01 – LA MARCA – SCHIRÒ: il governo non apre varchi per chi chiede la cittadinanza per matrimonio ma noi proseguiremo nel nostro impegno per avere risposte positive
02 – America latina, storie e lucenti contraddizioni: «Un continente da favola»,
03 – In Colombia una rivolta ancestrale/ La protesta. Ambiente, diritti umani, integrità culturale, pace
04 – Comitato della Società Dante Alighieri delle Isole Baleari
05 – Parlamentari PD estero: il ministro Di Maio scopre che nel reddito di cittadinanza mancano gli italiani all’estero. Meglio tardi che mai, ma ne verrà fuori qualcosa di concreto?
06 – SCHIRÒ (PD) – il ministro Di Maio ha finalmente capito: gli italiani all’estero che rientrano in Italia devono poter accedere al reddito di cittadinanza. Ora aspettiamo le norme .
07 – La Marca (PD) incontra il rappresentante dell’ambasciata di Cuba a Roma.
08 – «Reddito di cittadinanza», il governo dei poveri è legge. Workfare all’italiana. Il Senato ha approvato in maniera definitiva il decretone con la «Quota 100», le pensioni e il cosiddetto «reddito di cittadinanza». Nasce uno dei sistemi di «workfare» più esigenti in Europa.
09 – PARLAMENTARI PD estero: lo ius soli è parte integrante della storia dell’emigrazione italiana
10 – L’on. La Marca incontra il direttore generale Varriale del Maeci per un esame della situazione del personale e dei servizi in nord e centro America
11 – PRIME SCADENZE e FINANZA PUBBLICA. L’approvazione della scorsa legge di bilancio è stata caratterizzata da numerosi errori. I ritardi e le difficili trattative con l’Europa hanno infatti comportato un’eccessiva contrazione dei tempi di discussione in parlamento.
12 – Il populismo mediatico è evergreen Rete e tv. Il libro «Rosso digitale» di Vincenzo Vita, uscito per manifesto libri di Benedetto Vecchi
13 – Buio sul Venezuela. Nuova finanza pubblica. Se il chavismo sopravviverà dovrà progettare una economia che permetta uno sviluppo sostenibile per continuare a dirigersi verso un socialismo del XXI secolo
01 – LA MARCA – SCHIRÒ: IL GOVERNO NON APRE VARCHI PER CHI CHIEDE LA CITTADINANZA PER MATRIMONIO MA NOI PROSEGUIREMO NEL NOSTRO IMPEGNO PER AVERE RISPOSTE POSITIVE
“Tutto va bene, Madama la Marchesa”. Questa è l’espressione che forse meglio di altre può dare il senso della risposta che il Sottosegretario all’Interno, Stefano Candiani, ha dato a nome del governo alla nostra interrogazione urgente nella commissione Affari costituzionali della Camera sulle critiche conseguenze che la norma sull’attestazione del possesso dell’italiano al livello B1 sta producendo tra coloro che avanzano istanza di cittadinanza per matrimonio in Italia e in ogni parte del mondo.
Per il Governo, infatti, altri Paesi fanno la stessa cosa, la conoscenza della lingua è già richiesta agli stranieri soggiornanti in Italia da più di 5 anni che fanno domanda di soggiorno di lungo periodo, le pratiche presentate e che sono costate tempo e denaro non potranno essere successivamente integrate dalla certificazione linguistica e, infine, chiunque cerchi sui siti del MIUR e del MAECI può trovare l’ente certificatore più vicino alla sua residenza. Insomma, per usare un diffuso modo di dire, chi vuole la Madonna se la preghi.
Chissà perché, dunque, da tutto il mondo continuano ad arrivarci proteste ed espressioni di disagio, che abbiamo cercato di rappresentare nel testo dell’interrogazione, nella presentazione e nella replica che abbiamo fatto in Commissione.
Si tratta in prevalenza non di stranieri che vengono a fare matrimoni fasulli in Italia ma di coppie miste che si sono moltiplicate negli ultimi tempi per il gran numero di italiani che vivono all’estero e per l’incremento dei flussi migratori giovanili. Si tratta di persone che vogliono consolidare il loro rapporto e le prospettive dei loro figli condividendo anche un elemento forte come la cittadinanza.
Queste persone, per ricostruire le rispettive documentazioni, hanno dovuto spendere somme considerevoli e fare ricerche spesso in contesti difficili, senza sapere che per molti di loro, all’improvviso, tutto sarebbe stato vanificato senza alcun preavviso. Molti hanno poi presentato da poco la loro istanza, pagando la tassa prevista, e poiché la certificazione linguistica, soprattutto all’estero non è facile averla in breve tempo, chiedono di avere la possibilità di integrare la loro domanda. In più, gli oneri e gli impegni messi a carico degli interessati sono considerevoli.
Molti, ancora, chiedono perché poi sia stata introdotta questa norma solo per una categoria di persone, coloro che fanno istanza di cittadinanza per matrimonio, e non per tutti gli altri casi di richiesta e di riconoscimento, visto che di ius culturae si sta parlando da qualche anno. Non sarebbe meglio sospendere per ora questa entrata a gamba tesa e semmai riparlarne in un quadro organico e coordinato?
La risposta, come abbiamo detto, non è stata incoraggiante.
Ma non ci fermeremo a queste burocratiche chiusure, come abbiamo ribadito al Sottosegretario Candiani in un colloquio diretto a margine della riunione.
Molti italiani all’estero sono rimasti con le mani nella trappola costruita in odio agli stranieri in Italia, una trappola che invece è scattata per tanti altri sparsi nei quattro angoli del mondo. Questo non va bene. È necessario in ogni caso dare risposte sensate alle questioni vere che gli interessati pongono e questo continuerà ad essere il nostro impegno parlamentare e politico.
Le deputate PD: Francesca La Marca (Nord e Centro America) – Angela Schirò (Europa)
02 . AMERICA LATINA, STORIE E LUCENTI CONTRADDIZIONI SCAFFALE. «UN CONTINENTE DA FAVOLA», di Gabriella Saba e Alberto Somoza, per Rosenberg & Sellier _Aldo Garzia
L’America latina ha tante facce. Come ci ha ammonito lo scrittore cubano Alejo Carpentier, in questa porzione di mondo c’è il «reale meraviglioso» che rende labile la frontiera tra cruda realtà, fantasia e immaginario. Il libro recente di Gabriella Saba e Alberto Somoza prova a raccontarcene alcune di queste facce: Un continente da favola (Rosenberg & Sellier, pp. 182, euro 16).
Sin dalla suddivisione in sezioni, si intuisce che la finalità non è presentare una lettura scontata o a tesi sulla fenomenologia latinoamericana, quanto fornire i materiali per una lettura più complessa. Si va dai «signori del male» (i nazisti che hanno trovato ospitalità nel dopoguerra, ai capi dei narcos) a «dalla periferia a Hollywood» (da Carlos Gardel a Violeta Parra), da «la rivoluzione non è un pranzo di gala» (da Augusto César Sandino a José Martí) a «eroi per caso e per passione» (da Pancho Villa a Juana Azurday), da «predicatori e telenovelas» (due fenomeni marcatamente latinoamericani) fino alla «ricerca dell’utopia» (da Pepe Mujica a Chico Mendes). Originale è anche la scelta del genere di scrittura: non un unico saggio, bensì trenta ritratti appassionanti di altrettanti personaggi che fanno storia e contemporaneità dell’intera America latina.
Scopriamo così che Roberto Suárez Goméz è «il più grande narcotrafficante di tutti i tempi» che puntava a fare della cocaina un esclusivo mercato d’élite per tenerne alto il prezzo ed evitare la circolazione di droghe scadenti (c’è un mondo da scoprire dietro i narcotrafficanti). O che il guatemalteco Efraín Ríos Montt è stato «il primo dittatore latinoamericano a venire condannato per crimini di lesa maestà, però non ha scontato un giorno di pena» dopo la sentenza di condanna del 2013. O ancora che il mitico Carlos Gardel, mitico cantore del tango, forse è nato in Francia e non in Argentina.
Le curiosità di questo libro, che sono molteplici, non riguardano solo il passato remoto. È efficace per esempio lo schizzo della personalità di Antanas Mockus che diventato sindaco nel 1995 di Bogotà ne ha cambiato la fisionomia sociale e culturale con un programma che all’inizio sembrava irrealistico e visionario. Altrettanto interessante è il ritratto di Álvaro García Linera, «il teorico del marxismo andino», pragmatico vicepresidente del boliviano Evo Morales.
ANDANDO INDIETRO, è emozionante il racconto della breve vita di Miguel Humberto Enriquez, dirigente del Mir in Cile, la componente di estrema sinistra nel periodo di Salvador Allende, ucciso dai militari. Non scontato è il racconto del messicano Pacho Villa, un brigante diventato con Emiliano Zapata leader della prima rivoluzione in America latina e capace di espropriare le grandi proprietà: un simbolo per chi lottava per il proprio riscatto.
La lettura di questo volume aiuta pure a capire la complessità politica latinoamericana dove novità progressiste, accanto ad altre dichiaratamente di alternativa, si erano concentrate da qualche anno. Con poche eccezioni, i risultati delle elezioni registravano infatti il prevalere dello spostamento a sinistra dell’orientamento dei singoli governi. Tale panorama politico non era ovviamente univoco nei contenuti e nelle direzioni di marcia, ma la pluralità di riferimenti sembrava voltare pagina all’alternativa o fuochi guerriglieri o dittature militari o governi neoliberisti.
LA POLITICA però procede per cicli. Mentre nell’ultimo ventennio la sinistra variamente intesa arretrava in Europa e in altre zone del pianeta, in America latina mieteva successi come mai prima era avvenuto. L’ex metalmeccanico Lula vinceva le elezioni presidenziali in Brasile nel 2002, seguiva Nestor Kirchner in Argentina, poi Hugo Chávez in Venezuela, Evo Morales in Bolivia, Rafael Correa in Ecuador, Daniel Ortega in Nicaragua (ci sarebbe però tanto da scrivere sulla parabola del personaggio Ortega), José Mujica in Uruguay. Tornava alla presidenza Michelle Bachelet in Cile e perfino il Paraguay conosceva una stagione progressista mentre si avviavano trattative di pace tra governi e guerriglie in San Salvador, Guatemala e Colombia. Prendeva corpo di conseguenza una nuova spinta verso la cooperazione e l’unità latinoamericana. Da qualche tempo si ha invece l’impressione che il ciclo del cambiamento si stia esaurendo. Prima la vittoria dei peronisti di destra in Argentina con Mauricio Macri, poi il golpe istituzionale in Brasile che ha portato all’impeachment contro la presidente Dilma Roussef e all’arresto di Lula, poi ancora le notizie che giungono dal Venezuela in ginocchio per una devastante crisi economica.
In America latina si sta tornando dunque al dominio di governi conservatori, un po’ liberisti e un po’ populisti? Tuttavia questa zona del mondo resta comunque «da favola», con le sue ambiguità e contraddizioni, come scrivono Gabriella Saba e Alberto Somoza.
03 IN COLOMBIA UNA RIVOLTA ANCESTRALE/ LA PROTESTA. AMBIENTE, DIRITTI UMANI, INTEGRITÀ CULTURALE, PACE. In un clima di violenza di stato crescente, una «minga indigena» dal 12 marzo paralizza il Sud Ovest per chiedere il rispetto degli accordi disattesi dal governo. Che affossando anche la pace con la Farc fa ripiombare il Paese negli anni più bui/ da BOGOTÀ Francesca Caprini
In Colombia il governo del presidente Ivan Duque mostra i muscoli e risponde con la forza alle istanze di una straordinaria protesta indigena – la «minga per la difesa della vita, del territorio, della democrazia, della pace» – che da più di due settimane sta bloccando il Sud Ovest del Paese.
Finora il saldo è di nove morti per lo scoppio di un ordigno esplosivo, lo scorso 21 marzo, durante un raduno della «Guardia Indigena», sulle cui cause si sta ancora indagando. Ci sono stati inoltre decine di feriti in conseguenza degli scontri con l’Esmad, l’unità speciale antisommossa della polizia, e con l’esercito. Le regioni del Cauca e del Huila sono militarizzate, sorvolate da elicotteri militari e droni e pattugliate via terra.
UNA TENSIONE in continua escalation che nella notte fra martedì e mercoledì ha registrato altri cinque attentati fra cui un’autobomba a danno di posti controllo della polizia lungo la via Panamericana, mentre si sommano le denunce dei manifestanti, che mostrano con video e foto l’utilizzo di armi improprie, fra cui proiettili di stoffa pieni di pallini di ferro.
Lo Stato colombiano non riconosce la nostra relazione con la terra, che è contraria alla politica economica imperante; non difende i leader sociali, che ogni giorno vengono ammazzati e minacciati. Per questo siamo in minga
Armando Wouriyu, leader wayuu
La minga indigena è una modalità di unione, collettivizzazione, incontro anche spirituale, tipica delle popolazioni andine. In Colombia si è declinata anche attraverso la creazione più recente di una «Guardia Indigena», una sorta di polizia senza armi riconosciuta dallo Stato, nata per difendere i territori ancestrali nel mezzo del conflitto. «Da tempo camminiamo la parola per costruire una vita degna per i nostri popoli – spiega Arelis Cortés, consigliera del Pueblo Embera Chami – ma questo governo non vuole riconoscere i nostri diritti». La minga che dallo scorso 12 marzo è stata promossa principalmente dalle popolazioni Embera, Nasa e Waunan, nasce per chiedere il rispetto degli accordi fra stato e popolazioni indigene – si parla di 138 contratti che ad oggi non sono stati applicati – e che riguardano la difesa dell’ambiente, della integrità culturale dei popoli nativi, nonché l’applicazione degli Accordi di Pace firmati dal governo di Juan Manuel Santos con la guerriglia Farc nel 2016.
È UN PANORAMA che l’attuale governo sta mettendo fortemente in discussione , prima con l’annuncio dato nelle scorse settimane dello stravolgimento della Justicia Especial Para la Paz (Jep), il meccanismo di giustizia di transizione previsto dai negoziati internazionali, atta al riconoscimento e alla sanzione dei crimini di guerra e alla ricostruzione della memoria storica di un Paese che in mezzo secolo di conflitto conta 280 mila morti e milioni di vittime della violenza; poi con l’avvallo del fracking per la ricerca del petrolio e lo sdoganamento di un aggressivo «Piano di sviluppo nazionale», che prevede la concessione di ampie porzioni di territorio alle multinazionali.
UN ATTEGGIAMENTO in linea con la politica di ultradestra del proprio partito – il Centro democratico – e del suo referente, l’ex presidente Alvaro Uribe, da sempre contro gli accordi di pace, ma che sta facendo ripiombare la Colombia negli anni più bui della sua storia: «Sembra di essere tornati al ’92 e alla Guerra Sucia (la guerra sporca) – ci racconta la difensora dei diritti umani Johana Lopez, dell’organizzazione colombiana Justicia y Paz, appena tornata da una missione umanitaria nel Nord Est -. Le nuove forze paramilitari stanno minacciando intere comunità, anche nelle cosiddette Zone Umanitarie, dove si stava cercando di ricostruire spazi pacificati e senza violenza». La chiusura unilaterale degli accordi di pace da parte del governo che erano in corso con l’esercito guerrigliero Eln hanno di fatto riattivato violenti confronti armati soprattutto nella regione del Chocò, nel Pacifico colombiano.
SEMBRA UN BOLLETTINO senza speranza, quello di queste ultime settimane, dove pare non esserci spazio per il dialogo: nei giorni scorsi il ministro della difesa Guillermo Botero ha parlato esplicitamente di «infiltrazioni della dissidenza della guerriglia nella protesta indigena», mentre la stampa mainstream definisce gli indigeni in lotta «terroristi» .
Al ministro Boero ha risposto Diana Sanchez, coordinatrice del Programa Somos Defensores e della piattaforma per i diritti umani fra Colombia, Europa e Usa: «Dire che in queste mingas esistano infiltrati, è disconoscere la situazione del Paese: la stigmatizzazione delle proteste sociali da parte dello Stato è uno strumento che ben conosciamo».
INTANTO LA MINGA VA AVANTI e più di 15 mila indigeni marciano e bloccano le maggiori arterie stradali del Sud Ovest: «Siamo 104 popoli ancestrali indigeni in Colombia – dice il leader wayuu Armando Wouriyu – lo Stato colombiano non riconosce la nostra relazione con la terra, che è contraria alla politica economica imperante; non difende i leader sociali, che ogni giorno vengono ammazzati e minacciati. Per questo siamo in minga: vogliamo la pace, e chiediamo al Paese di stare dalla nostra parte, perché noi siamo per la vita».
04 COMITATO DELLA SOCIETÀ DANTE ALIGHIERI DELLE ISOLE BALEARI
Miércoles, 03 de abril de 2019, Palma
Acto público de divulgación cultural, con entrada libre hasta completar aforo, CaixaForum.
Idioma: italiano, català, castellano.
Lugar : CaixaForum, Plaça Weyler, 3, 07001 Palma.
Hora: 19:00 h.
“Fortuna de Dante en España: Miguel de Unamuno”
“…Dante es actual, porque se cumple en él las dos condiciones principales que debe reunir cualquier escritor para que
sus obras perduren en la historia y sean válidas para cualquier tiempo y lugar: la de ser un “escritor de circunstancias”
y la de haber buceado profundamente en el conocimiento del alma humana…hacia adentro, hacia las raíces, hacia los
misterios mas ocultos de la existencia, de donde, a través de la fe viva, de la fe que se alimenta de dudas y que surge
de la desesperación, se sale a la luz: [E quindi uscimmo a riveder le stelle] Inf. XXXIV, 139”.
Jueves, 04 de abril de 2019, Palma
Actividad dirigida a los estudiantes y profesores de los institutos: Ramon Llull; Politécnico; Ses Estacions; Guillem
Colom Casasnovas Soller y Colegio Luis Vives.
Idioma: italiano, català, castellano.
Lugar : IES Politècnic, Carrer Menorca, 1, 07011 Palma
Hora: 12:00 h.
“Fortuna de Dante en España: Miguel de Unamuno”
“…Dante es actual, porque se cumple en él las dos condiciones principales que debe reunir cualquier escritor para que
sus obras perduren en la historia y sean válidas para cualquier tiempo y lugar: la de ser un “escritor de circunstancias”
y la de haber buceado profundamente en el conocimiento del alma humana…hacia adentro, hacia las raíces, hacia los
misterios mas ocultos de la existencia, de donde, a través de la fe viva, de la fe que se alimenta de dudas y que surge
de la desesperación, se sale a la luz: [E quindi uscimmo a riveder le stelle] Inf. XXXIV, 139”.
Giovedì 04 aprile 2019, Palma
Atto di divulgazione culturale, rivolto agli studenti e professori della Escola Oficial de Idiomas
Lingua: italiano.
Luogo: Escola Oficial de Idiomas, carrer d’Aragó, 59, 07005 Palma
Ore: 19:00
“La fortuna di Dante in Spagna: Miguel de Unamuno”
“…Dante è attuale, perché soddisfa le due condizioni principali che ogni scrittore deve incontrare affinché le sue opere
durino nella storia e siano valide per qualsiasi tempo e luogo: essere uno “scrittore di circostanze” e di essersi immerso
profondamente nella conoscenza dell’anima umana…verso l’interno, verso le radici, verso i misteri più nascosti
dell’esistenza, da dove, attraverso la fede vivente, dalla fede che si nutre dei dubbi e che viene dalla disperazione, viene
alla luce: [E quindi uscimmo a riveder le stelle] Inf. XXXIV, 139”.
05 – PARLAMENTARI PD ESTERO: IL MINISTRO DI MAIO SCOPRE CHE NEL REDDITO DI CITTADINANZA MANCANO GLI ITALIANI ALL’ESTERO. MEGLIO TARDI CHE MAI, MA NE VERRÀ FUORI QUALCOSA DI CONCRETO?
Il Ministro Di Maio a New York ha scoperto l’America. Ha scoperto, cioè, che gli italiani all’estero sono stati esclusi dal reddito e, aggiungiamo, dalla pensione di cittadinanza e ha detto che studierà una norma per cercare di recuperarli.
I più contenti dall’annuncio dovremmo essere noi che siamo stati gli unici finora a denunciare questa vera e propria lesione di cittadinanza e ad offrire, sia alla Camera che al Senato, gli strumenti parlamentari per farlo mentre il decreto era ancora in discussione.
Il Ministro Di Maio, però, si è dimenticato di aggiungere che non si è trattato di una svista o della solita “manina” perversa, ma di una consapevole e netta posizione politica, dal momento che ai nostri emendamenti e ai nostri interventi il Governo e la maggioranza hanno opposto un rifiuto esplicito e numericamente insormontabile.
Cosa è cambiato nel frattempo? Il mimetismo (per essere eleganti) del Ministro di Maio è troppo noto per dare tranquillamente credito alle sue parole e la cosa più probabile è che si sia trattato di un éscamotage per trarsi d’impaccio di fronte ad una platea per lui imbarazzante. In ogni caso, comunque, la via è fatta, gliela abbiamo spianata noi con il nostro lavoro, basta percorrerla con sincerità e reale volontà politica.
Ma per essere chiari, già la partenza non ci piace. Il Ministro ha detto, infatti, che “auspica di lavorare a una norma che l’introduca per gli italiani all’estero”. Perché una norma specifica per gli italiani all’estero come se si trattasse di una categoria speciale? Non sono cittadini come gli altri?
Una norma specifica per gli italiani all’estero già c’è, quella che pone il limite dei dieci anni di residenza nel territorio nazionale, di cui due continuativi, ma è una norma ai loro danni. Basta far cadere l’esclusione, come noi proponiamo, e tutti sono messi sullo stesso piano. Consentendo, magari, anche ai giovani che vogliano tentare di reinserirsi dopo qualche esperienza all’estero nel percorso lavorativo in Italia di poterlo fare, cosa che oggi non è possibile.
Il vero problema, temiamo, sia di visione e di sensibilità politica. Nella loro visione assistenzialistica e corporativa, per Di Maio e soci di governo gli italiani all’estero sono possibili consumatori di risorse che non portano molto consenso, come i fatti hanno finora dimostrato. Sfuggono loro completamente le potenzialità di proiezione globale e di moltiplicazione di opportunità che la loro presenza garantisce nel mondo, sicché non riescono a concepire altro che la politica delle pezze, come si dice dalle parti del Ministro. Senza rendersi conto nemmeno dell’involontario risvolto umoristico legato al fatto che mentre Di Maio pronunciava quelle parole, la parte del “petente” la faceva lui chiedendo a molti imprenditori di origine italiana di venire a investire in Italia.
I Parlamentari PD Estero: Garavini, Giacobbe, Carè, La Marca, Schirò, Ungaro
06 – SCHIRÒ (PD) – IL MINISTRO DI MAIO HA FINALMENTE CAPITO: GLI ITALIANI ALL’ESTERO CHE RIENTRANO IN ITALIA DEVONO POTER ACCEDERE AL REDDITO DI CITTADINANZA. ORA ASPETTIAMO LE NORME. ROMA – 28 MARZO 2019
Sono mesi che affronto la questione del reddito di cittadinanza dalla prospettiva degli italiani residenti all’estero. Sia in Parlamento che fuori. Fin dall’inizio ho denunciato che una delle condizioni dell’accesso al beneficio, quella riguardante la residenza di dieci anni nel Paese, di cui gli ultimi due continuativi, avrebbe automaticamente escluso gli italiani residenti all’estero iscritti all’AIRE. Mi sono sempre preoccupata di sottolineare che la misura avrebbe potuto rappresentare per tanti giovani e lavoratori italiani all’estero, costretti a rientrare in Italia, un’opportunità per accedere al percorso di immissione al lavoro e riaprire in questo modo un futuro nel nostro Paese.
La settimana scorsa, nell’ambito della discussione alla Camera del cosiddetto “decretone”, il mio emendamento e il conseguente ordine del giorno, presentati per correggere parzialità e storture del provvedimento, sono stati sistematicamente respinti, a conferma che non si è trattato di sviste ma di misure perseguite nell’ambito di una visione povera e arida del sistema Italia nel mondo.
Ora, finalmente, il vicepremier e ministro del lavoro Di Maio sembra fare marcia indietro e, da New York, annuncia l’intenzione di introdurre una norma specifica che consenta di non escluderli dal reddito di cittadinanza.
Sono positivamente sorpresa da questo cambio di rotta e vigilerò attentamente affinché queste dichiarazioni non restino solo promesse, ma che si traducano in atti concreti. Servono norme e vanno trovate le risorse economiche necessarie. Staremo a vedere: questo è il ruolo di un’opposizione propositiva e vigile.
Tuttavia, non capisco il riferimento ad una norma specifica per gli italiani all’estero. Non sono cittadini di pieno diritto, come tutti gli altri? Perché non inserirli nel provvedimento base come tutti gli altri cittadini?
La residenza, per la nostra Costituzione, non può essere un elemento di distinzione tra i cittadini o di diminuzione della cittadinanza. Nel provvedimento sul reddito di cittadinanza una norma specifica già c’è, quella della richiesta dei 10 anni di residenza, di cui gli ultimi due continuativi, ma è una norma ad excludendum, non di inclusione.
Di Maio, il governo e la maggioranza hanno avuto l’occasione di emendare il loro eventuale errore. Gliela abbiamo offerta noi con gli emendamenti presentati, tutti scientemente respinti. Di Maio abbia il coraggio e l’onestà di dire le cose come stanno e non sfugga da precise responsabilità. Se poi vuole ripensarci veramente, ha la strada spianata, gliela abbiamo già indicata con i nostri interventi. Pronti dunque a confrontarci.
L’unica cosa che chiediamo e di non prendere in giro gli italiani all’estero e di raccontare magari che questo governo li vuole far tornare in Italia. Tutti gli atti che ha compiuto finora vanno in direzione opposta. Le promesse e le chiacchiere in Italia per i 5Stelle non funzionano più, come i risultati elettorali stanno dimostrando. Tra gli italiani all’estero a dire il vero non hanno funzionato nemmeno prima.
On. Angela Schirò – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42 – 00186 ROMA
Tel. 06 6760 3193 – Email: schiro_a@camera.it
07 – LA MARCA (PD) INCONTRA IL RAPPRESENTANTE DELL’AMBASCIATA DI CUBA A ROMA.
L’on. La Marca ha incontrato lunedì 26 marzo il dottor Mauricio Martinez Duque, primo segretario Affari Politici dell’Ambasciata della Repubblica di Cuba in Italia. L’incontro è stata l’occasione per ricevere informazioni sulla recente approvazione della nuova Costituzione cubana e sullo stato delle relazioni bilaterali fra Italia e Cuba.
La cooperazione tra i nostri Paesi – ha sottolineato Duque – è forte dei legami di amicizia tra i due popoli e si giova di un vivace scambio di iniziative sia in campo culturale che economico e commerciale. L’Italia – ha ricordato – è fra i primi dieci partner di Cuba e il secondo paese UE dopo la Spagna.
Il rappresentante cubano ha voluto fornire un quadro di riferimento sulle principali novità introdotte dalla nuova costituzione e sottolineato le prospettive future che potranno registrarsi anche nello sviluppo di investimenti esteri in diversi settori dell’economia. In questo contesto, tuttavia, non ha mancato di evidenziare le preoccupazioni di Cuba in merito alla recente decisione dell’amministrazione Trump di adottare misure volte ad indurire ulteriormente l’embargo contro l’economia cubana mediante il ricorso all”articolo III della legge Helms-Burton, risalente al 1996.
Al termine dell’incontro l’on. La Marca ha ricordato che nell’isola caraibica sono iscritti all’AIRE circa 5.000 cittadini italiani e che i consistenti flussi turistici italiani, di fatto, rendono più vicini i nostri due popoli. Auspicando di poter visitare presto la comunità italiana, l’onorevole La Marca ha augurato che i rapporti tra Italia, Cuba e l’UE possano rafforzarsi e consolidarsi.
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D.
Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America
Electoral College of North and Central America
08 – «REDDITO DI CITTADINANZA», IL GOVERNO DEI POVERI È LEGGE. WORKFARE ALL’ITALIANA. IL SENATO HA APPROVATO IN MANIERA DEFINITIVA IL DECRETONE CON LA «QUOTA 100», LE PENSIONI E IL COSIDDETTO «REDDITO DI CITTADINANZA». Nasce uno dei sistemi di «workfare» più esigenti in Europa. I Cinque Stelle e Conte parlano di una «rivoluzione del Welfare»: ecco in cosa consiste. Dopo il voto al Senato di Roberto Ciccarelli.
A un soffio dalla scadenza, il «decretone» che istituisce il sussidio pubblico in cambio di lavoro obbligatorio e incentivi alle imprese – detto impropriamente «reddito di cittadinanza» – le «pensioni di cittadinanza» per gli over 67 e le pensioni anticipate «quota 100» è stato approvato ieri dal Senato in modo definitivo con 150 voti a favore, 107 contrari e 7 astenuti.
CON UN PERCORSO parlamentare tortuoso e un futuro incerto la misura-bandiera che i Cinque Stelle sventoleranno alle elezioni europee sarà erogata a partire dai primi di maggio e resterà in attesa che l’imponente apparato del controllo, sorveglianza e attivazione dei «poveri assoluti» predisposto dal governo tramite i centri per l’impiego entri in funzione. Nel frattempo gli stranieri extra-comunitari residenti da meno di 10 anni sono stati esclusi e ai restanti aventi diritto la vita è stata resa ancora più complicata perché dovranno chiedere la certificazione patrimoniale e del reddito dai paesi di provenienza.
IL «REDDITO» è stato presentato ieri, di nuovo, come una «rivoluzione del Welfare». Il momento è stato celebrato con brindisi e selfie, mentre esponenti pentastellati hanno inneggiato «all’Italia e alla vittoria». «Siete stati grandi» ha detto Conte che ha pagato il conto dei prosecchi da 100 euro. Pur non avendo eguagliato il momento del balcone di Palazzo Chigi, tanta enfasi ha celebrato in realtà la svolta punitiva dello stato sociale in Italia.
IL SENATO HA APPROVATO una misura che prevede un’ulteriore stretta sui «finti divorzi» e per i genitori single; l’assunzione di carabinieri e guardia di finanza per controllare i redditi Isee e i comportamenti di acquisto tramite la «carta del reddito», tasselli che si aggiungono al mosaico contenente la minaccia di pene fino a sei anni di carcere in caso di false dichiarazioni. Sono i primi passi per sospettare i richiedenti «reddito» di comportamenti opportunisti, fino a prova contraria. L’esame sarà continuo, prevede premi e punizioni. Durerà, teoricamente, 18 mesi in cui i beneficiari lavoreranno obbligatoriamente fino a 16 ore a settimana per gli enti locali (in sostituzione di personale contrattualizzato, presumibilmente); dovranno formarsi e rispondere a un’offerta di lavoro su tre entro 100 km da casa nei primi 6 mesi, 250 in 12 mesi, poi ovunque.
LA MOBILITÀ FORZATA della forza lavoro, insieme alle 16 ore di lavoro obbligatorio, sono un’eccezione nei sistemi di «workfare» esistenti. Tranne l’Ungheria di Orban, dove esiste un sistema di «lavori pubblici», non risulta una simile «rivoluzione» in Europa. I populisti penta-leghisti hanno inaugurato il più duro governo dei poveri. Più grave è la crisi sociale, più autoritario è il controllo sui poveri. Sulla carta. L’applicazione sarà un’altra storia.
LE INGENTI RISORSE, stanziate in deficit, finanzieranno un «reddito» su basi familiari e i patrimoniali, non in ragione del riconoscimento di un diritto sociale fondamentale della persona indipendentemente dal lavoro, tra l’altro presente nella carta di Nizza. Il «reddito» non sarà di 780 euro, ma non sarà inferiore a 480. Valori alti che hanno indurito le condizioni richieste a coloro che, su una platea potenziale di 2,7 milioni (calcolo Istat), saranno disponibili al lavoro. Potrebbero non essere più del 30%. La maggioranza non sarebbe ritenuta in grado di essere «attivata» e dunque rientrerà nelle politiche di contrasto alla povertà, non in quelle dell’inserimento al lavoro. Questo dispositivo si chiama «politiche attive del lavoro». Il suo simbolo sono i 654 precari dell’agenzia Anpal Servizi che dovranno formare i 3 mila «navigator» precari. Insieme dovranno collocare poveri e disoccupati. Se si realizzerà questo paradosso, le imprese riceveranno il «reddito» in forma di incentivo per l’assunzione da un sistema di trasferimento della ricchezza pubblica al capitale simile a quello istituito dal Pd con il Jobs Act.
PRESENTATA come pro-crescita, il «reddito» avrà un impatto modesto sul Pil, ma servirà a occultare la povertà, a diminuire il tasso di inattività e aumentare quello di occupazione. Il governo potrà dire di avere «sconfitto» la povertà. Come in altri paesi, anche l’Italia potrà riconoscere il rischio della «trappola della povertà». In questi dispositivi di controllo sociale è facile entrare, ma è più difficile uscirne.
09 – PARLAMENTARI PD ESTERO: LO IUS SOLI È PARTE INTEGRANTE DELLA STORIA DELL’EMIGRAZIONE ITALIANA. La vicenda di Rami e Adam, i due ragazzi che con il loro coraggio e la loro intraprendenza hanno evitato un esito di drammatiche proporzioni, ha riportato in primo piano la questione della concessione della cittadinanza ai figli nati in Italia da stranieri regolarmente residenti. Magari con il corredo di riflessioni inerenti alla ius culturae, maturate negli ultimi anni.
Il ministro Salvini, dopo giorni di tentennamenti e sgradevoli commenti alle parole di un ragazzo, alla fine sembra essersi convinto che in Italia vi siano almeno due stranieri che meritano rispetto e un riconoscimento. Per questo, dopo avere gettato in strada circa 40.000 persone che avevano goduto o erano in attesa di un permesso umanitario, ha annunciato come atto premiale la concessione della cittadinanza ai due ragazzi. Dichiarando contestualmente, ancora una volta con il consenso dei 5Stelle, che dello ius soli non intende nemmeno sentir parlare.
Siamo contenti, naturalmente, per Rami ed Adam e per il fatto che il loro caso abbia rilanciato un impegno di civiltà, quale lo ius soli, ma dobbiamo rilevare come questo governo continui a tenere l’Italia bloccata nella trincea di una totale e ideologica chiusura anche rispetto a giovani che in maggioranza sono nati in Italia, frequentano le nostre scuole, parlano la nostra lingua, difendono i nostri colori sportivi, si avviano con il loro lavoro a contribuire all’avanzamento del Paese. Tenerli in un ghetto significa solo alimentare delusione e risentimento e allungare le distanze tra l’Italia e gli altri partner più avanzati che su questo terreno hanno tutti legislazioni più favorevoli.
Ancora una volta stupisce l’uscita del Sottosegretario Merlo, titolare della delega per gli italiani nel mondo, che a milioni sono diventati cittadini argentini, brasiliani, uruguaiani, statunitensi, canadesi, australiani e così via usufruendo dello ius soli nei Paesi di insediamento.
Per Merlo, alla faccia della sua stessa storia familiare, esiste solo il diritto di sangue perché gli italiani all’estero sono una corporazione da imbonire e da coltivare elettoralisticamente, come un giardino di casa.
Quindi poco importa se la rappresentanza parlamentare viene ridotta di un terzo, se le strategie culturali all’estero rischiano di scivolare verso il precipizio senza il rinnovo del Fondo quadriennale, se Comites e Cgie vengono riportati ai nastri di partenza, se finora le uniche assunzioni di personale che si sono viste sono solo quelle dei governi precedenti. “Prima gli italiani all’estero”, dice Merlo. Sì, a chiacchiere.
I Parlamentari PD Estero: Garavini, Giacobbe, La Marca, Schirò, Ungaro
10 – L’ON. LA MARCA INCONTRA IL DIRETTORE GENERALE VARRIALE DEL MAECI PER UN ESAME DELLA SITUAZIONE DEL PERSONALE E DEI SERVIZI IN NORD E CENTRO AMERICA
L’On. La Marca, venerdì 22 marzo, ha incontrato presso la Farnesina il Ministro Plenipotenziario Renato Varriale, Direttore generale per le risorse e l’innovazione.
Scopo del colloquio è stato quello di mettere a fuoco la situazione della dotazione di personale presso le strutture consolari del Nord e Centro America e del miglioramento dei servizi offerti ai nostri connazionali.
La parlamentare ha richiamato le diverse e molteplici esigenze della sua ripartizione elettorale, soffermandosi, in particolare, sulla necessità di rafforzare i servizi al cliente nel Consolato di Toronto, che annovera oltre 70.000 iscritti all’AIRE, sulle problematiche del Consolato di Miami, nel quale dal 2015 ad oggi si è passati da 28.000 a 42.750 iscritti all’AIRE per l’impetuoso afflusso di cittadini con passaporto italiano e sull’opportunità di considerare le dinamiche anche di una realtà in evoluzione come quella di Città del Messico.
Dopo avere tracciato un quadro generale dell’assegnazione alle strutture locali di nuovo personale autorizzato con le due ultime leggi di bilancio, il Direttore Varriale ha tenuto ad assicurare l’attenzione dell’amministrazione per la situazione del Consolato di Miami, dove entro l’anno dovrebbero arrivare una figura di ruolo e un contrattista a tempo indeterminato e, in prospettiva, un altro contrattista a tempo indeterminato, per il quale sono state avviate le procedure.
Anche per i Consolati di San Francisco e Los Angeles, di cui già in passato l’on. La Marca si era occupata, sarebbero state avviate le procedure per l’assunzione di un contrattista per ciascuna delle due strutture.
Il colloquio si è concluso con una dichiarazione di impegno da parte dell’On. La Marca, che ha ringraziato il Direttore Varriale per la sua disponibilità, di continuare a monitorare la situazione della ripartizione in un costante rapporto di dialogo e di collaborazione con l’amministrazione del MAECI.
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D.
Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America.
11 – PRIME SCADENZE E FINANZA PUBBLICA. L’APPROVAZIONE DELLA SCORSA LEGGE DI BILANCIO È STATA CARATTERIZZATA DA NUMEROSI ERRORI. I RITARDI E LE DIFFICILI TRATTATIVE CON L’EUROPA HANNO INFATTI COMPORTATO UN’ECCESSIVA CONTRAZIONE DEI TEMPI DI DISCUSSIONE IN PARLAMENTO.
Il governo, tre mesi dopo l’approvazione della legge di bilancio per il 2019, è già a lavoro sulla manovra per il prossimo anno. Il ministro dell’economia Tria ha dichiarato, nel corso di un Question Time alla Camera, che il Documento di economia e finanza (Def), primo step del ciclo di bilancio, aggiornerà le previsioni economiche. Nella stessa occasione il ministro ha assicurato il documento verrà presentato entro la scadenza del 10 aprile.
Con la trasmissione del Def al parlamento inizierà ufficialmente il ciclo di bilancio. Entro il 27 settembre 2019, il governo dovrà trasmettere al parlamento una Nota di aggiornamento sul Def (Nadef), necessaria ad aggiornare le previsioni economiche e finanziarie alla luce dei dati più recenti. L’esecutivo dovrà poi presentare, entro il 20 ottobre, il disegno di legge di bilancio, provvedimento centrale di tutta la manovra. Il percorso si concluderà alla fine dell’anno con l’approvazione della legge di bilancio 2020.
Il rispetto delle scadenze è fondamentale perché la legge di bilancio deve essere approvata entro il 31 dicembre, pena l’esercizio provvisorio. Vai a “Come funziona il ciclo di bilancio”
Il governo ha commesso gravi errori nelle modalità di approvazione della scorsa legge di bilancio. Tutti i documenti della manovra sono stati trasmessi in ritardo, il parlamento ha dovuto votare un provvedimento di cui non conosceva il contenuto e il governo non si è assunto la piena responsabilità della legge approvata dalle camere.
Sono diverse le circostanze che hanno portato a commettere tali errori: la mancanza di tempo, i vincoli europei, il fatto che il governo si fosse formato da poco. Il lavoro dell’esecutivo guidato da Conte è stato ulteriormente complicato dal fatto che il Def, primo documento del ciclo di bilancio, fosse stato elaborato da un altro governo.
Vogliamo allora ripercorrere gli errori più gravi commessi lo scorso anno nella speranza che, con l’avvio del nuovo ciclo di bilancio, il governo colga l’occasione per approvare una manovra condivisa da parlamento, istituzioni europee e parti sociali.
IL CONFLITTO CON L’UNIONE EUROPEA
Pur comprendendo alcune importanti misure di bandiera (come quota 100 e reddito di cittadinanza) il testo finale della legge di bilancio è stato scritto seguendo le indicazioni provenienti da Bruxelles.
Le istituzioni europee erano infatti contrarie alla richiesta dell’Italia di rivedere il bilancio in senso espansivo. Il nostro governo d’altro canto rimaneva saldo sulla propria posizione. La conflittualità che ha caratterizzato le trattative con l’Unione ha alimentato incertezze circa i contenuti del provvedimento. Infatti si sapeva sin dall’inizio che sarebbe stato necessario rivedere le ottimistiche previsioni sulla crescita dell’Italia fatte dal governo.
+0,2% La crescita del Pil italiano prevista dalla Commissione europea per il 2019. Il governo nella Nadef aveva previsto una crescita dell’1,5%.
Questo, sommato al fatto che la narrazione sulle trattative facesse intendere che non si sarebbe scesi ad alcun compromesso, ha di fatto impedito che nel paese si realizzasse un dibattito sui reali contenuti della manovra.
Solo verso fine novembre l’esecutivo, forse ascoltando gli inviti del capo dello stato, ha iniziato ad aprirsi al dialogo con l’Europa.
…è mio dovere sollecitare il governo a sviluppare – anche nel corso dell’esame parlamentare – il confronto e un dialogo costruttivo con le istituzioni europee.
– SERGIO MATTARELLA – PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
L’Italia ha evitato per un soffio la procedura di infrazione. Ma non senza conseguenze: sono previsti diversi step di verifica per controllare che l’esecutivo rispetti gli impegni presi. In caso di violazione degli accordi sono state annunciate penali che peserebbero duramente sulle tasche degli italiani.
IL PRINCIPIO DELL’EQUILIBRIO DI BILANCIO E IL RUOLO DEL PARLAMENTO
Nelle prime fasi di discussione della manovra le opposizioni parlamentari hanno accusato il governo di violare l’articolo 81 della costituzione.
Premessa: l’articolo 81 della costituzione, che introduce nel nostro ordinamento il principio del pareggio di bilancio, limita i casi in cui si può ricorrere all’indebitamento.
Il governo, all’interno della Nadef, aveva anticipato la volontà di discostarsi dall’obiettivo programmatico stabilito dal Def. Il documento prevedeva infatti un aumento del deficit al 2,4% del Pil, molto superiore all’obiettivo dello 0,8% fissato dal precedente governo in aprile.
Tuttavia l’Ufficio Parlamentare di bilancio, organismo indipendente che valuta le previsioni economiche del governo, aveva dichiarato LA MANCANZA DELLE CONDIZIONI NECESSARIE PER RICHIEDERE LO SCOSTAMENTO DEL SALDO STRUTTURALE DALL’OBIETTIVO PROGRAMMATICO.
Il governo ha deciso infine di rimodulare l’aumento del deficit, evitando di incappare in una violazione di un principio costituzionale.
Nelle procedure seguite per l’approvazione del bilancio diversi osservatori hanno ravvisato anche una violazione dell’articolo 72 della costituzione, che disciplina il procedimento di approvazione delle leggi. La costituzione prevede che ogni disegno di legge venga esaminato da una commissione parlamentare e poi dall’aula. Per il bilancio dello stato si deve necessariamente seguire la normale procedura di esame e approvazione.
La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia […] di approvazione di bilanci e consuntivi.
– ARTICOLO 72, QUARTO COMMA DELLA COSTITUZIONE
Per l’approvazione della legge di bilancio 2019 le cose non sono però andate così. La commissione bilancio del senato in particolare ha avuto pochissimo tempo per esaminare il testo, stravolto nei contenuti rispetto al disegno di legge precedentemente discusso.
– 4 SECONDI, il tempo disponibile per l’esame di ogni comma della legge di bilancio in commissione al senato.L’aula ha avuto per l’esame appena poche ore, non sufficienti neanche a leggere il testo prima di votare la fiducia.
Prima di allora nessun esecutivo aveva svuotato in questo modo il parlamento del suo ruolo. La prassi sviluppatasi all’inizio degli anni 2000 (secondo il c.d. lodo Pera-Morando) prevedeva infatti che il governo ponesse la questione di fiducia sul testo approvato in commissione.
La compressione dei tempi è stata dovuta a un accumulo di ritardi, parzialmente giustificato dal fatto che il governo, al momento di presentare la Nadef, si era formato solo da pochi mesi.
Il disegno di legge di bilancio è stato trasmesso al parlamento con 11 giorni di ritardo.
Nonostante alcuni dei ritardi siano comprensibili, è fondamentale che le scadenze disciplinate da regolamenti parlamentari e dalla legge 196/2009 vengano rispettate, al fine di assicurare il tempo necessario per l’interlocuzione con l’Unione Europea e per il dibattito parlamentare. Parlamento e parti sociali sono state escluse dalla fase di elaborazione del testo finale, e questo non può accadere.
Il 28 dicembre 37 senatori del Partito democratico hanno presentato un ricorso alla Corte Costituzionale sulle modalità di approvazione della legge di bilancio.
La Corte, nella propria decisione, pur avendo dichiarato inammissibile il conflitto, ha ammesso che ci sono state delle forzature che in futuro non saranno tollerate.
…per le leggi future simili modalità decisionali dovranno essere abbandonate altrimenti potranno non superare il vaglio di costituzionalità.
– COMUNICATO DELLA CORTE COSTITUZIONALE
LE RESPONSABILITÀ DEL GOVERNO
Il governo ha riscritto la legge in pochissimo tempo a seguito delle durissime trattative con l’Unione Europea. Il parlamento ha dovuto votare il provvedimento alla cieca, a causa della mancanza del tempo materiale per leggere il testo.
Questo significa che all’indomani dell’approvazione della legge quasi nessuno ne conosceva nel dettaglio i contenuti.
La grande compressione dell’esame parlamentare e la mancanza di un opportuno confronto con i corpi sociali richiedono adesso un’attenta verifica dei contenuti del provvedimento.
– SERGIO MATTARELLA, PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Bisogna riconoscere all’esecutivo di aver inserito nel testo finale alcune delle più importanti norme contenute nel “patto di governo”. Ma questo non basta. Molti investimenti su cui l’esecutivo puntava non sono presenti nella manovra. Mancano ad esempio gli aiuti pubblici allo sviluppo previsti dalla Nadef.
Considerato il difficile percorso della scorsa manovra finanziaria, il rischio è che nell’anno in corso i conti non tornino. Rimaniamo in attesa dell’approvazione del Def di quest’anno, per vedere se ci saranno i soldi per attuare le misure previste dalla legge di bilancio.
In attesa dell’avvio ufficiale del ciclo di bilancio, suggeriamo al governo:
di ripristinare il ruolo centrale del parlamento all’interno della decisione di bilancio, per assicurare la democraticità del procedimento;
di assumersi le responsabilità delle proprie scelte. Il governo e la sua maggioranza devono essere responsabili per tutto il testo della legge di bilancio. Per farlo sarà necessario un percorso trasparente dall’inizio fino alla fine;
di basare il dialogo con l’Unione Europea su fatti concreti, e non polemiche sterili, al fine di giungere a decisioni chiare e condivise anche con la società civile
La crescita dell’aps promessa dal Def e smentita dalla legge di bilancio
Considerato il difficile percorso della scorsa manovra finanziaria, il rischio è che nell’anno in corso i conti non tornino. Rimaniamo in attesa dell’approvazione del Def di quest’anno, per vedere se ci saranno i soldi per attuare le misure previste dalla legge di bilancio.
In attesa dell’avvio ufficiale del ciclo di bilancio, suggeriamo al governo: di ripristinare il ruolo centrale del parlamento all’interno della decisione di bilancio, per assicurare la democraticità del procedimento;
di assumersi le responsabilità delle proprie scelte. Il governo e la sua maggioranza devono essere responsabili per tutto il testo della legge di bilancio. Per farlo sarà necessario un percorso trasparente dall’inizio fino alla fine; di basare il dialogo con l’Unione Europea su fatti concreti, e non polemiche sterili, al fine di giungere a decisioni chiare e condivise anche con la società civile.
12 – IL POPULISMO MEDIATICO È EVERGREEN RETE E TV. libro «Rosso digitale» di Vincenzo Vita, uscito per manifesto libri di Benedetto Vecchi
Composta in oltre venti anni, è una carrellata di scritti sulla Rete, il suo rapporto con gli altri media, il suo ruolo nella formazione dell’opinione pubblica. Esempio di una storia del presente nel suo divenire, Rosso Digitale manifesto libri, di Vincenzo Vita, firma nota ai lettori del manifesto per suoi contributi sull’evoluzione dei media, è anche un’appassionata cronaca della formazione di un populismo mediatico che vede nelle tecnologie digitali un potente dispositivo performativo della vita sociale.
L’AUTORE È INIZIALMENTE convinto che la tv sia il media principe nella formazione dell’opinione pubblica e che la Rete non possa che attestarsi su una funzione ancillare degli old media. Un punto di vista maturato nell’analisi di quel laboratorio sociale e ideologico che sono state le tv commerciali e che ha avuto, nel sorriso beffardo di Silvio Berlusconi, la sua silhouette pacioccona.
Non è dato sapere se Fininvest prima e Mediaset dopo, sarebbero ugualmente diventati i piloni portanti di un sistema oligopolistico (sia per la tv che per la raccolta pubblicitaria) senza la complicità di una parte del sistema politico. Quello che è certo è che Berlusconi utilizzi il piccolo schermo come megafono di una patinata e seducente weltanshauung neoliberista. Vita non limita la sua analisi alla comprensione del berlusconismo. Mette infatti a fuoco l’incapacità della sua parte politica – la sinistra – di fornire risposte adeguate a una situazione in veloce mutamento. Lo sguardo nostalgico verso il passato o la subalternità alle imprese della comunicazione sono le derive della sinistra politica.
Berlusconi dunque come apripista del populismo mediatico, mentre Renzi, Salvini e il Movimento5stelle ne sono gli eredi e i continuatori, all’interno di un’alternanza tra continuità e discontinuità che ha, sullo sfondo, la corrosione della democrazia rappresentativa da parte del capitalismo globale.
La Rete è diventata nel tempo una «macchina universale», ha la capacità di sussumere gli old media. Non ne provoca la morte, quindi. Semmai ne modifica modi di produzione e stile comunicativo. Significativo è da questo punto di vista come i populismi postmoderni siano capaci di usare e piegare i media a progetti politici che segnano, questi sì, una radicale discontinuità con il Novecento liberale o socialdemocratico.
Con buona approssimazione il sociologo e economista politico Colin Crouch scrive di quel regime che è la postdemocrazia, la cui instaurazione avviene non sempre linearmente. Per quanto riguarda l’Italia, ad esempio, Renzi vede naufragare la sua idea di riforma dello stato sociale, mentre Salvini fa leva sull’uso congiunto di old media e new media, cambiando camaleonticamente lo stile comunicativo con lo scopo dichiarato di ripristinare l’autorità dello stato nazione.
DISCORSO A PARTE meritano i «grillini» e il loro simulacro di democrazia diretta incardinato su piattaforme digitali gestite secondo una logica proprietaria che nega tanto la sbandierata trasparenza quanto la possibilità di controllo del «popolo» sul loro funzionamento.
Vincenzo Vita registra la grande trasformazione e propone una lettura del world wide web come macchina tecnologica che radicalizza l’erosione della democrazia rappresentativa, la scomparsa dei cosiddetti corpi intermedi della società. Mette inoltre in evidenza la formazione di oligopoli globali, che contribuiscono a colonizzare la comunicazione «spicciola» attraverso i social network e a plasmare a propria immagine l’opinione pubblica. Non demonizza la rete; semmai sottolinea la dimensione politica di un settore che, al tempo stesso, forma l’opinione pubblica, facendo affari e profitti con sentimenti, scambi di informazioni tra uomini e donne. Da qui, la rilevanza delle leggi sulla proprietà intellettuale e le norme che stanno ridefinendo le regole della libera concorrenza e anche la possibilità, da parte dei network televisivi, di dare vita a media globali. È questo il presente che l’autore invita a guardare, esortando a riprendere in mano e rileggere quella critica dell’economia politica che ha nell’opera di Karl Marx il suo momento più alto.
13 – BUIO SUL VENEZUELA. NUOVA FINANZA PUBBLICA. SE IL CHAVISMO SOPRAVVIVERÀ DOVRÀ PROGETTARE UNA ECONOMIA CHE PERMETTA UNO SVILUPPO SOSTENIBILE PER CONTINUARE A DIRIGERSI VERSO UN SOCIALISMO DEL XXI SECOLO di Matteo Bortolon da Il Manifesto
Il Venezuela come un sommergibile (o una balena) emerge e scompare a tratti nel mare magno della informazione dominante.
Cadtm (il Comitato per l’abolizione del debito illecito) ha preso severamente posizione contro l’operazione di cambio di regime in corso, visto come un vero e proprio golpe illegale. Ma le ragioni della difficile situazione attuale vanno viste con spassionata lucidità
L’economia del Venezuela si basa essenzialmente sull’esportazione di petrolio. Dopo un cinquantennio di crescita continua, dalle crisi degli anni Settanta si è avuto un periodo difficile, che è sboccato nell’aggiustamento strutturale imposto dal Fondo monetario del 1989; similmente a tanti paesi – in buona parte latinoamericani – questo si è risolto in un disastro sociale: la quota salari passa da 41,4% sul Pil al 33,4% fra 1988-1990; l’economia venezuelana, tradizionalmente protetta e regolata, non solo subisce l’ortodossia macroeconomica e la liberalizzazione dei mercati ma un vera e propria deindustrializzazione. Un tratto caratteristico di essa si intensifica a livello allarmante. Viene chiamata la malattia olandese. Essa colpisce i paesi che si basano su un massiccio export di materie prime. Vediamo in che modo.
Una forte esportazione fa sì che la valuta nazionale sul mercato delle monete subisca delle pressioni al rialzo, seguendo la legge della domanda e dell’offerta (ciò che viene più desiderato aumenta il suo costo). Ciò rende le importazioni più economiche (dato che la valuta locale ha un potere di acquisto alto); ma questo distrugge la produzione interna di manifattura, dato che subisce una concorrenza esterna, e scoraggia gli investimenti privati. È un meccanismo studiato a proposito della Olanda degli anni sessanta, che vide un declino palpabile della sua industria dopo la scoperta di un ampio bacino di gas naturale. Senza una produzione interna, tutti i beni – tanto di uso quotidiano che le componenti produttive dell’industria, inclusa quella petrolifera – devono essere importati; ma per ottenerli ci vuole la valuta estera. Come si vede è una spirale discendente che si autoalimenta. Il vincolo estero della bilancia commerciale (il saldo fra esportazioni ed importazioni) diventa l’elemento decisivo per la stessa produttività interna.
Dopo gli anni Novanta, funestati da una grave crisi bancaria, inizia l’era di Chavez, che riuscirà a superare la conflittualità sociale e il tentativo di golpe dell’aprile 2002, seguito da pesanti scioperi del settore petrolifero. Fra il 2003-09 il governo riuscì a controllare la situazione, facendo una forte redistribuzione sociale che fece registrare il più portentoso abbassamento della povertà dell’America Latina, con forte crescita economica, buoni salari e inflazione sotto controllo (che in media era stata del 19,4% fra 1980-89 e del 47,4% fra 1990-1999). Ma tutto ciò era trainato da due fattori: un forte rialzo del prezzo del petrolio e un cambio forte che rendeva l’import economico (ed infatti le importazioni passarono da $8.3 mld nel 2003 a $45.1 mld nel 2008) per rendere i beni di consumo accessibili. Questo si dimostrò un problema molto serio quando il prezzo del petrolio passò da 129 dollari al barile a 31 in soli 6 mesi. Non aver avviato serie politiche industriali per diversificare l’economia era stato poco avveduto; deprezzare il cambio e limitare l’ingresso di valuta estera non valse a controbilanciare la caduta dell’import – vitale per la produzione stessa. La aggressione economica esterna, la illegale e massiccia fuga di capitali e la vasta corruzione, che Chavez aveva aggirato ma non debellato, resero la posizione del successore Maduro sempre più precaria, con ondate di iperinflazione degne di quella di Weimar. Il resto è storia recente, e una struttura economica di rendita petrolifera decennale non si risolve in poco tempo. Se il chavismo sopravviverà dovrà progettare una economia che permetta uno sviluppo sostenibile per continuare a dirigersi verso un socialismo del XXI secolo.
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