La lunga crisi politica francese : l’instabilità nel sistema politico più stabile

Di Lorenzo Battisti

La lunga crisi politica francese : l’instabilità nel sistema politico più stabile

La Francia attraversa ormai da anni una fase di instabilità politica che non trova soluzione nel sistema istituzionale attuale, quello pensato dal Generale De Gaulle. I risultati delle elezioni sono solo l’ultimo episodio di questa crisi. Una crisi che è francese, ma anche e soprattutto occidentale.

 Il sistema politico francese è spesso stato visto come sinonimo di stabilità. Una stabilità il cui significato non è solo quello di evitare crisi frequenti dei governi, ma anche come sinonimo di prevedibilità. Se pensiamo alla Commissione Bicamerale presieduta da D’alema negli anni ‘90 (quella in cui il leader della sinistra si prefiggeva di trasformare l’Italia in un “paese normale”, come da titolo di un suo libro dell’epoca), il cui obiettivo era la riforma costituzionale e politica dell’Italia, il modello a cui si guardava era proprio quello francese.

Questa immagine cozza però con le notizie che arrivano dalla Francia negli ultimi tempi. Certamente le elezioni che si sono svolte la scorsa primavera-estate sono il segno più evidente di questa crisi. Ma sono solo l’ultimo segnale di un sistema che mostra sempre più evidenti segni ci crisi. Il sistema ideato dal Generale de Gaulle, che fino a poco fa sembrava infallibile, sta forse mostrando la necessità di un suo superamento. Un superamento che, visti i tempi, non necessariamente partorirà un sistema democratico migliore. Soprattutto in un momento storico in cui il declino del capitalismo occidentale si accentua.

L’esplosione della crisi istituzionale : le elezioni del 2024

 Partiamo dalla fine, cioè dalle elezioni di quest’anno. Queste rappresentano l’elemento più “vistoso” della crisi francese, quello di cui si è avuta larga conoscenza. Ma al contempo si tratta anche dell’ultimo anello di una catena che è partita molti anni fa. Sebbene i fatti siano largamente conosciuti, troviamo importante darne una succinta cronaca. Alle elezioni di Giugno 2024, il Rassemblement National (il nuovo nome del vecchio Front National) è uscito largamente in testa: il partito escluso fino a poco tempo fa dall’arco repubblicano si trovava in testa alle preferenze dei francesi.

Il dato politico è ancora più duro se si osserva la distanza della coalizione presidenziale: l’RN raccoglie più del doppio dei voti della coalizione centrista al governo, che esprime anche il Presidente della Repubblica Macron. Il risultato non è arrivato totalmente inaspettato: i sondaggi parlavano da tempo di una crescita inarrestabile dell’estrema destra nel paese (oltre all’RN, c’è anche il partito del giornalista di estrema destra Eric Zemmour). E la coalizione presidenziale aveva cercato di rispondere al pericolo imminente con un cambio di governo: la premier Borne, protagonista dello scontro con i sindacati sulla contro-riforma delle pensioni, è stata sostituita a fine del 2023 con il giovane Attal. Una faccia nuova e giovane da contrapporre al candidato del RN Bardella.

Il dato elettorale è stato così fragoroso da scuotere il sistema politico francese. Il Presidente ha annunciato lo scioglimento dell’Assemblea Nationale e il voto politico due settimane dopo le europee. Lo scioglimento delle camere è raro in Francia: c’è stato in passato, ma non a fronte di una situazione simile a quella che si è presentata a Giugno. L’ultima volta era stata nel 1997, quando la destra pensava di poter approfittare della situazione politica, ma fu invece superata dai socialisti di Jospin.

Due settimane per preparare le elezioni politiche non sono niente. Per di più in una situazione in cui la minaccia di un governo di estrema destra era estremamente probabile. Le proiezioni del voto delle europee sui seggi delle politiche davano una maggioranza quasi autonoma all’estrema destra. La coalizione presidenziale non avrebbe raccolto più di una quarantina di seggi. Tutto questo ha suonato l’allarme nella società francese. L’effetto più forte è stata la creazione del Nuovo Fronte Popolare, che riprende il nome da quello storico del 1936.

La nascita è stata fulminea: in 3 o 4 giorni, i partiti di sinistra (comunisti, socialisti, verdi e Insoumises) hanno concordato un programma per i primi 100 giorni di governo e le candidature. A questi si sono aggiunti partiti che non avevano fatto parte della sinistra prima, come l’Npa o altri partiti minori. Ma soprattutto l’NFP ha trovato, in vari gradi il sostegno dei sindacati. Alcuni (come i sindacati centristi o moderati) hanno invitato a fermare l’estrema destra, senza dare indicazioni specifiche, per quanto fosse chiaro quale fosse l’indicazione. Altri, come la CGT, hanno partecipato per la prima volta dal 1936 alla scrittura del programma del NFP.

La scelta sindacale della CGT è chiara e in rottura evidente con la tradizione francese che risale alla Carta di Amiens, scritta dai sindacalisti dell’epoca (prevalentemente di orientamento anarchico) che segna una divisione netta tra sindacato e partiti. Questa scelta di rottura radicale esprime un orientamento di lungo periodo della CGT che deriva da due prese di coscienza. La prima è che l’iscrizione sindacale, una volta forte vaccino contro l’estrema destra diventa sempre più inefficace. C’è una proporzione crescente di iscritti al sindacato (anche alla CGT) che non vedono contraddizione tra un sindacalismo di classe e il voto RN. In alcuni sindacati, come Force Ouvrière, la percentuale di iscritti che vota estrema destra sfiora il 40% [1] .

La seconda presa di  coscienza è che quanto avvenuto non rappresenta un “incidente”, ma una tendenza di lungo periodo che attraverserà la società francese come le altre società occidentali. Una tendenza che non sarà costituita solamente da risultati elettorali sfavorevoli al sindacato, ma anche e soprattutto da un restringimento delle libertà personali e collettive, degli spazi democratici, anche sindacali, e (non è da escludere) a una trasformazione della democrazia in forme autoritarie di governo. Se questa è la tendenza che avanza, non la si può affrontare con un sindacato ancorato ancora alla Carta di Amiens e con iscritti che tentennano quando si tratta di estrema destra.

L’impegno della CGT nel Nuovo Fronte Popolare è probabilmente il primo passo di una risposta a questa tendenza. Questo infatti ha provocato molte discussioni all’interno della CGT. Iscritti che ritenevano che il sindacato “non dovesse fare politica” hanno restituito la tessera. Così come quelli che sostengono con forza il RN. Ma gli iscritti che sono restati, sono il nocciolo duro su cui costruire una resistenza solida e di lunga durata alla tendenza di estrema destra, e con cui si può combattere contro il restringimento della democrazia.

Le elezioni politiche sono state una montagna russa di emozioni. Dopo il primo turno, il rischio di un’estrema destra al governo si era fatto concreto. Questo ha portato il Fronte Popolare e la coalizione presidenziale (che comprende anche la destra repubblicana) a formare desistenze per sbarrare la strada al RN. Il risultato è stato ottenuto: il RN, sebbene aumenti in eletti, non è in grado di formare un governo neanche in coalizione con la destra repubblicana. La coalizione presidenziale salva la pelle, perdendo eletti, ma andando ben oltre le proiezioni che le davano 40 deputati.

Ma il risultato ha dei chiaro scuri. Il Fronte Popolare ottiene un risultato inatteso, ma in termini di voti la coalizione arretra rispetto a 2 anni fa. Il RN è in termine di voti il primo partito, anche se viene penalizzato dal sistema maggioritario a doppio turno, a causa dello “sbarramento repubblicano”, in cui i voti della coalizione presidenziale e della sua opposizione di sinistra si sono uniti. La Francia si trova divisa in 3 parti: i centri città che votano la coalizione presidenziale, le periferie che votano NFP e la provincia (villaggi e città medio piccole) che votano estrema destra.

Il risultato delle elezioni è stato però anche lo specchio di una crisi del sistema istituzionale francese: il parlamento francese è oggi diviso in tre parti quasi uguali (Sinistra, coalizione presidenziale, estrema destra), mutualmente incompatibili tra loro, cosa che impedisce la formazione di qualsiasi maggioranza stabile. L’estate è passata tra richieste del FP di ricevere la nomina per formare il governo, poiché rappresentava la prima forza politica in parlamento, e il tentativo di Macron di dividerlo, di rubare i deputati più moderati per creare una coalizione più stabile. I tentativi sono stati vani e il risultato è stata la nomina di un oscuro presidente, Barnier, proveniente dalla destra repubblicana, sostenuto ufficialmente solo dalla coalizione presidenziale, ma che non suscita ostilità nell’estrema destra.

In fondo, i lettori con qualche anno in più avranno già trovato la definizione migliore per questo governo senza maggioranza parlamentare: infatti somiglia tanto ai “governi balneari” della Prima Repubblica, quelli che duravano un’estate e “non arrivavano a mangiare il panettone”. Il governo Barnier supererà certamente l’inverno, poiché la Costituzione Francese impedisce, pur in assenza di una maggioranza parlamentare, di tornare a votare prima di un anno, cioè a Giugno 2025. Inoltre non esiste il problema della fiducia: il governo non deve dimostrare di avere una maggioranza. Al massimo è esposto al voto di sfiducia, che però dovrebbe mettere insieme la sinistra e il RN. Cosa che Le Pen e Bardella non faranno mai, vista la centralità che questo governo gli offre. Non c’è segno più evidente della crisi del sistema politico francese che l’arrivo anche oltralpe degli ormai lontani e dimenticati governi balneari italiani.

La crisi che viene da lontano

La crisi attuale e la conseguente instabilità che attraversa la Francia vengono da lontano. Sono lo specchio di un sistema pensato in un altro momento storico e che cozza con la realtà attuale. Ma quali sono i limiti principali di questo sistema? 

Il sistema attualmente in vigore può essere riassunto in due caratteristiche principali: il presidenzialismo e il doppio turno maggioritario. Il presidenzialismo (una volta definito semi-presidenzialismo) è costituito dall’elezione diretta del Capo dello Stato, su cui si concentrano i principali poteri, tra qui quello di nomina il Premier. L’elezione diretta conferisce a questa carica una forza politica superiore a tutte le altre.

 Il doppio turno maggioritario permette la formazione (ancora più di quello a un turno solo che vige in Uk e in Usa) di maggioranze ampie e stabili. Infatti questo amplifica una piccola maggioranza (e a volte una minoranza) facendola diventare una stabile e comoda maggioranza parlamentare.  Come è possibile che questo sistema ben congegnato da De Gaulle oggi non produca più i risultati attesi? Le cause sono tante e si possono mettere su due piani: quello politico e quello sociale. Partiamo dal primo.

 Il presidenzialismo presuppone la presenza di personalità forti e autorevoli, come erano quelle della generazione uscita dalla Liberazione, tanto in Italia quanto in Francia. In sostanza è un sistema che De Gaulle ha ritagliato su se stesso. Oggi non si vedono all’orizzonte politici di quella caratura, con l’autorevolezza, la cultura, e il peso politico di quella generazione. L’elezione diretta quindi finisce per torcersi nel suo contrario: si elegge per esclusione un presidente che non si apprezza e a cui non si riconosce la superiorità politica e morale di guidare la nazione, compito che è implicito nel ruolo presidenziale in Francia. Il Presidente diventa quindi il giorno dopo le elezioni il bersaglio principale della maggioranza della nazione. A maggior ragione se si è fatto eleggere non per convinzione ma come unica soluzione disponibile contro l’estrema destra.

 La stessa critica può essere trasposta a livello dei parlamentari, la cui qualità è sicuramente scaduta negli anni. In questo caso però ci sono altri punti critici riguardo al sistema a maggioritario a doppio turno. Questo era stato pensato per un sistema essenzialmente bipolare: da una parte i gollisti, dall’altra i partiti operai (comunisti e socialisti), con l’obiettivo dichiarato di usare il sistema elettorale per limitare la loro presenza parlamentare. Il sistema però non può funzionare a dovere se il panorama politico diventa tripolare, come è avvenuto con l’emersione dell’estrema destra. Il risultato diventa un parlamento instabile vista l’incapacità del sistema a doppio turno di amplificare le maggioranze: non c’è maggioranza nella popolazione e non c’è nulla da amplificare.

Inoltre questo funzionava con due logiche diverse nei due turni: al primo si sceglieva, al secondo si eliminava. Il primo turno si votava per il partito che più si riteneva vicino ai propri orientamenti, anche fosse minoritario nel proprio collegio, al secondo turno si votava contro uno dei due candidati che restavano, eliminando quello che si riteneva il peggiore. Oggi la presenza dell’estrema destra distorce questo funzionamento, obbligando a un voto utile già dal primo turno.

 Le cause sociali della crisi del sistema politico francese vengono da lontano. Il sistema politico rigido e tendente alla conservazione era pensato per distribuire in maniera paternalista i benefici della crescita post bellica, impedendo che comunisti e socialisti potessero beneficiarne. Dovevano essere i gollisti a farlo e fino al 1982, anno della vittoria di Mitterand, così è stato. In un mondo diviso in blocchi, con il Pcf legato all’Unione Sovietica, bisognava evitare che andasse la governo e che quindi potesse consolidare le proprie basi nel paese.

 Ma l’economia francese, come le altre economie capitaliste occidentali, soffre da decenni della caduta del tasso di profitto. Per riportarlo al livello precedente è necessario imporre riforme sempre più dure, che comprimano salari e stato sociale. Insomma, da diversi decenni, la Francia si ritrova a dover redistribuire povertà invece che ricchezza. Il sistema pensato per una redistribuzione paternalista della ricchezza non può reggere a una imposizione autoritaria di arretramenti sociali. Per ovviare a questa situazione, Macron ha utilizzato l’autorità presidenziale per imporre leggi senza l’approvazione del parlamento, un potere che gli è dato dalla Costituzione francese. L’uso che ne ha fatto Macron ha peraltro sorpassato tutte le esperienze passate.

Il numero di volte in cui questo potere dato dall’articolo 49-3 della costituzione è stato usato, così come il peso dei temi su cui lo si è esercitato ha di fatto esautorato il parlamento e gli eletti del popolo dalle questioni più importanti. L’esempio più eclatante è stata la contro-riforma delle pensioni che ha, tra l’altro, alzato l’età pensionabile a 64 anni e che, nonostante i milioni di persone in piazza (lo sciopero più partecipato, ad Aprile è stato partecipato da oltre 4 milioni e mezzo di persone), non è stato mai votato in parlamento ed è stato approvato con decreto presidenziale.

 Si discutono già le possibili riforme del sistema (dalla possibilità di effettuare più facilmente dei referendum, all’introduzione del proporzionale), ma sono a mio parere semplicemente dei palliativi. Se la ragione della crisi attuale viene dalla situazione economica delle imprese, qualsiasi sistema dovrà continuare a imporre austerità e bassi salari. Qualsiasi riforma sarà quindi conforme a questa necessità e si tradurrà in una riduzione ulteriore degli spazi di democrazia, tanto elettorale quanto sociale.

L’estrema destra, la guerra, il capitale francese

Finora ci siamo concentrati sugli aspetti “sovrastrutturali” delle vicende politiche. Tutto quanto descritto però non avviene nell’empireo, ma in un luogo e in un tempo determinato, con rapporti di forza determinati (per quanto non immutabili, ma non nel breve periodo). Non si può ignorare il sostegno che l’estrema destra ha ottenuto negli anni (in particolare negli ultimi) dal capitale monopolistico francese. Se in passato questo era diviso tra il sostegno ai partiti repubblicani (Partito Socialista e I repubblicani), oggi sembra essersi sbilanciato fortemente a sostegno dell’estrema destra. Per fare un esempio lontano nel tempo, il FN di Jean Marie Le Pen, riceveva di certo ingenti sostegni (alcuni dei quali sono finiti nel patrimonio personale della famiglia), ma solo in una parte particolarmente piccola e reazionaria del capitale.

Oggi il grande capitale monopolistico francese lavora per la vittoria dell’estrema destra. Bernard Arnaud, l’uomo più ricco al mondo, da anni sta acquistando qualsiasi media in Francia per portarli su posizioni di estrema destra. E’ successo con catene all news, con radio, con giornali (l’ultimo il Journal de Dimanche, una volta centrista, che ha visto la propria redazione sostituita da una di estrema destra favorevole agli orientamenti del nuovo proprietario). E nessun altro “compagno” di Arnaud si è lanciato in una strategia diversa. C’è un certo consenso, quindi, perché le cose vadano come stanno andando, almeno nel grande capitale francese.

La domanda da porsi è “perché”: perché oggi il grande capitale francese, che in passato ha sostenuto ed è stato sostenuto dai partiti repubblicani, si sposta sull’estrema destra? La ragione è a mio parere semplice: l’estrema destra è l’unica forza che può preparare il paese alla guerra. E’ la forza politica che può irregimentare un paese e la sua popolazione come una guerra necessita. Ma di quale guerra parliamo? Si tratta della guerra che, sotto traccia, già è presente oggi e lo è già da diversi anni: la guerra contro un sud del mondo che emerge e si libera, progressivamente e di certo in maniera contraddittoria, delle catene coloniali con cui l’occidente bianco lo ha incatenato negli ultimi 5 secoli.

Il capitale occidentale, tra cui quello francese, vive una doppia crisi: da una parte un saggio di profitto che, come Marx ci ha insegnato, cala progressivamente; dall’altra la possibilità sempre minore di sfruttare i paesi del sud del mondo per compensare il calo in patria. L’unica speranza del capitale occidentale è ristabilire l’ “ordine” neo coloniale e imperialistico: riportare le lancette della storia indietro ai (per loro) bei tempi passati in cui si potevano sfruttare le ricchezze e  la manodopera del resto del mondo liberamente; i tempi in cui si spostavano le cannoniere su tutti i mari del globo a disciplinare i popoli che non accettavano la loro inferiorità e che volevano emanciparsi dalla tutela dell’uomo bianco. Ma per fare tutto questo, la società francese deve cambiare.

Il post modernismo godereccio uscito dal ‘68 non è adatto ad affrontare questa situazione, una situazione in cui le popolazioni occidentali dovranno tornare a farsi massacrare in territori più o meno lontani da casa. Il libertarismo che ancora impregna le società occidentali, l’edonismo (una volta cavalcato dalla destra reaganiana), e il privatismo diventano oggi ostacoli ai piani del grande capitale monopolistico e per questo vanno combattuti. Le società occidentali dovranno, nei loro piani, sacrificare gradi e spazi di democrazia (al limite anche tutta), per prepararsi ai nuovi impegni bellici a sostegno del capitale monopolistico occidentale. Il compito dell’estrema destra, ed è per questo che viene sostenuta dal capitale monopolistico francese, è quello di “drizzare la schiena” a una società abituata da troppi anni alla pace, in cui anche il ricordo della guerra, dei suoi sacrifici, della sua violenza sono stati rimossi.

L’estrema destra è nuovamente lo strumento del grande padronato per ristabilire l’ordine imperialistico sul mondo. Ed è pronta a svolgere appieno il suo compito. Preparare, da qui a 10-20 anni, le società a combattere; restringere la democrazia, per impedire che le voci discordi possano essere ascoltate e possano guadagnare consenso; reprimere il movimento sindacale, che può, con la sua presenza nei luoghi della produzione, creare problemi allo sforzo produttivo bellico. L’odio per gli stranieri, le tendenze xenofobe sono funzionali a tutto questo: prima si insegna a odiare arabi, africani, asiatici in Francia a causa della loro concorrenza con i francesi sul mercato del lavoro e nelle prestazioni dello stato sociale; poi si usa questa stessa ostilità per lanciarsi contro queste stesse persone, considerate inferiori e barbare, nei loro paesi di origine.

Il vero ostacolo, da parte nostra, è la scarsa coscienza della situazione storica attuale e delle cupe prospettive tra la popolazione e tra i lavoratori. La debolezza del movimento operaio, dopo la sconfitta dell’89-91, diventa oggi centrale nell’attuale momento storico. Ma come in altri momenti storici di debolezza, il movimento operaio saprà recuperare velocemente e rispondere alle sfide storiche che sarà costretto ad affrontare.

[1] Alla fine degli anni ‘90 il sindacato corporatista francese si sciolse, senza dare indicazione esplicita ai suoi iscritti. Molti di essi si iscrissero a Force Ouvrière. Molti di questa tendenza appartengono alle forze di polizia, dove FO rappresenta la prima o seconda forza sindacale alle elezioni professionali.

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