Stefano Fassina: Perché la sinistra è fuori gioco? Per tre ragioni, intrecciate.

FOTO: Ansa

di Stefano Fassina

La sinistra ufficiale è “fuori fase”, ovunque. I risultati sono inequivocabili, da noi, nell’Unione europea e oltre. Ancora più che dalla sconfitta quantitativa, netta, l’angoscia deriva dal segno di classe della dilagante astensione e dal voto alla destra delle fasce sociali più in difficoltà. In amara sintesi: chi ha più bisogno della Politica sta lontano dalla politica e, quando si avvicina alla politica, sta lontano dalla sinistra ufficiale. Perché? Che succede? È un “vento di destra”, arrivato inatteso come un terremoto o uno tsunami? Oppure, la “ola conservadora” ha cause precise e riconoscibili, ma scomode per la sinistra ufficiale? La prima risposta è consolatoria e rassicurante: resistiamo, passa. La seconda implica una sfida difficile, innanzitutto con se stessi, e la maturità di rimettersi in discussione ab origine. Implica riconoscere le “cause strutturali” della marginalizzazione della sinistra ufficiale, come ha scritto Alessandro De Angelis, qui ieri sera in un commento a caldo. Quali sono? “Se sbagli l’analisi, sbagli tutto”, ricordava sempre Il Migliore ai suoi. L’analisi, allora.

Perché la sinistra ufficiale è fuori gioco? Per tre ragioni, intrecciate. Primo, perché la regolazione neo-liberista dei movimenti di capitali, merci, servizi e persone, introdotta a scala globale e scolpita in forma estrema nei Trattati europei (dato generalmente rimosso da chi, prima bardo, è arrivato a criticare “La Globalizzazione”), ha colpito e colpisce innanzitutto i riferimenti sociali originariamente rappresentati dalla sinistra ufficiale, oltre a essere insostenibile sul piano ambientale, spirituale e di ordine politico internazionale. Secondo, perché l’assetto regolativo dominante, propagandato dopo l’89-91 come “La fine della Storia e l’ultimo uomo” (attenzione anche alla seconda parte del titolo del “libretto rosso” di Francis Fukuyama) ha privato la sinistra ufficiale e le organizzazioni dei lavoratori degli strumenti di correzione in chiave universalista sull’economia e consente soltanto policy corporative, la cifra distintiva della destra. Terzo, perché la sinistra ufficiale è stata l’attrice protagonista, riconosciuta come tale dalle sue constituency storiche diventate sue vittime, del film neo-liberista promosso con il titolo “Terza via” e “europeismo federalista”.

In sintesi, siamo dentro -sul piano politico almeno dal 2016, anno della Brexit e dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca- la fase della de-globalizzazione, contraddistinta dalla domanda di protezione sociale e identitaria. Tutto cambia. Matura il disincanto, la delusione, la rabbia verso il progressismo inteso come miglioramento naturale delle sorti dell’umanità. Riemerge prepotente la richiesta di primato dell’etica e della Politica sull’economia e sull’innovazione tecnologica. La destra la intercetta istintivamente. La sinistra ufficiale è arroccata tra i benestanti del politicamente corretto.

Data l’analisi (per un approfondimento mi permetto di rinviare al mio “Il mestiere della Sinistra nel ritorno della Politica”, Castelvecchi, 2022), che fare? È davvero stucchevole l’ennesima giaculatoria su eccesso o difetto di radicalità o, specularmente, di distanza dal mitico “centro”.

Va, invece, riconosciuta la necessità di un’altra sinistra, in relazione sinergica con la sinistra ufficiale (utilizzo il termine “sinistra” in senso lato). Mi riferisco all’Italia, ma il discorso vale anche per l’Europa e gli Usa. Infatti, “l’altra Sinistra” è da costruire quasi ovunque. È forte soltanto in Francia con il movimento di Jean Luc Melenchon. Vive in Germania nella Linke, ma assediata nella componente di Sahra Wagenknecht. Cresce dall’altra parte dell’Atlantico con le truppe di Bernie Sanders e le misure da “America first” di Biden (segnalo il contromanifesto del “Washington Consensus”, esposto da Jack Sullivan, National Security Advisor, alla Brookings Institution, il 27 Aprile scorso). In Italia, ha una presenza sociale, istintiva e contrastata nel M5S, disinteressato, però, a coltivarla, illuso di consolidare a livello nazionale il voto di opinione conquistato dal suo leader ai tempi di Palazzo Chigi. Per costruire l’altra sinistra, va messo a punto, innanzitutto, un paradigma altro rispetto al paradigma cosmopolita, euro-federalista, post-umanista, condiviso, in diversa misura, dalle articolazioni del centrosinistra ufficiale, dalle più “radicali” alle più “riformiste”.

Quali i capisaldi?

L’altra Sinistra: è inter-nazionalista, Nazione e Patria, come pure famiglia, nel senso scritto nella nostra Costituzione, sono dimensioni imprescindibili della persona-comunità in una stagione di spaesamento identitario e spiaggiamento economico. È consapevole dell’impraticabiltà storica, culturale e politica degli Stati Uniti d’Europa, pertanto coltiva la “demoicracy”, dottrina assente dal dibattito politico italiano, soffocato nella morsa “europeisti” e “sovranisti”. È adulta nelle relazioni con gli Stati Uniti e la Nato, quindi persegue, con ostinata autonomia e realismo, un ordine internazionale multipolare e multilaterale. È laburista e keynesiana sul versante economico, quindi “no Bolkestein” perchè riconosce il “controlimite” sociale incardinato nella nostra Carta, sovraordinato  alle norme dell’UE. Per le migrazioni, oltre all’imprescindibile salvataggio delle vite, connette l’accoglienza alla capacità di integrazione e riapre il libro della cooperazione internazionale per garantire il diritto a non emigrare. Persegue l’ecologia integrale senza elitismo, attenta a compensare l’impatto sociale della conversione ecologica. È anti-fascista e anti-revisionista, rivendica l’antifascismo come irrinunciabile fonte morale e politica della Costituzione, non come condizione di legittimità democratica. È umanista nel cammino dei diritti civili, quindi contro la maternità surrogate e il disconoscimento sessuale dell’umano. È femminista, ma va oltre le pari opportunità di genere e promuove il potenziale femminile per scardinare il dominio dell’economico e le connesse gerarchie di potere.

In conclusione, la sfida più impegnativa di fronte alla classe dirigente progressista culturale, politica e sociale è mettere a punto e radicare attraverso il conflitto costruttivo il paradigma inter-nazionalista e umanista. È la sfida per ritrovare connessione sentimentale con le periferie sociali, rispondere alle loro domande di protezione economica e identitaria e meritarne la rappresentanza.

 

 

FONTE: https://www.huffingtonpost.it/blog/2023/05/30/news/la_ola_conservadora_cause_e_rimedi-12258958/?ref=HHTP-BS-I12258121-P2-S1-T1

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