DAVOS-2021: La fase riflessiva del capitalismo. L’intervento di Emanuel Macron

Traduzione della trascrizione dell’intervento del presidente della repubblica francese, Emanuel Macron, al forum economico di Davos, come pubblicato sul sito dell’Eliseo.

 

Emanuel Macron:
Buongiorno professor SCHWAB, anch’io sono molto felice di rivederla in tale occasione, anzi grazie per aver organizzato queste riunioni che, credo, sono ancora più importanti in questo periodo.

Vorrei esaminare i rapporti tra il mondo che conosciamo oggi e il mondo che verrà. Primo, perché in tutti i nostri paesi le società stanno cambiando a causa delle prove che stiamo vivendo. E penso che abbiamo alcune lezioni da imparare da quello che abbiamo vissuto tutti insieme da poco più di un anno, e che continuerà, lo sappiamo, per altri mesi o, alcuni così ci dicono, per anni. In ogni caso, con la presenza più o meno importante di questo virus.

Penso che la prima cosa che quanto avvenuto ci ha insegnato sia stata che non si può pensare all’economia senza il fattore umano. Quindi, sembra una banalità dirlo, ma comunque è ciò che abbiamo fatto, in tutti i nostri paesi abbiamo realizzato qualcosa che era considerato impensabile, vale a dire che abbiamo interrotto tutte le attività economiche per proteggere delle vite umane. Prima lezione. E ci siamo ricordati che l’economia di cui discutete oggi è una scienza morale e quindi che la vita umana ha la precedenza sul commercio e sui numeri.

La seconda cosa è che questo periodo ci ricorda la nostra vulnerabilità; a titolo personale, se posso permettermi (ne ho pagato il prezzo infettandomi); ma anche come organizzazioni, imprese, società, nazioni. E vulnerabilità significa che non possiamo pensare alle forme di organizzazione delle nostre economie senza integrarla. Era in fondo un’idea che ci sembrava stagliarsi di fronte a noi – alcuni erano più consapevoli di altri su questo argomento – ma che per lo più ci sembrava distante, quando si parlava di ecologia e clima. Ma è la stessa nozione. Questo per dire: ciò che sta accadendo intorno a noi ha un impatto sulla nostra vita quotidiana e può, in un certo senso, spezzare le catene, cambiare la nostra vita.

Una volta detto ciò, nulla si può ricostruire, secondo me, nel mondo post-Covid che non tenga conto di queste due lezioni fondamentali. L’economia è diventata di nuovo una scienza morale e niente è al di sopra del valore umano; e le nostre società sono vulnerabili perché la natura ce lo ricorda, e sono vulnerabili a eventi pandemici, climatici e di altro tipo.

E dunque, l’economia di domani, forte di queste lezioni, ma anche di quello che sapevamo già prima, perché ci sono anche, si parla molto di varianti – del virus, n.d.t. – in questo periodo, ci sono anche elementi invarianti, beh, l’economia di domani è ai miei occhi un’economia che dovrà pensare allo stesso tempo all’innovazione, alla vulnerabilità e all’umanità, e che quindi dovrà costruire un altro tipo di competitività, che sua compatibile e anzi che sia addirittura d’aiuto alla risoluzione dei problemi climatici: la riduzione del CO2, l’adattamento delle nostre società perché già ne subiamo le conseguenze (dei cambiamenti climatici, n.d.t.), una agenda sulla biodiversità. Ciò significa un’economia che dovrà essere più resiliente agli shock e quindi integrare nei suoi modelli di protezione degli individui, nelle sue organizzazioni, fattori che rinforzino tanto le filiere produttive, che le reti della logistica, fino alle sue maglie più fini: degli elementi di resilienza – possiamo tornarci sopra se lo desiderate – e un’economia che tenga conto di questo principio di umanità, sia che si tratti di questioni sanitarie che di disuguaglianze sociali. Avevamo già questo problema, ne abbiamo parlato insieme un anno fa. E credo che non usciremo dal Covid-19 con le economie, direi, piuttosto, che usciremo dal Covid-19 con un’economia che avrà ancora più a cuore il tema della lotta alle disuguaglianze. Queste sono le mie poche convinzioni, rapidamente abbozzate.

Prof. Klaus SCHWAB
Signor Presidente, credo che lo scorso anno, in una riunione dell’OID, lei abbia detto che il capitalismo è impazzito; nel contesto di un’economia morale, quale voi l’enunciate, qual è la sua concezione del ruolo dell’azienda, la sua filosofia dell’azienda? Le faccio questa domanda perché oggi ho pubblicato un libro intitolato “Stakeholder Capitalism”, che significa “Il capitalismo degli azionisti”. Qual è la sua filosofia?

Emanuel Macron:
Mi ritrovo nella formula del capitalismo degli azionisti, ma in fondo, ciò è vero soprattutto quando guardiamo all’evoluzione degli ultimi decenni del capitalismo. Prima di tutto, il capitalismo e l’economia di mercato hanno raggiunto veri successi nell’ultimo decennio, non dovremmo negarlo o sminuirlo. (L’economia di mercato, n.d.t.) Ha permesso l’apertura delle economie. Il commercio globale e il capitalismo hanno sollevato centinaia di milioni di persone dalla povertà. Quindi, abbiamo avuto ragione. Questo insieme, il capitalismo, l’economia di mercato, hanno permesso di realizzare tante innovazioni, hanno permesso di rispondere alle richieste del cittadino-consumatore delle nostre economie in modo straordinario, con accesso a beni e servizi come mai prima d’ora abbiamo visto nella storia dell’umanità. Quindi, questo è l’enorme successo degli ultimi decenni. C’è una ragione per tutto questo. È che tutto ciò è stato accompagnato, ovviamente, dalla creazione di disuguaglianze nelle nostre società; vale a dire che l’apertura dei mercati e la teoria dei vantaggi comparativi hanno permesso di sollevare dalla povertà numerose persone dall’altra parte del mondo e anche molti nostri concittadini, permettendogli di accedere alla produzione; ma fuori dalla produzione e quindi dall’attività, dall’utilità sociale, da un ruolo reale e dall’accesso ai salari, molti dei nostri concittadini hanno dovuto subire le crisi di delocalizzazione che tutte le economie sviluppate hanno dovuto affrontare. Ed è stato uno shock sia economico che sociale per centinaia di milioni in tutto il mondo; nel mio paese per centinaia di migliaia, se non per milioni di persone che hanno avuto questa sensazione di perdita di utilità, che hanno perso i loro posti di lavoro, con una vera crisi economica e morale. E in qualche modo questo problema è stato esternalizzato dal capitalismo degli ultimi decenni.

Il secondo argomento è la disconnessione tra creazione di valore e profitti. C’è una finanziarizzazione di questo capitalismo. La finanziarizzazione è un’ottima cosa quando consente di accelerare la crescita, quando consente la corretta allocazione ,del risparmio verso le esigenze di finanziamento. È un male quando in qualche modo sovrassegna dei redditi, in particolare quando c’è poca assunzione di rischi e quindi permette un accumulo di ricchezza che non è legato né al lavoro né all’innovazione. Ed è quello che è successo. Quindi, c’è stato un girare a vuoto del motore economico che ha aumentato questo primo meccanismo di disuguaglianza. Abbiamo assistito in tutte le nostre società al crescere delle disuguaglianze al loro interno.

Terzo fenomeno, l’accelerazione dei social network ha globalizzato l’immaginario creando anche un’insostenibilità, se così si può dire, dei sistemi di confronto, passatemi questo termine. Il confronto diviene sempre più difficile.

Quarto problema, (L’economia di mercato, n.d.t.) ha totalmente esternalizzato il problema del clima per decenni, vale a dire che abbiamo creato una logistica globale, un commercio globale. In finale, il discorso che si sosteneva è stato che ci sono due re in questo sistema: il consumatore e l’azionista; e il sistema ha funzionato molto bene per il consumatore e per l’azionista, ma a scapito deisi lavoratori e del resto del pianeta. E in un certo senso, abbiamo creato esternalità negative, come diciamo con una certa pudicizia, in termini climatici.

Questi quattro fenomeni hanno alimentato la crisi delle disuguaglianze sociali, la crisi della democrazia e la crisi climatica. E così, il modello capitalista accoppiato all’economia di mercato aperta, non può più funzionare in questo ambiente. Perché? Perché storicamente è stato il risultato di un compromesso rappresentato dalle società democratiche, con individui liberi, libertà personali, ed un progresso delle classi medie che hanno creato la sostenibilità di ciascuna delle nostre società. E questo equilibrio, questo consenso che c’è stato, è stato completamente compromesso da queste quattro accelerazioni. E quindi, credo molto profondamente nel vostro capitalismo degli azionisti, tra le altre cose, nel senso che dobbiamo dire che occorre rimettere la risposta a questi problemi al centro del modello.

In sostanza, negli ultimi anni, abbiamo cercato di rispondere con una risposta da parte degli Stati. Lo Stato da solo non può riuscire, perché altrimenti assistiamo ad un problema, ovvero che lo Stato è il solo ente a correggere queste esternalità negative, con la conseguenza di indebitarsi sempre più per pagare da solo la risposta ai problemi climatici, pagare da solo la risposta alle disuguaglianze. E nel vostro modello, se il debito pubblico diventa troppo grande e è il contribuente che finisce per pagare per tutte queste crisi. Il contribuente è in un certo senso la parte invariabile di questa funzione, ma è anche colui che non può più ricavarne beneficio. Questo è il motivo per cui credo fermamente nel modello capitalista, perché credo ancora che costruiremo il futuro dell’umanità mantenendo alcuni fondamentali: proprietà privata, cooperazione, libertà individuali e collettive che hanno fatto le nostre società. E quindi, che tutto questo dovrebbe semplicemente portare a ripensare le nostre organizzazioni per reintegrare nel cuore delle aziende la consapevolezza delle disuguaglianze sociali nei nostri paesi, delle disuguaglianze tra diverse aree geografiche, delle conseguenze climatiche che stiamo vivendo, e altro ancora.

È, in ultima analisi, ciò che negli ultimi anni abbiamo chiamato responsabilità economica, ambientale e sociale delle nostre aziende. L’approccio con cui abbiamo iniziato a valutare l’impatto delle nostre aziende è una novità che ora dobbiamo spingere molto oltre; dobbiamo riformare le nostre aziende al loro interno in modo che al loro cuore, in un certo senso, tutti gli attori, e quindi gli azionisti, i dipendenti, i manager, si integrino nei loro comportamenti, ma anche in quello che, beh, misuriamo come l’impatto delle loro azioni in ambito economico, sociale, ambientale e democratico.

Prof. Klaus SCHWAB
Lei ha detto, e ne sono molto felice, Signor Presidente, che oggi, abbiamo annunciato qui virtualmente l’impegno delle aziende, a riferire regolarmente secondo criteri molto precisi sui progressi che fanno nelle proprie responsabilità sociali, ecologiche e anche per quanto riguarda la [impercettibile]. Vorrei riprendere la questione ecologica. Credo nell’impegno del governo statunitense e della nuova amministrazione americana per gli obiettivi del Trattato di Parigi. La mia domanda è: abbiamo sicuramente fatto molti progressi, ma Le chiedo: è soddisfatto di questo progresso? O vorrebbe una sorta di nuovo consenso che vada oltre ciò che è stato discusso e deciso in precedenza?

Emanuel Macron:
Penso diverse cose su questo argomento. In primo luogo, abbiamo una questione di attuazione, abbiamo discusso e concordato molte cose: un’agenda sul clima, l’agenda di Parigi. E oggi, non tutti abbiamo raggiunto gli obiettivi prefissati, questo dicono le nostre azioni. E quindi, penso che la priorità delle priorità sia, in modo coordinato, di fare di tutto per mantenere i nostri impegni. Dico coordinato perché in qualche modo chi giocasse ad essere un “peso morto” può distruggere l’intero sistema. Tutto questo funziona solo se andiamo avanti insieme allo stesso ritmo per non creare pregiudizi competitivi. Ed è in questo che gli ultimi anni sono stati cruciali. Quando gli Stati Uniti d’America decisero di uscire dall’accordo di Parigi, nell’estate del 2017, abbiamo corso un grande rischio. E io guardo ancora agli anni appena trascorsi come anni di formidabile prova di resistenza, in cui il castello di carte non è crollato perché abbiamo tenuto insieme, abbiamo creato questa iniziativa del One Planet Summit il 12 dicembre 2017 con queste coalizioni. Tutti insieme abbiamo tenuto duro; europei, assieme a Paesi emergenti e sviluppati, assieme alla Cina. Va anche detto che abbiamo fortemente collaborato e con il settore privato e con singoli Stati federati americani. E ora abbiamo un’amministrazione americana il cui primo gesto è tornare agli accordi di Parigi.

Quindi il mio primo obiettivo è rispettarli, questi accordi di Parigi; rilanciare i nostri obiettivi 2030, come abbiamo fatto in Europa lo scorso dicembre con la riduzione delle emissioni, come dicevamo, -55%, che è un obiettivo molto importante. Secondo punto, la carbon neutrality per il 2050. Questi sono i due punti di passaggio assolutamente decisivi per strutturare il nostro comportamento nei prossimi anni. Preliminarmente, dobbiamo sviluppare queste strategie a livello regionale e nazionale e questa è la parte più difficile, vale a dire avere un prezzo del carbone sufficientemente alto, meccanismi che incoraggino le nostre aziende e i nostri investitori ad accelerare in questa direzione, meccanismi di gestione, supporto e sanzione in modo che le aziende e le famiglie possano muoversi più velocemente e più forti, per rinnovare il più rapidamente il nostro parco auto, per rinnovare e ristrutturare più velocemente i nostri edifici, etc. etc. Quindi questo è il primo pilastro, è essenziale.

Il secondo pilastro consiste nel coinvolgere veramente l’intero settore finanziario e tutte le imprese e questo si ricollega a quanto ho detto poco fa. Abbiamo alleanze molto importanti al riguardo e credo fermamente nell’iniziativa che abbiamo messo in atto con il One Planet Summit, tra fondi sovrani, asset manager e private equity. E ci siamo riuniti il 12 dicembre in modalità virtuale. E ora siamo riusciti a generalizzare, in effetti, lo stesso linguaggio. Tutti sono coinvolti nella Task Force for the Climate-Related Financial Disclosure, TCFD, che è un vero passo avanti in questo senso. Abbiamo la stessa metodologia e stiamo andando avanti. Quindi gli investitori sono impegnati in una metodologia di misurazione che corrisponde esattamente a quanto Lei ha appena detto e che, ora, viene applicata alle aziende. Ad esempio, lo scorso dicembre, il 12 dicembre, le 40 aziende francesi CAC 40 hanno integrato questa metodologia. Ciò significa che dovranno riferire ai propri azionisti, ai mercati, il rispetto dei propri impegni e le modalità messe in atto.

Il terzo pilastro della nostra azione è che si faccia la stessa cosa sulla biodiversità. Credo davvero che manterremo l’impegno per il clima solo se riusciremo a impegnare le nostre aziende, i nostri investitori, i nostri paesi in un’agenda sulla biodiversità. Questo è il punto centrale di ciò che abbiamo fatto con One Health, che è riunire in un solo soggetto la salute umana, la biodiversità, la lotta contro il riscaldamento globale e contro la desertificazione. Ma credo davvero che siamo ancora solo all’inizio, sul clima, sulla biodiversità. E questo è molto importante perché sono cambiamenti nella produzione nella nostra agricoltura, sono cambiamenti nel nostro modello di consumo, nel nostro modo di vivere. E così, ora, dobbiamo costruire quest’anno delle regole comuni. Così quando Lei si chiede: “Che altro dobbiamo riuscire a negoziare?”. Ebbene, penso che al COP di Kunming, dobbiamo riuscire a negoziare l’equivalente dell’accordo di Parigi per la biodiversità. Pochi giorni fa a Parigi, ci siamo riuniti in modalità virtuale, un One Planet Biodiversity Summit, è stato il primo del suo genere. Abbiamo intrapreso diverse iniziative molto forti: il Grande Muro Verde, precisamente, in 11 paesi del Sahel e del Corno d’Africa, per riuscire nella lotta alla desertificazione; molte iniziative sulla biodiversità. E abbiamo lanciato, ancora una volta, un’iniziativa di divulgazione in materia finanziaria per integrare la biodiversità in questi criteri, con un incontro che si terrà quest’estate. Questo è il punto chiave.
Questi sono i tre pilastri.

Prof. Klaus SCHWAB
Signor Presidente, se consideriamo tutti questi cambiamenti, significa forse una nuova modalità di globalizzazione? È questa, come si dice, una “New Normal” per la globalizzazione?

Emanuel Macron:
Assolutamente. Le dirò, tutto quello che ci stiamo dicendo, converge per me su tre elementi. Il primo è costruire un nuovo consenso. Lo scorso 11 novembre, durante il Forum della pace di Parigi, abbiamo cercato di riunire capi di Stato e di governo, ONG, organizzazioni internazionali, intellettuali, per provare a pensare a quello che abbiamo chiamato in modo molto immodesto il Consensus di Parigi. Ma poco importadi chi sia o di dove sia questo Consensus, l’importante è affermare, diversi decenni dopo il consenso di Washington, che dobbiamo costruire un nuovo Consensus le cui regole non siano la riduzione dello Stato, il declino del settore pubblico e la creazione di valore solo per l’azionista . E quindi dobbiamo costruire, e questa è esattamente la discussione che stiamo avendo insieme oggi, un nuovo Consensus che integri tutto questo e lo rimetta al centro del modello. Secondo punto, dobbiamo trovare una nuova modalità di cooperazione tra gli Stati, vale a dire trovare un multilateralismo efficace. Questo è ciò in cui credo da anni. Bloccato da un’amministrazione americana che non ci credeva. Nutro molte speranze in questo inizio d’anno con un partner americano, che, spero, si impegnerà nuovamente, e quindi dobbiamo costruire un multilateralismo efficace che ci permetta di rispondere e attuare questo nuovo Consensus. E poi, terza cosa, dobbiamo costruire queste nuove alleanze, proprio quelle che abbiamo cercato di costruire come parte degli One Planet Sumits. In fondo, per rispondere a queste sfide, le “New Normal” di cui parla è un’interazione e a questo proposito saluto il carattere molto innovativo del forum da Lei organizzato, che per decenni ha pensato in termini concreti alla cooperazione tra Stati, ONG, aziende, investitori. Questo “New Normal” di cui parliamo, la realizzazione del Consensus, non è solo multilateralismo intergovernativo, sono alleanze di attori eterogenei che si pongono gli stessi obiettivi per avere risultati concreti.

Prof. Klaus SCHWAB
Signor Presidente, questo mi dà un motivo per chiederLe: conosco il Suo interesse per tutte le nuove tecnologie, per quella che viene chiamata la quarta rivoluzione industriale, ma in tutta la Sua concezione, diciamo, il digitale gioca un ruolo molto importante.
Come vede l’impatto del potere dell’ecosistema digitale su tutto ciò che ha detto?

Emanuel Macron:
Penso che ce ne siano diversi. Il primo è che stiamo davvero moltiplicando le rivoluzioni, quando parliamo di digitale. Ci sono diverse rivoluzioni in una. Siamo all’inizio di diverse rivoluzioni tecnologiche che ci stanno portando a cambiare completamente dimensione. Abbiamo la rivoluzione dell’intelligenza artificiale, che cambierà totalmente la produttività e andrà anche oltre il pensabile in molti campi, dall’industria alla salute allo spazio. Accanto alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale, ce n’è una seconda che, per me, è fondamentale, che è quella del calcolo quantistico, e anche lì, attraverso la potenza del calcolo e la capacità di innovazione, cambierà profondamente il nostro reale, innovando l’industria dei sensori: penso all’impatto nell’aeronautica, ma anche nella vita civile, a come cambierà totalmente la realtà della cibernetica, per esempio; la nostra potenza di calcolo, che significa anche la nostra capacità di risolvere i problemi. Consideriamo l’epidemia che stiamo vivendo; intelligenza artificiale e quantistica sono strumenti di gestione, di trasformazione, di gestione dell’epidemia. Ecco, saremo in grado di risolvere problemi che oggi richiedono settimane, in un giorno. Saremo in grado di risolvere i problemi diagnostici, forse in pochi secondi, attraverso l’intersezione tra imaging medico e intelligenza artificiale. E così nella grande famiglia di quello che viene chiamato digitale, abbiamo in realtà una convergenza tra le innovazioni; quelle del digitale, che fondamentalmente, quando lo indichiamo genericamente, include i social network e l’iperconnettività; quella dell’intelligenza artificiale e quella delle tecnologie quantistiche.

Il connubio di tutto ciò significa che stiamo per entrare in un’era di accelerazione dell’innovazione, di una rottura molto profonda nell’innovazione e quindi della capacità di mercificare determinati settori e creare valore molto rapidamente. Rispetto a quanto ho detto, che impatto ha questo? Primo, continueremo a innovare e ad accelerare. È certo. Due, ci saranno impatti sull’adeguamento sociale e dobbiamo pensarci ora. Il tema delle disuguaglianze sociali sarà ancora più significativo in un mondo come quello che ho appena descritto perché avremo impatti, aggiustamenti che saranno reali e che dovranno essere considerati, d’ora in poi. Tre, tutto questo ha enormi contraccolpi democratici. E quindi, se vuoLe, per me, queste innovazioni saranno acceleratori dei nostri problemi a livello sociale e democratico. L’esperienza americana delle ultime settimane lo ha dimostrato democraticamente, se necessario. Quattro, la buona notizia è che penso che sulla resilienza dei nostri sistemi e sulla risposta alla crisi climatica, abbiamo indubbiamente sottovalutato il contributo dell’innovazione e penso anche che tutte queste tecnologie ci aiuteranno, consentendoci molto più velocemente di rispondere alle sfide climatiche.

E quindi, se guardo indietro, se faccio due passi indietro rispetto a tutto ciò che ci stiamo dicendo, penso che le nostre economie dovranno investire sempre di più in queste innovazioni e dobbiamo investirci in questo senso. Penso che se ci investiamo a fondo e cooperiamo tra di noi, queste innovazioni ci consentiranno di creare valore, per rispondere alle sfide economiche. Ci consentiranno, così io spero, così io credo, di rispondere più rapidamente alle sfide climatiche. Ed è anche per questo che credo in quella che chiamo l’economia del meglio, la risposta al clima attraverso l’innovazione piuttosto che la decrescita. Ma (queste innovazioni, n.d.t.) ci porranno problemi a cui non abbiamo riflettuto a sufficienza in termini democratici, in termini di libertà pubbliche e di crescenti disuguaglianze sociali nelle nostre diverse nazioni.

Prof. Klaus SCHWAB
Signor Presidente, questa era davvero una visione generale nostro futuro. Ma il nostro futuro non avverrà automaticamente, dobbiamo costruirlo. Sono felice: abbiamo visto, attraverso la Sua presentazione, che ci sono persone e leader che hanno una prospettiva molto chiara di come dovrebbe essere questo futuro – quale dovrebbe essere questo futuro che vogliamo costruire per il bene di tutti. Quindi un grande grazie, signor Presidente, e mi dispiace che la tecnologia, per un po’, tra Parigi e Ginevra, ci abbia tenuto in serbo alcune sgradite sorprese (il contatto tra Davos e Parigi si èinterrottoper qualche secondo, n.d.t.). Ma penso che sia stato un grande evento, lo sguardo rivolto al futuro. Molte grazie Signor Presidente della Repubblica.

Emanuel Macron:
Grazie Professore, grazie caro Klaus; ringrazio tutti. In effetti, a volte siamo immersi nella vita di tutti i giorni, ma penso che sia anche importante – e grazie per avermi dato l’opportunità – cercare di guardare insieme al futuro e discutere di questi argomenti. E la Sua conclusione lo dice molto bene, la condivido e la ribadisco, non dimentichiamo mai che il nostro obiettivo è sempre realizzare una vita agevole, all’interno delle nostre società, con le virtù che ne derivano e la volontà di rispettare l’altro. E penso che sia al servizio di questo obiettivo che dobbiamo mettere ogni nostra azione. Quindi grazie mille, tanti auguri e spero di rivedervi presto fisicamente.

Prof. Klaus SCHWAB
A presto, arrivederci Signor Presidente.

Emanuel Macron:
Grazie mille, grazie Klaus, grazie Professore.

 

(Traduzione: Gianfranco Causapruna)

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