SCHIRÒ (PD), su Carta d’identità all’estero e retribuzioni convenzionali 2021 per i lavoratori inviati all’estero

SCHIRÒ (PD): HO CHIESTO AI MINISTRI DEGLI ESTERI E DELL’INTERNO DI TROVARE SUBITO UNA SOLUZIONE PRATICA PER L’EMISSIONE DELLA CARTA DI IDENTITÀ ALL’ESTERO

Le regole adottate per il contenimento del pericolo di contagio da Coronavirus 19 hanno determinato un ulteriore prolungamento dei tempi di attesa dei servizi amministrativi dei consolati, anche nel caso di acquisizione di documenti di identificazione di stretta necessità, come le carte di identità e il rinnovo dei passaporti.

Anche se la validità dei documenti di riconoscimento e di identità italiani in scadenza è stata prorogata al 30 aprile 2021 ai soli fini dell’identificazione personale, con l’avvicinarsi di tale scadenza i disagi dei connazionali per ottenere documenti tanto necessari è destinata ad aumentare. Tanto più che anche dai consolati dotati di normale efficienza, arrivano notizie che i tempi di attesa per un appuntamento ormai si aggirano al minimo intorno ai sei mesi.
Intanto, per l’avvio dell’emissione della carta di identità elettronica, il rilascio di quella cartacea è stata sospesa da mesi. I connazionali che nel frattempo si sono rivolti ai consolati per avere documenti di identità validi, in molti casi si sono sentiti rispondere che è consigliabile recarsi personalmente nel comune italiano di iscrizione AIRE. Cosa non solo onerosa ma del tutto sconsigliabile in periodo di persistente pandemia.
Per trovare una soluzione di buon senso in un momento come questo, mi sono rivolta con un’interrogazione al ministro degli esteri e a quello dell’interno per chiedere di considerare l’opportunità di prolungare il periodo di emissione della carta di identità in formato cartaceo almeno finché, come tutti ci auguriamo, i periodi di attesa per l’ottenimento della carta di identità elettronica non si saranno ridotti in limiti fisiologici.
 
 
SCHIRÒ (PD): FISSATE LE RETRIBUZIONI CONVENZIONALI 2021 PER I LAVORATORI ITALIANI INVIATI ALL’ESTERO
Come tutti gli anni anche quest’anno con il Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 23 marzo pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 7 aprile, sono state stabilite le retribuzioni convenzionali dei lavoratori dipendenti italiani inviati all’estero, in via continuativa ed esclusiva, – e che mantengono la residenza fiscale in Italia – su cui viene applicato il calcolo dei contributi assicurativi obbligatori e delle imposte sul reddito dovuti per il periodo di paga 2021.
Come è noto la legge n. 317 del 1988 ha stabilito l’obbligatorietà delle assicurazioni sociali per i lavoratori italiani operanti all’estero in Paesi extracomunitari con i quali non sono in vigore accordi di sicurezza sociale, alle dipendenze dei datori di lavoro italiani e stranieri.
Le retribuzioni convenzionali sono utilizzate, dunque, come base per il calcolo dei contributi dovuti per le assicurazioni  obbligatorie dei  lavoratori italiani operanti all’estero e, dal punto di vista fiscale, dell’imposta sul lavoro dipendente, nei casi in cui il salariato presta la propria attività all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendente che nell’arco di dodici mesi soggiorna nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni.
Tali lavoratori sono quindi obbligatoriamente iscritti alle seguenti forme di previdenza ed assistenza sociale, con le modalità in vigore nel territorio nazionale (fatte salve alcune eccezioni): a) assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti; b) assicurazione contro la tubercolosi; c) assicurazione contro la disoccupazione involontaria; d) assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali; e) assicurazione contro le malattie; f) assicurazione di maternità.
La legge stabilisce che i contributi dovuti per i regimi assicurativi sopra elencati sono calcolati su retribuzioni convenzionali. Tali retribuzioni, fissate appunto con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, sono determinate con riferimento e comunque in misura non inferiore ai contratti collettivi nazionali di categoria raggruppati per settori omogenei.
Quindi a decorrere dal periodo di paga in corso dal 1° gennaio 2021 e fino a tutto il periodo di paga in corso al 31 dicembre 2021, le retribuzioni convenzionali da prendere a base per il calcolo dei contributi dovuti per le assicurazioni obbligatorie dei lavoratori italiani operanti all’estero sono stabilite nella misura risultante, per ciascun settore, dalle tabelle allegate allo stesso Decreto e che ne costituiscono parte integrante (in poche parole sia l’Inps che il Fisco, per i versamenti contributivi e per  tassare i redditi di questi lavoratori, non vanno a vedere quanto effettivamente corrisposto, ma fanno riferimento ai valori convenzionali stabiliti annualmente).
Come detto le disposizioni della legge n. 398/87  si applicano ai lavoratori operanti all’estero  in Paesi extracomunitari con i quali non  sono in vigore accordi di sicurezza sociale.
Per i lavoratori che si spostano nell’ambito dell’Unione europea la normativa di sicurezza sociale applicabile è quella invece contenuta nei regolamenti CE nn. 883/2004 e 987/2009 e successive modifiche.
Sono esclusi inoltre dall’ambito di applicazione della legge n. 398/1987 anche la Svizzera e i Paesi aderenti all’Accordo SEE – Liechtenstein, Norvegia, Islanda – ai quali si applica la normativa comunitaria.
Le retribuzioni di cui al decreto citato costituiscono base di riferimento per la liquidazione delle prestazioni pensionistiche, delle prestazioni economiche di malattia e maternità nonché per il trattamento ordinario di disoccupazione per i lavoratori rimpatriati. Riguardo ai risvolti fiscali di questa materia, i chiarimenti sono contenuti nella  emessa dall’allora Dipartimento delle entrate del ministero delle Finanze.
La disciplina che fa riferimento ai redditi convenzionalmente calcolati: si rivolge a coloro che, pur svolgendo l’attività lavorativa all’estero, continuano a essere qualificati come residenti fiscali in Italia in base all’articolo 2 del Tuir; non si applica se il contribuente presta la propria attività lavorativa in uno Stato con il quale l’Italia ha stipulato un accordo per evitare le doppie imposizioni e lo stesso preveda per il reddito di lavoro dipendente la tassazione esclusivamente nel Paese estero (in questo caso, infatti, la convenzione prevale sulle disposizioni fiscali interne); si applica a condizione che sia stipulato uno specifico contratto che preveda l’esecuzione della prestazione in via esclusiva all’estero e che il dipendente sia collocato in un apposito ruolo speciale estero; non si applica ai dipendenti in trasferta, in quanto manca il requisito della continuità ed esclusività dell’attività lavorativa all’estero.
Per quanto riguarda invece i lavoratori distaccati e inviati a lavorare nel Regno Unito (e che mantengono la residenza fiscale in Italia) sarebbe opportuno che il Ministero del Lavoro, l’Inps e l’Agenzia delle Entrate fornissero chiarimenti sulle conseguenze della Brexit in merito agli adempimenti contributivi e fiscali di tali soggetti (nella sua recente circolare sulla Brexit n. 53 del 6 aprile scorso l’Istituto previdenziale ignora completamente la problematica).
 
 
(On. Angela Schirò)

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