivare a una soluzione largamente condivisa e, per ciò stesso, solida e difendibile. Non è in gioco il prestigio di partito e di gruppi parlamentari, ma una parte sostanziale dei diritti di cittadinanza degli italiani all’estero.
I Parlamentari PD Estero: Laura Garavini, Francesco Giacobbe, Nicola Carè, Francesca La Marca, Angela Schirò, Massimo Ungaro

02 – SCHIRÒ: DAL RAPPORTO ANNUALE ISTAT I NODI CRITICI PER IL FUTURO DEL NOSTRO PAESE: DENATALITÀ, INVECCHIAMENTO E MIGRAZIONI.
Il Rapporto Annuale dell’Istat, presentato la scorsa settimana alla Camera dei deputati, rappresenta un strumento molto utile per capire le trasformazioni nell’economia e nella società del nostro Paese, ma anche per elaborare le politiche necessarie a creare nuove opportunità.

Il capitolo relativo alle “Tendenze demografiche e ai percorsi di vita”, in particolare, fa emergere il ruolo chiave che la demografia ricopre come elemento propulsivo di uno sviluppo sostenibile e la necessità di individuare per ciascuno dei nodi critici di oggi – denatalità, invecchiamento e migrazioni – i punti sui quali agire per creare nuove opportunità per il futuro.

Il calo demografico del nostro Paese è il peggiore degli ultimi 100 anni. Secondo Giancarlo Blangiardo, presidente dell’Istat, «siamo di fronte ad un vero e proprio calo numerico di cui si ha memoria nella storia d’Italia solo risalendo al lontano biennio 1917-1918». In un contesto di bassa natalità, si afferma nel Rapporto, “gli squilibri intergenerazionali possono costituire un fattore di rischio per la sostenibilità del sistema Paese”.
I giovani dai 20 ai 34 anni, al 1° gennaio 2018, sono 9 milioni 630 mila, il 16% del totale della popolazione residente; rispetto a 10 anni prima sono diminuiti di oltre 1 milione 230 mila unità (erano il 19% della popolazione al 1° gennaio 2008). Più della metà (5,5 milioni), celibi e nubili, vive con almeno un genitore.
C’è poi l’allarmante diminuzione della popolazione femminile. Tra il 2008 e il 2017 le donne sono diminuite di circa 900mila, dato che spiega quasi i tre quarti della differenza di nascite che si è verificata nello stesso periodo, mentre la restante quota dipende dalla diminuzione della fecondità (da 1,45 figli per donna del 2008 a 1,32 del 2017).
Per quanto riguarda i fenomeni migratori, il rapporto ci propone un quadro complesso ed articolato che, come ripetiamo da anni, renderebbe obbligatoria da parte della politica una vera assunzione di responsabilità.
Il saldo migratorio con l’estero degli italiani, lo sappiamo, è negativo: dal 2008 ha prodotto una perdita netta di circa 420mila residenti. Circa la metà (208 mila) va dai 20 ai 34 anni e quasi due su tre ha un’istruzione medio-alta. Un trend che non si arresta e i cui numeri sono assai più consistenti di quelli ufficiali registrati dell’Istat.
L’elevata perdita di capitale umano riguarda soprattutto il Mezzogiorno sia per quello che concerne le migrazioni interne che quelle internazionali.

TRA IL 2008 E IL 2017 I SALDI CON L’ESTERO DI GIOVANI CITTADINI ITALIANI CON LIVELLO DI STUDIO MEDIO-ALTO SONO NEGATIVI IN TUTTE LE REGIONI ITALIANE: LA LOMBARDIA È IN ASSOLUTO LA REGIONE CHE HA CEDUTO AD ALTRI PAESI PIÙ RISORSE QUALIFICATE (-24 MILA GIOVANI RESIDENTI), SEGUITA DALLA SICILIA (-13 MILA), DAL VENETO (-12 MILA), DAL LAZIO (-11 MILA) E DALLA CAMPANIA (-10 MILA).

Le giovani risorse provenienti dal Mezzogiorno, dunque, costituiscono una risorsa sia per le zone maggiormente produttive del centro-nord sia per i paesi esteri.
Circa l’85 per cento della perdita di capitale umano dei giovani italiani è a favore dei paesi dell’Unione europea, in particolare Regno Unito (31 mila), Germania (21 mila), Svizzera (15 mila) e Francia (12 mila). Tra i paesi extra-europei i saldi negativi più significativi si registrano negli Stati Uniti (7 mila) e in Australia (4 mila). L’Italia, al contrario, non guadagna sufficiente capitale umano dall’estero.

Una realtà da molti di noi ampiamente denunciata in ogni occasione possibile. Una realtà – che come riconosce lo stesso Presidente della Camera, Roberto Fico, “impoverisce drammaticamente il capitale umano del nostro Paese. E ne mette a rischio il futuro”. Da qui “l’esigenza di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione dei progetti di vita dei giovani”.
E’ urgente, dunque, l’esigenza di pensare ai fenomeni migratori in una prospettiva più ampia, capace di produrre politiche ed investimenti di lungo periodo sia per quando riguarda la popolazione giovanile sia il nostro Mezzogiorno.
In questo ambito, c’è inoltre l’esigenza di affrontare con lungimiranza le politiche indirizzate all’integrazione dei migranti residenti nel nostro paese e dei loro figli. L’Istat, a questo proposito, ci fornisce dati molto interessanti che andrebbero analizzati con attenzione e che imporrebbero al legislatore, e più in generale alla politica, di fare di più e di fare meglio. Le questioni della denatalità, dell’invecchiamento, della scolarizzazione dei giovani di origine migrante e della mobilità intra-europea, infatti, riguardano anche i cittadini migranti residenti nel nostro Paese.

INSOMMA, QUANDO PARLIAMO DI POLITICHE MIGRATORIE, SAREBBE IL CASO DI SMETTERLA CON LA PROPAGANDA O, NEL MIGLIORE DEI CASI, CON GLI ATTEGGIAMENTI PATERNALISTICI E LE GENTILI CONCESSIONI.

Da questo punto di vista, fa tenerezza la “profonda gratitudine” espressa dall’on. Billi al governo per l’approvazione della sua risoluzione, che per la verità si affiancava a quella della collega Nissoli, in tema di rilascio della carta d’identità elettronica ai cittadini italiani residenti all’estero.
In realtà la vera questione non è quella del rilascio, deciso ormai da tempo, ma quella dei tempi e delle risorse necessari per l’effettiva operatività del documento elettronico che permetterebbe ai nostri connazionali l’accesso digitale alla Pubblica Amministrazione e di poter utilizzare il sistema SPID. Ad essa si aggiunge poi l’esigenza di superare il limite, richiamato dal governo, di non estendere il rilascio della carta d’identità elettronica ai cittadini italiani residenti in Paesi extra UE che non riconoscono il documento come strumento valido alla libera circolazione.
Tornando al quadro delineato dall’Istat, i numeri che riguardano i cittadini italiani emigrati sono talmente consistenti che dovrebbero imporre un’accelerazione nell’elaborazione di politiche innovative ed integrate in materia di lavoro, semplificazione, investimenti, fisco e previdenza, ma anche di cittadinanza, formazione, merito e opportunità. Far crescere l’Italia significa investire sulla capacità di offrire migliori opportunità ai nostri giovani, di attrarre competenze e professionalità dall’estero e, nel contempo, di rafforzare i diritti delle persone, in tutte le sfere, dalla cittadinanza all’accesso alla pubblica amministrazione fino ai temi di genere.
E’ questo quello che ci chiedono i nostri cittadini all’estero e questo è quello di cui dovremmo, tutti insieme, occuparci.
On. Angela Schirò – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42 – 00186 ROMA

03 – FRANCA VALERI: “QUESTA ITALIA NON MI PIACE. MI FA PAURA CHI HA IN MANO IL NOSTRO AVVENIRE”
INTERVISTA ALL’ATTRICE 99ENNE, AUTRICE DEL LIBRO “IL SECOLO DELLA NOIA”. “CHE DOLORE VEDERE IL MIO ADORATO TEATRO VALLE PERSISTENTEMENTE CHIUSO. L’ITALIA È STRA-COLPEVOLE”, di Flavia Piccinni
Franca Valeri è una bella signora con i capelli corti, un vestito azzurro e un meraviglioso anello con un grande smeraldo al mignolo. Se ne sta seduta nella sua casa di Balduina che affaccia su una Roma tropicale, accomodata su una poltrona antracite e circondata dai dipinti di Colette Rosselli – con la quale intrecciò un sodalizio lungo e fruttuoso, sostenuto da Indro Montanelli – e vezzeggiata da un cavalier king tricolore che, per tutta l’intervista, russerà rumorosamente sul tappeto.
Valeri ha da poco pubblicato con Einaudi un libro pungente, che pare più un pamphlet filosofico che un breviario biografico. Si tratta de “Il secolo della noia” (pp. 99, € 12), brillante guida al Valeri-pensiero che passa dall’analisi dei costumi (“diciamo pure che l’istituto della famiglia è quello che detiene il primato delle tragedie pubbliche”), a quella del tempo (“non mancano gli svaghi, manca la capacità di goderne”) e dei suoi protagonisti. Non c’è niente di scontato in quello che quest’artista – prossima a festeggiare i 99 anni – mi racconta adesso con una voce sottile, scandendo piano le parole. “Mi piace scrivere – esordisce, senza che io le faccia alcuna domanda – anche se non lo faccio con grande frequenza. Detto i miei libri, e mi manca il palcoscenico. Spesso penso alla prima volta che vi salii. Fu qualcosa di miracoloso. Debuttai con la massima facilità. Era la mia passione segreta”.
COSA RICORDA?
“Roma tanti anni fa era una meraviglia. Adesso non è più così. Il debutto fu una cosa facile, non mi fece paura. Ci arrivai a quell’adorato teatro Valle, che vedo persistentemente chiuso. In questo l’Italia è colpevole. Anzi, è stra-colpevole. Come si fa a tenere un simile teatro chiuso ormai da anni? Come si fa a non avere un governo che impone la riapertura di questo gioiello?”
NEL LIBRO LEI SCRIVE: “MI FIDO DELLE MAMME PIÙ MATURE, NON MI FIDO COSÌ TANTO DEI GOVERNI. NON BASTA DIRE CHE SI SA QUELLO CHE VOGLIONO GLI ITALIANI”.
″È un continuo dire “gli italiani”. Ma chi lo sa in realtà cosa vogliono gli italiani? Questi signori, gli italiani, che dite voi, chi sono? E davvero sappiamo cosa desiderano? Secondo me gli italiani non sanno più essere responsabili del loro pensiero. E anche le elezioni non è più chiaro cosa vogliano dire”.
LEI È ANDATA A VOTARE?
“Sì”.
POSSO CHIEDERLE PER CHI?
“Io voto sempre per le sinistre che, per quanto mi pare che abbiano un po’ di respiro, non hanno grandi speranze. Ma oggi, in Italia, la speranza non c’è”.
NON NE VEDE TRACCIA?
“Non solo. La speranza in Italia nessuno ce la fa neppure intravedere. Noi siamo stati molto sicuri di avere in mano il nostro futuro, ma per i giovani di oggi non è più così”.
IN CHE SENSO?
“L’Italia ha dato un calcio alla tradizione, non capendo che quello era l’unico modo per essere moderni. Anche chi ha delle responsabilità oggi si trova in un momento molto difficile. Posso essere sincera?”
Certo.
“L’Italia di oggi non mi piace. C’è tanto proibizionismo, tante assurdità. Forse lo sa anche lei, non può piacerci così l’Italia! Vede, oggi tutti credono di conoscersi, mentre è evidente che questo sia l’ultimo scopo della loro vita. E tutti credono anche di essere diversi, ma non è vero”.
PERCHÉ?
“Riconosco in tutti gli uomini una traccia di passato, la diversità la ritrovo solo nei bambini. È come se avessero un compito che li proietta nel futuro. Per esempio, la mia nipotina, che di anni ne ha quasi dieci, non assomiglia a nessuno e ogni giorno non è mai come auspicano i genitori ed è sempre allegra, come se sperasse in un futuro meraviglioso che noi adulti non abbiamo più”.

Ne “Il secolo della noia” racconta di molti personaggi amici. Cosa ricorda di Anna Magnani?
“Era una donna oltre che bella, molto luminosa. Era una grande amica degli animali: aveva tanti gatti, un cane, e quando ci vedevamo chiacchieravamo del mondo animale che ci circondava. In lei brillava la sua intelligenza”.
E DI INDRO MONTANELLI CON LA MOGLIE COLETTE ROSSELLI?
“Lui, con la sua facilità di impressionare, mi immortalò in un articolo del Corriere insieme ad altri giovani; era un articolo che forse non mi meritavo ancora”.
LEI PARLA SEMPRE DI LAVORO, MA MAI D’AMORE.
“Ne ho avuti due in tutta la mia vita. Due grandi amori che rappresentavano qualcosa di ideale. L’umorismo di Vittorio (Caprioli, ndr) e la musica di Maurizio (Rinaldi, nrd). Sono una donna che non può fare a meno della fedeltà. In fondo, mi avevano scelta loro. Purtroppo, entrambi non ci sono più”.
NEL SUO ULTIMO LIBRO HA SCRITTO DI COSA LA ANNOIAVA. MA OGGI CHE COSA LE FA PAURA?
“Chi ha in mano il nostro avvenire di Paese”.

04 – REGISTRO LOBBY DELLA CAMERA. PORTATORI D’INTERESSE. LA SCORSA SETTIMANA L’UFFICIO DI PRESIDENZA DI MONTECITORIO HA APPLICATO DELLE SANZIONI CONTRO ISCRITTI AL REGISTRO DELLE LOBBY. QUALCOSA SI MUOVE, MA COSÌ NON BASTA.
Nel lungo percorso che porta a delle istituzioni più trasparenti ed aperte, e quindi ad una politica più sana, una tappa inevitabile, e mai raggiunta nel nostro paese, è una vera e corretta regolamentazione nazionale delle lobby e dei portatori di interesse. I tentativi in Italia sono stati vari, ma mai nessuno è riuscito ad affrontare in maniera soddisfacente i vari aspetti della questione. Uno di questi tentativi vede protagonista il parlamento, e in maniera particolare la camera dei deputati. Introdotto nel 2017 sotto spinta dell’allora presidente Laura Boldrini, il registro dei rappresentanti di interesse ha da sempre avuto dei limiti.
Per molto tempo la sua effettiva applicazione era finita fuori dai radar, fino alla settimana scorsa. L’ufficio di presidenza ha infatti punito alcuni iscritti, applicando sanzioni e vietando loro l’accesso a Montecitorio per un anno. Qualcosa quindi sembra muoversi, ma forse è giunta l’ora di rimettere mano al registro in maniera seria, allargandolo al senato, e dandogli una struttura realmente utile per cittadini, ricercatori e attivisti.
Regolamentazione delle lobby Il registro della camera
A marzo del 2017 Montecitorio, sotto spinta dell’allora presidente Laura Boldrini, istituì ufficialmente il primo registro dei rappresentanti di interesse del parlamento italiano.
Un tentativo che avevamo già avuto modo di analizzare, e per cui avevamo sollevato numerose criticità. Con la pubblicazione per consultazione del registro, erano emerse poi le problematiche più corpose. La fruibilità per riutilizzo delle informazioni era pari a zero: i dati non erano forniti in formato aperto, ma solamente come un’unica lunga pagina web in cui schede su schede venivano messe una sopra l’altra. Non solo, i campi di risposta per registrarsi erano, e sono tutt’ora, liberi, rendendo l’utilità delle risposte molto discutibile. Solamente per fare un esempio alla domanda “soggetti che intende contattare” la maggior parte delle strutture avevano scritto “deputati”, cosa relativamente ovvia considerando che si tratta di un registro delle lobby presso la camera.

233 LE STRUTTURE ACCREDITATE DAL 2017 AD OGGI.
La cosa che però rendeva, e rende tutt’ora, questo tentativo molto parziale è il fatto che non coinvolgeva in nessun un modo l’altro ramo del parlamento: il senato. In un bicameralismo perfetto come il nostro, avere una regolamentazione diversa delle lobby tra camera e senato è chiaramente un contro senso.
In particolare abbiamo sottolineato alcuni problemi strutturali del registro, soprattutto per quanto riguarda le relazioni di attività. Alla fine di ogni anno infatti le strutture accreditate devono presentare una relazione alla camera sulla loro attività, specificando, tra le altre cose, i parlamentari con cui hanno interloquito e gli obbiettivi che hanno raggiunto. Queste relazioni sono poi rese disponibili nelle schede delle diverse strutture, permettendo a tutti i cittadini di consultarle sul sito internet del registro. Il problema è che molte strutture, alcune di rilievo, sembravano non aver mai consegnato nessun tipo di relazione.
Non solo, era anche emerso che molte delle relazioni erano poco chiare, e contenenti informazioni vaghe, poco concrete nonché facilmente prevedibili. Una situazione che ci aveva fatto giungere ad una sola conclusione: per fare trasparenza non basta pubblicare informazioni, se le informazioni che si pubblicano sono poco interessanti e soprattutto non riutilizzabili.
LE SANZIONI DI MONTECITORIO
Nelle scorse settimane l’Ufficio di presidenza della camera è finalmente intervenuto sulla materia, decidendo di sanzionare le strutture ree di aver consegnato relazioni generiche e imprecise. Con quasi 6 mesi di ritardo quindi rispetto alla nostra segnalazione, anche Montecitorio si è accorta dei tanti problemi presenti, e della necessità di mettere in campo dei controlli più serrati sulle informazioni fornite.
FINALMENTE DEI CONTROLLI SULLA VALIDITÀ DELLE RELAZIONI DI FINE ANNO DEPOSITATE.
A queste strutture sono state applicate le sanzioni del caso, e per aver violato le regole imposte dalla camera non avranno accesso, chi per l’inter legislatura chi per un anno, a Montecitorio. In questo senso quindi l’aver introdotto finalmente dei controlli rappresenta certamente un elemento positivo. A questo punto è pero necessario avviare una riflessione su una riforma dell’attuale registro della camera, con l’intento di allargarlo al senato, e soprattutto arrivare ad una regolamentazione nazionale della materia.
DOVE DOBBIAMO ANDARE DA QUI
Come abbiamo avuto modo di raccontare più volte in passato l’attuale registro ha molti limiti. Se la presidenza della camera ha finalmente intenzione di monitorare sul suo effettivo rispetto, è forse l’occasione buona per rimettere mano al suo funzionamento. Qui alcuni punti su cui lavorare:
Informazioni richieste in fase di registrazione – Diventa necessario introdurre delle domande in fase di registrazione che realmente contribuiscano alla comprensione della materia. Non più campi liberi, ma percorsi guidati e soprattutto domande dirette. Ad oggi una delle domande a cui bisogna rispondere è “soggetti che intende contattare”, a cui la maggior parte degli iscritti ha scritto “i deputati” o “tutti i parlamentari”, informazioni abbastanza inutili;
Registro degli incontri dei parlamentari – Nei pochi casi in cui sono state inserite informazioni sulle persone incontrate, si ha comunque un quadro fortemente parziale della situazione. È necessario introdurre, per ogni singolo deputato, un calendario degli incontri svolti con gli iscritti al registro. Calendario che deve indicare la data dell’incontro, l’argomento trattato, e le persone presenti. Solo così è possibile ricostruire eventuali nessi tra incontri avvenuti, e decisioni prese dall’aula;
Investimento economico in lobbying delle strutture – Un’altra informazione determinante che manca per la comprensione della materia è l’investimento economico delle singole strutture in attività di lobbying, con attenzione particolare alle attività presso la camera. Avere a disposizione il budget specifico permetterà di quantificare meglio la portata del fenomeno, e soprattutto intercettare le strategie economiche dei diversi attori coinvolti;
CONTROLLI SULLE INFORMAZIONI INSERITE – Semplicemente scorrendo il registro dei portatori di interesse molte informazioni appaiono poco verosimili. Tra queste, il fatto che alcune delle più grandi società di lobbying italiane dichiarino relazioni annuali per un solo cliente. La verifica dei dati comunicati deve essere stringente, per fare emergere, come nel caso delle sanzioni appena applicate della camera, informazioni false e poco realistiche;
DATI RIUTILIZZABILI – La fruizione del registro è molto limitata. L’impostazione del sito online non permette di consultare i dati inseriti dalle singole strutture in maniera rapida. Piuttosto che avere una singola pagina con tutte le informazioni, le schede delle singole entità accreditate andrebbero organizzate, e rese disponibili, in formato aperto. Bisogna fornire ai cittadini, attivisti e ricercati dati riutilizzabili.
Se la presidenza di Montecitorio vuole muoversi verso un effettivo rispetto regolamento, è forse lecito farlo introducendo regole più stringenti, e una struttura di controllo più condivisibile.

05 – SEI MESI DI TEMPO PER COMINCIARE A RIDURRE IL DEBITO. DOMANI DOMBROVSKIS E MOSCOVICI AGGIORNERANNO LA COMMISSIONE UE, LA DECISIONE VERRÀ PRESA IL 2 LUGLIO A STRASBURGO. PRESSING SU ROMA IN VISTA DEL CDM. L’IPOTESI DISCUSSA A BRUXELLES: SÌ ALLA PROCEDURA, CORREZIONI A PARTIRE DALLA MANOVRA 2020, By Angela Mauro HP.
Sei mesi di tempo per iniziare a correggere. A partire dunque dalla legge di stabilità 2020 per un percorso di aggiustamento pluriennale. E’ ciò che dovrebbe essere richiesto all’Italia con l’apertura di una procedura per deficit eccessivo legata al debito da parte del consiglio dei ministri economici dell’Ue il 9 luglio prossimo (Ecofin). La procedura è stata ritenuta “giustificata” dalla Commissione europea nella riunione che il 5 giugno scorso ha approvato il pacchetto di primavera del semestre europeo. Già in quella riunione si è parlato dei dettagli temporali, emerge dal verbale pubblicato oggi.
E’ bene chiarire che a Bruxelles i verbali delle riunioni, anche quelle più delicate tipo quella del 5 giugno appunto, sono pubblici. In nome della trasparenza. Domani a Palazzo Berlaymont i commissari Valdis Dombrovskis, vicepresidente con delega sull’Euro, e Pierre Moscovici, commissario agli Affari Economici, aggiorneranno il presidente Jean Claude Juncker e i colleghi sullo stato delle trattative con Roma. Ma dal verbale della riunione da cui è partito tutto, tre settimane fa, si evince che l’esecutivo comunitario ha già un’idea su tempi e modi della procedura per l’Italia.
La proposta di Moscovici è che a Roma vengano dati sei mesi di tempo per iniziare a correggere al ribasso la traiettoria del debito, contenendo il deficit. Sei mesi invece di tre “per permettere al governo italiano di adottare misure efficaci” nella legge di stabilità per il 2020, ha detto il commissario agli Affari economici stando al verbale. Il suo collega Dombrovskis, di scuola più rigorista, ha proposto invece dai “tre ai sei mesi”, ottobre o dicembre. Sempre di manovra 2020 si parla, la prima di una serie di leggi di stabilità che dovranno seguire il percorso obbligato di correzione del debito imposto dalla procedura.
Ed è sempre Moscovici che, in quella stessa riunione, sottolinea che, “nell’attuale situazione di bilancio, le autorità italiane non sono nella posizione di contestare l’analisi della Commissione riguardante una potenziale procedura per debito eccessivo, dato che la realtà dei dati è chiara. In più, se la Commissione non sollevasse la possibilità” di una procedura “in circostanze come queste, rischierebbe di minare la propria credibilità come guardiano dei trattati”.
Quest’ultima è la considerazione che, nei giorni del consiglio europeo la scorsa settimana, ha indotto anche lo stesso premier Giuseppe Conte ad essere più pessimista circa il nuovo braccio di ferro con Bruxelles. Vale a dire: la Commissione Juncker, proprio perché in scadenza a fine ottobre, ha un approccio più rigido. In effetti, nella riunione del 5 giugno a Palazzo Berlaymont, più di qualcuno ha sottolineato che le problematiche di bilancio dell’Italia sono “strutturali piuttosto che cicliche”. Si è parlato anche delle clausole di salvaguardia sull’Iva, in caso di sforamento del deficit, e persino di “mini-bond”, l’idea del leghista Claudio Borghi per ridurre il debito della pubblica amministrazione stroncata nel weekend dal sottosegretario Giancarlo Giorgetti, in pole position per la carica di commissario europeo nella prossima commissione.
A guardare il verbale, si capisce come la Commissione non stia per niente scherzando con questo dossier, che in effetti poi è stato approvato dagli sherpa degli Stati membri nel consiglio economico e finanziario e poi dall’Eurogruppo nella riunione del 13 giugno a Lussemburgo. E potrebbe dunque essere confermato dall’Ecofin del 9 luglio, per l’adozione formale. Semmai, l’unico problema affrontato il 5 giugno in Commissione è stato quello di trattare il dossier con cura, dal punto di vista politico s’intende.
Obiettivo: “Evitare che la posizione della Commissione venga sfruttata a fini politici da qualche parte in Italia”, recita il verbale. E’ per questo che in conferenza stampa, quel 5 giugno, Moscovici sottolinea più volte: “La mia porta è aperta”, lo dice anche in italiano. Nella riunione aveva sottolineato la necessità di rimarcare che “la Commissione è pronta ad ascoltare le autorità italiane e che la decisione di lanciare la procedura è responsabilità del Consiglio e che sarà presa, nel caso, dagli Stati membri il 9 luglio”.
E così siamo ora alla situazione in cui gli Stati membri addossano la responsabilità alla Commissione: decidono a Palazzo Berlaymont, hanno spiegato molti interlocutori europei al premier Conte a Bruxelles la scorsa settimana. Mentre dalla Commissione indicano gli Stati membri come responsabili. Una situazione un po’ pilatesca da entrambi i lati, tesa a evitare che il caso italiano finisca nelle mani della propaganda sovranista euroscettica.
Su questo, sempre da verbale, si è raccomandato anche Juncker, che ha chiesto a tutta la squadra di usare un “linguaggio sfumato ma chiaro, rigido ma senza essere eccessivamente severo”.
Domani intanto i commissari discuteranno di nuovo del caso italiano. Rinviando però la decisione finale alla riunione del 2 luglio, che si terrà a Strasburgo come ogni volta che c’è plenaria nella sede francese dell’Europarlamento. Potrebbe dunque accadere che la conferma della procedura per l’Italia, con raccomandazione al comitato economico e finanziario e all’Ecofin che l’adotterà il 9 luglio, avvenga nella cittadina dell’Alsazia. Esattamente come accadde il 23 ottobre scorso: la Commissione bocciò la proposta di manovra italiana a Strasburgo, davanti alle telecamere di tutta Europa arrivate per la plenaria.
Intanto dopodomani Roma fornirà la sua risposta definitiva. Il consiglio dei ministri completerà l’assestamento di bilancio con i dati sul primo semestre 2019 che, secondo il ministro del Tesoro Giovanni Tria, consegneranno una situazione migliore delle previsioni della Commissione (che prevede un deficit al 2,5 alla fine dell’anno) e potranno scongiurare la procedura, è il ragionamento che si fa a Roma. A Bruxelles aspettano di vedere tutto nero su bianco. Ma la loro idea è chiara: l’Italia ha bisogno di una ‘lezione’ per essere costretta a mettere mano al suo problema strutturale. E’ chiaro che il percorso obbligato ridurrebbe anche i margini per la flat tax, la misura sulla quale insiste Matteo Salvini.

06 – UNA CLASSE DIRIGENTE HA FALLITO, E IL PD È ALL’ULTIMA SPIAGGIA. INVERTIAMO LA ROTTA. L’ALTERNATIVA A SALVINI NON È LONTANA; IL BLOCCO SOCIALE DEL CENTRO SINISTRA È SEMPRE LO STESSO; A SINISTRA DEL PD C’È LA COAZIONE A DIVIDERSI E A PERDERE, di Simone Oggionni, Stefano Quaranta*.

Salvini mostra i muscoli, ironizza sulle procedure d’infrazione, corre a Washington ribadendo fedeltà nei secoli. E nel frattempo l’Italia rimane nell’angolo. Francia e Germania continuano a comandare. Cresce la Spagna grazie al governo socialista di Sanchez. Cresce persino il Portogallo. Dell’Italia, ai tavoli che contano, non c’è traccia.
Ma la verità – dura ma da conoscere – è che a oggi non c’è alternativa a Salvini e al blocco di potere che sta cementando. Le ultime elezioni europee, e per molti versi le stesse amministrative, dicono chiaramente che il centro-sinistra non è all’altezza.
I flussi elettorali mostrano come la lista Pd alle Europee abbia retto solo grazie al contributo di un elettorato di sinistra responsabile che, votando i candidati civici e indipendenti che hanno incarnato tutto quello che la lista non era (credibilità, discontinuità, radicalità), hanno tentato di frenare l’onda nera.

Ma i flussi dicono anche due cose molto precise: che la lista Pd non ha recuperato praticamente nulla dai Cinque Stelle e dall’astensione. E che continua a essere votata dai centri storici più che dalle periferie, dai comuni capoluogo più che dalla provincia. Il blocco sociale che vota centro-sinistra è sempre quello. Ed è un problema gigantesco.

Non parliamo delle forze a sinistra del Pd. Apparse prive di idee, autoreferenziali, senza ispirazione, hanno raccolto un risultato modestissimo. Lo diciamo da qualche anno a questi compagni: non c’è spazio per i quarti poli. Per l’eterna coazione a ripetere di divisioni e sconfitte.

E ALLORA CHE COSA SERVE? CHE COSA CHIEDIAMO? CHE COSA CI IMPEGNIAMO A FARE?

Un cambio di passo coraggioso e radicale, che segni per davvero l’inizio di una nuova fase. Lo chiediamo a Zingaretti e alla sua neo-eletta segreteria, perché aprano una stagione nuova. Le ipotesi sono due, non sono mille. O il Pd cambia natura, identità, programmi e lo fa risolvendo finalmente e definitivamente le proprie contraddizioni (la vicenda Lotti insegna molto) e per questa via consentendo a nuove forze progressiste di partecipare a pieno titolo a una fase costituente.

Oppure il Pd rimane ciò che è. E allora alla sua sinistra dovrà nascere un nuovo spazio, un nuovo soggetto politico. Alleato, interno a una coalizione progressista alternativa alle destre (perché le destre sono e rimangono il primo pericolo e il primo problema e non consentono più alcuna forma di velleitarismo), ma autonomo.

Però attenzione: in un caso o nell’altro servono nuove idee e nuovi protagonisti. Lo diciamo con molta franchezza: la credibilità non è una merce che si compra al mercato. Un’intera classe politica – quella che ha ricoperto ruoli apicali nelle nostre organizzazioni in questi ultimi vent’anni – non appare (non a noi, ma all’elettorato italiano, alla nostra stessa gente) all’altezza di questo compito storico. Ci sono eccezioni, certamente. Ma dal punto non si sfugge. Occorre una dose massiccia di coraggio. Occorre che il meglio dei talenti, delle competenze e delle passioni civili e politiche del nostro Paese si rimettano in moto. C’è tanto da studiare e tanto da fare per rimettersi al passo con la storia. Si tratta di collocare al centro i grandi temi del nostro tempo: il mondo del lavoro con i suoi processi di automazione e frammentazione, i cambiamenti climatici, le migrazioni che sono innanzitutto la conseguenza di fenomeni demografici ed economici epocali che vanno studiati e governati. Dobbiamo ripensare radicalmente la società che vogliamo per i prossimi decenni, capendo come lo sviluppo tecnologico possa semplificare la vita degli uomini e aumentare la qualità della democrazia prima che al contrario diventi strumento di controllo e ricchezza nelle mani di pochi.
La sinistra eserciterà ancora un ruolo – noi crediamo – se saprà guidare l’innovazione e dare un senso collettivo al futuro, se migliorerà le condizioni di vita e di sicurezza dei cittadini a partire da una dimensione europea.
Per questo motivo abbiamo bisogno che insieme a una nuova generazione di dirigenti politici alcune delle figure più importanti e più credibili del mondo della cultura, del lavoro, dell’economia si facciano garanti di fronte ai cittadini italiani di un percorso nuovo in cui tutti coloro che vogliano dare un contributo di idee possano farlo. Fatevi avanti, la sinistra siete voi. Siete anche voi: sindaci, amministratori, lavoratori, artisti, studenti. Uomini e soprattutto donne.
È UN’AMBIZIONE GRANDE, MA È L’UNICA CHE POSSA ANIMARE DI NUOVO LE NOSTRE RAGIONI.
* Responsabile nazionale Cultura Articolo Uno; Ex deputato Sel

08 – L’ON. LA MARCA (PD) HA INCONTRATO IL PREFETTO RABUANO DEL MINISTERO DELL’INTERNO SULLE PROBLEMATICHE DELLA CITTADINANZA ITALIANA ROMA, 26 GIUGNO 2019.
L’On. Francesca La Marca ha incontrato il Prefetto Rosanna Rabuano, Direttore centrale per i diritti civili, la cittadinanza e le minoranze del Ministero dell’Interno per approfondire con l’alto funzionario alcuni aspetti relativi alla questione della cittadinanza italiana, notoriamente una delle più sentite tra gli italiani all’estero e gli italodiscendenti.
In particolare, il confronto ha riguardato prima di tutto la possibilità di arrivare ad un provvedimento che consenta il recupero della cittadinanza a chi, nato in Italia, l’ha poi perduta in Paesi che non consentivano la doppia cittadinanza.
Si è passati, poi, ad esaminare la questione del riconoscimento della cittadinanza per le donne, e per i loro discendenti, che l’hanno perduta per matrimonio con uno straniero, un riconoscimento ormai largamente acquisito a livello giurisdizionale, ma non ancora operativo a livello amministrativo senza una modifica normativa, sia pure di lieve entità.
Ulteriore motivo di approfondimento ha riguardato la certificazione linguistica a livello B1, richiesta dal decreto Sicurezza, per coloro che presentano domanda di cittadinanza per matrimonio, un requisito che sta creando problemi e disagio in particolare tra le coppie miste residenti all’estero e che è stato già motivo di diverse iniziative parlamentari da parte della stessa onorevole La Marca.
Il confronto è stato utile per verificare i margini reali di operatività in ordine ai provvedimenti indicati e per chiarire alcuni aspetti di ordine normativo e procedurale, sia con riferimento alle proposte di legge già presentate, anche da parte della parlamentare, che in vista di provvedimenti che il Governo ha proposto o si propone di avanzare.
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. – Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America – Electoral College of North and Central America – Ufficio/Office: – Roma, Piazza Campo Marzio, 42

09 – La domanda è che fare…. Una nuova via con la sinistra in Danimarca. Europa governata dalla paura. Cosa dire del crimine in Italia? QUANDO I SENTIMENTI E NON LE IDEE DIVENTANO LA BASE DELLA POLITICA ED È LA PANCIA E NON IL CERVELLO A DECIDERE, SIAMO ENTRATI NEL REGNO DELLA MITOLOGIA E ABBIAMO LASCIATO LA REALTÀ FUORI DALLA SCENA. Ma il fatto più importante (che è vero anche per tutta Europa) è che ora un italiano su quattro ha più di 65 anni, paragonato ad un immigrato su 50. In Italia ci sono due pensionati su tre persone che lavorano. Come potrebbe sopravvivere il sistema pensionistico senza immigrati? E ORA GLI OVER 65 SONO ORA QUELLI CHE VOTANO PER I SOVRANISTI.

I SOCIAL-DEMOCRATICI, che stavano costantemente scomparendo sin dalla crisi del 2008, stanno facendo un piccolo ritorno nell’ultimo anno. Ora sono al potere in SPAGNA, PORTOGALLO, SVEZIA, FINLANDIA e più recentemente anche in DANIMARCA.
Le statistiche sono scoraggianti. Le elezioni Europee hanno dato ai membri del gruppo socialista il 20% dei voti, contro il 25% del 2014. La flessione dal 34%, che era stato raggiunto nel 1989 e nel 1994, è evidente. L’ultimo successo in Danimarca, con il 25.9% dei voti, è stato inferiore a quello del 2015. In Finlandia hanno ottenuto il 17,7% dei voti, solo 2/10 in più dei sovranisti. Ed in Svezia Stefan Lofven ha vinto il suo mandato con i voti più bassi degli ultimi decenni. Nei paesi come Regno Unito, Germania, Francia e Italia stanno diventando irrilevanti.
E’ interessante notare che è non hanno perso voti verso la sinistra più radicale. I due gruppi europei che comprendono Syriza (Grecia), Podemos Spagna), La France Insoumise (Francia), Die Linke (Germania) hanno ottenuto solo il 5% dei voti, contro il 7% del 2014. I voti che hanno perso sono sostanzialmente andati ai sovranisti. Oggi i Social-Democratici hanno il consenso popolare solo in Spagna (PSOE, 33%) e Portogallo (PS, 33,38%). Dalla culla scandinava dei Social-Democratici c’è stato un passaggio nella Penisola Iberica. Oggi il Portogallo è quello che era la Svezia di 20 anni fa: un modello di valori civili, tolleranza ed inclusione.

• C’è ora un dibattito sul modello Danese. Matte Frederiksen, leader dei Social- Democratici, ha adottato un approccio molto radicale contro gli immigrati, praticamente identico alla visione dei sovranisti: deportazione dei migranti in un’isola deserta (a la Australian);
• confisca dei gioielli e altri oggetti di valore che portano con sé;
• la proibizione del burka e niqab nei luoghi pubblici.
Nel 2015 quasi 60.000 migranti hanno raggiunto il paese ma solo 21.000 hanno ottenuto asilo;
• nel 2017 solo un quarto di quanti lo avevano richiesto hanno ottenuto asilo.
Allo stesso tempo Frederiksen ha promesso, tra le altre cose, di aumentare il welfare, i sussidi alla parte più povera della popolazione, gli incentivi ai giovani (che lei vuole smettano di fumare: ha promesso di aumentare drasticamente il costo delle sigarette).
Il modello danese è basato un semplice fatto. Oggi gli europei sono governati dalla paura.
Paura per il futuro, l’arrivo di intelligenze artificiali e robot, che potrebbe portare alla sparizione del 10% dei lavori correnti: solo l’automatizzazione delle auto lascerebbe senza lavoro milioni di conducenti di taxi, di autobus, di camion ecc. (qualcosa di cui gli immigrati non potrebbero mai essere responsabili).
La cosiddetta New Economy dichiara apertamente che il lavoro è una piccola componente del prodotto industriale. L’eccesso di lavoratori disponibili significa che è finito il tempo del lavoro fisso.
Questo naturalmente contraddice il fatto che la popolazione è in vertiginosa diminuzione.
SECONDO L’ORGANIZATION OF INTERNATIONAL LABOUR, L’EUROPA AVRÀ BISOGNO DI ALMENO 10 MILIONI DI PERSONE IN PIÙ PER RIMANERE COMPETITIVA NEL 2030.
QUANDO I SENTIMENTI E NON LE IDEE DIVENTANO LA BASE DELLA POLITICA ED È LA PANCIA E NON IL CERVELLO A DECIDERE, SIAMO ENTRATI NEL REGNO DELLA MITOLOGIA E ABBIAMO LASCIATO LA REALTÀ FUORI DALLA SCENA.

PENDIAMO L’ITALIA. La larga maggioranza dei lavoratori italiani oggi vota per Matteo Salvini (ed in buona parte sono iscritti alla Cgil), il leader della Lega, vie Premier e Ministro degli interni. Salvini ha fatto della paura il tema centrale della sua campagna elettorale permanente. Come Ministro degli Interni ha trascorso solo 17 giorni nel suo ufficio ministeriale e gli altri sulla strada. Lui ha definito gli immigrati la più grande minaccia alla sicurezza degli italiani. Lui tiene manifestazioni di massa, baciando il Rosario o la Bibbia, e spiegando che l’Italia è schiava dell’Unione Europea. Ha introdotto nuove leggi per la sicurezza che rendono più facile il possesso di un’arma. E ha lanciato un’aperta campagna contro il Papa e contro il suo appello alla solidarietà e all’inclusione. Lui suggerisce che il Papa potrebbe prendersi tutti i rifugiati in Vaticano e ha fatto un’alleanza con l’ala conservatrice della Chiesa, chiedendo a Papa Benedetto di tornare. Ha raddoppiato i suoi voti ed è sulla buona strada per diventare il prossimo Primo Ministro. Adesso sta sfidando l’Unione Europea con la dichiarazione che non accetterà il limite del deficit al 3% e reclama che lui agisce per conto del popolo italiano, gli italiani vengono prima e gli eurocrati secondi. Questa è una battaglia che perderà. I capi dei governi europei, non la Commissione, hanno stabilito il limite del deficit. E i suoi amici sovranisti, come Sebastian Kurz dall’Austria o Viktor Orban dall’Ungheria, non accetterà mai di fare alcun sacrificio per permettere all’Italia di aumentare il deficit.

L’ITALIA È UN BUON ESEMPIO PER CAPIRE COME LA REALTÀ NON SIA PIÙ IMPORTANTE E NON SIA ALLA BASE DELLA POLITICA. TITO BOERI, un economista internazionale e uscente Direttore dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS, un’istituzione molto rispettata) ha appena pubblicato un articolo intitolato “GLI IMPRENDITORI DELLA PAURA”.
Gli italiani ora sono convinti che c’è un immigrato ogni quattro italiani: fatto è che invece ce ne sia uno ogni dodici. I sondaggi mostrano che gli italiani sono convinti che ci sono quattro problemi con gli immigrati (e questo vale largamente anche per tutti gli europei):
• rubano il lavoro;
• gli italiani devono pagare dal loro portafogli il welfare degli immigrati che non lavorano;
• gli immigrati rendono più insicure le città;
• gli immigrati portano malattie contagiose.

Bene, dice Boeri, quasi il 10% degli immigrati hanno creato imprese. Ogni immigrato che è un imprenditore impiega 8 lavoratori e il lavoro degli immigrati è altamente concentrato in attività che gli italiani hanno abbandonato. Gli immigrati prestano il 90% del lavoro nei campi di riso, l’85% nell’industria di sartoria per l’abbigliamento, il 75% nella raccolta di frutta e verdura.

GLI STIPENDI IN QUESTI SETTORI NON SONO AUMENTATI NEGLI ULTIMI 20 ANNI: ERANO BASSI E RIMANGONO BASSI.
Ma il fatto più importante (che è vero anche per tutta Europa) è che ora un italiano su quattro ha più di 65 anni, paragonato ad un immigrato su 50. In Italia ci sono due pensionati su tre persone che lavorano. Come potrebbe sopravvivere il sistema pensionistico senza immigrati?
E ORA GLI OVER 65 SONO ORA QUELLI CHE VOTANO PER I SOVRANISTI.
Questo squilibrio è destinato a crescere. Per mantenere il sistema corrente l’83% di uno stipendio va al sistema pensionistico, quanto costerà in futuro al decrescente numero di lavoratori mantenere i pensionati? Già 150.000 giovani, per la maggior parte altamente qualificati, lascia l’Italia ogni anno.

COSA DIRE DEL CRIMINE? Le statistiche mostrano che il crimine sta diminuendo allo stesso tempo in cui il numero degli immigrati sta aumentando. E cosa dire sulle malattie infettive su cui abbiamo statistiche dalla World Health Organization: la Turchia è il paese che ha accolto più immigrati (più di quattro milioni) in un breve periodo di tempo. Non esistono dati che dimostrino un aumento di malattie infettive. In Europa la Germania è stata la nazione che ha ricevuto più immigrati in un breve periodo di tempo, anche qui non ci sono dati che dimostrino un aumento di malattie infettive.

LA PAURA, SECONDO GLI STORICI, INSIEME ALL’AVIDITÀ, È UN MOTORE DI CAMBIAMENTO DEL CORSO DELLA STORIA. Quando è cominciata la paura? Con la crisi economica del 2008, portata da una finanza irresponsabile, l’unico settore globale del mondo senza controllo. La crisi ha reso evidente che la globalizzazione è stata un fallimento. Invece di sollevare tutte le barche, come i suoi propagandisti avevano proclamato, ha sollevato poche barche e le ha rese ricche come non mai: ora 80 individui possiedono la stessa ricchezza di 2.3 trilioni di persone. Infatti l’avidità ha preceduto la paura. Dopo la caduta del muro di Berlino, il mondo si è imbarcato in un’orgia del privato a discapito del pubblico. Lo Stato era considerato il nemico della crescita. Tutti i costi sociali venivano ridotti, il welfare e l’istruzione in particolare, perché erano considerati improduttivi.

JAIR BOLSONARO IN BRASILE STA ANCORA FACENDO LA STESSA COSA: ha tagliato il budget delle università e ha annunciato che vuole “scoraggiare” la filosofia e la sociologia, a favore di “studi pratici” come business, ingegneria e medicina. Il guadagno è arrivato ad essere considerato una virtù centrale. Alle compagnie è stato permesso di ricercare il massimo profitto attraverso la delocalizzazione in paesi meno cari, alle grandi compagnie di aprire negozi locali fuori mercato, gli stipendi sono stati ridotti e i sindacati marginalizzati. Su questa strada neoliberale la globalizzazione era considerata inarrestabile

LA MAREA ERA COSÌ FORTE CHE FU CHIAMATA PENSÉE UNIQUE. All’inizio la sinistra non aveva risposte. Ma poi il Primo Ministro Britannico Tony Blair nel 2003 tirò fuori una proposta alternativa. Dato che la globalizzazione è inarrestabile, cavalchiamola e proviamo a domarla: la Terza Via. Cosa che di fatto ha significato accettare la globalizzazione. Il risultato è stato che la social democrazia ha domato molto poco e i perdenti a causa della globalizzazione non si sono sentiti più difesi dalla sinistra.

La globalizzazione rese mobile tutto ciò che era remunerativo: finanza, accordi commerciali, trasporti. Allo Stato furono lasciate solo le responsabilità per ciò che non era mobile: istruzione, sanità, pensioni e tutti i costi sociali.

Questo era accompagnato da una considerevole riduzione delle entrate nazionali, dato che la globalizzazione era capace (ed è ancora capace) di nascondere I profitti dal sistema nazionale di tassazione. Secondo alcune stime, ci sono 80 trilioni di dollari nei paradisi fiscali, una delle maggiori ragioni del calo delle entrate nazionali.

C’era molto meno denaro da distribuire. Il debito pubblico è di 58.987.551.309.132 dollari (vedi l’Economist DEBT CLOCK per la cifra di oggi). Questo ha aumentato il servizio del debito da pagare e ha ridotto il budget disponibile per le spese correnti. Nessuno parla di questa spada di Damocle che pende sopra le teste dei paesi e dei cittadini. Non stupisce se l’Unione Europea ha introdotto una misura per limitare i deficit nazionali. L’Italia deve ancora pagare 30 miliardi di euro ogni anno per il suo deficit. Aumentare il deficit, come il governo propone, è ulteriormente irresponsabile.

Non vale nulla dire che prima della crisi del 2008, non c’erano partiti sovranisti in Europa tranne quello di Le Pen in Francia. Ad ogni modo, era solo una questione di tempo prima che qualcuno cominciasse a cavalcare la paura in tutti i paesi, che iniziasse il declino dei partiti tradizionali e che non c’erano risposte all’imponente marea della globalizzazione neoliberale. Gli immigrati cominciarono a tornare utili per alimentare la paura e tutte le vittime della globalizzazione passarono a votare i nuovi campioni.

Ora è un luogo comune dire che la destra e la sinistra non esistono più. Infatti la lotta è tra i sovranisti – che sarebbero i nazionalisti tinti di xenofobia e populismo – e globalisti, o coloro che ancora credono che la cooperazione internazionale e gli accordi commerciali siano vitali per la crescita e la pace. Questo dibattito sul presente ignora che la sinistra è un processo storico che iniziò con la prima rivoluzione industriale e l’inizio del diciannovesimo secolo. Un numero incalcolabile di persone diede la propria vita per avere giustizia sociale, per frenare lo sfruttamento dei lavoratori e introdurre i valori di una società moderna e giusta: equità, democrazia partecipativa e trasparente, diritti umani e pace e sviluppo come valori per le relazioni internazionali. Questi erano i vessilli della sinistra. Bisogna collegare questo tesoro storico al tempo presente.

LA DIALETTICA DESTRA-SINISTRA NON È SPARITA. Basti guardare al crescente movimento ambientalista di oggi che è andato in quella divisione. Da Trump a Bolsonaro il cambio climatico è un’operazione di sinistra mentre, se si legge “Laudato Si”, l’Enciclica di Papa Francesco (che pochi hanno letto purtroppo), si vedrà che la lotta al cambio climatico è soprattutto una questione di giustizia sociale e dignità umana.

IN QUESTO SENSO I PARTITI VERDI STANNO RILEVANDO PARTE DELLE BATTAGLIE DELLA SINISTRA STORICA.
E questo ci porta ad una questione centrale: la solidarietà è parte integrante dell’eredità della sinistra? Lo chiedo perché Frederiksen ha ottenuto la vittoria in Danimarca, abbandonando la solidarietà e utilizzando nazionalismo e xenofobia. Naturalmente lei sta dando ai suoi elettori ampie rassicurazioni sul fatto che ristorerà i privilegi dei cittadini ed è evidente che questa ora è una formula vincente, come la Terza Via era stata per Tony Blair nelle elezioni britanniche del 1997. A parte il fatto che questo si inchina alla globalizzazione, come fece la Terza Via, si inchina anche a nazionalismo, populismo e xenofobia, il nuovo pensée unique per così tante persone nel mondo. Avrà un effetto duraturo per quelli che di definiscono di sinistra.
LA DOMANDA È CHE FARE…

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