
Di Marco Grispigni (Bruxelles)
Durante l’estate, sull’onda dei giochi olimpici di Parigi e i numerosi successi dei “nuovi italiani”, la questione dello ius scholae, e in generale dell’acquisizione della cittadinanza, è tornata al centro del dibattito politico. Una fiammata di breve durata vista l’ostilità di gran parte del governo nonostante che questa volta la timida proposta venisse da Forza Italia, la cosiddetta ala moderata della coalizione di destra-centro.
Fra le reazioni di rifiuto, in prima fila ci sono state quelle della Lega che con il suo leader Salvini, affiancato dal Ministro degli interni, Piantedosi, hanno ripetutamente affermato che l’attuale legge sulla cittadinanza (l. 91/1992 con varie modifiche nel corso del tempo) funziona benissimo come attestano i dati sulle acquisizioni di cittadinanza italiana, i più alti in Europa (affermazioni ripetute in questi giorni a fronte del successo nella raccolta di firme per il referendum sulla cittadinanza).
Il dato effettivamente è vero, ma come spesso capita per le affermazioni del governo, la realtà è un po’ più complessa e la propaganda politica si basa sull’ambiguità legata al fatto che le numerose “nuove” cittadinanze italiane di questi ultimi venti anni hanno diverse provenienze.
Dapprima è stato «Il Foglio», un giornale sicuramente non di sinistra, a segnalare in un articolo di fine agosto come siano meno di un terzo le cittadinanze rilasciate a immigrati provenienti dalle coste africane (Lorenzo Borga, No, l’Italia non è il paese più generoso nel concedere la cittadinanza agli stranieri, «Il Foglio», 26 agosto 2024). In realtà la maggioranza di nuovi cittadini italiani provengono dall’Europa, albanesi in primis, o dall’America Latina.
Proprio il dato delle nuove cittadinanze concesse a chi proviene dall’America Latina ci porta al “cuore” della legge sulla cittadinanza, basata sul principio dello ius sanguinis, cioè sul concetto di nazionalità come legame persistente e non estinguibile che permette la trasmissione dello status di italiano anche a discendenti nati all’estero e lì sempre residenti.
Che cosa significa questo principio concretamente? Se prendiamo i numeri dei nuovi cittadini italiani, oltre 200 mila nel 2022 – il dato più recente disponibile nelle tabelle dell’Istat – quasi il 10% (20 mila) sono coloro che hanno acquisito la cittadinanza per il principio dello ius sanguinis (alla cifra ripresa nella apposita colonna, dovrebbero essere aggiunti anche non pochi di coloro che sono riportati nella colonna “minori”, visto che figli e figlie di persone che ottengono la cittadinanza la acquisiscono ugualmente in maniera automatica).
Questo dato non è molto conosciuto: nelle tabelle facilmente recuperabili in rete sulle nuove cittadinanze italiane, le acquisizioni per lo ius sanguinis sono “annegate” nella categoria “altro”. Una categoria abbastanza bizzarra visto che si tratta sempre di cifre assai significative.
Fra l’altro come evidenziato nella tabella dell’Istat che chiarisce che cosa ci sia dietro il titolo “altro”, appare sorprendentemente che il dato relativo alle acquisizioni di cittadinanza per lo ius sanguinis, il principio fondamentale della legge sulla cittadinanza del 1992, sia disponibile solamente a partire dal 2016.
Sempre secondo i dati Istat, sono soprattutto i residenti in America Latina e più specificatamente in Argentina e in Brasile, coloro che richiedono e ottengono la cittadinanza italiana. Afferma a questo proposito un report del 2023 dell’Istat su Popolazione residente e dinamica demografica: “… l’elevato aumento di italiani residenti in Argentina e in Brasile è dovuto prevalentemente al mantenimento della cittadinanza di origine dei genitori o alla sua riacquisizione per discendenza (“iure sanguinis”) da un progenitore italiano, fenomeno testimoniato dall’elevato numero di nati nello stesso Paese di residenza dei genitori (oltre l’80%) e da un esiguo numero di nati in Italia”.
Proprio in questi giorni; a tal proposito, sono apparse sui giornali diverse interviste a Zaia, il presidente della regione Veneto, nella quale ci si “lamenta” per l’alto numero di richieste di cittadinanza provenienti dall’America Latina che “intasano” alcuni comuni della regione.
Se, come abbiamo visto, non è molto facile ottenere i dati delle richieste di cittadinanza legate al principio dello ius sanguinis, un “sospetto” di qualcosa di anomalo sarebbe dovuto nascere osservando la crescita “esagerata” del numero degli elettori italiani all’estero. Come è noto, in seguito ad alcune modifiche costituzionali, dal 2001 esiste una nuova normativa che regola il voto degli italiani all’estero. Se andiamo a vedere i dati del Ministero dell’interno sulle differenti elezioni (tramite il sito Eligendo con la sua banca dati storica), possiamo notare come mentre il numero degli elettori in Italia cala costantemente dal 2008 al 2022, quello degli elettori nella Circoscrizione estero sale costantemente: dalle elezioni del 2006 (le prime con la Circoscrizione estero) alle ultime del 2022, i potenziali elettori italiani all’estero sono aumentati di oltre 2 milioni, passando da 2, 7 a 4,7 milioni. Certo, dopo la crisi economica del 2007-2008 il numero degli italiani all’estero è aumentato, soprattutto per la ripresa significativa dei flussi migratori dall’Italia, “quelli che se ne vanno” come nel titolo del bel libro sui nuovi italiani emigranti di Enrico Pugliese. Ma questi flussi, secondo tutti gli studi su questo fenomeno, sono principalmente diretti verso altri paesi europei. Invece, nella “ripartizione” America Meridionale (seguendo le definizioni del Ministero) tra il 2006 e il 2022 gli elettori “potenziali” sono più che raddoppiati, con una crescita del 118,48%.
Fra l’altro l’elemento che caratterizza in maniera forte il comportamento elettorale degli italiani all’estero è la “diserzione di massa” dalle urne. Nelle elezioni politiche nel voto alla Camera l’astensionismo fra gli italiani all’estero è cresciuto dall’oltre il 60% del 2006 a quasi il 75% del 2022. Un comportamento legato probabilmente a differenti fattori, fra i quali non ultimo è il disinteresse che non pochi “nuovi/e italiani/e” mostrano nei confronti delle elezioni di un paese del quale conoscono assai poco, a volte neanche la lingua. Un astensionismo che non incide solo sulle statistiche della partecipazione al voto, ma che nel caso dei referendum non su cambiamenti istituzionali, ha un peso politico enorme rendendo assai difficile il raggiungimento del quorum dei votanti, visto che l’elettorato italiano all’estero ormai rappresenta più del 10% rispetto all’elettorato in Italia.
“No taxation without representation!” fu lo slogan con il quale nel 1765 le colonie americane dichiararono che la corona inglese non aveva nessun diritto a imporre tasse nelle colonie americane che non avevano rappresentanza nel parlamento britannico. Questo slogan diede l’avvio alla guerra tra i coloni americani e gli inglesi che portò alla Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776.
Oggi in Italia abbiamo invece diversi milioni di italiani all’estero, tra i quali chi scrive, per i quali vige il principio di “representation without taxation”, mentre centinaia di migliaia di immigrati nel nostro paese vivono, lavorano e pagano le tasse senza alcun diritto di rappresentanza per almeno dieci anni continuativi della loro vita, prima di poter chiedere la nazionalità italiana e quindi avere il diritto al voto.
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