Relazioni industriali: MODELLO SVEDESE O MODELLO AMERICANO?

Foto di Bulu Patel da Pixabay

di Antonella Dolci

Dal mese di ottobre in Svezia ha luogo un conflitto sindacale che si è andato accentuando e estendendo e che non accenna a concludersi.

Da una parte Tesla, la gigantesca azienda americana che fabbrica automobili elettriche, pare la prima nel settore, di proprietà di Elon Musk, dall’altra il poderoso sindacato dei metallurgici, IF Metall. Il centro del conflitto è il rifiuto di Tesla di firmare il contratto collettivo dei metallurgici.

Tecla aveva dimostrato da qualche anno un forte interesse ad insediarsi in Svezia e ha scelto Upplands-Väsby, nella periferia di Stoccolma dove ha il suo Centro Informazioni.

IF Metall ha preso contatto con Tesla per chiedere che firmassero il contratto collettivo per i circa 130 metalmeccanici ingaggiati. E Tesla ha detto di no.

Occorre chiarire qui che il famoso “modello svedese”, che ha portato da quasi cent’anni ad una relativa pace nel mondo del lavoro, a vantaggio quindi sia degli industriali che dei lavoratori, implica che le trattative si svolgano unicamente tra le organizzazioni dei datori di lavoro, corrispondenti pressapoco alla Confindustria, e la confederazione sindacale , senza una specifica legislazione in merito.

I contratti collettivi non sono obbligatori anche se a parere dei sindacati riguardano oltre il 90% dei lavoratori dipendenti, mentre a parere degli industriali invece solo 4/10 delle imprese registrate (sono perlopiù le numerosissime piccole imprese a non stipulare l’accordo). Quando è vigente un contratto collettivo, non possono proclamarsi scioperi o serrate.

Il modello americano contro il modello svedese

Quello che spiega in parte l’interesse crescente della stampa, non solo svedese, e le manifestazioni di solidarietà verso i sindacati, è la figura di Elon Musk, il proprietario di Tesla. Multimiliardario, sudafricano- americano, un originale che investe miliardi per rendere possibili viaggi sulla luna, pare sia l’uomo più ricco del mondo, ha comprato X (prima Twitter) per 44 miliardi di dollari offrendo subito a Donald Trum di riammetterlo dopo che era stato espulso dalla precedente proprietà del social; ha costituito in 15 anni, partendo da una piccola fabbrica in California, un impero internazionale insediato in tutto il mondo. Tesla Model Y è l’auto elettrica più venduta in Europa. Ha l’abitudine di prendere decisioni e tagliare teste in poche ore, considera i sindacati la sua bestia nera ed ha un linguaggio estremamente rude e diretto.

Nel “modello svedese” la parola d’ordine è la ricerca del possibile compromesso, il pragmatismo, il linguaggio prudente, il rispetto della controparte. Che alla proposta di firmare un contratto collettivo Elon Musk abbia risposto ridendo e dicendo “Questa è roba da matti” ha costituito, per gli svedesi, uno shock.

E così le due parti si sono intestardite: Elon Musk dichiarando che non accetterebbe mai di firmare un simile accordo, con la convinzione che l’affiliazione sindacale dei dipendenti è un segno di malessere nel luogo di lavoro, minacciando di ricorrere a misure antisciopero, ai crumiri, assicurando che i dipendenti di Tesla, appunto perché non hanno contratti collettivi, hanno un trattamento migliore dei metalmeccanici nelle industrie svedesi e infine chiedendo che il governo di centro destra intervenisse per impedire lo sciopero. E’ soprattutto estremamente preoccupato che un’eventuale vittoria di IF Metall possa ispirare altri sindacati europei, in particolare in Germania.

Il sindacato IF Metall da parte sua ha dichiarato che la posizione di Elon Musk costituiva un attentato al modello svedese con l’intenzione di distruggerlo e che la soluzione del conflitto era una sola: O Tesla cede, o se ne va. Era in ballo il futuro dei sindacati svedesi e l’alternativa era di lasciare i lavoratori in balia dell’arbitrio del datore di lavoro, di Musk in questo caso. Una battaglia quindi di valore fondamentale e anche simbolica.

E con molte probabilità una battaglia che potrebbe prodursi anche in altri paesi, come si può dedurre dall’interesse dimostrato per questo conflitto dalla stampa internazionale.

Lo sciopero c’è stato, e poi sono apparsi scioperi di simpatia e solidarietà di altre confederazioni sindacali, quella dei Trasporti, che si sono rifiutati di trasportare le automobili Tesla, dei Portuali, che si sono rifiutati di caricarle e scaricarle in 4 porti, della PostNord, che si è rifiutata di distribuire le targhe impedendo quindi anche ai clienti a cui già era stata consegnata l’auto di poterla mettere in circolazione. E molte altre come quella dei Musicisti, del Personale di pulizia, ecc.. Le misure di simpatia si sono estese anche fuori dalla Svezia, ai Portuali danesi che si sono rifiutati di scaricare le auto Tesla e in Norvegia.

Tecla ha fatto ricorso ai tribunali per far dichiarare illegittimi gli scioperi di simpatia (ma gli hanno dato torto) e al governo che non ha ovviamente il potere di intervenire. La stampa filogovernativa però ha pubblicato diversi articoli invitando alla calma, chiedendo che si prendesse in esame la legittimità degli scioperi di simpatia, o ammonendo sull’esistenza del rischio che Tesla se ne andasse in un altro paese più accogliente e che fosse dunque il sindacato, per difendere i diritti di un piccolissimo gruppo di dipendenti, a farsi responsabile della perdita di centinaia di posti di lavoro, in un periodo in cui la disoccupazione è del 7,4%, una percentuale alta per la Svezia.

Tesla però, malgrado i toni minacciosi, pare molto interessata a rimanere, anzi a estendersi in Svezia ed è apparsa negli ultimi giorni una possibile soluzione di compromesso: che i circa 130 metalmeccanici implicati siano assunti da un’altra ditta con contratto collettivo ma continuino a lavorare a Tesla.

 

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