N° 18 – 1° Maggio 2021 – RASSEGNA DI NEWS NAZIONALI E INTERNAZIONALI. NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO

00 – Roberto Ciccarelli*: Primo Maggio, rendere visibili gli invisibili nella convergenza delle lotte. Il primo maggio c’è. A Milano, Bologna, Roma e in altre città in piazza movimenti, sindacati e auto-organizzati.

01 – Alberto Cavaglion*:  Perché ha ancora senso spiegare la Resistenza ai nostri figli

Nel 2005, quando pubblicai la prima edizione de La Resistenza spiegata a mia figlia, il dibattito sulla lotta partigiana procedeva per schieramenti rigidi.

02 – Segreteria Deputate PD Estero*: deputate pd estero: emanata l’ordinanza per la vaccinazione degli iscritti aire temporaneamente in Italia. Accolte le nostre sistematiche richieste, 24 aprile 2021

03 – La Marca (Pd): ho presentato in commissione esteri la mia risoluzione sui consoli onorari

04 – Schirò (Pd) – proroga del rem fino al 31 maggio: ecco le regole. Nuova proroga per il rem, reddito di emergenza. 29 aprile 2021.

05 – Alfiero Grandi. Il 25 aprile, la Costituzione e la legge elettorale. La lotta di Liberazione dal nazifascismo è stata la preparazione della democrazia in Italia dopo la dittatura e la guerra e da quell’impegno comune delle forze culturali e politiche fondamentali è nata la nostra Costituzione della Repubblica. Il 25 aprile è il ricordo della drammatica ma vittoriosa svolta storica che ha portato la democrazia in Italia.

06 – Annamaria Testa*: Come far uscire il nostro cervello dall’età della pietra. “Dai vaccini alle nuove tecnologie, il futuro ci obbligherà a fare scelte difficili, a partire da un’accorta valutazione dei rischi.

07 – Valentino Parlato*: Contro il capitale. 1° maggio. I problemi aperti dalla crisi del capitalismo, la stessa disoccupazione e la crescita enorme della popolazione inattiva si possono superare solo liberando la società da questo lavoro, che è il riflesso speculare, ma imposto con l’oppressione, del meccanismo di produzione e riproduzione del capitalismo.

 

00 – Roberto Ciccarelli*: PRIMO MAGGIO, RENDERE VISIBILI GLI INVISIBILI NELLA CONVERGENZA DELLE LOTTE. IL PRIMO MAGGIO C’È. A MILANO, BOLOGNA, ROMA E IN ALTRE CITTÀ IN PIAZZA MOVIMENTI, SINDACATI E AUTO-ORGANIZZATI. DAL POMERIGGIO IN TUTTO IL PAESE SFILA UN’AMPIA E ETEROGENEA RAPPRESENTANZA DI UN QUINTO STATO ANCORA FRAMMENTATO. E’ LA FESTA PROGRAMMATICA DI CHI, AL DI LÀ DELLE VERTENZE SETTORIALI, CERCA UNA RIVENDICAZIONE COMUNE COME IL REDDITO DI BASE E LE POLITICHE PER SUPERARE LA PRECARIETÀ

L’altro primo maggio manifesta in piazza nel pomeriggio di oggi a Milano, Bologna, Roma e in altre città. Lungo la penisola si snoderà un serpentone composto da movimenti, associazioni e sindacati di base e molte realtà dell’auto-organizzazione e del mutuo soccorso. Sono reti nate nel corso dei quindici mesi della pandemia del Covid, la risposta solidale alla catastrofe causata dal crollo della medicina territoriale e del Welfare taglieggiato da anni di austerità neoliberale.

CIASCUNA di queste piazze, nella sua singolarità, ha raccolto l’adesione di un ampio numero di realtà organizzate. Ciascuno a suo modo rappresenta un modello possibile di convergenza delle lotte nonostante il «congelamento» elle mobilitazioni imposto dal contenimento del virus. «Convergenza»: questo concetto è riemerso con una certa forza durante le mobilitazioni del 26 e 27 marzo scorsi quando lo sciopero dei rider per ottenere il contratto nazionale delle logistica, e il riconoscimento dello status di lavoratori subordinati, si è intrecciato con le manifestazioni della scuola, con lo sciopero dei trasporti pubblici locali, quello dei lavoratori della logistica e dello spettacolo. Dopo l’occupazione a Roma del Globe Theatre e la manifestazione dei «bauli in piazza» a piazza del popolo questi ultimi hanno ottenuto un tavolo interministeriale per la riforma del settore e un reddito di continuità per la categoria. Nelle piazze dell’altro primo maggio oggi si conta di riproporre un’analoga composizione sociale.

A BOLOGNA, dalle 16 in piazza del Nettuno, all’appello dei rider alla convergenza delle lotte rilanciato da Labas e Tpo hanno risposto, realtà di movimento, le brigate di mutuo soccorso, le staffette partigiani del laboratorio di salute popolare, Arci, una delegazione Fiom, Adl Cobas, lavoratori dello spettacolo e operatori del sociale, gli universitari di Saperi Naviganti e Ababo dell’accademia . «Riprendiamo l’idea della convergenza delle lotte che si auto-organizzano contro la gestione fallimentare della pandemia, contro l’impoverimento che stiamo vivendo e contro i tentativi di fomentare la guerra tra i poveri da varie realtà e pezzi del governo con la Lega» dice Stefano Re (Rub e Adl Cobas). Alle 10 in piazza Gavinelli ci sarà una manifestazione indetta tra gli altri da Sgb, Usi-Cit, Cobas e Unione Inquilini. Alle 10 in Piazza dell’Unità a Bologna l’Unione sindacale di Base (Usb) festeggia il primo maggio. In città ci sono state polemiche contro una manifestazione, in odore di estrema destra. Si svolgerà in periferia.

A MILANO l’appuntamento è a Largo Cairoli dalle 14,30. Una quindicina gli organizzatori: tra gli altri, Non una di meno, i lavoratori dello spettacolo, Cantiere, Lume, la Camera del non lavoro e la brigata Lena Modotti, i sindacati Usb,S.I. Adl ,Sial e Slai Cobas, Usi e Cub, i partiti comunisti (Rifondazione, partito comunista dei lavoratori e partito comunista). I rider parteciperanno con una delegazione. Nei giorni scorsi Deliverance Milano ha denunciato il dimezzamento delle paghe dei ciclo-fattorini di Glovo. «Con la scusa dell’implementazione del sistema di calcolo delle paghe» si mette «di nuovo mano alle tasche dei lavoratori, andando a ridurre del 50 per cento i guadagni dei rider per una singola consegna». Ieri l’azienda ha risposto che l’operazione è semplicemente per «rendere più congruo il calcolo dei percorsi tra chi si muove in bici e chi in scooter o macchina» dato che «finora venivano utilizzati i dati di Google Maps settati sulle auto». «I conti non tornano -risponde Angelo Avelli di Deliverance Milano – Stiamo raccogliendo gli screenshot rispetto al fatto che le paghe si sono abbassate. La risposta sarà mobilitazione, non aspetteremo che loro facciano bene i calcoli». Su Just Eat cheha riconosciuto il contratto della logistica ai rider a Il Manifesto sono arrivate segnalazioni su molte difficoltà nella transizione da Just Eat Takeaway a Takeaway express. Chi lavora già per l’azienda sta riscontrando la difficoltà di fare rispettare il diritto di precedenza. «Entro il 30 maggio possono comunicare all’azienda la loro disponibilità e che stanno aspettando l’offerta del contratto di lavoro. Da questo punto di vista l’accordo è vincolante. Il 5 maggio ci sarà un tavolo dove verificheremo questi problemi» risponde Avelli.

 A ROMA il primo maggio è stato chiamato «la festa di Nessuno». «Nessuno» perché è il nome degli invisibili che tengono in piedi questo paese e non sono nemmeno nominati. Inizierà a Piazza delle Gardenie alle 16. La manifestazione è promossa da collettivo Gastronomia operaia che organizza i lavoratori della ristorazione di Centocelle in nero, in grigio o in bianco, esclusi come tanti altri dai «ristori» e dai «bonus»». Tra gli altri ci saranno Usb Roma, Slang-Sindacato Lavoratori di Nuova Generazione, Coordinamento dei Lavoratori Autoconvocati, Lavoratori delle Cooperative, Logistica Lavoratori Amazon e E-Commerce assieme alle reti politiche di Cambiare Rotta e della Casa del Popolo Roma Sud Est. una “biciclettata” precaria, che vede anche la partecipazione del movimento Fridays For Future e che partirà alle ore 10 da piazza nei Sanniti. «È la festa di chi al di là delle vertenze settoriali cerca una rivendicazione comune come il reddito di base e chiede misure adeguate contro la precarietà» dice Tiziano Trobia (Clap)

(Roberto Ciccarelli*, filosofo, blogger e giornalista, scrive per «Il manifesto».)

 

01 – Alberto Cavaglion*:  PERCHÉ HA ANCORA SENSO SPIEGARE LA RESISTENZA AI NOSTRI FIGLI – NEL 2005, QUANDO PUBBLICAI LA PRIMA EDIZIONE DE LA RESISTENZA SPIEGATA A MIA FIGLIA, IL DIBATTITO SULLA LOTTA PARTIGIANA PROCEDEVA PER SCHIERAMENTI RIGIDI.

Mi ero messo a scrivere per alleviare la tristezza: soffrivo nel vedere affievolirsi il significato di una festa gioiosa come il 25 aprile, oscurato dal peso dolente del 27 gennaio. Per gli studi che ho svolto, spiegare la Shoah a mia figlia sarebbe stato più comodo. Nei giorni successivi all’uscita del libro, la vanità che alberga in ogni autore fu appagata dalla voce squillante di Margherita, una compagna di scuola di mia figlia, che mi lesse al telefono la scheda uscita su Metro, il giornalino distribuito gratis nelle stazioni ferroviarie: «In questi giorni di overdose di documentari sui 60 anni dal 25 aprile cade l’occhio su un libretto di Alberto Cavaglion, 49 anni, che tenta una missione impossibile: raccontare a sua figlia Elisa, 16 anni, generazione “non so chi è Badoglio”, la Resistenza. Lo sforzo è di riassumere per blocchi (fu davvero guerra civile? quale significato dare alla violenza?) tenendo presente il filo storico dopo un mare magnum di letture e contro letture (da Bocca a Pansa) sul tema. Fare il punto non significa non avere un punto di vista etico-morale. Una lettura dietetica: si esce dal centinaio di pagine senza il senso di aver ingurgitato chili di panna montata».

 

AUTOCRITICA DI UNA GENERAZIONE

Quel consiglio “dietetico” mi sentirei di ripeterlo adesso. Fa parte della dieta il nutrimento offerto da grandi scrittori che hanno raccontato la Liberazione (Beppe Fenoglio, Italo Calvino, soprattutto Luigi Meneghello), ma una parte importante spetta ai libri di famiglia. La Resistenza spiegata a mia figlia doveva tantissimo alla Resistenza narratami da mio padre, che fu tra i 12 giovani a seguire Duccio Galimberti alla Madonna del Colletto il 12 settembre 1943.

Tutto cambia e la mia generazione, in termini di trasmissione della memoria, ha il dovere di portare a termine un sano esercizio di autocritica. Molte cose sono cambiate rispetto al 2005. Il primo consiglio “dietetico” che vorrei dare è di guardare alla lezione delle cose. Meglio non fidarsi troppo di parole impegnative come Resistenza quando sono accompagnate da un aggettivo qualificativo, sia pure suggestivo. Gli allargamenti terminologici sono quasi sempre concepiti allo scopo di rendere esteso ciò che invece è giusto rimanga piccolo: le piccole virtù, le minoranze virtuose, “i piccoli maestri” direbbe Meneghello. Togliendo il superfluo si arriva alla sostanza. Vere e proprie nebulose appaiono coppie di parole, che sono andate per la maggiore: Resistenza tradita, Resistenza mancata, Resistenza taciuta, Resistenza passiva, Resistenza disarmata, Resistenza legittimata (o delegittimata). Lo stesso esercizio si può fare con antifascismo: antifascismo militante, antifascismo difensivo, antifascismo esistenziale. Può darsi un antifascismo che non sia esistenziale? La Resistenza è o non è. Se non medita di attaccare l’avversario cessa di essere sé stessa.

 

RESISTENZA DISARMATA

Negli ultimi anni molta attenzione è stata riservata alla “Resistenza disarmata”. E questo è sicuramente un bene, anche se la storia militare – sia pure una storia militare sui generis come quella di cui stiamo parlando – non può essere un dettaglio. Sulle armi bisogna intendersi subito. Non averle è molto rischioso, ma sono fin dall’inizio scarse. Sono poche, non funzionano affatto o molti partigiani non sono capaci di farle funzionare. Si cerca di prenderle nelle caserme abbandonate dopo l’8 settembre, ma i risultati non sono affatto soddisfacenti. Mancano i pezzi di artiglieria, i ricambi, manca specialmente chi sappia insegnare ad usarle.

 

Roberto Battaglia, prima di salire in Umbria con i partigiani, ha lasciato sul tavolo le bozze di una sua monografia sul Bernini, non sa neanche come si impugna una pistola. Appena arrivato in Valle d’Aosta a Brusson, Primo Levi contempla allibito l’arma che gli viene data: gli sembra quella che le contesse adoperano nei film. Si cerca di sottrarre armi ai tedeschi, ai repubblichini, ma per tutto il periodo del conflitto, il problema delle armi è, innanzitutto, quello della loro mancanza. I lanci degli alleati tardano ad arrivare, nel primo inverno sono rarissimi, spesso hanno per destinatari soltanto i partigiani monarchici, i badogliani e questo genera risentimenti. Le cose migliorano alla fine del secondo inverno quando i rifornimenti diventano più consistenti, ma la questione delle munizioni rimane una tragedia irrisolta fino alla fine. Disarmata, spesso, la Resistenza è per dura necessità.

 

ZONE D’OMBRA

Si potrebbe continuare a lungo nel gioco degli aggettivi inutili. Anche il concetto di Resistenza ebraica va sottoposto a un’analisi critica, come ha fatto di recente Daniele Susini nella sua bella sintesi (Donzelli). Le difformità, per l’Italia, sono doppiamente vistose per la ragione che la Resistenza non è comparabile con altre realtà europee: in primo luogo perché nasce tardi, sull’onda di una sconfitta militare; in secondo luogo perché le divisioni politiche, già prima che il fascismo prendesse il potere, erano profonde e non saranno superate durante i mesi della clandestinità (per poi riesplodere in forma acuta nel dopoguerra).

Diventa ogni giorno più urgente riconoscere il problema della (relativa) lentezza del processo di acquisizione di una consapevolezza politica da parte di maggioranza e minoranze; andrà prima o poi analizzato anche il problema del rapporto fra i partigiani (quale che fosse il loro orientamento) e le leggi razziali del 1938: si ha l’impressione che il dramma dell’antisemitismo sia stato sottovalutato: altre colpe del regime apparivano più gravi. In certe realtà dove la Resistenza sorse in modo particolarmente disordinatosi diedero anche esempi di vessazioni contro famiglie, donne e anziani, che avevano trovato asilo nelle stesse baite dove si formavano le prime bande partigiane. La sventurata storia delle prime settimane autunnali in Valle d’Ayas a Brusson, dove la formazione partigiana di Gl cui aveva aderito Primo Levi ebbe a scontrarsi con altre formazioni prive di scrupoli, ha svelato zone d’ombra e contraddizioni che rivelano l’importanza, direi l’urgenza, di una ricostruzione meno frettolosa e semplicistica di quelle che si sono lette.

Altri elementi di possibile fraintendimento erano già stati messi in evidenza dai diari che ci hanno lasciato figure molto rappresentative. Avevano compreso i rischi connessi alla celebrazione retorica, all’iconografia mitologica: «Può essere che in futuro questo mio spregiudicato e pessimistico diario possa fare cattiva impressione: si dirà che io, arrampicandomi per la montagna mi fermavo a osservare sterpi e sassi – i brutti episodi son numerosi – e non guardavo la vetta e il paesaggio. Errore, errore. Se non vedessi la vetta e il paesaggio non farei la dura salita; ma per timor di retorica preferisco tacere gli alti ideali». Così scriveva Emanuele Artom, prima di essere torturato e ucciso nel 1944. Nel suo diario invitava a raccontare anche le cose sgradevoli, «perché fra qualche decennio una nuova rettorica patriottarda o pseudo-liberale non venga a esaltare le formazioni dei purissimi eroi; siamo quello che siamo: un complesso di individui, in parte disinteressati e in buona fede, in parte arrivisti politici, in parte soldati sbandati che temono la deportazione in Germania». Se Artom fosse stato ascoltato il caso-Pansa sarebbe evaporato al sole del 25 aprile in un istante. Un’idea di Resistenza che trae la sua forza dal disincanto dei piccoli maestri che cercano dentro se stessi la ragione della menzogna di cui sono stati vittime è quella che in futuro potrà esserci più utile.

Scrive sempre Artom: «Il fascismo non è una tegola cadutaci per caso sulla testa; è un effetto della a-politicità e quindi della immoralità del popolo italiano. Se non ci facciamo una coscienza politica non sapremo governarci e un popolo che non sa governarsi cade necessariamente sotto il dominio straniero o sotto una dittatura».

*(Alberto Cavaglion (Cuneo, 24 aprile 1956) è uno storico e docente italiano, da DOMANI)

 

02 – Segreteria Deputate PD Estero*: DEPUTATE PD ESTERO: EMANATA L’ORDINANZA PER LA VACCINAZIONE DEGLI ISCRITTI AIRE TEMPORANEAMENTE IN ITALIA. ACCOLTE LE NOSTRE SISTEMATICHE RICHIESTE, 24 APRILE 2021

 

Il Commissario straordinario per l’emergenza epidemiologica e per l’attuazione del piano vaccinale, Gen. Francesco Paolo Figliuolo, ha emesso oggi l’ordinanza di ammissione alle vaccinazioni degli iscritti AIRE temporaneamente in Italia, che in queste settimane abbiamo sistematicamente sollecitato, sia con atti parlamentari che con contatti diretti.

La stessa ordinanza, proprio due giorni fa, ci era stata confermata in risposta a una nostra ennesima sollecitazione a riguardo.

Esprimiamo la nostra sincera soddisfazione per questo atto di giustizia e di solidarietà, che è anche utile al positivo svolgimento della campagna vaccinale in quanto non lascia pericolosi varchi aperti nell’indispensabile piano di vaccinazioni.

Da una prima lettura dell’ordinanza sembra che sia stata accolta anche la nostra seconda sollecitazione, quella di semplificare le procedure in modo che la richiesta e l’effettiva vaccinazione non diventino un ennesimo calvario burocratico per gli interessati. Infatti, a differenza di altre categorie pure considerate nell’ordinanza, per la verifica dell’iscrizione AIRE sarà consentito da parte degli uffici sanitari l’accesso diretto agli elenchi gestiti dal Ministero degli interni.

Poiché il Ministero delle Finanze, entro cinque giorni dall’emanazione dell’ordinanza, emanerà i criteri operativi dell’applicazione della stessa, ci riserviamo di compiere un’ulteriore verifica nel senso della praticabilità della norma, che ci auguriamo sia la più fluida possibile.

Intanto, diamo atto al Governo di avere prontamente raccolto le sollecitazioni in tal senso e, in particolare, ringraziamo il Ministro Speranza e il Generale Figliuolo per la loro apertura e operosità.

*(Deputate PD Estero: Rip. Nord e Centro America, Francesca La Marca – Rip. Europa, Angela Schirò)

 

03 – LA MARCA (PD): HO PRESENTATO IN COMMISSIONE ESTERI LA MIA RISOLUZIONE SUI CONSOLI ONORARI.

Oggi, 29 aprile, nella commissione Esteri della Camera, ho illustrato la risoluzione da me presentata che invita il Governo ad adottare una serie di misure per rafforzare il sostegno alla rete dei consoli onorari.

I nostri connazionali all’estero stanno verificando ogni giorno quanto sia diventato più complicato e difficile ottenere i servizi anche più elementari rivolgendosi ai consolati. I tempi di attesa si stanno dilatando progressivamente, come conseguenza della pandemia, ma anche della carenza di personale e dell’ancora parziale copertura digitale.

Il mio impegno per l’aumento del personale è costante, come dimostra l’emendamento approvato con l’ultima legge di bilancio, a seguito del quale saranno assunti 80 nuovi contrattisti. Intanto, però, ci sono cose che si possono fare senza gravi impegni di spesa per migliorare il rapporto dei connazionali con l’amministrazione. Tra queste un migliore sostegno ai consoli onorari, che prestano gratuitamente il loro servizio a diretto contatto con i nostri cittadini.

 

QUALI LE PROPOSTE?

Incrementare la dotazione di bilancio per i contributi da assegnare, che oggi non supera per tutto il mondo i 200.000 euro; provvedere a nominare i circa 150 consoli e viceconsoli che mancano all’appello; stabilizzare e fluidificare i rapporti con i consolati di riferimento; esaminare la possibilità di spostare il limite d’età dai 70 anni attuali ai 75; ritornare, se praticabile, alla rendicontazione forfettaria; evitare di inviare i contributi negli ultimi giorni dell’anno; estendere la dotazione delle macchinette elettroniche per la rilevazione dei dati biometrici, e altro ancora.

Dopo la discussione in Commissione, il Sottosegretario Della Vedova è intervenuto richiamando l’impegno dell’amministrazione su alcuni punti, ammettendo comunque l’esistenza delle questioni affrontate e dichiarando disponibilità all’ascolto. Prima del voto, ci sarà un’audizione che servirà ad approfondire i problemi.

Per quanto mi riguarda, esprimo soddisfazione per avere richiamato l’attenzione del Parlamento e del Governo su una serie di situazioni strettamente legate al miglioramento dei servizi per i nostri connazionali.

On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D.

Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America

 

04 – SCHIRÒ (PD) – PROROGA DEL REM FINO AL 31 MAGGIO: ECCO LE REGOLE

Nuova proroga per il REM, Reddito di emergenza. 29 aprile 2021.

Ora c’è tempo fino al 31 maggio per fare la domanda per avere accesso alle tre mensilità (marzo, aprile e maggio). Infatti il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, tenuto conto della necessità di garantire un più ampio accesso al Reddito di Emergenza di cui all’articolo 12 del D.L. 22 marzo 2021, n. 41, il cui termine perentorio di presentazione era stato fissato al 30 aprile 2021, ha autorizzato il differimento del termine di presentazione delle domande al 31 maggio 2021.

 

Giova ricordare che con il “Decreto Sostegni” il Governo aveva rinnovato e riconosciuto per altre tre quote relative alle mensilità di marzo, aprile e maggio 2021 il Reddito di emergenza ai nuclei familiari in condizioni di necessità economica in conseguenza dell’emergenza epidemiologica (si ricorderà si tratta di una rete di sostegno universalistico, ancorché temporanea, fortemente voluta dal PD).

Tale beneficio varia ai 400 agli 800 euro mensili a seconda del valore assegnato ad ogni composizione familiare.

Il Rem è subordinato alla residenza in Italia ma a differenza del Reddito di cittadinanza i richiedenti non devono far valere periodi di residenza pregressi (come è oramai tristemente noto ai nostri connazionali, per il diritto al Rdc bisogna far valere 10 anni di residenza in Italia di cui due immediatamente prima della presentazione della domanda: requisito questo che ha escluso praticamente tutti gli iscritti all’Aire che rientrano in Italia).

Quindi gli italiani all’estero iscritti all’Aire i quali in questo periodo sono rientrati in Italia potrebbero usufruire del Rem nel momento in cui riacquisiscono la residenza in Italia. Ribadiamo che il Rem viene concesso a coloro che non possono fruire di altri ammortizzatori sociali e bonus previsti dai vari provvedimenti Covid, rimanendo fuori dalle diverse indennità e ristori.

Il Rem spetterà ai nuclei familiari che soddisfino contestualmente i seguenti requisiti: a) il richiedente deve risultare residente in Italia; b) deve avere un reddito familiare complessivo inferiore all’importo riconosciuto come Rem (importo che varia a seconda del numero dei componenti del nucleo familiare); c) l’Isee del nucleo familiare deve essere inferiore a 15.000 euro; d) un valore del patrimonio mobiliare familiare con riferimento all’anno 2020 inferiore a una soglia di euro 10.000, accresciuta di euro 5.000 per ogni componente successivo al primo e fino ad un massimo di euro 20.000. Tale massimale è incrementato di 5.000 euro in caso di presenza nel nucleo familiare di un componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza; e) non essere titolari di un rapporto di lavoro dipendente la cui retribuzione lorda sia superiore a determinati importi né di rapporto di collaborazione coordinata e continuativa; f) non essere titolari di pensione diretta o indiretta ad eccezione dell’assegno ordinario di invalidità; g) non essere percettori di reddito di cittadinanza.

Il “Decreto Sostegni” ha anche previsto un potenziamento del Rem e cioè l’innalzamento della soglia massima dell’ammontare del beneficio per coloro che vivono in affitto e una garanzia dell’accesso al beneficio anche ai disoccupati che hanno terminato, tra il 1° luglio 2020 e il 28 febbraio 2021, la NASpI o la Dis-Coll e non godono di altri strumenti.

 La nuova norma aveva inizialmente previsto che la domanda per le quote di Rem dovesse essere presentata all’Inps entro il 30 aprile 2021 tramite modello di domanda predisposto dal medesimo Istituto e presentato secondo le modalità stabilite dallo stesso. Ora il Ministero del Lavoro ha prorogato il termine al 31 maggio. Noi come al solito consigliamo di rivolgersi ad un Istituto di Patronato di fiducia o a un Caf, visto anche che si deve utilizzare una complessa procedura telematica disponibile sul sito web dell’Istituto.

Angela Schirò

Deputata PD – Rip. Europa –

Camera dei Deputati

 

 

05- Alfiero Grandi. IL 25 APRILE, LA COSTITUZIONE E LA LEGGE ELETTORALE. LA LOTTA DI LIBERAZIONE DAL NAZIFASCISMO È STATA LA PREPARAZIONE DELLA DEMOCRAZIA IN ITALIA DOPO LA DITTATURA E LA GUERRA E DA QUELL’IMPEGNO COMUNE DELLE FORZE CULTURALI E POLITICHE FONDAMENTALI È NATA LA NOSTRA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA. IL 25 APRILE È IL RICORDO DELLA DRAMMATICA MA VITTORIOSA SVOLTA STORICA CHE HA PORTATO LA DEMOCRAZIA IN ITALIA. Negli ultimi decenni con faciloneria troppi hanno pensato che la Costituzione fosse superata, almeno in alcune sue parti, senza coglierne il disegno unitario e forte che ha fatto della democrazia in Italia un riferimento nel mondo. Non molti anni fa la Costituzione italiana veniva studiata nei paesi che stavano faticosamente conquistando la democrazia politica e sociale, perché la sua originalità è che la democrazia è intesa come un corpo che riguarda non solo il voto ma anche i diritti e la società e rende possibile il cambiamento delle classi dirigenti.

Del resto è proprio questo carattere progressista sul piano sociale che l’ha resa invisa ai centri di potere finanziari internazionali e nazionali che hanno in tutti i modi cercato di consigliarne la revisione per togliere di mezzo gli ostacoli al turbo capitalismo che il corpo di valori della Costituzione ostacola nelle sue dinamiche perverse. Le destre di varia natura hanno da sempre cercato di cambiare la Costituzione perseguendo obiettivi di centralizzazione, di autoritarismo, di potere concentrato nelle mani dei capi, in particolare il presidenzialismo. Colpisce che le sinistre abbiano avuto incertezze e inseguito suggestioni altrui, forse senza rendersi pienamente conto delle conseguenze che ne sarebbero derivate. Oggi siamo ad un punto delicato, continuando a perseguire modifiche della Costituzione la si potrebbe indebolire in modo irreversibile, fino a cambiarne la sostanza di democrazia avanzata anche socialmente. Questo non vuol dire che non siano possibili modifiche in assoluto, ma dovrebbero essere meditate e coerenti con l’essenza del dettato costituzionale, respingendo forzature e derive. Del resto negli ultimi due decenni sono state fatte modifiche che non possono essere valutate positivamente, dal titolo V alla modifica dell’articolo 81.

A questo si collega la questione della legge elettorale, la cui natura è lasciata largamente dalla Costituzione alle decisioni del Parlamento e tuttavia deve rispettarne i princìpi. Da un paio di decenni le leggi elettorali non hanno rispettato i princìpi della Costituzione e sono state via via messe in mora dalla Corte Costituzionale per iniziativa di ricorsi dei cittadini. Anche il Rosatellum approvato nel 2017 ha queste caratteristiche, a partire dalla macroscopica forzatura che obbliga i cittadini a votare in modo congiunto sia per il collegio uninominale che per la circoscrizione proporzionale.  L’elettore/trice ha il diritto di votare come vuole ed è una forzatura presumere che un solo voto possa forzatamente esprimere la sua volontà sia per il collegio che per la circoscrizione, che per di più prevede liste bloccate di candidati. In pratica, chi vota per il collegio uninominale automaticamente vota anche per la lista bloccata della circoscrizione. Inoltre, il Rosatellum nel 2019 è stato modificato in previsione del taglio dei parlamentari dandogli una torsione ancora più maggioritaria e per certi versi erratica. Maggioritaria perché al Senato, secondo i calcoli di Felice Besostri, sono ben 16 i seggi spostati sul maggioritario. Erratica perché ci sono regioni che a parità di abitanti hanno fino al doppio dei seggi in Parlamento di altre e visto che il numero è stato tagliato la differenza è consistente. A giudizio dei principali commentatori questa legge elettorale favorisce le destre, che pure oggi sono divise al punto che alcune sono al governo altre all’opposizione, ma sono prontissime a mettersi insieme per conquistare il potere, sperando nel colpaccio di avere i numeri per modificare da sole la Costituzione.

Questo è il primo punto su cui va richiamata l’attenzione di tutti: va evitata qualunque legge elettorale che metta le modifiche della Costituzione nelle mani di una maggioranza parlamentare, per di più raggiunta con meccanismi maggioritari e quindi senza una corrispondente maggioranza dei consensi. È una questione di fondo: nessuno deve potere cambiare la Costituzione da solo, chi ci ha provato in passato ha sbagliato, chiunque sia.

Il secondo punto è che la maggioranza del Conte 2 si è svegliata sull’esigenza di approvare una nuova legge elettorale quando ormai era troppo tardi perché il governo è andato in crisi pochi giorni dopo. Lasciamo da parte, con fatica, le promesse fatte e non mantenute durante la campagna elettorale referendaria dalla maggioranza dell’epoca di approvare una nuova legge elettorale ad impianto proporzionale, finite nel ridicolo negli stessi giorni in cui il governo Conte 2 ha approvato il decreto attuativo della modifica del 2019. In altre parole, con la mano sinistra si attuava la legge da cambiare mentre con la mano destra si diceva di volerla cambiare, la confusione è stata massima.

Per questo l’Italia ha seriamente rischiato di votare con il Rosatellum modificato su input della Lega durante il governo giallo-verde. La nascita del governo Draghi ha per il momento allontanato il pericolo, ma la legge resta sempre la stessa e ora anche la maggioranza del nuovo governo è attraversata da polemiche, tensioni, scontri. Può essere che non ci sarà crisi, ma resta il fatto che se il governo dovesse andare in crisi perché Salvini tira troppo la corda si potrebbe arrivare a votare in anticipo prima o dopo il semestre bianco. Per questo il Parlamento dovrebbe trovare la forza di approvare al più presto una nuova legge elettorale. In ogni caso, è bene togliere di mezzo l’alibi che tanto una legge in vigore c’è, perché questa ha profili evidenti di incostituzionalità e i comitati di cittadini prenderanno l’iniziativa di sottoporli ai giudici (che la Corte ha recentemente confermato come procedura corretta), con l’obiettivo di arrivare alla Corte costituzionale per chiederne il giudizio. Se si riesce a ottenere una valutazione di incostituzionalità della legge in vigore prima del voto, si costringerà il Parlamento ad approvare una nuova legge elettorale. La nuova legge elettorale deve essere proporzionale, tanto più dopo la diminuzione di un terzo dei parlamentari, e consentire ai cittadini di scegliere direttamente chi eleggere nelle liste presentate dai partiti, senza alcuna forzatura nei meccanismi, lasciandoli liberi di scegliere come primo passo per ricostituire un rapporto di fiducia tra eletti ed elettori.

Basta con la vergogna dei cooptati dall’alto, con scelte decise dai capi senza alcuna possibilità di condizionamento, sono tanti i casi che confermano che è giunto il momento di sanare questa ferita della democrazia, per consentire di aprire una nuova fase di riavvicinamento degli eletti ai propri elettori, per ridare al Parlamento la necessaria centralità, altrimenti la deriva neopresidenzialista e populista verso un personalismo sempre più spinto diventerà inarrestabile.

È ancora possibile evitare una deriva senza ritorno, ma occorre una scelta coraggiosa dei partiti e del parlamento, chiediamola con tutta la forza che abbiamo, cerchiamo di farci ascoltare.

Alfiero Grandi

 

06 – Annamaria Testa*: COME FAR USCIRE IL NOSTRO CERVELLO DALL’ETÀ DELLA PIETRA. “DAI VACCINI ALLE NUOVE TECNOLOGIE, IL FUTURO CI OBBLIGHERÀ A FARE SCELTE DIFFICILI, A PARTIRE DA UN’ACCORTA VALUTAZIONE DEI RISCHI. MA IL NOSTRO CERVELLO DA ETÀ DELLA PIETRA È POCO ATTREZZATO PER COMPIERLE”.

A scrivere tutto ciò è Axios Future, la sintetica newsletter che Axios dedica al racconto delle tendenze più rilevanti.

 

MA CHE SIGNIFICA, PROPRIAMENTE, “CERVELLO DA ETÀ DELLA PIETRA”?

In parole semplici, vuol dire che c’è un disallineamento evolutivo (evolutionary mismatch) tra la complessità che il nostro individuale cervello riesce ad affrontare e a elaborare efficacemente, e la complessità del mondo che la somma degli sforzi dei cervelli dell’intero genere umano ha saputo costruire negli ultimi diecimila anni.

 

DA QUANDO, CIOÈ, ABBIAMO SMESSO DI ESSERE CACCIATORI-RACCOGLITORI.

COME NEL PALEOLITICO

Ecco: circa diecimila anni fa siamo diventati agricoltori stanziali. Per poi inventare (in un batter d’occhio, se pensiamo ai due milioni e mezzo di anni precedenti: l’intero Paleolitico, durante il quale abbiamo solo cacciato e raccolto). Dicevo: per poi inventare le città e la scrittura, le lenti e gli orologi meccanici, la macchina a vapore, i gelati, gli aerei, gli uffici e i grattacieli, i computer, il web e TikTok.

In sostanza, l’evoluzione tecnologica è andata infinitamente più veloce dell’evoluzione organica, che modifica i nostri corpi, cervello compreso, adattandoli alle mutate condizioni ambientali. E che è lenta, lenta, lenta. Questo vuol dire che i cervelli umani contemporanei continuano a funzionare in modo pressoché uguale ai cervelli degli antenati paleolitici.

Ancora oggi assegniamo più volentieri ruoli di comando non solo ai maschi, ma ai maschi più alti della media

Certo, nelle nostre menti oggi c’è un’enorme, ulteriore quantità di cultura, e un’enorme, ormai esagerata quantità di informazione che ci ingegniamo di elaborare. Ma diversi automatismi di base sono rimasti identici a quelli che per due milioni e mezzo di anni hanno efficacemente permesso ai nostri antenati di salvarsi la pelle.

Le conseguenze sono molteplici. Possono, per esempio, riguardare le preferenze alimentari (la passione esagerata per i cibi dolci o grassi è un retaggio dei tempi in cui il cibo era scarso, era reale il rischio di carestia, ed erano preziose le calorie). O possono riguardare il fatto di riuscire a gestire un numero limitato di relazioni sociali (circa 150: la dimensione massima di un gruppo di cacciatori-raccoglitori).

Altre conseguenze sono ancora più curiose: per esempio, gli psicologi evoluzionisti ci dicono che ancora oggi assegniamo più volentieri ruoli di comando non solo ai maschi, ma ai maschi più alti della media, proprio come facevano i nostri antenati. E come fanno tuttora i gorilla.

L’idea, ovviamente, è che all’intero gruppo convenga farsi guidare dal maschio più grosso e prestante, quindi più capace di agitare la clava contro gli aggressori. E di bastonarli ben bene.

In questo contesto, il fatto che a esercitare qualche forma di comando possa oggi essere una donna, e magari una donna dalla struttura fisica minuta, esprime tutto il suo rilievo di rivoluzionaria conquista culturale. Prendiamone buona nota.

 

STRESS CRONICIZZATO

Ma il disallineamento evolutivo è anche alla radice della tendenza a reagire immediatamente, nelle situazioni stressanti, con un comportamento che prevede due sole opzioni: o l’attacco, o la fuga (fight or fligt). Qualcosa di perfettamente sensato nel Paleolitico, e di fronte a un mammut, a un orso o a un rinoceronte lanoso. Qualcosa di totalmente insensato quando ci troviamo, per esempio, intrappolati in un ingorgo di traffico e siamo in drammatico ritardo. E no, accelerare il battito cardiaco, stringere il volante e serrare i denti non serve. Così come non serve suonare il clacson e strepitare maledicendo questo e quello. Eppure.

Dare retta troppo volentieri al nostro io paleolitico può disorientare le nostre decisioni

Ecco due ulteriori dati interessanti: l’inadeguatezza della reazione di attacco o di fuga alla molteplicità delle odierne occasioni di stress è possibilmente una delle cause della cronicizzazione dello stress medesimo.

E poi: giocare in maniera intensiva ai videogiochi sembra provocare, attivando l’automatismo della reazione di attacco o fuga, una sovra stimolazione che poi non riesce a scaricarsi in un’azione fisica (be’, lì davanti c’è solo uno schermo, e niente mammut).

Eppure, nel gioco, i meccanismi primitivi di sopravvivenza si attivano, e crescono i livelli di adrenalina e dopamina, che restano in circolo anche a sessione terminata. Nel tempo, tutto ciò può tradursi in un deficit di attenzione e in una minore capacità di gestire gli impulsi e governare le emozioni.

Infine: il disallineamento evolutivo, e il fatto che diamo retta troppo volentieri al nostro io paleolitico, può disorientare le nostre decisioni. Ed è questa, forse, la cosa più preoccupante.

Per esempio: per i nostri antenati cacciatori, immersi in un ambiente violento e pericoloso, restare costantemente vigili era vitale. Ma proprio dal permanere di un’eccessiva attitudine a essere vigili e a rilevare minacce deriverebbe la contemporanea, pervasiva propensione a teorizzare l’esistenza di complotti anche quando non ce ne sono.

Nel Paleolitico tutto ciò aveva un senso, perché era molto più pericoloso ignorare una minaccia esistente che rilevarne, sbagliando, una inesistente. Oggi succede il contrario e, dicono i ricercatori, un eccesso di diffidenza (nei confronti di governi, politica, mezzi d’informazione, farmaci, estranei…) porta a prendere decisioni sbagliate e dannose per il benessere, la sicurezza e la salute individuali e collettivi.

E ancora: pretendiamo che le soluzioni siano semplici e rapide, anche quando i problemi sono complessi. E siamo (ne abbiamo già parlato) più sensibili e reattivi ai rischi immediati e visibili che a quelli futuri. Atteggiamento che funzionava molto bene davanti all’orso paleolitico, ma che poco ci aiuta ad affrontare, per esempio, l’emergenza climatica.

Dovremmo, dunque, imparare a riconoscere l’essere primitivo che è in ciascuno di noi. È il primo, indispensabile passo per provare, investendo tutto il patrimonio di cultura che abbiamo accumulato, a tenerlo almeno un po’ sotto controllo.

*( Annamaria Testa, esperta di comunicazione)

 

07 – Valentino Parlato*: CONTRO IL CAPITALE1° MAGGIO. I PROBLEMI APERTI DALLA CRISI DEL CAPITALISMO, LA STESSA DISOCCUPAZIONE E LA CRESCITA ENORME DELLA POPOLAZIONE INATTIVA SI POSSONO SUPERARE SOLO LIBERANDO LA SOCIETÀ DA QUESTO LAVORO, CHE È IL RIFLESSO SPECULARE, MA IMPOSTO CON L’OPPRESSIONE, DEL MECCANISMO DI PRODUZIONE E RIPRODUZIONE DEL CAPITALISMO.

Il primo maggio dell’anno scorso pubblicammo un editoriale dal titolo «Contro il lavoro», «contro il lavoro – scrivevamo – per ciò che esso è e sempre sarà in una società capitalistica, in una società divisa in classi». Quell’articolo suscitò incomprensioni e molte reazioni negative: fummo accusati di luddismo, scarso rispetto delle forze produttive, marcusianesimo, pre o post marxismo a seconda delle letture dei nostri critici.

Quell’articolo aveva, forse, il torto di apparire un tantino ideologico. Ma, a un anno di distanza e con l’occhio più attento alla profondità dell’attuale crisi del capitalismo italiano, non verifichiamo forse che è proprio su questo lavoro che si incentra lo scontro di classe? Che questo lavoro è stato messo in questione dalle lotte operaie e che ora padroni e governo vogliono restaurarne la compiutezza, mentre gli operai vogliono rivoluzionarne la determinazione storica, cioè capitalistica?

È contro questo lavoro che si indirizzano le lotte alla organizzazione capitalistica del lavoro e quindi ai cottimi e ai ritmi, agli orari e ai turni, per l’ambiente e la salute, contro la determinazione padronale delle carriere e delle mansioni.

Ma oggi si verifica anche che i problemi aperti dalla crisi del capitalismo, la stessa disoccupazione e la crescita enorme della popolazione inattiva si possono superare solo liberando la società da questo lavoro. Questo lavoro è il riflesso speculare, ma imposto con l’oppressione, del meccanismo di produzione e riproduzione del capitalismo. Del meccanismo del profitto in fabbrica, dell’organizzazione del consenso e del mercato fuori fabbrica.

È attraverso questo lavoro che il meccanismo capitalistico genera le classi, la divisione tra gli uomini, un sistema piramidale di ineguaglianze. Un sistema generalizzato di diseguaglianza, che si riflette nella diversificazione della qualità dei beni che il capitalismo dà la consumare, nella diversificazione dei modi di vita che il capitalismo impone, nella gerarchizzazione, apparentemente razionale, di questa società.

* Lunedì 2 maggio sono quattro anni dalla morte di Valentino Parlato. Gli rendiamo omaggio con questo straordinario editoriale che scrisse il Primo maggio del 1972. Conserva intatta la sua valenza, anche in pandemia. Nel testo fa riferimento alle polemiche suscitate dal primo editoriale del quotidiano “il manifesto” sul 1° maggi del 1971: era titolato “Contro il lavoro” non aveva la firma, era collettivo, ma venne scritto da Lucio Magri

*(Valentino Parlato è stato un giornalista, politico e saggista italiano)

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