Finisce l’era dei Conservatori, la Gran Bretagna sceglie il Labour di Starmer

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Scommessa vinta. Come ampiamente previsto da tutti, il Labour di Keir Starmer ha stravinto le elezioni per il rinnovo del Parlamento del Regno Unito dove troverà la strabordante maggioranza di oltre 412 seggi, quasi 300 in più dei Tories, la distanza più ampia che qualunque governo abbia avuto dall’opposizione ufficiale dal governo di unità nazionale emerso dalle elezioni del 1931, successive alla crisi finanziaria del 1929.

La fine di 14 anni di governo conservatore sono la fine di un ciclo di politiche classiste, razziste, nazionaliste, e spesso disumane, come quelle sull’immigrazione. Finisce un’epoca cupa della politica britannica, e l’apertura di una nuova fase che si prospetta strutturalmente diversa. Per tutto questo l’Europa progressista può gioire. Ma per tutto il resto, deve pensare. Convince davvero Starmer? Uno sguardo ai risultati da qualche indicazione. Partendo da quelli degli avversari.

I Tories sopravvivono a stento.

Per i Tories il peggior risultato della loro storia politica. Gli storici dibattono del secolo in cui abbiamo fatto peggio, se nel seicento o settecento. Per un po’ il focus della BBC era sulle elezioni del 1832 ma il Duca di Wellington prese 175 seggi, molti in più dei 120 di Rishi Sunak. Ma la realtà paradossalmente è un’altra. Molti Tories ieri hanno tirato un sospiro di sollievo. Potevano essere del tutto spazzati via. Lo stesso primo ministro Rishi Sunak temeva per il suo seggio poi difeso con margine. Per molti pretendenti a succedergli le cose sono andate male con l’area moderata quasi tutta fuori dal Parlamento a partire da Penny Mordaunt già pluricandidata alla leadership. Non avrà altre occasioni. Ma saranno comunque i Tories a guidare l’opposizione ufficiale e questo nonostante abbiano preso pochi punti percentuali in più di Reform il partito di Nigel Farage. Eppure Farage di seggi ne ha presi solo 4,  tra cui il suo, per la prima volta, pochi per i voti, troppi per la decenza e umanità del regno.

 

Il Labour vince con pochi voti. Starmer con pochissimi.

Le compressioni democratiche dell’uninominale che danno al Labour il 66% dei seggi con poco meno del 34% sono il complemento del racconto di un elezioni che non si può fare solo con i seggi. Mai nella storia un partito ha preso così tanti seggi con così pochi voti: 10 milioni. Meno di Corbyn nel 2017, meno di Blair in tutte e tre le sue vittorie, meno perfino di Corbyn nel 2019. Seconda affluenza più bassa nella storia delle elezioni a suffragio universale: 59,8%. E cosa dire del risultato di Starmer nel suo collegio di Holborn e St. Pancras? Voti dimezzati rispetto al 2019, quando il leader era Corbyn, e ottimo risultato di un candidato indipendente espressione di una protesta contro le sue scelte su Gaza. Non esattamente un trionfo per Starmer. Più precisamente un messaggio molto chiaro di protesta e sfiducia nel leader laburista e nuovo primo ministro prima ancora dell’inizio del suo mandato di governo.

 

La straordinaria vittoria di Jeremy Corbyn

Allora il messaggio degli elettori va letto con attenzione. In nessun modo un endorsement entusiasta del Labour di Starmer ma soprattutto un rigetto netto dei Tories. Espresso votando Reform abbandonando i Tories da destra, Libdems abbandonandoli dal centro, o stando a casa. Lo “swing” verso il Labour è stato numericamente limitato (+3%) e geograficamente limitato: i seggi della provincia che nel 2016 votarono leave. Frutto di una strategia di efficientamento dei voti da parte di Starmer, disposto a perdere voti a sinistra nelle città per recuperarne al centro. Ma ne recupera meno delle aspettative della vigilia e perde il seggio di Bristol centro che va ai Verdi, tre verso candidati indipendenti critici per Gaza a Birmingham, Leicester e Manchester così come quello che consegna una tremenda rivincita a Jeremy Corbyn, rieletto per la 11esima volta nel suo collegio di Islington Nord, la prima da indipendente, in un seggio che il Labour considerava sicuro da un secolo. Solo Jeremy poteva farcela. E ce l’ha fatta. Non solo: ha preso più voti di Starmer: 24 mila a 19 mila. Chapeau.

 

Keir Starmer peggio di Corbyn e Blair. L’uomo sbagliato al momento giusto?

In queste ore giura davanti al re come nuovo primo ministro, soltanto il settimo della secolare storia laburista. Il leader un tempo europeista che ora esclude un ritorno nell’Unione Europea per tutto il resto della sua vita prende meno voti di quasi tutti i leader che l’hanno preceduto a Downing Street, come Tony Blair, ma anche di quelli che non ce l’hanno fatta come Corbyn. Secondo una linea di pensiero che circola nella sinistra laburista Starmer non piace, ma vince perché qualunque leader laburista capace di dire cose vagamente sensate e con un minimo di decenza, qualunque leader, avrebbe vinto le prime elezioni dopo la Brexit. Non solo perché la Brexit ha deluso anche chi ha votato leave. Ma anche perché il supporto per la Brexit stessa aveva pompato fuori misura i consensi dei Tories nel 2019 quando molti elettori vi vedevano la panacea al disagio sociale che proprio le politiche di austerità dei Tories avevano esacerbato. Ma una volta ottenuta l’uscita formale dalla UE con l’accordo negoziato da Boris Johnson nel 2020, quel surplus di voti è venuto meno e la delusione per i suoi effetti ha fatto crollare il consenso Tory, come ampiamente prevedibile. Ovviamente gli scandali di Boris Johnson e il crollo della sterlina della brevissima premiership di Truss, che ha perso il suo seggio, hanno contribuito al devastante crollo dei Tories. Qualunque Labour Party, con qualunque programma e qualunque leader, semplicemente mantenendo i suoi elettori, avrebbe vinto a valanga con questo sistema uninominale contro questi Tories. Starmer, se possibile, ha ridotto l’entità di questa valanga sul piano del numero di voti, e magari l’ha aumentata leggermente distribuendoli meglio tra i seggi. Ma è sostanzialmente bugiarda la narrativa che il suo risultato sia figlio di un “partito cambiato” rispetto alla precedente gestione.

 

Liberaldemocratici e verdi potrebbero mettere in difficoltà il nuovo governo

I liberaldemocratici ottengono il miglior risultato in un secolo di storia colorando di giallo il Sud Ovest d’Inghilterra (Devon e Cornovaglia), avranno molto più spazio in Parlamento e hanno una concreta chance di crescere come la principale opposizione europeista al governo pro Brexit di Starmer. I verdi quadruplicano i seggi conquistando il 7%, una percentuale incredibile per un piccolo partito di sinistra e di protesta. Ma una protesta che con ogni probabilità crescerà se il governo Starmer conferma l’intenzione di abbandonare l’ambizioso piano da 28 miliardi l’anno per la transizione ecologica che Starmer aveva promesso nella campagna per diventare leader del Labour, una delle 10 promesse tradite nel corso degli ultimi 4 anni.

 

Il tracollo del SNP non è la fine del sogno di una Scozia indipendente.

In Scozia si giocava tutta un’altra partita. Il Labour qui beneficia del contemporaneo crollo di Tories e SNP. Circa un terzo dell’elettorato pro-indipendenza non ha votato, in parte scoraggiata dall’incapacità del SNP di ottenere un nuovo referendum, in parte ha votato Labour che qui  è tecnicamente all’opposizione e che proprio in Scozia trova l’unico significativo aumento di voti rispetto al 2019 e una quarantina di seggi in più (partiva da uno!). L’SNP ha senz’altro pagato un calo di popolarità dopo 17 anni di completo dominio della politica scozzese, in parte dovuto all’uscita di scena di Nicola Sturgeon e a un credito offerto al primo Prime Minister laburista da quindici anni. Ma sbaglierebbe chi pensasse che il sogno di una Scozia indipendente sia definitivamente tramontato. E’ proprio la differente dinamica politica tra Scozia e Inghilterra visibile anche in questa elezione che suggerisce che le prime difficoltà del governo Starmer possono trovare naturale espressione nei partiti pro-indipendenza.

 

Farage in Parlamento e’ un problema sia per Starmer che per quel che resta dei Tories

All’ottavo tentativo ce la fa Nigel Farage conquistando il suo seggio a Clacton, in Essex, col suo nuovo partito populista e antiimmigrazione, Reform, che conquista solo 4 seggi ma si posiziona secondo in decine di seggi nelle Midlands, nel nord ex operaio e in Galles conquistando percentuali nazionali a doppia cifra. La ribalta parlamentare accanto a Tories annichiliti gli offre una chance irripetibile di provare a scalzare il partito conservatore come principale opposizione di destra e un eventuale ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe aprirgli le porte a una sfida a Starmer tra qualche anno. Nessuna compiacenza è possibile con un personaggio che ha già dimostrato di sapere come cambiare in peggio la storia del suo paese.

Anche per questo, Starmer farebbe bene a non sottovalutarlo, facendo tesoro di una larga maggioranza figlia di circostanze politiche difficilmente ripetibili senza poter fare affidamento su una luna di miele con l’elettorato mai davvero iniziata.

 

 

FONTE: https://www.strisciarossa.it/finisce-lera-dei-conservatori-la-gran-bretagna-sceglie-il-labour-di-starmer/

 

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