n° 21 – 22 Maggio 2021  – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

01 – Schirò (Pd)*: la corretta interpretazione della nuova legge sull’IMU.

02 – La Marca (Pd): dal Nordamerica si può tornare senza quarantena. L’Italia riapre.

03 – Schirò (Pd): L’agenzia delle entrate deve dare una risposta positiva ai pensionati italiani in Bulgaria. Interrogazioni, lettere al Dipartimento delle Finanze del MEF e all’Agenzia delle Entrate, interventi politici, ma la situazione purtroppo non si sblocca.

04 – Lavoro: parità salariale, Zingaretti “bene legge, promessa mantenuta”. Lavoro. “Abbiamo voluto investire per cambiare completamente la rotta, con un sistema che favorisce la parità, che premia le aziende virtuose, che sostiene anche economicamente chi investe in formazione delle donne che hanno perso il lavoro”  –

05 – Attilio Bolzoni*: 23 MAGGIO per non dimenticare. La rassicurante narrazione su Falcone che è stato ucciso «solo dalla mafia» Cosa è oggi il sistema criminale italiano? È quello dei poteri apertamente illegali o piuttosto quello dei poteri legali che si muovono illegalmente e naturalmente in combutta con le mafie? Chissà, che ne direbbe Falcone se fosse ancora fra noi.

06 – Il conflitto tra Israele e Palestina, visto dai social network. Da Instagram a Twitter, passando per Snapchat e TikTok, oggi le informazioni sul conflitto in Israele arrivano dai social network. La guerra in Israele sui social – Snapchat.

07 – Andrea Capocci*: Al G20 sulla salute solo dichiarazioni e nessun impegno. Vax pensiero. Draghi apre alla moratoria sui brevetti, con Usa, Francia e Cina. Ma l’Ue, su diktat tedesco, rimane contraria

08 – Pierluigi Ciocca*:  I rischi per l’Italia della politica economica di Biden. Stati uniti e Europa. Autorevoli voci critiche su un possibile rimbalzo dei tassi di interesse, fermi da 10 anni, dopo la recente accelerazione dei prezzi al consumo (+4,2%) e del rendimento dei titoli.

 

01 – SCHIRÒ (PD): LA CORRETTA INTERPRETAZIONE DELLA NUOVA LEGGE SULL’IMU- 17 MAGGIO 2021

Ritengo opportuno chiarire i contenuti della normativa che ha introdotto a decorrere da quest’anno la riduzione al 50% dell’IMU per i pensionati residenti all’estero, visto che sono state recentemente riportate su alcuni organi di stampa (tra cui un importante quotidiano) informazioni incorrette che rischiano di inficiare il senso e gli obiettivi di tale disposizione.

È bene quindi precisare che la parziale esenzione è destinata ai percettori di pensione maturata in regime di convenzione internazionale con l’Italia residenti all’estero (a prescindere dalla loro nazionalità) proprietari di immobile in Italia (una sola unità immobiliare a uso abitativo), non locata o data in comodato d’uso.

Alcuni giornali e riviste specialistiche hanno erroneamente e paradossalmente asserito che l’esenzione si applica solo ai pensionati residenti in Paesi extracomunitari, mentre invece il comma 48 dell’articolo 1 della Legge di Bilancio per il 2021 (n. 178/20) è indiscutibilmente chiaro: l’ IMU è ridotta per i soggetti non residenti titolari di pensione “in regime di convenzione internazionale con l’Italia”, a prescindere dal Paese di residenza (“residenti in uno Stato di assicurazione diverso dall’Italia”).

Per pensione in regime di convenzione internazionale si intende una pensione maturata tramite la totalizzazione di contributi versati in Italia con quelli versati all’estero in un Paese convenzionato, comunitario ed extracomunitario.

Questo è esattamente lo spirito di una legge che è stata concepita e introdotta per ovviare ai rilievi della Commissione europea che aveva inviato all’Italia nel gennaio del 2019 una lettera di costituzione in mora per violazione del diritto europeo per aver introdotto e mantenuto condizioni più favorevoli riguardanti alcune imposte comunali (Imu, Tasi e Tari) sulle case ubicate in Italia appartenenti a pensionati italiani iscritti all’AIRE e residenti nella UE (Unione Europea) e nel SEE (Spazio Economico Europeo), escludendo invece dalle norme agevolative i pensionati di altra nazionalità europea.

La Commissione europea aveva poi archiviato l’avvio della procedura di infrazione perché il regime agevolativo previsto per l’IMU, la TASI e la TARI dall’art. 9-bis, del D. L. n. 47 del 2014, era stato eliminato con la Legge di bilancio per il 2020, che aveva appunto abolito la norma che prevedeva l’esenzione a favore dei pensionati italiani iscritti all’Aire e titolari di una pensione estera.

L’anno scorso i nostri pensionati residenti all’estero hanno perciò dovuto pagare l’ IMU. Ci siamo quindi attivati per ovviare ai rilievi della Commissione europea ed individuare una formulazione legislativa che consentisse il ripristino della agevolazione. Grazie anche all’impegno del Partito democratico siamo infatti riusciti con la Legge di Bilancio per il 2021 a reintrodurre la parziale esenzione dell’Imu al 50% a favore dei pensionati residenti all’estero – titolari di pensione in convenzione internazionale e quindi – ribadisco – sia bilaterale (accordi con Paesi extracomunitari) che multilaterale (Regolamenti comunitari di sicurezza sociale). Solo a causa della mancanza di risorse non siamo riusciti ad ottenere una esenzione totale (è stato istituito un fondo nello stato di previsione del Ministero dell’Interno con una dotazione su base annua di 12 milioni di euro).

E’ bene ricordare che per gli stessi immobili è stato ribadito dalla legge che la tassa sui rifiuti “Tari” è dovuta in misura ridotta di due terzi. Abbiamo quindi ora sollecitato il MEF a predisporre una Circolare che interpreti correttamente – in coerenza con quanto previsto dalla Legge di Bilancio – la nuova norma confermando così la decisione del Parlamento di introdurre l’esenzione del 50% dell’Imu a favore dei pensionati residenti all’estero, in Paesi comunitari ed extracomunitari, titolari di un pro-rata pensionistico (italiano od estero) ottenuto tramite l’applicazione di una convenzione di sicurezza sociale (bilaterale o multilaterale) con l’Italia.

*( Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati)

 

02 –  LA MARCA (PD): DAL NORDAMERICA SI PUÒ TORNARE SENZA QUARANTENA. L’ITALIA RIAPRE . L’Italia sta riaprendo, all’interno e all’esterno. Con equilibrio e senso di responsabilità, per non buttare a mare i sacrifici di ogni genere che si stanno facendo e resistendo all’agitazione aperturista dei partiti di destra, ma sta riaprendo. 19 MAGGIO 2021

Questo vale naturalmente anche per quanti dal Nord America vogliono finalmente tornare a riabbracciare i propri cari in Italia o programmare le loro vacanze nel “Bel Paese”.

L’obbligo di quarantena è stato abolito per chi provenga da uno dei paesi dell’Unione Europea, dal Regno Unito e da Israele.

L’ordinanza del 14 maggio 2021 del ministro della Salute, ha inserito Canada, Giappone e Stati Uniti all’interno dell’ “Elenco D”. In sostanza dai suddetti Paesi sono consentiti gli spostamenti senza motivazioni – quindi è possibile viaggiare per turismo – anche se è tutt’ora prevista la norma “tampone + quarantena di 10 giorni” per chi rientra in Italia.

Tuttavia, e questa è la novità positiva, la stessa ordinanza ha previsto l’estensione dei voli Covid tested, già utilizzati in via sperimentale per gli Stati Uniti, anche per il Canada e il Giappone.

I voli Covid Tested permettono di evitare il meccanismo della quarantena.

Per viaggiare sui voli Covid tested i passeggeri si sottopongono a uno screening completo (doppio tampone anti Covid) prima e dopo il viaggio, indipendentemente dal fatto di essere già stati vaccinati o no.

La sperimentazione dei voli Covid tested, limitata al solo scalo di Roma Fiumicino, è stata estesa agli aeroporti di Milano Linate, Napoli e Venezia e resterà in vigore almeno fino al 31 ottobre 2021. Allo stesso modo si è ampliato il numero degli aeroporti dai quali è possibile partire, per la cui individuazione è bene rivolgersi alle compagnie o alle agenzie di viaggio.

Il Presidente Draghi, rispondendo a un quesito della Capogruppo PD, On. Debora Serracchiani, ha anche anticipato che il proposito del governo italiano nelle prossime settimane è quello di semplificare e incentivare la mobilità tra i Paesi del G7, di cui fanno parte Usa e Canada.

Per quanto mi riguarda, infine, ho chiesto al Ministro Franceschini di definire e rendere note le modalità di accesso gratuito degli iscritti AIRE alla rete dei musei nazionali, consentito per tre anni a seguito dell’approvazione di un mio specifico emendamento all’ultima legge di bilancio.

L’Italia riapre, con l’aiuto dei nostri connazionali nel mondo l’Italia può rinascere.

Invito i connazionali a consultare per tutti gli aggiornamenti il sito

viaggiaresicuri.it

*(On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D. – Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America)

 

03 – SCHIRÒ (PD): L’AGENZIA DELLE ENTRATE DEVE DARE UNA RISPOSTA POSITIVA AI PENSIONATI ITALIANI IN BULGARIA. INTERROGAZIONI, LETTERE AL DIPARTIMENTO DELLE FINANZE DEL MEF E ALL’AGENZIA DELLE ENTRATE, INTERVENTI POLITICI, MA LA SITUAZIONE PURTROPPO NON SI SBLOCCA. Roma, 20 Maggio 2021.

I pensionati italiani Inps residenti in Bulgaria continuano ad essere ingiustamente e illogicamente tassati alla fonte (e cioè dall’Italia che applica una aliquota fiscale molto più elevata) per una anomalia della convenzione contro le doppie imposizioni fiscali tra Italia e Bulgaria, quando invece la stragrande maggioranza delle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali stipulate dall’Italia prevedono la tassazione delle pensioni Inps nel Paese di residenza.

L’anomalia consiste nel fatto che in virtù della convenzione bilaterale per essere considerati residenti fiscalmente in Bulgaria è necessario avere la nazionalità bulgara.

Considerato che avviare dei negoziati tra i due Paesi per la modifica della convenzione richiederebbe tempi procedurali lunghissimi, anche a causa dell’emergenza sanitaria internazionale, avevo suggerito alle autorità competenti italiane di considerare utile al buon esito delle domande di esenzione dall’imposizione in Italia delle pensioni la certificazione attestante la qualità di residente fiscale in Bulgaria che viene rilasciata dalle competenti autorità fiscali bulgare in alternativa a quella convenzionale, anche se essa non contiene il riferimento alla convenzione per evitare la doppia imposizione in vigore tra l’Italia e la Repubblica di Bulgaria.

In questo modo si risolverebbe il problema senza scomodare la convenzione. Ma le istituzioni del MEF preposte alla trattazione di queste pratiche fiscali hanno finora fatto “orecchie da mercante”.

In questi giorni ho scritto di nuovo al Direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini per sollecitare un interessamento e un intervento risolutivo. Nella lunga e dettagliata lettera illustro il problema e suggerisco la soluzione.

Nella lettera ricordo inoltre che alla mia interrogazione il sottosegretario di Stato (Lavoro e Politiche sociali) On. Francesca Puglisi, lo scorso ottobre,  aveva assicurato che l’Inps in presenza di ogni espressa indicazione da parte dei competenti uffici  dell’Agenzia delle Entrate, darebbe pronta esecuzione a nuove modalità di valutazione delle domande presentate dai pensionati residenti in Bulgaria e che lo stesso direttore del Dipartimento Finanze della Direzione Relazioni Internazionali del MEF, Dott. Marco Iuvinale, da me interpellato, aveva  constatato “l’anomalia”  della convenzione.

Ho concluso la lettera chiedendo al Direttore dell’ADE che alla luce di questa situazione penalizzante e ingiusta per i nostri pensionati residenti in Bulgaria, e considerata realisticamente l’impraticabilità di una pronta modifica della Convenzione, se non sia auspicabile, giusto ed opportuno  che l’Agenzia dia  disposizioni all’Inps, e alle sue strutture territoriali,  di considerare utile al buon esito delle domande di esenzione dall’imposizione in Italia delle pensioni Inps la certificazione (alternativa a quella convenzionale che richiede la nazionalità bulgara) attestante la qualità di residente fiscale in Bulgaria rilasciata dalle competenti autorità fiscali bulgare, per venire incontro alle pressanti e legittime richieste dei nostri pensionati residenti in Bulgaria. Attendiamo con estenuata pazienza.

*(Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa -Camera dei Deputati)

 

04 – LAVORO: PARITÀ SALARIALE, ZINGARETTI “BENE LEGGE, PROMESSA MANTENUTA”

Lavoro. “Abbiamo voluto investire per cambiare completamente la rotta, con un sistema che favorisce la parità, che premia le aziende virtuose, che sostiene anche economicamente chi investe in formazione delle donne che hanno perso il lavoro”  –

 

“Lo avevamo detto e lo abbiamo fatto: da oggi nel Lazio c’è una legge che sostiene la parità di salario tra uomini e donne, con risorse concrete. Un’altra buona pratica di una Regione che cambia”. Lo ha detto il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, commentando l’approvazione in Consiglio regionale della Pl n 182 – “Disposizioni per la promozione della parità retributiva tra i sessi, il sostegno dell’occupazione e dell’imprenditoria femminile di qualita’ nonche’ per la valorizzazione delle competenze per le donne” “Questo tema è una piaga sociale e culturale che riguarda l’intero Paese, e che con la pandemia si è ulteriormente aggravato: un divario, di cui conosciamo bene i dati statistici, che penalizza le donne e insieme a loro l’intera economia. Per questa ragione nel Lazio abbiamo voluto investire per cambiare completamente la rotta, con un sistema che favorisce la parità, che premia le aziende virtuose, che sostiene anche economicamente chi investe in formazione delle donne che hanno perso il lavoro”, aggiunge.

“La legge prevede anche un fondo regionale per le vittime di violenza e uno sportello donna nei centri per l’impiego, il sostegno all’imprenditoria femminile e interventi in tema di condivisione delle responsabilità di cura e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro – sottolinea Zingaretti -. Sono molto contento, perché è una legge giusta che prevede azioni concrete e entra nel vivo di una trasformazione necessaria. Le donne non sono spettatrici del mondo lavorativo, al contrario hanno un ruolo cruciale, nell’economia e nella società. E’ tempo di cambiare”.

“Lasciare un futuro migliore del presente che viviamo.  Ecco lo spirito di una legge doverosa e dovuta nei confronti delle donne e del loro ruolo nella società, dal punto di vista professionale e personale. Le donne – che più di chiunque altro hanno subito gli effetti della pandemia – hanno a disposizione da oggi, nella nostra regione, un nuovo strumento concreto per l’affermazione della parità salariale, per contrastare l’abbandono lavorativo, per ottenere misure che favoriscano l’occupazione femminile stabile e di qualità. Inoltre, la legge prevede strumenti e interventi anche per alleggerire il carico del lavoro di cura che grava sulle spalle delle donne. Perché nel nostro Paese è necessario un cambiamento radicale che realizzi una società più equilibrata e quindi più giusta per tutte e tutti. E noi dal Lazio lanciamo la nostra sfida. Grazie alla Presidentessa di Commissione, Eleonora Mattia, al consiglio tutto, ai colleghi di Giunta Di Berardino e Orneli per il preziosissimo lavoro”. Lo dichiara l’Assessora agricoltura, foreste, promozione della filiera e della cultura del cibo, pari opportunità, Enrica Onorati.

“L’approvazione, oggi, da parte del Consiglio Regionale della legge sulla parità retributiva e il sostegno all’occupazione femminile proposta dalla consigliera Eleonora Mattia è una bellissima notizia, un segno di civiltà e un segnale importante dell’attenzione concreta delle istituzioni regionali al tema dei diritti delle donne”, ha dichiarato l’assessore regionale allo Sviluppo Economico, Commercio e Artigianato, Università, Ricerca, Start-Up e Innovazione, Paolo Orneli. “Sono numerosi gli elementi positivi contenuti in questo testo – ha aggiunto – come ad esempio la previsione di sostegni per il reinserimento sociale e lavorativo delle donne vittime di violenza o con disabilità o l’istituzione di un ‘Registro regionale delle imprese virtuose in materia di parità retributiva’, alle quali saranno attribuiti benefici economici e premialità. Sono particolarmente soddisfatto poi di due disposizioni che ci hanno visto coinvolti direttamente come Assessorato e che sono a mio avviso molto importanti: anzitutto la previsione di riservare una quota del fondo per il microcredito alle donne in situazioni di disagio sociale, con lo stanziamento di 600.000 euro nel triennio 2021-2023, e poi quella che sostiene, nell’ambito del Fondo nazionale di garanzia per le Pmi, l’accesso al credito delle piccole e medie imprese del territorio regionale a prevalente partecipazione femminile e delle lavoratrici autonome; una misura, quest’ultima, che prevede una dotazione di 2,5 milioni di euro per il triennio 2021-2023.” “Il nostro lavoro per far sì che questa Regione sia davvero la casa di tutte e di tutti continua”, ha concluso Orneli.

“La Regione Lazio, anche con questa legge, continua a fare da apripista sul piano dei diritti e delle pari opportunità. Tutto questo è molto importante a maggior ragione per il fatto che cade in una fase storica nella quale bisogna rimettere al centro il tema dello sviluppo e del lavoro dignitoso, dando seguito alle azioni delle politiche attive definite in raccordo con le parti sociali”. Così l’assessore regionale al Lavoro e Nuovi diritti, Claudio Di Berardino.

 

05 – Attilio Bolzoni*: LA RASSICURANTE NARRAZIONE SU FALCONE CHE È STATO UCCISO «SOLO DALLA MAFIA» COSA È OGGI IL SISTEMA CRIMINALE ITALIANO? È QUELLO DEI POTERI APERTAMENTE ILLEGALI O PIUTTOSTO QUELLO DEI POTERI LEGALI CHE SI MUOVONO ILLEGALMENTE E NATURALMENTE IN COMBUTTA CON LE MAFIE? CHISSÀ, CHE NE DIREBBE FALCONE SE FOSSE ANCORA FRA NOI.

È solo mafia, non vi basta? Ha fatto tutto Totò Riina, sulle bombe ci sono le impronte digitali dei fratelli Graviano, per ogni delitto eccellente la pistola in mano ce l’ha avuta sempre Leoluca Bagarella. Mafia, solo mafia. Non cercate altrove perché altrove c’è il nulla. O complottisti di professione, sceneggiatori, romanzieri. Solo mafia, il resto è fiction e delirio. Questa vigilia del 23 maggio, ventinovesima commemorazione dall’uccisione di Giovanni Falcone, è segnata dal ritorno della mafia come unica ideatrice ed esecutrice degli attentati e delle stragi che hanno sconvolto l’Italia. E non mi riferisco soltanto a Michele Santoro e alla fantasia sospetta di Maurizio Avola, quanto piuttosto a una tendenza che affiora da più parti e cerca di imporre un’idea ignorando decenni di indagini, atti parlamentari, sentenze pronunciate in nome del popolo italiano. Ogni evidenza è seppellita con una battuta in tv, un’arguzia sul profilo Facebook, una contorsione linguistica in un pubblico dibattito. Va di moda, piace che i colpevoli siano solo i mafiosi. Rassicura. Nessun complice, siamo tutti innocenti, indifferenti e favoreggiatori. Sono stati i Corleonesi, in solitudine, a far tremare il paese dal 1979 al 1993.

FREQUENTI DISTRAZIONI

Qualche settimana fa, in occasione di un altro doloroso anniversario palermitano – l’uccisione di Pio La Torre e del suo amico Rosario Di Salvo il 30 aprile 1982 – mi è capitato di leggere commenti sulla matrice dell’assassinio («C’è bisogno della Cia, dei poteri occulti? La mafia è stata: la mafia!!!») che cancellano dalla memoria ciò che ha rappresentato La Torre per il potere e i fili che ha rintracciato per esempio il giudice Falcone nella sua requisitoria sui cosiddetti delitti politici. Sicari di mafia, mandanti di mafia, ma anche un contesto ostile intorno al quale lo stesso Falcone avrebbe voluto approfondire le sue investigazioni e che però il procuratore capo di allora, Piero Giammanco, impedì.

In questi ultimi tempi e in più di un’occasione ho sentito parlare della morte del consigliere istruttore Rocco Chinnici, fatto saltare in aria con un’autobomba il 29 luglio del 1983, con protagonista assoluto di quell’attentato “alla libanese” Giovanni Brusca. Mai una parola sui cugini Salvo, Nino e Ignazio, i baroni mafiosi delle esattorie che finanziavano la corrente andreottiana della Democrazia cristiana siciliana e sui quali Chinnici aveva osato aprire un’inchiesta. I loro nomi sono stati oscurati, accontentiamoci di Brusca. Viene rimosso ogni richiamo a colletti bianchi o neri, a soldi e a banche, a leggi e a legislatori che avevano garantito alle 75 esattorie dei Salvo un aggio che raggiungeva il 10 per cento contro il 3 della media nazionale. Più facile ricordare solo Giovanni Brusca, “u’ Verru”, porco in siciliano. Distrazioni frequenti che valgono anche per gli omicidi del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, per il giudice Cesare Terranova, per Giovanni Falcone. E soprattutto per Paolo Borsellino. Probabilmente quella di via D’Amelio, fra tutte le stragi, è la più subìta da Cosa Nostra.

VIA D’AMELIO

Nella sua ricostruzione ci sono ancora molti pezzi mancanti, sono state acquisite prove di deviazioni istituzionali e non è un caso che la prima istruttoria sul massacro venga ricordata dai pubblici ministeri come «il più grande depistaggio della storia repubblicana». Tutto ciò sembra non avere più una qualche importanza, nella narrazione che ne fa un dilagante neo conformismo, favorito anche – almeno questa è la mia opinione – dal rumore di certe indagini “clamorosissime” che non vedono mai fine o dalle esasperazioni di chi si spinge a dire che, in fin dei conti, dei grandi delitti di mafia nessuno può ritenersi un vero delitto di mafia. Posizioni estreme che non tengono in debita considerazione la natura della Cosa Nostra siciliana, la sua autonomia da altre entità criminali, la capacità che ha sempre avuto di negoziare con lo stato italiano.

Ma mai mi sarei aspettato una campagna “revisionista” come quella di questi ultimi mesi. Con la mafia, per riprendere le parole del presidente della Commissione parlamentare antimafia siciliana Claudio Fava, raccontata come fosse un western, i buoni da una parte, i cattivi dall’altra e in mezzo niente. Diciamo pure che sulla mafia ormai si può scrivere tutto e il contrario di tutto, tanto i Corleonesi dal 41 bis non smentiscono mai.

Di recente ho letto un articolo, di contenuto giornalistico indefinibile, sul primo omicidio che avrebbe commesso Totò Riina. Non era riportata l’identità della vittima né la data del delitto, neanche una vaga indicazione di dove era stato compiuto, senza nome anche il magistrato che aveva svelato il mistero e a quanto pare aperto un’indagine. Una fantastica storia che, testuale, «riaffiora nel giorno in cui morì Maradona». Effetti speciali.

GLI INFLUENCER DELL’ANTIMAFIA

Poi ci sono gli influecer dell’antimafia che non fanno paura alla mafia, poi ancora ci sono i talk show che in un’ora e mezza pretendono di ribaltare trent’anni di processi. È lo stordimento che ci accompagna verso quest’altra celebrazione della strage del 23 maggio e che per il secondo anno consecutivo, a causa del Covid, ci sarà senza le famose “navi della legalità” che approdano ai moli del porto di Palermo. Sempre più stanca la cerimonia dentro l’aula bunker, nel 2020 disertata da molti per i troppi pennacchi e per l’insopportabile retorica. Falcone e Borsellino, Borsellino e Falcone, esibiti come santini, agitati – il copione è il solito – come il bene contro il male. Siamo sempre al western. Ma cos’è diventata la mafia oggi, quale evoluzione ha avuto dopo quel 23 maggio e quel 19 luglio, nessuno ce lo sa o ce lo vuole spiegare. Periodicamente ci offrono in pasto gli avanzi dei Corleonesi, i feroci allevatori dei Nebrodi, qualche malacarne ragusano presentato come Al Capone o l’ultimo vivandiere (sempre “insospettabile”) di Matteo Messina Denaro che intanto continua la sua latitanza. Ma è davvero questa la mafia che comanda quasi trent’anni dopo le stragi, è davvero questa quell’organizzazione potentissima che non ha mai nascosto l’ambizione di essere “classe dirigente”, che muove così ingenti capitali da condizionare politica ed economia? Nei convegni e nei “pensatoi” si parla e si straparla di una mafia stellare (senza però mai fare un nome) e poi però i resoconti quotidiani delle retate ci consegnano l’estorsore beccato con la bottiglia di benzina che dà fuoco al negozio, i disperati dello Zen che si fanno la guerra a colpi di post su Facebook, il boss ultraottantenne spacciato come il futuro che avanza in Cosa Nostra. Si citano a memoria le frasi del giudice Falcone come al catechismo. Una fra le più gettonate: follow the money, segui i soldi. Ma quante indagini sul grande riciclaggio di denaro sono partite negli ultimi anni? Se le contiamo, forse non arrivano alle dita di una mano.

IL «LUOGO DELLE STRAGE»

Cosa è oggi il sistema criminale italiano? È quello dei poteri apertamente illegali o piuttosto quello dei poteri legali che si muovono illegalmente e naturalmente in combutta con le mafie? Chissà, che ne direbbe Falcone se fosse ancora fra noi.

L’ultima volta che sono andato sul «luogo della strage» è stato quattro anni fa, per l’anniversario del quarto di secolo. Sono tornato sul cratere, dove il 23 maggio c’era l’inferno e dove – là sopra, sulla collina – c’è ancora il casotto dell’acquedotto dove Brusca era appostato con il radiocomando. Sotto, da una parte, c’è il giardino della memoria che ha voluto Tina Montinaro, la moglie di Antonio, uno degli angeli custodi di Falcone. Dall’altra parte invece c’è un piccolo villaggio costruito proprio ai margini del cratere, una trentina di villette color pastello attraversate da stradine che portano il nome dei poliziotti e dei magistrati uccisi a Palermo. L’area sulla quale sorge il villaggio faceva parte di un’operazione immobiliare citata nella relazione prefettizia che, nel 2012, ha portato allo scioglimento per mafia del comune di Isola delle Femmine. Fra un incrocio e l’altro gli operai del gas hanno sistemato una centrale per la distribuzione del metano, un parallelepipedo di acciaio con un’avvertenza bene in vista: «Area in cui può formarsi un’atmosfera esplosiva». Molto sinistro.

Il «luogo della strage» è a qualche passo e non è in territorio di Capaci come sempre scriviamo – e per primo io – ma in territorio di Isola delle Femmine. In alcuni atti ufficiali, dopo ventinove anni, non viene più neanche richiamata la località dove Falcone è stato assassinato. Un’altra piccola rimozione. È Capaci, per tutti. Qualcuno obietterà che è un dettaglio irrilevante. MA COSA C’È DI IRRILEVANTE IN FONDO A QUEL CRATERE?

*( Attilio Bolzoni da Domani)

 

06 – IL CONFLITTO TRA ISRAELE E PALESTINA, VISTO DAI SOCIAL NETWORK. DA INSTAGRAM A TWITTER, PASSANDO PER SNAPCHAT E TIKTOK, OGGI LE INFORMAZIONI SUL CONFLITTO IN ISRAELE ARRIVANO DAI SOCIAL NETWORK. LA GUERRA IN ISRAELE SUI SOCIAL – SNAPCHAT

La Prima e la Seconda guerra mondiale vennero annunciate attraverso titoli a nove colonne sui quotidiani dell’epoca. Le notizie sulla guerra del Golfo e sui conflitti in ex Jugoslavia si sono diffuse con delle immagini in diretta televisiva. Oggi, sono i social network a raccontare ciò che sta succedendo in Israele. Mentre i combattimenti tra soldati israeliani e militanti palestinesi sembrano finalmente vicini a una tregua, Instagram, Twitter e persino TikTok e Snapchat sono diventati il punto di riferimento per chi vuole informarsi sul conflitto. Con la giusta accortezza e prestando attenzione a fake news e alla data dei video online, i social network sono un utile strumento per restare aggiornati sulla situazione in Israele.

Fra i social network da seguire durante il conflitto israeliano si è fatto notare Snapchat grazie ad aggiornamenti costanti e in diretta. In particolare la sezione Snap Map, che attraverso una mappa interattiva permette di visualizzare le storie postate nella location prescelta, ha reso possibile osservare da vicino la vita quotidiana nei luoghi del conflitto. Selezionando sulla cartina la città di Gaza ad esempio, è possibile con un click osservare i palazzi distrutti dai razzi israeliani nei giorni di guerriglia. Eppure basta sfogliare la storia successiva o spostare l’icona sulla mappa di qualche centimetro per vedere cittadini palestinesi intenti a bere tè in un bar oppure un utente mettere in mostra il proprio gatto. La varietà dei post può sembrare inappropriata all’inizio, ma finora non era mai stato possibile scoprire come procede la routine dei normali cittadini durante un conflitto.

Allargando Snap Map fino a Tel Aviv, ecco le stories dei cittadini israeliani: qui la guerra sembra meno in primo piano e aumentano i video di serate all’aperto o di ritrovi in spiaggia. Il sistema di localizzazione di Snapchat permette di accertarsi che i filmati provengano realmente da quella zona e che non siano del passato.

Instagram e Twitter in Israele

Sugli altri social network più famosi, sono gli hashtag a svolgere un ruolo informativo. Se quelli più utilizzati e generici come #GazaUnderAttak e #Israel possono essere popolati soprattutto da materiale proveniente dall’estero, gli hashtag in lingua ebraica o araba offrono una visione maggiormente localizzata delle vicende di Gaza. Costantemente in tendenza negli ultimi giorni nel mondo arabo è فلسطين_تنتصر, ovvero “Palestina vittoriosa”: in mezzo ai contenuti di propaganda non è difficile trovare video recenti e scoprire i dettagli della vita a Gaza oggi.

Gli utenti di TikTok, così come quelli di altri siti di social media come Facebook, Instagram e Twitter, stanno usando l’hashtag #SaveSheikhJarrah per raccontare le vicende del quartiere palestinese di Gerusalemme. Inoltre sono alcuni canali verificati a dettare le tendenze locali sui social: un video condiviso dal politico israeliano Ayman Odeh in cui si vedono cittadini con la kippah esultare per un incendio vicino la moschea di Al-Aqsa è stato visto 14 milioni di volte. Quello postato dal canale Muslim su TikTok che mostra l’inizio dei bombardamenti a Gaza ha raggiunto la cifra record di 40 milioni di view.

È importante seguire giornalisti verificati e account contro le fake news che provano a fare chiarezza su quanto succede in Israele. Fra questi spicca Fake Repoter, che quotidianamente si impegna a smascherare le notizie false e a indicare quali account social non sono attendibili. Anche in questo caso la lingua utilizzata è l’ebraico ma grazie alle traduzioni automatiche offerte dai browser e dagli stessi social network non è difficile comprendere i messaggi. Proprio per la gravità di un avvenimento come la guerra, anche una semplice navigazione sui social richiede attenzione e la volontà di risalire ai fatti originali e verificati. Non un semplice scrolling quindi, ma un utilizzo più maturo e consapevole dei social network, così da rendere queste innovazioni uno strumento utile e divulgativo per osservare e provare a capire i conflitti nell’era di internet.

 

07 – Andrea Capocci*: AL G20 SULLA SALUTE SOLO DICHIARAZIONI E NESSUN IMPEGNO. VAX PENSIERO. DRAGHI APRE ALLA MORATORIA SUI BREVETTI, CON USA, FRANCIA E CINA. MA L’UE, SU DIKTAT TEDESCO, RIMANE CONTRARIA.

Alla fine dalla Dichiarazione di Roma arriva un generico sostegno ai paesi poveri.

Mentre i singoli governi promettono dosi per il programma Covax

Anche se Mario Draghi e Ursula Von der Leyen hanno parlato di un «vero successo», il Summit Globale sulla Salute del G20 che si è concluso ieri a Roma non ha prodotto la svolta che molti attendevano.

Le 5 pagine della Dichiarazione di Roma approvata dai partecipanti alla fine dell’incontro elencano sedici dichiarazioni di intenti, ma ben poche decisioni concrete.

Nel documento si promuove «il sostegno e il potenziamento dell’architettura sanitaria multilaterale» e la «promozione del sistema del commercio multilaterale (con un ruolo centrale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio)».

Si sostiene l’intenzione di «attivare un accesso equo, sostenibile, tempestivo e globale a strumenti di prevenzione, rilevamento e di risposta di alta qualità» e si promette di «supportare i paesi a basso e medio reddito nella costruzione di competenze e capacità produttive locali e regionali» sul piano dell’industria farmaceutica. Ma non ci sono impegni concreti e verificabili.

Per esempio, non c’è una posizione comune sulla moratoria sui brevetti dei vaccini.

Intervenendo in video-conferenza, con qualche problema tecnico e gli ormai classici «Non la sentiamo», i Paesi si sono divisi come previsto.

USA, CINA, FRANCIA sono favorevoli a considerare la sospensione temporanea dei brevetti. Con loro, un po’ a sorpresa e con qualche timidezza, si è schierato lo stesso Mario Draghi: «L’Italia è aperta a questa idea in modo mirato, limitato nel tempo e che non metta a repentaglio l’incentivo a innovare per le aziende farmaceutiche» ha detto. Poi si è bacchettato da solo: «So che Ursula ha un’altra idea, che è anch’essa molto innovativa e che – in prospettiva – è più realistica».

LA PRESIDENTE della Commissione Europea von der Leyen, infatti, rimane sulla posizione del partner più forte, la Germania. Merkel al vertice ha ribadito che l’aumento della produzione di vaccini deve avvenire attraverso «licenze volontarie», cioè accordi tra aziende secondo le consuete regole del mercato.

E LA POSIZIONE DELL’UE NON SI DISCOSTA MOLTO.

All’Organizzazione Mondiale del Commercio all’inizio di giugno, Von der Leyen intende presentare una proposta europea che non tocchi le regole. «La nostra proposta lavora su tre assi» ha detto in conferenza stampa: «Facilitazioni al commercio e regole sulle esportazioni, supporto per la produzione, facilitazioni per le licenze obbligatorie», cioè deroghe ai brevetti decise da singoli paesi secondo le clausole già previste dal Wto.

Ma le licenze obbligatorie, secondo India e Sudafrica, sono inapplicabili perché richiedono procedure lunghe e complicate. Dalla loro istituzione sono state usate solo una volta, dal Ruanda nel 2007 per importare farmaci anti-Hiv dal Canada. E quella volta ci sono voluti due anni.

ALLA FINE GLI UNICI impegni concreti sono arrivati dai singoli governi e dalle aziende.

La Cina ha annunciato aiuti di tre miliardi di dollari in tre anni per i paesi in via di sviluppo. Il presidente francese Macron ha messo sul piatto 30 milioni di euro per il programma Covax dell’Oms, che fornisce vaccini ai paesi poveri. Draghi ne ha promessi addirittura 300, ma per ora ne erogherà solo 86 a Covax più 30 a progetti multilaterali.

«L’obiettivo del summit è garantire 100 milioni di dosi ai paesi a basso e medio reddito entro il 2021» ha detto von der Leyen. È una goccia nel mare: di dosi ne servono 5 o 10 miliardi, e in ogni caso nemmeno quell’impegno minimo è stato messo nero su bianco nella dichiarazione conclusiva.

DAL CANTO LORO, Pfizer, Moderna e AstraZeneca hanno promesso 1,3 miliardi di dosi disponibili a prezzo di costo per il 2021, più altri 2 miliardi per l’anno successivo.

Ma se i 20 Grandi si siedono a un tavolo è per riscrivere le regole del gioco e trovare soluzioni comuni, non per raccogliere offerte volontarie.

«Siamo di fronte a una dichiarazione deludente, che non ha raccolto nulla di quello che veniva avanzato da India e Sudafrica, dalla società civile, da 170 premi Nobel e persino dagli Usa» è il parere di Vittorio Agnoletto, portavoce italiano della campagna europea “Nessun profitto sulla pandemia”. «La carità e l’elemosina non possono sostituire i diritti e la giustizia. È lo stesso modello utilizzato 20 anni fa per l’Hiv: di fronte alla richiesta di superare i brevetti, si diede vita al Fondo globale per Aids, Tbc e malaria che funziona come Covax. La logica non è cambiata».

Anche l’apertura di Draghi è un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda di chi lo guarda.

«Una presa di posizione importante» secondo la deputata M5S Angela Lanaro promotrice della mozione parlamentare che, a larghissima maggioranza, ha impegnato il governo a sostenere la moratoria. «Le timide dichiarazioni di Draghi devono trasformarsi in azione politica» osserva più diffidente Agnoletto. «Il primo banco di prova è il Consiglio europeo del 24 maggio, che dovrà definire la posizione che l’Ue porterà al Wto a giugno. Lì la posizione di Draghi dovrà concretizzarsi».

*( Andrea Capocci da Il Manifesto)

 

08 – Pierluigi Ciocca*:  I RISCHI PER L’ITALIA DELLA POLITICA ECONOMICA DI BIDEN. STATI UNITI E EUROPA. AUTOREVOLI VOCI CRITICHE SU UN POSSIBILE RIMBALZO DEI TASSI DI INTERESSE, FERMI DA 10 ANNI, DOPO LA RECENTE ACCELERAZIONE DEI PREZZI AL CONSUMO (+4,2%) E DEL RENDIMENTO DEI TITOLI

Negli Stati uniti recessione da pandemia e aspre tensioni sociali hanno provocato un disorientamento con possibili, pesanti ripercussioni sul resto del mondo. Ne è scaturita la politica di bilancio oltremodo espansiva che l’amministrazione Biden ha avviato non appena insediata, all’inizio dell’anno.

Nel 2020 il Pil degli Usa era diminuito (-3,5%) più che nelle precedenti recessioni postbelliche, ma meno che nell’insieme delle economie avanzate (-4,7%). L’amministrazione Trump era ricorsa in minor misura di altri paesi alla chiusura delle attività produttive, al prezzo di un più alto numero di contagi e di decessi da pandemia. Aveva anche improvvisato una pioggia di aiuti pubblici, tale da accrescere del 6% nell’intero 2020 il reddito reale disponibile dei cittadini, l’aumento più alto dal 1984.

I bassi tassi d’interesse avevano contribuito a sostenere la domanda di beni di consumo durevoli (+12% nell’anno) e gli investimenti in costruzioni residenziali (+14% nell’anno).

Dopo la caduta del prodotto, fra il primo e il secondo trimestre, nella seconda parte del 2020 l’economia era già in netta ripresa. Influivano anche le notizie sulla produzione dei vaccini, opportunamente sollecitata e finanziata dallo Stato, e sulla loro rapida distribuzione.

L’aumento degli occupati e il calo del tasso di disoccupazione (al 6% della forza-lavoro nel marzo del 2021) inducevano il governo Biden a considerare la riapertura all’immigrazione dal Sud, dopo la chiusura attuata dal governo Trump, assurda anche perché attuata quando si registravano scarsità di lavoro e piena occupazione negli Stati uniti.

Nonostante il rimbalzo dell’economia, la banca centrale continuava a largheggiare nella creazione della liquidità (+10% l’anno nel decennio precedente). Più che sostenere gli investimenti, essa alimentava la speculazione al rialzo in borsa e indeboliva il dollaro.

Soprattutto, sulla scia dei 900 miliardi di dollari di spesa pubblica (4% del Pil) deliberati dall’amministrazione Trump, il governo Biden stanziava altri «ristori» dell’ordine di 1,9 trilioni (9% del Pil).

Vi si aggiungeranno gli investimenti pubblici in infrastrutture previsti dall’American Jobs Plan per 2,2 trilioni, da devolvere in otto anni (1,5% del Pil all’anno, in media) alle gravi carenze nei trasporti, utilities, scuole, ospedali, ricerca. A fine aprile Biden prospettava un ulteriore piano di sostegni alle famiglie di 1,8 trilioni.

Il complesso degli interventi si aggirerebbe nel tempo sui 7 trilioni di dollari: una cifra smodata, pari a circa un terzo dell’attuale Pil.

Pur essendo il moltiplicatore dei trasferimenti notevolmente inferiore a quello degli investimenti, è molto forte la spinta che il volume della spesa pubblica messa in campo e di quella programmata eserciterà sulla domanda globale e sulle aspettative in una economia già in espansione.

Alcune, isolate ma autorevoli, voci critiche hanno prontamente denunciato il rischio che si riaccenda l’inflazione e si inneschi un rimbalzo dei tassi dell’interesse, da oltre un decennio attestati su minimi storici in termini nominali (cfr. L.H. Summers, The Biden stimulus is admirably ambitious. But it brings some risks too, in The Washington Post, 5 febbraio 2021). La concretezza del rischio ha trovato riscontro nell’accelerazione dei prezzi al consumo (al 4,2% in aprile, rispetto a poco più dell’1% nei mesi precedenti) e nel rialzo del rendimento dei titoli pubblici a lunga scadenza (salito dall’1,4 al 2,5%).

Al di là dei possibili errori dei suoi economisti e della subalternità della Fed, il governo Biden ha scelto di correre una simile alea, e di farla correre al mondo intero, evidentemente perché conscio della fragile condizione della società civile americana.

La decisione sarebbe, quindi, squisitamente politica. In particolare, gli aiuti pubblici agli strati meno abbienti e alla frustrata borghesia piccolo-media – ai bianchi non ispanici e non laureati – sono volti a tenere incollati i cocci di un paese sull’orlo della disgregazione, del rifiuto della democrazia, della guerra civile.

Sarà sufficiente? L’intenzione di coprire almeno una parte delle crescenti uscite di bilancio con tassazione progressiva – come auspicato dal Ministro del Tesoro, Janet Yellen – è, più che lodevole, necessitata. Ma dovrà trasformarsi in fatti.

L’evasione ed elusione delle imposte, segnatamente da parte delle maggiori imprese, è ingente. Le difficoltà sono di piena evidenza: risicata maggioranza democratica in Parlamento; freddezza di una parte dei bianchi poveri persino di fronte a misure a loro favore, se estese a neri e ispanici; un programma pluriennale poco credibile, perché ambizioso e demagogico.

Le difficoltà si innestano sulle debolezze strutturali di quella che era, prima del sorpasso cinese, la maggiore economia del mondo: diseguaglianza elevata e crescente, dinamica della produttività, bassa propensione familiare al risparmio, pluridecennale disavanzo di bilancia dei pagamenti, alto debito pubblico, cronica posizione passiva del Paese verso l’estero (60% del Pil), segnatamente nei confronti di Giappone, Cina, Germania.

Se dagli squilibri e dalle scelte degli Stati uniti emergesse una rinnovata tendenza al rialzo dei tassi d’interesse internazionali le conseguenze sarebbero oltremodo pesanti per l’economia italiana, impegnata in un arduo Piano di rilancio dopo un quarto di secolo di ristagno, con un debito pubblico che già travalica il picco storico (160% del prodotto) toccato dopo la prima guerra mondiale.

*(Pierluigi Ciocca è un banchiere ed economista italiano. Pierluigi Ciocca è stato vicedirettore generale della Banca d’Italia dal 1995 al 2006)

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