10 Ottobre 2020 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL’ESTERO ED ALTRE COMUNICAZIONI.

01 – La Marca (Pd): importante ricerca del Prof. Temelini sulla comunità italiana di Leamington (Ontario).
02 – Schirò (Pd): Va chiarita la confusione sul pagamento della tari da parte dei pensionati AIRE.
03 -Dignità.
04 – L’ONU non è riuscita a organizzare una sessione speciale Mondo Covid. Purtroppo, sul fronte della lotta contro la pandemia di Covid-19, fa premio il credo di chi predica money first, market first, stakeholders first.
05 – La seconda generazione vittima dei giochi di palazzo cittadinanza. I tre anni strappati alla ministra LAMORGESE sembrano a tanti una vittoria. Ci vuole altro per cambiare le regole che ci impediscono di essere italiani.
06 – La democrazia statunitense è arrivata a un bivio. Il Partito repubblicano sta facendo la guerra alle istituzioni e sta condannando il paese al dominio della minoranza, ridisegnando i collegi elettorali a proprio vantaggio. *
07 – Mario Paciolla, abitante del nostro oblio. Giustizia per un poeta. Intervista a Manuel Rozental, attivista di Pueblos en Camino, sul clima da guerra civile in Colombia. In 4 anni assassinati mille attivisti, compreso Paciolla: «Ucciso perché era come noi»
08 – Schirò (Pd) – migranti: con l’umanità e la legalità l’Italia è più civile e più sicura.
09 – La Marca (Pd): con il decreto “accoglienza e integrazione” l’Italia è più giusta, più sicura e più umana.
10 – Nell’enciclica il papa torna a criticare le feroci frontiere del profitto.
11 – Kamchatka avvelenata. Russia. Disastro ecologico nel mare che bagna Khalaktyrsky, la spiaggia dei surfisti: i primi ad accusare disturbi sono stati loro. Fauna marina decimata. È caccia a una misteriosa sostanza chimica, di Gianpaolo Contestabile, Simone Scaffidi
12 – Il dizionario «filosofico» del Salone del Gusto. Il fatto della settimana. Gli internauti potranno conoscere, imparare e dialogare con filosofi, antropologi, scrittori, economisti e intellettuali, di Valter Musso.
13 – LAVORO – Un milione di firme in Europa per il reddito di base incondizionato. La campagna. L’iniziativa dei cittadini è partita in tutti i paesi europei e durerà un anno. E’ possibile partecipare e firmare sul sito www.bin-italia.org . «Un’occasione per estendere in Italia il reddito di cittadinanza senza i vincoli che creano la trappola della precarietà»,

01 – LA MARCA (PD): IMPORTANTE RICERCA DEL PROF. TEMELINI SULLA COMUNITÀ ITALIANA DI LEAMINGTON (ONTARIO). Saluto con convinzione e piacere la pubblicazione della ricerca che il prof. Walter Temelini ha dedicato alla presenza di tre gruppi entici provenienti dal centro-sud Italia – Molise, Lazio e Sicilia – a Leamington, nel Sud dell’Ontario. 9 OTTOBRE 2020
Il libro s’intitola “Leamington Italian Community: Ethnicity and Identity in Canada” (La comunità italiana a Leamington: etnicità e identità in Canada) ed è stato pubblicato dalla McGill-Queen’s University Press.
Nel suo lavoro, il Prof. Temelini, attraverso la consultazione d’archivio, documenti personali e interviste dirette, ricostruisce la vicenda di tre generazioni di immigrati italiani che con il loro lavoro e la loro fedeltà alla cultura di origine hanno saputo cogliere le opportunità che il nuovo Paese offriva, costituendo una comunità attiva e coesa.
Il confronto della vita della comunità con le situazioni narrate da Nino Ricci nel suo bestseller “Lives of the Saints” (Vita dei Santi) valorizza il ruolo dell’etnicità nella formazione di una moderna identità.
Sono contenta di segnalare questa rigorosa e importante ricerca che aggiunge un tassello significativo al profilo della comunità italiana in Canada.
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D.
Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America
Electoral College of North and Central America

02 – SCHIRÒ (PD): VA CHIARITA LA CONFUSIONE SUL PAGAMENTO DELLA TARI DA PARTE DEI PENSIONATI AIRE. SULLA TARI IL GOVERNO NON HA ANCORA CHIARITO IN MANIERA UFFICIALE ED INEQUIVOCABILE CHE LO SCONTO DEI DUE TERZI A FAVORE PENSIONATI ITALIANI ISCRITTI ALL’AIRE È ANCORA IN VIGORE, TANTO È VERO CHE CI GIUNGONO SEGNALAZIONI DA PARTE DI NOSTRI CONNAZIONALI PENSIONATI AI QUALI I COMUNI DOVE È UBICATO L’IMMOBILE DI LORO PROPRIETÀ HANNO CHIESTO IL PAGAMENTO DELL’INTERO IMPORTO. 9 OTTOBRE 2020
Ho chiesto perciò al Dipartimento delle Finanze del MEF di chiarire ufficialmente la confusione che si è creata e fornire una interpretazione autentica della normativa attualmente in vigore anche per i comuni che non vogliono o non sono in grado di interpretarla correttamente.
Ecco i fatti. La legge di Bilancio per il 2020 ha abrogato l’articolo 13, commi da 1 a 12-ter e 13-bis, del decreto legge n. 201 del 2011 che, come modificato dall’articolo 9-bis, comma 1, della legge n. 80/2014, aveva introdotto l’esenzione dall’IMU per i pensionati iscritti all’AIRE titolari di pensione estera e proprietari di immobili in Italia non locati o dati in comodato d’uso. Tale articolo 9-bis, ora abolito, oltre che a introdurre l’esenzione dall’IMU per i pensionati succitati aveva anche, al comma 2, disposto che l’imposta comunale TARI fosse applicata in misura ridotta di due terzi per gli stessi soggetti.
Questa ultima misura, sebbene le disposizioni introdotte con l’art. 9-bis non esistono più perché abrogate dalla Legge di Bilancio per il 2020, sembrerebbe sia ancora in vigore, perché sempre la stessa legge di Bilancio aveva stabilito che restassero ferme le disposizioni che disciplinano la tassa sui rifiuti TARI. In parole povere l’eliminazione delle misure agevolative per i pensionati italiani residenti all’estero riguarderebbero solo l’IMU ma non la TARI.

Informalmente questo è anche l’orientamento del Dipartimento delle Finanze del MEF che però non ha mai emanato provvedimenti o interpretazioni ufficiali, dando probabilmente per scontato che la riduzione della TARI sia rimasta in vigore.

Purtroppo proprio a causa della mancanza di un chiarimento ufficiale alcuni comuni italiani hanno attuato le nuove normative in maniera restrittiva accreditando così l’interpretazione che la Legge di Bilancio abbia eliminato sia l’esenzione dall’IMU che la riduzione della TARI.
Ho chiesto al MEF quindi di predisporre un chiarimento formale e pubblico, anche per i comuni italiani, sulla scorta di quanto il Dipartimento delle Finanze del MEF mi ha già chiarito informalmente e cioè che rimane comunque in vigore la riduzione (pari a due terzi) prevista per i pensionati iscritti all’AIRE in materia di tassa sui rifiuti (TARI) (anche se tuttavia è bene ricordare che su tale agevolazione residuale pende ancora la procedura di infrazione da parte della Commissione europea relativa all’applicazione di regimi preferenziali, in materia di IMU, TASI – vigente prima dell’anno 2020 – e TARI).
Angela Schirò
Deputata PD – Rip. Europa –

03 -DIGNITA’ “IL MERCATO DA SOLO NON RISOLVE TUTTO, BENCHÉ A VOLTE VOGLIANO FARCI CREDERE QUESTO DOGMA DI FEDE NEOLIBERALE. SI TRATTA DI UN PENSIERO POVERO, RIPETITIVO, CHE PROPONE SEMPRE LE STESSE RICETTE DI FRONTE A QUALUNQUE SFIDA SI PRESENTI. IL NEOLIBERISMO RIPRODUCE SE STESSO TALE E QUALE, RICORRENDO ALLA MAGICA TEORIA DEL ‘TRABOCCAMENTO’ O DEL ‘GOCCIOLAMENTO’ – SENZA NOMINARLA – COME UNICA VIA PER RISOLVERE I PROBLEMI SOCIALI.
Non ci si accorge che il presunto traboccamento non risolve l’inequità, la quale è fonte di nuove forme di violenza che minacciano il tessuto sociale. Da una parteè indispensabile una politica economica attiva, orientata a promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale, perché sia possibile aumentare i posti di lavoro invece di ridurli. La speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare strage.
D’altra parte, senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare. La fine della storia non è stata tale, e le ricette dogmatiche della teoria economica imperante hanno dimostrato di non essere infallibili.
La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana non sottomessa al dettato della finanza, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno”.
Chi ha scritto questo testo?
a) un economista radicale di formazione marxista;
b) la leader di un pericoloso partito di estrema sinistra;
c) il papa.
(di G. De Mauro da Internazionale)

04 – L’ONU NON È RIUSCITA A ORGANIZZARE UNA SESSIONE SPECIALE MONDO COVID. PURTROPPO, SUL FRONTE DELLA LOTTA CONTRO LA PANDEMIA DI COVID-19, FA PREMIO IL CREDO DI CHI PREDICA MONEY FIRST, MARKET FIRST, STAKEHOLDERS FIRST, di Riccardo Petrella.
Gli Stati Uniti di Trump hanno tentato di far deragliare la 75esima Assemblea generale dell’Onu e così ipotecare il futuro delle Nazioni Unite. La Cina di XI Jinping, dichiarando inaspettatamente, il 24 settembre scorso, che il suo Paese aveva appena approvato la decisione di raggiungere la neutralità carbonio nel 2060, ha salvato un po’ l’Assemblea generale e aperto all’Onu un nuovo cammino di speranza per il futuro, centrato sul possibile rilancio degli Accordi di Parigi.
Purtroppo, sul fronte della lotta contro la pandemia di Covid-19, fa premio il credo di chi predica money first, market first, stakeholders first ottenendo nelle ultime settimane miliardi di dollari sotto forma di Advanced Market Commitments per i vaccini (ancora in fase di progettazione!) dagli Stati più ricchi in rivalità tra loro per sostenere i loro “campioni” multinazionali. Questo spiega perché l’Assemblea generale non è riuscita a organizzare una sessione speciale su Covid-19. I lavori sono stati limitati ad ascoltare o a leggere le analisi e le proposte presentate da ogni Stato e dagli altri membri dell’Assemblea. Nessun dibattito. Infine, si può dire che non c’è stato alcun segno di audacia nel grande magma del “buonismo” politico e sociale mondiale.

Dobbiamo ora attendere lo svolgimento della sessione speciale su Covid-19. Lunedì 5 ottobre, la presidenza dell’Assemblea ha confermato la sua tenuta, sperando che possa avvenire entro la fine dell’anno, ma le date devono ancora essere fissate.

A causa del potere devastante della pandemia, l’Assemblea dell’Onu doveva essere un’opportunità unica per proposte e decisioni coraggiose. Ebbene, fino ad oggi, i popoli del mondo hanno assistito al bellissimo spettacolo dei fuochi d’artificio dei nazionalismi “vaccinali”. Le proposte per una forte cooperazione globale non hanno ricevuto il grande entusiasmo sperato. Il multilateralismo come modello per la regolamentazione dei grandi problemi globali si è dimostrato inadeguato e fragile.

L’argomentazione usata dal Segretario generale dell’Onu, in una dichiarazione finale del 25 settembre a favore di una forte cooperazione globale contro la pandemia (“Non abbiamo bisogno di un governo mondiale ma di un multilateralismo più forte”), non ha avuto l’effetto desiderato.

Cercare di attirare il consenso degli Stati anti-internazionalisti in favore della cooperazione mondiale secondo il modello onusiano discreditando “il governo mondiale”, non è stata un’idea felice. Il riconoscimento dell’umanità in quanto soggetto giuridico e politico chiave della regolazione mondiale dovrebbe figurare fra gli obiettivi principali a lungo termine dell’Onu.

In realtà, lo spirito che ha soffiato su questa fase dell’Assemblea è stato segnato da tre principi ispiratori, mistificanti:

a) La strategia di un accesso equo e a prezzo abbordabile “per tutti” ai beni e ai servizi vitali, applicato senza alcuna innovazione al settore della salute e, quindi, alla lotta contro Covid19 . Eppure, negli ultimi 30 anni, questa strategia non è stata in grado di risolvere nessuna delle profonde disuguaglianze globali e intra-nazionali nel diritto alla salute, all’acqua, al cibo, all’alloggio.

b) Mantenere il principio della privatizzazione a scopo di lucro dei brevetti sulla vita (compresi i vaccini) e di tutti i servizi sanitari. Lungi dall’essere la soluzione ai problemi, i brevetti hanno dimostrato di essere alla radice dei problemi.

c) l’apertura ad un apparente riconoscimento della salute, in particolare dei vaccini, come “beni pubblici mondiali” grazie ad una trasformazione mistificatrice del significato da attribuire al concetto di “bene pubblico” e di “bene pubblico mondiale” al quale il sistema dell’Onu ha contribuito, a partire dagli anni 2000, conformemente allo “spirito del tempo” dominato dalla governance economica globale.
Cosa pensano i “climatologi” sociali? È prevedibile un’inversione di tendenza? In ogni caso, penso che valga la pena che gli abitanti della terra cerchino di provocarla.

05 – LA SECONDA GENERAZIONE VITTIMA DEI GIOCHI DI PALAZZO CITTADINANZA. I TRE ANNI STRAPPATI ALLA MINISTRA LAMORGESE SEMBRANO A TANTI UNA VITTORIA. CI VUOLE ALTRO PER CAMBIARE LE REGOLE CHE CI IMPEDISCONO DI ESSERE ITALIANI, di Mohamed Tailmoun *
C’è molta confusione a proposito del dibattito sulla riforma della cittadinanza. Confusione dovuta al fatto che gli attuali protagonisti conoscono solo alcuni passaggi della battaglia che la riguarda. Anche per questo gli interventi e le prese di posizione sono molto di pancia, in base a ragionamenti a volte fuorvianti. Cominciamo dal inizio: nel 2005 nasceva la Rete G2 – Seconde Generazioni, per porre all’attenzione della politica e della società italiana, la questione della riforma della legge per la concessione della cittadinanza italiana. Avevamo scelto di definirci «seconde generazioni» e non «nuovi italiani», o altro, perché queste sono categorie che si confondono con altri soggetti. Volevamo che si capisse che ciò che chiedevamo era la riforma degli articoli della 91/92 (legge per la concessione della cittadinanza) che riguardano i figli di immigrati. E il termine «seconde generazioni» definiva perfettamente il soggetto sociale che voleva mettere in discussione lo ius sanguinis come criterio principale per la concessione della cittadinanza italiana. Volevamo che fosse chiaro che sulla scena ci sono le generazioni che non hanno deciso di immigrare nel paese in cui vivono attualmente, ma che qui in Italia ci sono nate e/o cresciute!

Grazie ad anni di lavoro e di impegno, e grazie al sostegno di moltissimi attivisti, sindacalisti, intellettuali, insegnanti e persone comuni, nel 2011 è partita una Campagna nazionale promossa da tutte le maggiori organizzazioni della società civile. Tra settembre 2011 e marzo 2012 furono raccolte più di 200.000 firme. Sottoscrizioni di cittadini italiani che volontariamente si sono fermati ai banchetti e hanno sostenuto la proposta. Dopo qualche audizione in Parlamento e un complesso lavoro di mediazione in Commissione Affari Costituzionale da parte della relatrice On. Marilena Fabbri, si arrivò quindi ad un testo di mediazione, che il 13 ottobre 2015 passò alla Camera dei Deputati con una ampia maggioranza.

A questo punto il disegno di legge sarebbe dovuto passare al Senato, per essere discusso e approvato in tempi rapidi. Ma il Pd era ostaggio di Renzi, e ne era contento in fondo, e preferì far passare di tutto ma non questa legge che aspettavamo da anni. La legge al Senato non venne mai votata, né discussa in aula. La Riforma approvata alla Camera permise a Renzi e al Pd di etichettarla come riforma di parte, non più, come aveva sempre sostenuto la Rete G2, come una riforma apartitica.

La riforma della 91/92 è diventata una pedina strumentale nelle contese politiche tra leader a sinistra: della serie «sei alternativo ai populisti/sovranisti?», «allora dimostralo, approva lo iusSoli o lo iusCulturae!». Per poi, naturalmente, occuparsi di altro.
Va chiarito un altro punto: la destra italiana, di cui qualcuno spesso millanta la disponibilità a far passare una riforma al ribasso della 91/92, è completamente cambiata. Ha fatto del «no» alla riforma, anzi al suo inasprimento nei regolamenti e procedure, il suo cavallo di battaglia.

Questa destra è completamente diversa da quella di Fini, presidente della Camera che chiese di incontrare Rete G2 nel 2009; adesso parliamo di un centro destra che ha fatto del no alle prime e seconde generazioni il suo tratto distintivo! E qui arriviamo a un altro punto cruciale. È tale l’egemonia di questa destra su questi temi che perfino riportare da 4 anni a 2 anni i tempi di attesa per una riposta alla domanda di cittadinanza per residenza sembra una richiesta impossibile, anche se è cambiato governo e ministro dell’interno.
I tre anni strappati alla ministra Lamorgese sembrano a tanti una vittoria. Ci vuole altro per cambiare le regole che ci impediscono di essere italiani. Siamo tutti rimasti incastrati nei giochi di palazzo, anche se ci sembra di stare sempre in piazza a manifestare!
* Sociologo e cofondatore rete G2

06 – LA DEMOCRAZIA STATUNITENSE È ARRIVATA A UN BIVIO. IL PARTITO REPUBBLICANO STA FACENDO LA GUERRA ALLE ISTITUZIONI E STA CONDANNANDO IL PAESE AL DOMINIO DELLA MINORANZA, RIDISEGNANDO I COLLEGI ELETTORALI A PROPRIO VANTAGGIO
L’IMPERATORE NERONE SUONAVA LA LIRA MENTRE ROMA BRUCIAVA. IL PRESIDENTE STATUNITENSE DONALD TRUMP INVECE CALCAVA I SUOI CAMPI DA GOLF MENTRE LA CALIFORNIA BRUCIAVA E MENTRE PIÙ DI 200MILA STATUNITENSI MORIVANO DI COVID-19, UNA MALATTIA CHE POI HA CONTRATTO ANCHE LUI, di Joseph Stiglitz*
Al pari di Nerone, Trump passerà alla storia come un politico di eccezionale crudeltà. Alla fine di settembre milioni di persone nel mondo si sono sorbite uno spettacolo di 90 minuti, spacciato per “dibattito presidenziale”, in cui Trump ha dimostrato di non essere degno della presidenza e ha fatto capire perché tanti dubitano perfino della sua salute mentale. Certo, in questi quattro anni tutto il mondo ha capito chi è questo bugiardo patologico. Quindi che razza di dibattito si può fare se uno dei due candidati non ha alcuna credibilità?
Quando gli è stato chiesto di commentare le recenti rivelazioni del New York Times, secondo cui nel 2016 e nel 2017 ha pagato solo 750 dollari di tasse sul reddito, Trump ha avuto una breve esitazione e poi ha risposto che ha versato “milioni” di dollari, senza mostrare prove. Ancor più inquietante è stato il suo rifiuto di denunciare i suprematisti bianchi e gruppi violenti come i Proud boys. Inoltre non ha assicurato che l’eventuale passaggio di poteri a un altro presidente sarà pacifico e ha cercato di delegittimare le elezioni. Il comportamento di Trump nelle ultime settimane ha rappresentato una minaccia diretta alla democrazia.
Sono cresciuto a Gary, nell’Indiana, e da bambino ho studiato le virtù della costituzione statunitense.
Verso la fine degli anni novanta, quando ero capo economista della Banca mondiale, giravamo il mondo per fare lezioni sul buongoverno e spesso indicavamo gli Stati Uniti come esempio. Oggi non più. Trump e i suoi compagni di partito ci hanno ricordato quanto siano fragili le istituzioni del paese.
Gli Stati Uniti sono un paese fondato sulle leggi, ma a far funzionare davvero il sistema sono le regole della politica. E in questi quattro anni Trump e i repubblicani hanno innalzato a nuove vette la violazione delle regole, perdendo la faccia e danneggiando proprio le istituzioni che dovrebbero difendere. Nel 2016, quando era candidato alla presidenza, Trump si è rifiutato di rendere pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi. Da presidente ha ignorato i suoi conflitti d’interessi, ha tratto vantaggi tangibili dalla carica che ricopre, ha screditato gli scienziati indipendenti, ha ostacolato il diritto al voto e ha ricattato i governi stranieri per diffamare gli avversari politici.
Ora gli statunitensi si chiedono se la loro democrazia possa sopravvivere. In fondo, uno dei grandi timori dei padri fondatori era proprio che potesse saltare fuori qualche demagogo in grado di distruggere il sistema dall’interno. Il paese ha un compito difficile.
Oltre alla pandemia fuori controllo, l’aumento delle disuguaglianze e la crisi climatica, c’è anche l’urgenza di salvare la democrazia. I repubblicani hanno dimenticato ormai da un pezzo il giuramento fatto all’entrata in carica, quindi le regole della democrazia dovranno essere rimpiazzate dalle leggi. Ma non sarà facile.
Le regole, quando vengono rispettate, sono spesso preferibili alle leggi perché si adattano meglio alle circostanze.
Ma quando uno degli automobilisti non rispetta più le regole, bisogna mettere guardrail più resistenti. La buona notizia è che per farlo abbiamo già un piano.
È il For the people act, approvato dalla camera nel 2019, che ha l’obiettivo di estendere il diritto di voto, fermare i tentativi dei partiti di ridisegnare a proprio vantaggio i collegi elettorali, rafforzare le regole e limitare l’influenza dei finanziatori privati sulla politica. Ma c’è una brutta notizia. I repubblicani sanno di essere sempre più in minoranza su quasi tutte le questioni politiche d’attualità: gli statunitensi chiedono controlli più efficaci sulla vendita delle armi, l’aumento dei salari minimi, nuove regole in materia di ambiente e di finanza, un’assicurazione sanitaria a prezzi abbordabili, l’aumento dei fondi pubblici per la scuola materna, un accesso più facile all’istruzione universitaria e limiti più stringenti al denaro in politica. Questa volontà espressa dalla maggioranza dei cittadini mette i repubblicani in una posizione impossibile: non possono proporre il loro impopolare programma politico e al tempo stesso sostenere un sistema di governo onesto. Ecco perché oggi il partito sta facendo la guerra alla democrazia e sta condannando il paese al dominio permanente della minoranza, ridisegnando i collegi elettorali a proprio vantaggio.
Dato che i repubblicani hanno già fatto il patto con il diavolo, sarà difficile che appoggino qualsiasi tentativo di proteggere le istituzioni. Agli statunitensi resta un’unica scelta: far stravincere il Partito democratico alle elezioni di novembre. La democrazia statunitense è in bilico: se cade, i nemici della democrazia vinceranno in tutto il mondo.
(JOSEPH STIGLITZ insegna economia alla Columbia university. È stato capo economista della Banca mondiale e consulente economico del governo statunitense. Nel 2001 ha vinto il premio Nobel per l’economia.)

07 – MARIO PACIOLLA, ABITANTE DEL NOSTRO OBLIO. GIUSTIZIA PER UN POETA. INTERVISTA A MANUEL ROZENTAL, ATTIVISTA DI PUEBLOS EN CAMINO, SUL CLIMA DA GUERRA CIVILE IN COLOMBIA. IN 4 ANNI ASSASSINATI MILLE ATTIVISTI, COMPRESO PACIOLLA: «UCCISO PERCHÉ ERA COME NOI»
Nelle ultime settimane un nuovo picco di violenza si è abbattuto contro la popolazione colombiana che dall’inizio della crisi sanitaria cerca di resistere all’emergenza del Covid-19 e alla repressione che colpisce i leader sociali e i giovani che si ribellano alla corruzione del governo. Omicidi selettivi, massacri e spari sui manifestanti stanno generando un clima da guerra civile che rappresenta solo l’ultima ondata di violenza che, dalla firma degli Accordi di Pace del 2016 ad oggi, ha ucciso più di mille attivisti ed attiviste sociali. Tra i territori più colpiti c’è la regione del Cauca dove si è sviluppata una delle resistenze indigene più importanti del paese e un modello di governo autonomo e alternativo alla violenza dello Stato e dei gruppi armati.

Abbiamo intervistato Manuel Rozental, attivista dell’organizzazione Pueblos en Camino, che proprio dai territori del Cauca tesse alleanze con altre lotte comunitarie e in difesa della terra del Paese e del continente.

Come si interpreta questa nuova ondata di violenza e in che modo si vincola con gli scandali giudiziari che stanno travolgendo l’establishment politico colombiano?
L’ex-presidente Uribe Vélez è la personificazione di un sistema di potere che si sostiene grazie all’appropriazione dei terreni per produrre cocaina e che con la scusa della guerra alle Farc ha creato organizzazioni paramilitari che sono diventate gigantesche strutture del traffico di droga.

Grazie al controllo sui partiti politici e sulle elezioni questo modello può assicurarsi sia il potere legale che quello illegale per generare ingenti profitti e transazioni economiche verso il Nord. Tutto questo viene messo a rischio ora, nel momento in cui Uribe Vélez potrebbe essere finalmente processato e l’intera struttura che lo sostiene inizia a sentirsi minacciata. Come conseguenza ricominciano ancora una volta gli omicidi selettivi e i massacri. Se si cerca di comprendere le stragi che stanno avvenendo in diverse parti del territorio provando a identificarne gli artefici si rischia di cadere nella trappola dell’establishment che spinge a focalizzarsi sugli esecutori materiali.

Quando invece ci si domanda chi sono coloro che beneficiano di quest’ondata di violenza diventa perfettamente chiaro che uccidere giovani e commettere massacri ogni giorno sia un meccanismo per generare terrore nella popolazione e legittimare l’uso della forza pubblica. Nessuno ha le informazioni e la capacità di agire in questa maniera se non le autorità statali legate ai militari, ai paramilitari e ai narcotrafficanti che vogliono controllare i territori. Siamo di fronte a una strategia mafiosa e fascista volta a soggiogare l’intero territorio nazionale con la forza del terrore, in particolare nelle regioni dove ci sono maggiori risorse naturali e dove sta crescendo la resistenza dei processi di autonomia territoriale.

Quale ruolo giocano le Farc in questa nuova fase del conflitto?
Quando le Farc hanno firmato gli Accordi di Pace pensavano di poter diventare immediatamente un partito politico con una forza elettorale di massa, ma il popolo non gli ha mostrato sostegno e anche in termini elettorali non hanno ottenuto un risultato significativo. In altre parole, il sostegno politico di cui godono le Farc è molto debole e, in questa situazione di tremenda vulnerabilitá, sono state attaccate violentemente.

Da un lato vi è il mancato rispetto degli Accordi di Pace e dall’altro gli ex-combattenti vengono chiamati banditi e assassini nonostante abbiano avuto il coraggio di riconoscere i crimini di guerra commessi durante il conflitto. Lo Stato invece, e chi detiene il potere economico in Colombia, non ha riconosciuto nessuno dei suoi crimini. Si è quindi alimentata una strategia di persecuzione e isolamento ai danni delle Farc che si è sommata al problema delle lotte interne all’organizzazione. Di conseguenza il partito delle Farc ha subito un processo di indebolimento e isolamento impressionante che ha portato coloro che hanno guidato il processo di pace, come per esempio Iván Márquez, a riprendere le armi ingrossando le fila delle dissidenze armate.

Esistono inoltre un certo numero di fazioni che nel nome delle Farc hanno intessuto legami con il narcotraffico e cercano di sottomettere con l’uso della forza e delle armi la popolazione civile, i movimenti sociali e le autonomie pur non avendo nessuna legittimità politica. A ciò si aggiungono diverse azioni terroristiche e di guerra che vengono attribuite ai dissidenti delle Farc ma esiste il sospetto che in realtà siano compiute dai paramilitari o dall’esercito dato che sono loro coloro che ne beneficiano. Ci troviamo quindi in una situazione di guerra tra diversi attori e le Farc, che in questo momento non possono contare con una forza politica importante soprattutto perché gli Accordi di Pace non sono stati rispettati e continuano a essere violati.

Personalmente credo che non siano stati rispettati proprio per alimentare questo scenario di guerra permanente tra i gruppi insurrezionali, tra le altre fazioni armate e tra i narcotrafficanti, e di conseguenza per legittimare il modello mafioso e fascista di occupazione del territorio e di guerra totale.

Qual è il ruolo delle Organizzazioni non governative e delle Nazioni unite in questo contesto?
C’è una grande varietà di organizzazioni non governative in Colombia e anche se gran parte delle Ong hanno buone intenzioni, si tratta di un settore istituzionale parastatale che finisce per smantellare i processi di resistenza e autonomia in cambio di risorse e progetti in aree specifiche. In alcuni casi denunciano violazioni dei diritti umani in determinati territori ma in generale non sono in grado di fare un’analisi e promuovere una strategia che consenta e incoraggi l’organizzazione e l’autonomia delle popolazioni.

Ci sono eccezioni a questa regola, ma questa è in linea di massima la norma. Le Ong ti assumono per il tuo impegno nelle lotte sociali ma quando sei dentro ti scontri con i limiti legati alle risorse economiche e l’orientamento politico di chi le finanzia e ti dirà che lavorerai solo in questo settore, solo con queste persone e solo con questo preciso obiettivo. Queste limitazioni si scontrano con le logiche territoriali regionali delle popolazioni e dei loro processi e finiscono per creare divisioni.

Le Nazioni Unite sono entrate come organizzazione multilaterale dopo la firma degli Accordi di Pace e hanno una presenza gigantesca per quanto riguarda l’osservazione del processo di pace e la smobilitazione e il reintegro degli ex-combattenti. Come dimostrato dall’inchiesta sul caso Mario Paciolla però, all’interno delle Nazioni Unite e di tutto il processo di osservazione, ci sono una serie di questioni che limitano l’autonomia dell’Onu nell’adempiere alla sua missione di difendere il processo di pace.

Ad esempio Claudia Juieta Duque ha rivelato che una persona che ricopriva un’alta carica dell’intelligence militare stava ricevendo tutti i rapporti interni secretati che le Nazioni Unite producono sul processo di smobilitazione. Ci sono quindi una serie di cose che non sono note e che frustrano molte brave persone che lavorano all’interno delle Nazioni Unite e che non possono essere rese pubbliche perché se le Nazioni Unite abbandonassero questo processo gli ex-combattenti smobilitati rimarrebbero senza nessun tipo di protezione.
Come si inserisce il caso di Mario Paciolla in questo contesto?
Molte persone credono che il caso di Mario Paciolla sia importante solo perché Mario era uno straniero, mentre non viene prestata altrettanta attenzione ai colombiani che vengono uccisi quotidianamente. Ma questo è ingiusto oltre che sbagliato. Mario Paciolla rappresenta come pochi tutte quelle persone meravigliose con cui sentiamo un certo tipo di connessione che viene dal cuore e dalla vita stessa, quel tipo di persone che non credono nella nazionalità italiana, colombiana, francese, ecuadoriana o qualunque essa sia, ma credono che la vita debba essere costruita prendendoci cura gli uni degli altri , riconoscendoci, essendo critici e autocritici e costruendo alternative concrete di fronte a ciò che sta accadendo.
Attraverso il suo sentire e il suo cuore Mario, il poeta, non ha mai voluto apparire o sostituirsi alle persone con cui lavorava, anzi, Mario voleva imparare, ascoltare e partecipare, e lo ha fatto.
L’omicidio di Mario ci dimostra cosa si nasconde dietro la perversità degli omicidi di leader sociali e nelle stragi di giovani. Mario non era uno straniero che ci è venuto ad aiutare, Mario è stato un compagno che si è innamorato delle persone che lottano per l’autonomia, che credono in questo territorio e che sono state costrette ad abitare nell’oblio. Mario è un abitante dell’oblio, è andato a vivere in quell’oblio pieno di memorie ed è proprio per averlo vissuto e averci creduto fino in fondo che lo hanno perseguitato, lo hanno emarginato e lo hanno ucciso. Mario è la nostra poesia, Mario è la nostra parola e Mario non è qualcuno che viene da fuori.

Non è uno qualsiasi che è stato ucciso, Mario è uno di noi, uno che fa parte di quel mondo che verrà dove le barriere che ci allontanano scompariranno. Questa morte fa molto male e fa male perché lo Stato normalmente non osa toccare persone straniere, ma Mario aveva smesso di essere straniero, era diventato territorio, era diventato autonomia, era diventato pace. Per questo lo hanno ucciso, perché questo è quello che stanno uccidendo in Colombia.

08 – SCHIRÒ (PD) – MIGRANTI: CON L’UMANITÀ E LA LEGALITÀ L’ITALIA È PIÙ CIVILE E PIÙ SICURA – 8 OTTOBRE 2020. L’Italia può essere più umana e solidale senza diventare meno sicura. Può diventare anzi più ordinata e sicura investendo in legalità e umanità. Accogliendo e integrando e non escludendo e respingendo, come ha fatto Salvini con i migranti, per un bieco calcolo propagandistico giocato sulla vita di persone esposte a rischi e persecuzioni.
È questo il significato del Decreto “Accoglienza e integrazione”, con il quale il Consiglio dei Ministri ha svuotato i Decreti Salvini delle misure più controverse e ha pulito l’aria dei rapporti civili tra persone destinate a convivere sullo stesso territorio e nello stesso ambiente.

Niente di rivoluzionario, è bastato ritornare, seguendo il richiamo del Presidente Mattarella, nell’alveo del rispetto del diritto internazionale e dei principi della nostra Costituzione.

Così, si è stabilito di accordare una protezione speciale, evitandone il respingimento, a chi tornando nei luoghi di partenza rischia di essere privato della libertà, di subire violenze o di perdere addirittura la vita. Si è riaperto il canale della protezione umanitaria, evitando che centinaia di migliaia di persone, come è accaduto con i precedenti decreti, siano buttati per strada e perdano ogni contatto con il sistema pubblico, esponendosi a indigenza, malattie e all’influenza di organizzazioni malavitose. Si è riattivata la rete degli SPRAR, vale a dire dei centri di accoglienza di piccola dimensione distribuiti sul territorio sotto il controllo dei sindaci, che favoriscono un rapporto sereno con la popolazione. Si sono riattivate le attività di integrazione che, tra l’altro, danno lavoro a migliaia di giovani italiani, oltre che supporto ai migranti. Si è riaffermato il diritto/dovere delle ONG di salvare vite in mare e, nello stesso tempo, si sono stabilite regole precise di collaborazione con le autorità marittime.

Per quanto ci riguarda come italiani all’estero, si è accorciato da 4 a 3 anni il tempo di definizione delle pratiche di cittadinanza, una delle cose che avevo chiesto a luglio in una lettera alla Ministra Lamorgese, sottoscritta anche da altri colleghi eletti all’estero. Altre cose ci saranno da fare, per esempio sui problemi della cittadinanza per matrimonio e delle targhe estere: approfitteremo del passaggio del Decreto alle Camere per tornarci sopra.
Insomma, si tratta di un primo risultato importante che deve rappresentare l’inizio di una nuova stagione di lavoro e di intervento sui temi migratori.
Un passo avanti verso un Paese più civile. Un Paese che, però, non sarà veramente tale finché i figli degli stranieri nati in Italia o che da noi hanno compiuto interi cicli di studio, con i quali i nostri giovani condividono la loro quotidianità, non diventeranno cittadini di pieno diritto.
Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42
– 00186 ROMA – Tel. 06 6760 3193


09 – LA MARCA (PD): CON IL DECRETO “ACCOGLIENZA E INTEGRAZIONE” L’ITALIA È PIÙ GIUSTA, PIÙ SICURA E PIÙ UMANA, 6 OTTOBRE 2020
Da ieri i cosiddetti “Decreti Sicurezza”, voluti e usati da Salvini come strumento di propaganda permanente e come arma di chiusura ed esclusione verso chi era costretto ad abbandonare il suo paese, rischiando la vita in viaggi senza tutele e talvolta senza speranza, non esistono più.
Al loro posto il Governo ha approvato un nuovo provvedimento che non a caso si chiama “Accoglienza e integrazione”. Con esso vengono sanate le lesioni del diritto internazionale e dei principi costituzionali già evidenziate dal Presidente Mattarella ed eliminata la persecuzione delle ONG impegnate a salvare vite umane, alle quali, senza atteggiamenti lassisti, si danno regole precise di azione e di rapporto con le autorità marittime.

Si supera l’atteggiamento persecutorio che aveva messo per strada centinaia di migliaia di persone, in regola con la vecchia normativa, con beneficio della sicurezza e della salute personale e collettiva. Soprattutto, si ripristina la rete locale di accoglienza tramite gli SPRAR, che aveva dato buone prove, e si riaprono le attività di integrazione dei migranti in regola, recuperando anche decine di migliaia di posti di lavoro per gli italiani in esse impegnati.

Come eletti all’estero, avevamo sollecitato la Ministra Lamorgese a superare anche i vulnus che i Decreti Salvini avevano introdotto a danno degli italiani all’estero in materia di cittadinanza per matrimonio e di targhe automobilistiche estere. Il nuovo Decreto dà una risposta parziale, abbassando da 4 a 3 anni i termini di definizione delle pratiche di cittadinanza. Sugli altri aspetti resta il nostro impegno quando se ne parlerà alle Camere.
L’Italia, dunque, su questo delicato versante, da ieri non è meno sicura, ma certamente più giusta, più solidale, più umana.
On./Hon. Francesca La Marca, Ph.D.
Circoscrizione Estero, Ripartizione Nord e Centro America
Ufficio/Office: Roma, Piazza Campo Marzio, 42 – Tel – (+39) 06 67 60 57 03 – Email – lamarca_f@camera.it

10 – NELL’ENCICLICA IL PAPA TORNA A CRITICARE LE FEROCI FRONTIERE DEL PROFITTO. L’ENCICLICA. CONFINI NAZIONALI E PROPRIETÀ PRIVATA NON SONO DOGMI. NELL’ENCICLICA PAPALE LA DIFESA DEI DIRITTI CHE NON HANNO FRONTIERE SOCIALI, GEOGRAFICHE, DI GENERE. L’AMMONIMENTO ALLA POLITICA CHE DEVE OCCUPARSI SOLO DEL BENE COMUNE, CHE DEVE ESSERE POPOLARE MA NON POPULISTA (quando cioè strumentalizza «la cultura del popolo»), di Raniero La Valle
Indica l’orizzonte della «fraternità» universale e dell’«amicizia sociale» l’enciclica Fratelli tutti, firmata da papa Francesco ad Assisi, sulla tomba del santo da cui ha preso il nome, e resa pubblica domenica, all’Angelus in San Pietro (anche se il sito tradizionalista spagnolo Infovaticana ha violato l’embargo e ha pubblicato il testo integrale ieri sera, come del resto fece L’Espresso nel 2015 pubblicando in anticipo una bozza della Laudato si’).

E proprio a Francesco d’Assisi è ispirato il titolo («Fratelli tutti, scriveva san Francesco d’Assisi per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo») e sono dedicate le prime righe del documento. Con il ricordo della sua visita al sultano Malik-al-Kamil in Egitto, nel bel mezzo delle Crociate, simbolo di quello che è il cuore dell’enciclica: l’obiettivo della costruzione di una «fratellanza universale» – e sorellanza, anche se il termine femminile non è presente, come hanno fatto notare le donne –, capace di superare le «distanze dovute all’origine, alla nazionalità, al colore o alla religione» e di rifiutare «guerre» e «sfruttamento».

Fratelli tutti riprende e rilancia i due principali documenti sociali di Bergoglio: l’enciclica eco-sociale Laudato si’ ma anche i Discorsi rivolti ai movimenti popolari. Parla di difesa dell’ambiente e critica il sistema capitalistico che, inseguendo il dogma del profitto per pochi, violenta la Terra, saccheggia le risorse, comprime i diritti, genera ingiustizie sociali, provoca guerre e costringe interi popoli a emigrare. Rischia, a volte, di «volare alto», con richiami generici alla solidarietà e all’amore reciproco. Ma del resto un’enciclica è un testo del magistero non un programma politico (per quanto alcune indicazioni politiche siano presenti).

Il punto di partenza sono «le ombre di un mondo chiuso», che ha moltiplicato conflitti e innalzato muri, in nome di «nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi», i quali teorizzano e realizzano la «cultura dello scarto», che si manifesta con leggi di mercato fondate sul profitto di pochi, razzismo, compressione dei diritti umani, guerre e conflitti, schiavitù: «Certe parti dell’umanità – scrive Francesco – sembrano sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti».

Invece, i diritti non hanno «frontiere», né geografiche, né sociali, né di genere. «Nessuno dunque può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato, e tanto meno a causa dei privilegi che altri possiedono», si legge nell’enciclica. «I confini e le frontiere degli Stati non possono impedire che questo si realizzi. Così come è inaccettabile che una persona abbia meno diritti per il fatto di essere donna». Confini nazionali e proprietà privata non sono dogmi: la «destinazione comune dei beni della terra richiede oggi che essa sia applicata anche ai Paesi, ai loro territori e alle loro risorse», per cui «ogni Paese è anche dello straniero, in quanto i beni di un territorio non devono essere negati a una persona bisognosa che provenga da un altro luogo». Questo presuppone «un altro modo di intendere le relazioni e l’interscambio tra i Paesi», fondato sulla condivisione dei beni e risorse, non sull’accaparramento, perché «il mondo è di tutti» e «non importa se qualcuno è nato qui o se vive fuori dai confini del proprio Paese».

Per realizzare questa «fraternità» occorre il contributo e la corresponsabilità di tutti, facendo propria la scelta del «buon samaritano», senza guardare se chi ha bisogno di aiuto «fa parte della propria cerchia di appartenenza». Ma Francesco indica anche delle scelte alla politica, che deve occuparsi solo del «bene comune» e deve essere popolare ma non «populista» (quando cioè strumentalizza «la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere», oppure «mira ad accumulare popolarità fomentando le inclinazioni più basse ed egoistiche di alcuni settori della popolazione»). Ad esempio sulla questione immigrazione: incrementare e semplificare la concessione di visti, aprire corridoi umanitari, assicurare alloggi, sicurezza e servizi essenziali, offrire possibilità di lavoro e formazione, favorire i ricongiungimenti familiari.

L’ultima parte dell’enciclica è dedicata a due fra le più evidenti negazioni della «fraternità» secondo papa Francesco: la pena di morte e la guerra. La pena di morte – ma anche le «esecuzioni extragiudiziarie o extralegali», spesso «fatte passare come scontri con delinquenti o presentati come conseguenze indesiderate dell’uso ragionevole, necessario e proporzionato della forza» – «è inammissibile e la Chiesa si impegna con determinazione a proporre che sia abolita in tutto il mondo».

La guerra «non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante», e sempre più «facilmente si opta per la guerra avanzando ogni tipo di scuse apparentemente umanitarie, difensive o preventive, ricorrendo anche alla manipolazione dell’informazione».

Poi, con lo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche – «l’eliminazione totale delle armi nucleari» è «un imperativo morale e umanitario» –, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, «si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile», quindi «non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra».

11 – KAMCHATKA AVVELENATA. RUSSIA. DISASTRO ECOLOGICO NEL MARE CHE BAGNA KHALAKTYRSKY, LA SPIAGGIA DEI SURFISTI: I PRIMI AD ACCUSARE DISTURBI SONO STATI LORO. FAUNA MARINA DECIMATA. È CACCIA A UNA MISTERIOSA SOSTANZA CHIMICA, di Yurii Colombo
Già la sera del 2 ottobre scorso, erano iniziate a circolare delle drammatiche foto sui social russi di carcasse di animali marini e invertebrati spinti dalle onde sulla spiaggia di Khalaktyrsky in Kamchatka, collocata tra il Pacifico e il mare di Ochotsk, famosa tra i surfisti di tutto il mondo per le sue onde gigantesche e la sua sabbia nera.

Erano stati proprio gli amanti di questo sport a denunciare già da qualche settimana problemi alla vista, febbre e dolori alla gola, per i quali sono stati costretti tra l’altro a una improvvida quarantena. I subacquei accorsi ieri in zona confermano il disastro ecologico: il numero di ricci di mare è diminuito drasticamente, gli anemoni marini sono tutti morti, la barriera corallina è scolorita e anche i granchi si sono ridotti.

IL ROSLYBOLOVSTVO, il comitato governativo ha avviato un procedimento amministrativo in base alla legge sulla «Violazione del regime speciale per lo svolgimento di attività economiche nella zona costiera protetta», facendo intendere subito che si tratta di un disastro provocato dall’uomo. La rapidità con cui si sta muovendo l’amministrazione Putin fa ben sperare che non ci saranno ritardi e tentativi di insabbiamento come avvenne con il disastro di Norilsk di qualche mese fa, quando migliaia di tonnellate di petrolio vennero versate in mare colpevolmente, da un’azienda della zona. Il capo del Ministero delle risorse naturali Dmitry Kobylkin aveva anche promesso di fornire i primi risultati delle ispezioni ufficiali per ieri ma non è ancora chiaro quando sarà pronta la perizia.

LA VERSIONE CIRCOLATA inizialmente di una perdita di carburante da parte di una nave militare militare russa è stata prima smentita dal governo e riconosciuta improbabile anche da Greenpeace, visto che non c’è odore di prodotti petroliferi su tutta la costa anche se la popolazione locale, che convive da decenni con l’industria bellica, da molto insiste su questa tesi.


Il vulcano Kozelsky
L’ipotesi più gettonata in queste ore è che i pesticidi potrebbero essere la causa del disastro visto che sostanze chimiche vengono depositate ai piedi del vulcano Kozelsky ormai da quarant’anni. Il vulcano è collegato con un sistema di laghi e paludi, e non si trova lontano dall’Oceano. Gli attivisti di Greenpeace hanno diffuso immagini satellitari che mostrano come la fonte di inquinamento potrebbe presumibilmente essere il fiume Nalycheva. Sulla riva dell’affluente Nalycheva infatti c’è una discarica di pesticidi chimica del vulcano Kozelsky, di cui si hanno pochissime informazioni.

VLADIMIR BURKANOV dirigente dell’Istituto di geografia della Kamchatka dell’Accademia delle scienze russa, oltre che specialista mondiale di leoni marini, sostiene che l’ipotesi di Greenpeace secondo la quale le stelle marine, le capesante e i polpi della regione possano essere stati colpiti dall’esposizione ai pesticidi è fondata. «Questi non sono assolutamente prodotti petroliferi. Il fatto è che si tratta di una sostanza a noi ancora sconosciuta e le foto satellitari che abbiamo a disposizione non sono sufficienti a comprendere di che si tratta», dice Yablokov. I surfisti affermano di aver avuto sintomi di avvelenamento quasi un mese fa, quindi gli effetti delle sostanze pericolose nell’acqua potrebbero essere a “lento rilascio”.

GLI ECOATTIVISTI ne sono convinti: i danni potrebbero essere devastanti e quindi ora è importante identificarne la fonte. I vulcani della Kamchatka sono un patrimonio mondiale dell’Unesco, e se le sostanze chimiche arrivano da lì «non sarà certo una passeggiata» mettono in guardia alla sede di Greenpeace di Mosca. Gli ambientalisti intendono prelevare campioni e analizzarli in laboratori indipendenti.
Il governatore del territorio della Kamchatka, Vladimir Solodov, il quale sostiene che l’entità del disastro sarebbe «non di dimensioni epocali» ha già invitato esperti indipendenti e giornalisti a condurre un’ispezione congiunta, ma Greenpeace non ha espresso la disponibilità a collaborare perché teme proprio la linea del “danno minimo”.

12 – IL DIZIONARIO «FILOSOFICO» DEL SALONE DEL GUSTO. IL FATTO DELLA SETTIMANA. GLI INTERNAUTI POTRANNO CONOSCERE, IMPARARE E DIALOGARE CON FILOSOFI, ANTROPOLOGI, SCRITTORI, ECONOMISTI E INTELLETTUALI, di valter musso
Agroecologia, biodiversità, commodity, distribuzione, economia, geografia. Sono alcune delle parole, degli argomenti trattati in questa edizione di Terra Madre Salone del Gusto che parte oggi e per sei mesi metterà a disposizione del pubblico di internauti, esperti di fama mondiale per affrontare temi di grande interesse e attualità proposti da angolature diverse. Comodamente da casa (gratuitamente), collegandosi a www.terramadresalonedelgusto.com, si entrerà in uno spazio unico per conoscere, dialogare, imparare, per accendere la consapevolezza sull’importanza del cibo per il benessere delle persone e la salute del pianeta. Grandi nomi di intellettuali, scrittori, economisti, filosofi, antropologi, ecologisti ed educatori offrono la propria visione su ambiente, agricoltura, alimentazione, insieme a contadini, pastori, pescatori e cuochi. La limitazione del Covid, che ha impedito di organizzare la grande kermesse a Torino, si è trasformata così in un’opportunità grazie alla realizzazione di format divulgativi innovativi, consentendo a centinaia di migliaia di persone nel mondo di assistere agli interventi di Fritjof Capra, Carolyn Steel, Salvatore Settis, Virginie Raisson, Sunita Narain, Johan Rockström.

CIBO COMMODITY E AGROENERGIA. Pensare il cibo oggi significa pensare la società come un tutt’uno. Con la globalizzazione dell’economia, i prodotti alimentari hanno smesso di essere cibo come lo erano prima, come lo sono sempre stati nella storia, cioè hanno smesso di avere il valore legato al loro uso, alle loro proprietà intrinseche che riguardano la nutrizione umana, e sono diventati qualcosa di estraneo alla stessa alimentazione. Il cibo si è trasformato in due cose: agroenergia e commodity.

In quanto agroenergia viene rimosso il valore d’uso del cibo, ovvero la sua proprietà di nutrimento. Il cibo perde l’enorme patrimonio di riferimenti di carattere sociale, geografico, biologico, culturale. Per altro verso, il cibo è diventato una commodity. Cioè merci internazionalmente standardizzate, che possono essere vendute sulla borsa merci e come titoli futures. Oggi, quindi, si può comprare un raccolto di soia o di mais senza che la coltivazione sia neppure stata avviata. Così, trasformato in commodity, il cibo assume le stesse caratteristiche del petrolio, del ferro: nell’economia globalizzata importa poco il valore d’uso del cibo. Queste nuove interpretazioni dei prodotti alimentari hanno un impatto enorme sul territorio, sulle persone, sull’identità collettiva. Basti pensare alle enormi quantità di pesticidi che richiedono le monocolture generate da questo sistema. (Larissa Bombardi: docente di Filosofia, letteratura e scienze umane dell’Università di San Paolo del Brasile).

PANDEMIA. Dobbiamo interpretare il coronavirus come una risposta biologica del nostro pianeta vivente, Gaia, allo stato di emergenza ecologica e sociale del quale il genere umano è vittima e causa. Il contagio è nato da uno scompenso di tipo ecologico, ma le sue ricadute sono drammatiche a livello sociale. Gli studiosi e gli ambientalisti ci hanno messo in guardia sulle devastanti conseguenze dei nostri sistemi non-sostenibili in tutti gli ambiti. Finora, però, i nostri leader, incapaci di affrancarsi dall’ebrezza del profitto e del potere, si sono ostinati a fare finta di nulla…

Adesso, però, le élite politiche e finanziarie non possono più fare finta di nulla, perché il Covid-19 ha fatto di quelle nefaste prospettive future una realtà vissuta. La sistematica compromissione degli ecosistemi, mossa dall’avidità dei grandi conglomerati aziendali, ha frammentato quei sistemi, lacerando la tela della vita. Nelle epoche di pandemia, infatti, il problema della giustizia sociale non è più una questione politica di sinistra contro destra, ma una questione di vita o di morte. Per contenere la diffusione delle pandemie è fondamentale migliorare le condizioni di vita dei meno fortunati. Sono gli approcci di ordine etico, orientati al bene comune, a diventare una questione di vita o di morte. (Fritjof Capra: fisico, economista e scrittore austriaco)

AGROECOLOGIA. L’agroecologia si profila come una delle uniche soluzioni percorribili per affrontare questa pandemia, dal punto di vista della produzione alimentare. Per l’agroecologia è fondamentale il dialogo tra i saperi. Da un lato abbiamo il contributo della scienza occidentale, come l’ecologia, l’agraria, le scienze sociali. Dall’altra i saperi ancestrali, delle comunità contadine e delle comunità indigene. Perciò, quando si realizza questo dialogo di saperi, nasce una proposta, quella che chiamiamo agroecologia: una scienza di trasformazione, basata sui principi fondamentali che regolano i funzionamenti della natura, applicata a progetti di gestione degli agro-ecosistemi. L’agroecologia è una scienza olistica sistemica.

Credo che il Covid-19 abbia evidenziato la fragilità del sistema alimentare globale. In questo momento, nel mondo, ci sono 1,5 miliardi di ettari coltivati che per l’80% sono monocolture di soia, di mais, di grano che dipendono da un utilizzo di 2,3 miliardi di chili di pesticidi. Penso che oggi un cambiamento fondamentale, radicale del sistema alimentare, sia necessario. Quello che dobbiamo fare, ciò che il Covid ha evidenziato, è che la produzione alimentare deve tornare nelle mani dei contadini, degli indigeni e dell’agricoltura urbana. Gli agricoltori, che occupano tra il 25 e il 30% delle terre agricole, producono tra il 50 e il 70% degli alimenti che mangiamo. L’agricoltura industriale produce solo il 30% degli alimenti, ma consuma l’80% dell’acqua, il 70% dell’energia e del petrolio. Produce il 40% dei gas a effetto serra, responsabili dei cambiamenti climatici. (Miguel Altieri: agronomo ed entomologo cileno, docente presso l’Università della California)

SISTEMA ALIMENTARE. Molte evidenze scientifiche ci dicono che il sistema alimentare è uno dei maggiori produttori di emissioni di gas serra e la causa principale di perdita di biodiversità. È il principale fattore di una crescente frequenza di epidemie e pandemie, il principale consumatore di acqua dolce, una delle maggiori cause dell’inquinamento e del cambio di destinazione d’uso del suolo… In breve: se correggiamo il sistema alimentare, potremo contribuire alla stabilità del sistema Terra aiutando in modo importante il pianeta.
L’Accordo di Parigi sulla riduzione di emissione di gas serra non riguarda più la nostra capacità di decarbonizzare il sistema energetico, quanto piuttosto il successo della trasformazione del sistema alimentare. I dati che abbiamo indicano tutti una direzione che dobbiamo considerare: d’ora in poi dovremo nutrire l’umanità usando i terreni agricoli già esistenti… In secondo luogo, vanno attuate tutte le pratiche agronomiche ecocompatibili: sistemi di raccolta dell’acqua, migliori rotazioni delle colture, agricoltura conservativa… La mia raccomandazione è eliminare tutti quei sussidi che incentivano sistemi produttivi non sostenibili, basati sulla monocoltura, industriali e dannosi per il clima e reindirizzare le risorse economiche per far sì che i contadini siano il più possibile veri guardiani del paesaggio. (Johan Rockström: direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research e professore di sistemi idrici e sostenibilità globale all’Università di Stoccolma)

13 – LAVORO – UN MILIONE DI FIRME IN EUROPA PER IL REDDITO DI BASE INCONDIZIONATO
LA CAMPAGNA. L’INIZIATIVA DEI CITTADINI È PARTITA IN TUTTI I PAESI EUROPEI E DURERÀ UN ANNO. E’ POSSIBILE PARTECIPARE E FIRMARE SUL SITO WWW.BIN-ITALIA.ORG. «UN’OCCASIONE PER ESTENDERE IN ITALIA IL REDDITO DI CITTADINANZA SENZA I VINCOLI CHE CREANO LA TRAPPOLA DELLA PRECARIETÀ», di Roberto Ciccarelli
Tra gli obiettivi del Recovery Fund non è contemplato, ma un reddito di base incondizionato rientra tra le politiche che dovrebbero garantire la coesione sociale ed economica nell’Unione Europea, uno dei pilastri del «piano» da 750 miliardi di euro a cui è stata delegata la speranza di creare una «resilienza» delle economie colpite dalla pandemia del Covid e adattare i mercati al capitalismo dei disastri.
C’è un motivo per questa assenza. Inteso sia come «diritto umano fondamentale», sia come riconoscimento del lavoro invisibile e gratuito che la nostra forza lavoro realizza anche sulle piattaforme digitali, il «reddito di base» mette in discussione le priorità di questo capitalismo e prospetta una trasformazione significativa della sua struttura basata sullo scambio tra un (non) lavoro sempre più precario e salari sempre più bassi e intermittenti. Una prospettiva, al momento, assente dalla scena politica tecnocratica, ma sostenuta da un ampio dibattito politico nella società in molti paesi anche europei.

In questo quadro l’iniziativa europea dei cittadini (Ice) che chiede alla Commissione Ue di istituire un reddito di base incondizionato nell’Unione Europea – cioè libero dallo scambio con il salario e come riconoscimento parziale del valore della facoltà della forza lavoro che produce tutti gli usi possibili di una vita – è un’occasione per inserire nel dibattito attuale sulla crisi pandemica un fondamentale principio di giustizia sociale.

L’obiettivo della campagna è ambizioso e realizzabile: entro il 25 settembre 2021 vanno raccolte un milione di firme in tutti i paesi membri dell’Unione Europea. A quel punto, entro tre mesi, la Commissione è obbligata a spiegare quale azione intende intraprendere e i motivi di un eventuale rifiuto. Certo, l’obbligo non è quello ad adottare una direttiva sul reddito, ma non si può escludere che la Commissione prosegua sulla strada della costruzione di un Welfare sovranazionale solo parzialmente abbozzato da interventi emergenziali come il piano «Sure» destinato a finanziare le casse integrazioni per Covid da 100 miliardi di euro. In prospettiva il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni ha parlato di un salario minimo europeo. Una campagna per il reddito di base potrebbe strutturare una politica dal basso e rispondere alla domanda generale: al netto delle aspettative palingenetiche legate al Recovery fund, cosa succederà a chi continuerà ad avere lavori intermittenti restando al di sotto della soglia di povertà?

Per ora in Italia siamo al 7% della quota firme richieste. Prime sono la Croazia con il 39%, la Grecia con il 15% e la Spagna con il 12%. Si può firmare sul sito bin-italia.org e su https://eci-ubi.eu/ dove c’è una raccolta fondi per assegnare in prova un reddito di base per un anno da 800 euro al mese.

«Se l’iniziativa andrà in porto, e la Commissione Ue si pronuncerà in questo senso, come mi auguro, potremmo avere un argomento in più per sostenere l’estensione della platea dell’attuale “reddito di cittadinanza” e una maggiore incondizionalità senza i vincoli che possono penalizzare le persone e vincolarle all’obbligo delle politiche attive del lavoro che spesso si trasformano in una trappola della precarietà. La nuova frontiera del welfare è il reddito di base incondizionato» sostiene Sandro Gobetti del Basic Income Network Italia (Bin).

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