22 Agosto 2020 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL ESTERO ED ALTRE COMUNICAZIONI.

01 – Notizie.22 agosto 2020. Le notizie del giorno scelte dalla redazione. SPIRAGLIO DI PACE
02 – Andrea Capocci.* Quasi mille contagi in 24 ore. Lombardia e Lazio le più colpite. Coronavirus. Aumentano da 6 a 9 le vittime, 37 ricoverati in più. La Fondazione Gimbe: in un mese +140% di nuovi casi.
03 – Luigi Pandolfi.* Il Covid ha aperto la borsa, ma resta il macigno del debito. Economia . È stato stimato che nel quadriennio 2019-2022 dovremo pagare 300mld di euro di interessi sul debito. Forse più. Davvero pensiamo possibile un risanamento monstre?
04 – Schirò (Pd) – chiuse venti sedi consolari per contagio da covid-19. Solidarietà al personale. Garantire i diritti degli elettori e i servizi essenziali
05 – Roberta Calvano.*Alla base del taglio c’è un intento antiparlamentare. Referendum. Il taglio dei parlamentari sarebbe costituzionalmente sostenibile solo in presenza di una legge elettorale proporzionale. Perché voto NO.
06 – Marco Bertorello, Danilo Corradi. * Il dollaro al capolinea? E la Cina cresce. Nuova finanza pubblica. Per i paesi dell’area asiatica l’interscambio con la Cina costituisce il 40% dei loro volumi di scambio. Pechino non nasconde l’ambizione a de-dollarizzare la propria economia e quella dell’area circostante.
07 – Alfiero Grandi. Articolo pubblicato dal Fatto quotidiano il 20 agosto con il titolo: TAGLIO PERCHE’ NO.
08 – Lucrezia Ricchiuti* Quella patologica distanza tra elettori ed eletti. Referendum. Avendo fatto il consigliere comunale, di opposizione e di maggioranza, per molti anni e poi la senatrice, so di che parlo quando dico che la rappresentanza democratica è un cardine fondamentale della nostra Repubblica
09 – Fabrizio Tonello*. I ladri di polli leghisti e la matrice pubblica della corruzione. La bagarre sui politici che hanno preso il bonus di 600 euro, tra i quali si distinguono ovviamente i leghisti, rischia di far dimenticare colpevoli ben più importanti e oscurare il carattere strutturale della corruzione nel tardo capitalismo.
10 – Nicola Sellitti. Mai più torcida: un calcio a Bolsonaro Sport. Il presidente utilizza la storica maglia giallo oro a scopi propagandistici. Una petizione per protesta chiede di tornare alla prima casacca bianco blu del 1914.
11 – Marina Catucci*. I Sanderisti: «votiamo Biden, ci ha convinto Donald Trump. Convention democratica. Che non siano tempi normali lo si è visto dal numero di interventi di ex sostenitori di Trump pentiti che sono intervenuti a una convention che sembra aver fatto proprio lo slogan di bernie Sanders, “not me, us”, “non io, noi”.
12 – Perché Trump sta facendo la guerra alle poste americane. Il presidente prova a mettere i bastoni fra le ruote al Postal Service per timore del voto per corrispondenza a novembre, e in effetti non è detto che vada tutto liscio: la politica americana è tutt’altro che scontata quando si parla di vincitori.
13 – Claudia Fanti*. Mapuche, verso l’accordo finale. La vita del machi Celestino Córdova è salva. Dopo un lungo negoziato con un governo che ha giocato fino all’ultimo con la sua vita e con quella degli altri detenuti mapuche, l’autorità spirituale ha annunciato martedì di aver messo fine a 107 giorni di sciopero della fame.
14 – Marina Catucci*. L’allarme di Obama nel giorno di Kamala Harris.

 

01 – NOTIZIE. 22 AGOSTO 2020. LE NOTIZIE DEL GIORNO SCELTE DALLA REDAZIONE. SPIRAGLIO DI PACE

FAYEZ AL-SERRAJ, capo del governo di Tripoli, e Agila Saleh, presidente del Parlamento di Tobruk nella Libia orientale, hanno annunciato ieri un cessate il fuoco in Libia (Agi). L’annuncio arriva dopo alcune settimane di negoziati favoriti dalle Nazioni Unite e dagli Stati Uniti. L’intesa preparerà la strada per nuove elezioni a marzo (Repubblica). Ma il vero accordo, scrive La Stampa, è tra RUSSIA E TURCHIA.
L’annuncio del cessate il fuoco è un fatto positivo, ma gli scettici abbondano (New York Times);
Il cessate il fuoco riduce le tensioni fra Turchia ed Egitto (Jerusalem Post).
Nuova pagina L’Onu ha accolto con favore l’iniziativa. Per il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, è un “passo importante per il rilancio di un processo politico che favorisca la stabilità” (Ansa). La Società nazionale petrolifera libica ha annunciato il ripristino dell’esportazione di petrolio, i cui proventi saranno depositati su un conto da cui si potrà attingere solo dopo un accordo politico completo (La Stampa).

GIACIMENTO TURCO Il presidente Recep Tayyp Erdogan ha annunciato la scoperta, nel Mar Nero, del più grande giacimento di gas naturale della storia della Turchia (Bloomberg). Ankara intensificherà le ricerche di idrocarburi nel Mediterraneo entro la fine dell’anno con l’invio di un’altra nave trivella (Formiche).

RITORNO AL PASSATO Dopo Santa Sofia, un’altra chiesa-museo di Istanbul, San Salvatore in Chora, tornerà a essere una moschea (La Stampa).

PANORAMA GEOPOLITICO
Veleni russi L’oppositore russo, Alexei Navalny, ricoverato in ospedale a Omsk, Siberia, per un sospetto avvelenamento, è stato trasferito in Germania per curarsi (Repubblica). Il via libera dei medici è arrivato dopo un lungo tira e molla con la famiglia e con un’equipe di sanitari tedeschi giunti per verificare le sue condizioni di salute (Dw).

SCONTRO A MINSK I bielorussi “non accetteranno mai” la leadership del presidente Alexander Lukashenko, ha detto la leader dell’opposizione, Svetlana Tikhanovskaya, nella sua prima conferenza stampa dalla Lituania (Bbc). Lukashenko ha dichiarato che intende “perseguire una politica dura per stabilizzare la situazione nel Paese” (Sky News).
Il grido dei bielorussi che ci ricorda il valore della libertà (Repubblica);
Il coronavirus? Un detonatore politico dal Libano alla Bielorussia (Corriere).
Fronte africano La giunta militare al potere in Mali dopo il colpo di stato di martedì ha avviato un dialogo con “forze attive” della società civile e dell’opposizione “per istituire un consiglio di transizione presieduto da un civile o un militare”, ha dichiarato il portavoce, Ismael Wagué, a France 24.

FRONTE IRANIANO Tredici dei 15 Paesi che fanno parte del consiglio di sicurezza dell’Onu hanno scritto una lettera (Guardian) opponendosi alla richiesta americana di introdurre nuove sanzioni nei confronti dell’Iran (Agi).
Il dilemma europeo sull’Iran: con gli Usa o con Russia-Cina? (Formiche).

OMBRE DI NO DEAL
A oggi un accordo per il dopo Brexit appare “improbabile” ma “ancora possibile”, ha detto il negoziatore Ue Michel Barnier al termine del settimo round di trattative a Bruxelles. Il negoziatore britannico David Fros ha accusato l’Unione di rendere i colloqui “inutilmente difficili” ma si è detto ottimista sulla possibilità di un’intesa entro fine anno (Politico).

LA POSTA PIÙ ALTA Il presidente cinese Xi Jinping parteciperà a un summit in videoconferenza a metà settembre con alcuni leader europei per preparare un accordo commerciale prima delle elezioni americane, scrive Scmp, specificando che parteciperanno Angela Merkel, Emmanuel Macron, Charles Michel e Ursula von der Leyen.

THE DAY AFTER
Il vicepresidente americano, Mike Pence, ha risposto alle critiche e alle accuse che il presidente, Donald Trump, ha ricevuto alla convention democratica, arrivando ad ammonire che una presidenza Biden distruggerebbe l’economia Usa e consentirebbe le rivolte nelle strade (Cbs).

COM’È ANDATA Secondo Nielsen Ratings 24.6 milioni di persone hanno seguito in televisione la convention democratica che ha nominato Joe Biden come candidato presidente. Sono dati leggermente inferiori al 2016 che però non tengono conto dello streaming (Reuters). Intanto si prepara la convention repubblicana della prossima settimana in Carolina del Nord (Bbc).

COSA È RIMASTO FUORI DALLA CONVENTION DEM (WP);
America 2020: luce, tenebre e l’ombra di Trump (L’analisi di Mario Sechi).
Voto regolare Il capo del servizio postale americano, Louis DeJoy, in audizione al Senato, ha assicurato che le schede elettorali per le elezioni di novembre saranno consegnate in tempo (Reuters).

BANNON E DEJOY, due diverse facce dell’impero della corruzione di Trump (Salon).
Contromisure social Facebook si prepara all’eventualità che Trump contesti il risultato elettorale, scrive il Nyt, e per questo valuta anche di mettere in pausa le inserzioni pubblicitarie politiche dopo il voto di novembre.

GIUSTIZIA AMERICANA
Muro di accuse Steve Bannon è tornato in libertà dopo aver versato una cauzione da 5 milioni di dollari ma non può lasciare il Paese. L’ex stratega elettorale di Trump era stato arrestato giovedì con l’accusa di truffa nei confronti di chi aveva donato soldi per costruire la barriera al confine con il Messico (Deadline).

DATAGATE Il ministro della Giustizia americano, William Barr, ha detto all’Ap che si opporrà con fermezza a qualsiasi ipotesi di grazia nei confronti dell’ex consulente Nsa Edward Snowden, sotto accusa per la rivelazione dei programmi di sorveglianza di massa del governo.

FRONTE PANDEMICO
Il coronavirus ha superato 22,7 milioni di contagi nel mondo, provocando quasi 800mila vittime. Il direttore generale dell’Oms, Tedros Ghebreyesus, ha detto di augurarsi che l’epidemia sia sconfitta entro due anni. “Non è detto che si trovi un vaccino, né che questo sia sufficiente”, ha dichiarato (Bbc).

IL BILANCIO PESANTE DEL VIRUS SULLE MINORANZE NEGLI USA (Ap);
Perché il movimento no-vax cresce durante una pandemia (Ft).
Focolai europei La Francia ieri ha registrato 4.586 nuovi casi, in lieve calo rispetto a giovedì. Ci sono 3.650 nuovi positivi in Spagna (Rainews). In Italia continua la risalita, con 947 contagiati (Quotidiano.net).

UN PIANO PER RIPARTIRE
Le regole della scuola Misurazione della temperatura a casa, tracciamento dei contatti e possibile quarantena per la classe in caso di tampone positivo, isolamento dei sintomatici: sono alcune delle raccomandazioni dell’Istituto superiore di Sanità e del ministero della Salute in vista del rientro a scuola (Sole 24 Ore). Intervistato dalla Stampa il commissario, Domenico Arcuri, dice: “Mascherine e 170 mila litri di gel. Così i ragazzi torneranno a lezione”.

SÌ DEI PRESIDI, PERPLESSITÀ DEI GENITORI (HuffPost);
Gli scenari dei contagi fra i banchi, nel grafico navigabile del Corriere;
Landini (Cgil): “I ritardi ci sono e non faremo il capro espiatorio. Da Azzolina accuse inaccettabili” (Repubblica);
La Germania chiude subito le scuole (Corriere).
Prospettive di ripresa Ci sono le condizioni per un terzo trimestre “di fortissimo rimbalzo e una chiusura dell’anno non lontano dalle previsioni originali del governo” ha detto ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, intervenendo al Meeting di Rimini. “Non realizzeremo progetti che fanno debito cattivo”, ha assicurato (Corriere).

ORIZZONTI
Come va Eurostat certifica un rallentamento dell’indicatore manifatturiero dell’area euro sceso, ad agosto, a 51,6 dai 54,3 punti di luglio. Il dato resta comunque al di sopra della soglia di contrazione (Repubblica).

QUI LONDRA L’indice Pmi del Regno Unito risale ad agosto a 60,3 punti dai 57 di luglio. Le vendite al dettaglio aumentano del 3,6%, dopo il +13.9% di giugno (Reuters). L’ufficio nazionale di statistica segnala che il debito supera per la prima volta i 2mila miliardi sterline, pari al 100% del Pil (Business Insider).

ECONOMIA AMERICANA L’indice Pmi composito statunitense, che riguarda i settori della manifattura e dei servizi, ha registrato un aumento a 54,7 punti questo mese, risultato migliore da febbraio 2019. A luglio era a 50,3 punti (Bloomberg). Sempre negli Stati Uniti le vendite immobiliari sono cresciute del 25% (Wsj).

O LA BORSA… Sono tre le manifestazioni di interesse per l’acquisto di Mts, la piattaforma di contrattazione all’ingrosso di titoli di Stato. Oltre a Cassa depositi e prestiti, alleata con Euronext, ci sono anche Deutsche Boerse e Six.

MONDO REALE
Sotto accusa Il governo boliviano ha presentato una denuncia penale contro l’ex presidente, Evo Morales, per una presunta relazione con una minorenne (Repubblica).

MEA CULPA L’ex presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, ha chiesto scusa alle famiglie delle vittime di Cesare Battisti riconoscendo “l’errore” di aver a suo tempo concesso asilo al terrorista italiano (Adnkronos).

MEDIA & TECH
Apple ti scrivo/1 New York Times, Wall Street Journal e Washington Post, rappresentati dalla Digital Content Next, hanno scritto al ceo di Apple, Tim Cook, chiedendo condizioni economiche più favorevoli nell’App Store. Apple trattiene il 30% dei ricavi generati dalla maggior parte degli abbonamenti (Cnet).

Apple ti scrivo/2 L’attivista Joshua Wong si è rivolto a Tim Cook per denunciare la censura subita dai dipendenti Apple di Hong Kong che avevano decorato i loro Memoji con i colori del movimento pro democrazia.

AMAZON, ADDIO JEFF WILKE, ceo globale della divisione consumer business di Amazon e da molti considerato come il possibile successore di Jeff Bezos, lascerà il suo incarico a partire dal primo trimestre 2021 e verrà sostituito da Dave Clark (Nyt).

SPORT
Delusione nerazzurra Per la sesta volta il Valencia ha vinto l’Europa League. Nella finale di Colonia gli andalusi hanno battuto 3 a 2 l’Inter, che ha ceduto per una deviazione decisiva di Lukaku su una rovesciata di Diego Carlos (Sky TG24). Dopo la gara il tecnico, Antonio Conte, ha lasciato capire che questo potrebbe essere la sua prima e ultima stagione sulla panchina nerazzurra (Corriere).

FORMULA 1 Il team inglese Williams, in vendita da fine maggio, è stato acquisito dal fondo di investimento americano Dorilton Capital (Gazzetta).

LE VOCI DEI SOPRAVVISSUTI DELLA STRAGE DI FERRAGOSTO “Ci hanno sparato addosso dopo ore alla deriva”, la testimonianza dei sopravvissuti al peggior naufragio del 2020 al largo delle coste libiche. Di Annalisa Camilli.

IL COLPO DI STATO IN MALI avrà ripercussioni profonde Il 18 agosto i militari hanno deposto il presidente Keita, promettendo di restituire il potere ai civili. Al di là dei consueti proclami, per il paese saheliano ci sono diverse poste in gioco all’interno e all’estero. L’analisi di Andrea de Georgio.
PARTECIPARE C’è stato un tempo, tra la metà degli anni novanta e la metà dei duemila, in cui internet era molto diversa da com’è oggi. L’editoriale di Giovanni De Mauro.

 

02 – Andrea Capocci.* QUASI MILLE CONTAGI IN 24 ORE. LOMBARDIA E LAZIO LE PIÙ COLPITE. CORONAVIRUS. AUMENTANO DA 6 A 9 LE VITTIME, 37 RICOVERATI IN PIÙ. LA FONDAZIONE GIMBE: IN UN MESE +140% DI NUOVI CASI.

La corsa verso l’alto dei nuovi casi positivi non si arresta. Ieri sono stati 947, contro gli 845 del giorno prima. Piccolo aumento anche nel numero delle vittime, passate da sei a nove in 24 ore. Le persone ricoverate sono 988, 37 più di giovedì, di cui 69 in terapia intensiva.
LA REGIONE CON PIÙ CASI è stata la Lombardia, dove se ne sono contati 174, davanti al Lazio, che con 137 casi è ormai da giorni una delle regioni più colpite. Ancora una volta, la maggioranza dei casi riguarda persone rientrate dalle ferie e oltre un terzo si è infettato in Sardegna.
«Si conferma il trend in progressivo aumento dei nuovi casi, siano essi autoctoni, di importazione (stranieri) o da rientro di italiani andati in vacanza all’estero», commenta il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta nel presentare il rapporto settimanale della fondazione. I 3.399 nuovi casi della settimana 12-18 agosto costituiscono un valore superiore al 140% rispetto a un mese prima. «La risalita nella curva dei contagi – precisa Cartabellotta – desta non poche preoccupazioni sia perché l’incremento inizia a riflettersi progressivamente sull’aumento delle ospedalizzazioni, sia perché solo negli ultimi giorni (il 19 e il 20 agosto, ndr), peraltro non inclusi nella nostra analisi settimanale, sono stati riportati quasi 1.500 nuovi casi».

Non tutti i focolai dei vacanzieri sono composti da asintomatici, ha spiegato il direttore sanitario dello Spallanzani Francesco Vaia. «Più di una persona in queste ore è stata ricoverata allo Spallanzani perché infettata al coronavirus proprio dai ragazzi rientrati dalle vacanze. Per cui mi rivolgo ai giovani invitandoli a comportarsi bene e se risultati positivi mantenete l’isolamento».

A SPINGERE IN ALTO I CASI sono anche i tamponi, ieri nuovamente oltre quota settantamila. A livello nazionale, risulta positivo poco più di un tampone su cento. In Sardegna il rapporto sale a uno su venti. Si tratta in gran parte di ragazzi contagiati da coetanei, e questo spiega perché i casi ospedalizzati in regione siano solo 13, nessuno dei quali in condizioni gravi.
DOPO LE DICHIARAZIONI allarmistiche di giovedì, il consulente del governo ed ex-presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Walter Ricciardi è tornato a previsioni prudenti al meeting di Rimini, escludendo l’eventualità di un nuovo lockdown ma dicendosi preoccupato per l’aumento dei focolai: «Questo non significa – ha detto Ricciardi – che la situazione sia fuori controllo. Siamo ancora in grado di controllarla perché più o meno i focolai sono mille in Italia, ma se diventano due o tremila non riusciamo più a controllarla». Anche il ministro Speranza era al meeting, dove ha fatto il punto sulla tenuta del servizio sanitario: «Alla fine il servizio sanitario nazionale ha retto, nonostante l’onda sia stata altissima. Bisogna mettere risorse con grande energia sul servizio sanitario nazionale» e mettere «un punto» alla stagione dei tagli sulla sanità. (da Il Manifesto di Andrea Capocci.*)

 

03 – Luigi Pandolfi.* IL COVID HA APERTO LA BORSA, MA RESTA IL MACIGNO DEL DEBITO. ECONOMIA . È STATO STIMATO CHE NEL QUADRIENNIO 2019-2022 DOVREMO PAGARE 300MLD DI EURO DI INTERESSI SUL DEBITO. FORSE PIÙ. DAVVERO PENSIAMO POSSIBILE UN RISANAMENTO MONSTRE?

Quando c’è crisi non si deve badare a spese. Sembra una contraddizione in termini, ma in economia funziona così. I disavanzi del settore pubblico devono intervenire copiosamente per compensare la caduta della spesa privata. Ed è quello che sta succedendo in questi mesi, un po’ ovunque nel mondo. In Italia, dopo anni di morigeratezza del nostro costume finanziario, abbiamo scoperto che i soldi si possono sempre trovare all’occorrenza, anche perché lo Stato, checché se ne dica, non è «come una famiglia».
Perfino durante l’ultima grande crisi del decennio scorso abbiamo sentito dire che i soldi erano pochi e che la tenuta dei conti pubblici veniva prima del soddisfacimento dei bisogni sociali. Il risultato è stato che un pugno di affaristi si è arricchito a dismisura, mentre la maggioranza della popolazione ha visto peggiorare sensibilmente la propria condizione materiale di vita. Milioni di persone, insomma, sono entrate nella nuova crisi con le ferite ancora aperte di quella precedente.

Ma torniamo ai soldi che d’incanto si sono materializzati in questo periodo (ci sarebbe molto da dire sul loro impiego, ma non è questa la sede). Tre manovre in sei mesi per un valore di oltre 100 miliardi di euro; deficit di bilancio che, complice anche la caduta del reddito nazionale, va verso il 13% del Pil; debito pubblico che sfonda la soglia dei 2500 miliardi di euro (proiezione a fine anno tra i 2.547 e i 2.577 miliardi, 160-170% del prodotto lordo), senza la contabilizzazione dei nuovi prestiti europei (Recovery fund, eventualmente il Mes, Sure se partirà ).

Un quadro di finanza pubblica nel quale balza agli occhi anche l’impennata del fabbisogno statale, salito a 100 miliardi nel mese di luglio, come da ultime stime della Ragioneria Generale dello Stato. +241% rispetto allo stesso periodo del 2019. Questo perché da inizio anno, e fino a giugno, gli incassi sono diminuiti del 9,2% e i pagamenti sono aumentati del 16,1%.

Dove non poterono le piazze spagnole, greche e portoghesi nel decennio scorso, poté il coronavirus. E meno male, potremmo dire. Forse, dopo la fine della pandemia, sarà più semplice dimostrare la natura ideologica e di classe dell’austerità. O, almeno, è quello che ci si augura.
Nel frattempo, si dovrebbe ragionare su una soluzione globale al debito europeo. Lo Stato non è «come una famiglia», dicevamo. Quindi, a maggior ragione, può gestire con più flessibilità i propri debiti, evitando che il peso della loro sostenibilità ricada per intero sulle spalle dei ceti popolari.

Beninteso, le politiche ultra-espansive della Bce hanno reso meno oneroso il servizio del debito in questi anni e ci tengono al riparo da assalti speculativi. Ma non basta. E’ stato stimato che nel quadriennio 2019-2022 il nostro Paese dovrà pagare la bellezza di 300 miliardi di euro di interessi sul proprio debito. O forse anche più. Davvero pensiamo che, passata la pandemia, potremo caricare sui cittadini, oltre a questa subdola tassa, il peso di un risanamento monstre per ritornare nei ranghi del patto di bilancio? Ancora meno spesa pubblica corrente rispetto al livello corrente di raccolta fiscale?
Siamo in Europa, c’è bisogno di una soluzione europea. Come è noto, nei Trattati viene fissata una soglia massima per quanto riguarda il rapporto debito/Pil: 60%. La Bce dovrebbe comprare tutto il debito degli Stati della zona euro in eccedenza rispetto a questa soglia e trasformarlo in titoli a lunghissima scadenza (40-50 anni) o, addirittura, perpetui, che non scadono mai. Nessuno pagherebbe i debiti per gli altri, ma tutti beneficerebbero di un alleggerimento delle scadenze e quasi tutti godrebbero di tassi inferiori a quelli di mercato o pari a zero, nel caso si scegliesse la strada dei perpetual bond.
Per l’Italia, questo significherebbe non rifinanziare qualcosa come 1300-1400 miliardi di euro di debito, con un recupero di spesa per interessi nell’ordine di oltre 20 miliardi all’anno. Ossigeno, maggiore stabilità. Fuori dall’Europa, di questi tempi, sarebbe stata molto dura per un Paese come il nostro. Ma l’Europa può fare molto di più. Lo consentono i suoi fondamentali macroeconomici e la credibilità delle sue istituzioni. Con la pandemia alcuni santuari sono caduti, ora si tratta di spingere più avanti.

 

04 – SCHIRÒ (PD) – CHIUSE VENTI SEDI CONSOLARI PER CONTAGIO DA COVID-19. SOLIDARIETÀ AL PERSONALE. GARANTIRE I DIRITTI DEGLI ELETTORI E I SERVIZI ESSENZIALI. 19 AGOSTO 2020
Almeno venti uffici consolari e di ambasciata destinati a servire i nostri connazionali sono stati temporaneamente chiusi per casi di contagio rilevati tra il personale.
La mia solidarietà più sincera e diretta va al personale che, nonostante le precauzioni adottate nei mesi scorsi, è stato colpito da un contagio che sappiamo pericoloso e serio.
In ogni caso è legittima la preoccupazione riguardante la possibilità di fruire dei servizi indispensabili da parte dei nostri connazionali, che a causa della pandemia hanno dovuto già subire un ulteriore rallentamento nelle prestazioni erogate dalla nostra amministrazione anche quando si tratti di pratiche che hanno un obiettivo carattere di urgenza.
Incombono poi gli adempimenti legati allo svolgimento del referendum confermativo sulla legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari. Si tratta, come sappiamo, di un fondamentale diritto di cittadinanza che non può subire alcuna limitazione nonostante la serietà delle ragioni che sono alla base dei provvedimenti di chiusura.
Su queste cose sarebbe il caso di avere rassicurazioni immediate da parte responsabili istituzionali che, come il sottosegretario Merlo ha fatto, non possono limitarsi agli annunci, e da parte dei responsabili amministrativi.
La scadenza elettorale è ormai molto ravvicinata e i tempi di ulteriore svolgimento della pandemia sembrano tali da indurre comunque ad assumere provvedimenti straordinari per fare in modo che i servizi essenziali a beneficio degli italiani residenti all’estero siano comunque garantiti.
Su queste questioni ho presentato un’interrogazione in Commissione Esteri che mi auguro trovi risposta urgente da parte del governo.
Angela Schirò – Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati – Piazza Campo Marzio, 42 – 00186 ROMA Tel. 06 6760 3193 – Email: schiro_a@camera.it

 

05 – Roberta Calvano.*ALLA BASE DEL TAGLIO C’È UN INTENTO ANTIPARLAMENTARE. REFERENDUM. IL TAGLIO DEI PARLAMENTARI SAREBBE COSTITUZIONALMENTE SOSTENIBILE SOLO IN PRESENZA DI UNA LEGGE ELETTORALE PROPORZIONALE. PERCHÉ VOTO NO.

Si parla troppo poco del referendum costituzionale del 20 e 21 settembre, e se ne parla male, a partire dagli spot sulle tv nazionali che lo definiscono “confermativo”, quasi la torsione plebiscitaria che da anni subisce fosse ormai istituzionalizzata. Se proprio non lo si vuole chiamare col suo nome, “referendum costituzionale”, lo si dovrebbe definire più correttamente “oppositivo”, finalizzato com’è ad offrire uno strumento per cui la revisione costituzionale possa essere fermata dalle minoranze (motivo per cui non è previsto il quorum) se non ottiene una legittimazione più ampia nel voto.
Si parla poco e male del taglio dei parlamentari, e per questo rispondo, alla provocazione verso i “costituzionalisti del no” che secondo l’Huffington Post sarebbero questa volta troppo silenti, provocazione alla quale ha già risposto sul manifesto Gaetano Azzariti.
Nonostante siano apparsi diversi articoli di autorevolissimi colleghi che spiegano e rivendicano le ragioni del “no”, anche tra i costituzionalisti – e devo dire principalmente tra le costituzionaliste italiane – esiste un 99% (come nel resto della popolazione) che non trova spazio e non viene facilmente ascoltato, salvo poi dire che “i costituzionalisti tacciono”. I miei studenti direbbero “…ti piace vincere facile!”
Si può essere stati “costituzionalisti del no”, ed esserlo anche stavolta, non per un pregiudiziale rifiuto contro ogni riforma. Ma perché, quando la riforma è sorretta da ragioni sbagliate (antipolitica e facile demagogia sui costi della politica) e non correttamente innestata nel corpo della Costituzione, ignorando i contraccolpi che essa produrrà su garanzie e funzionamento della macchina parlamentare, il No diventa l’unica strada. Un caffè al giorno in cambio di una riduzione del margine della rappresentanza politica, in un paese oggi più che mai diviso e frammentato. E’ questo l’improcrastinabile taglio sui costi della politica?
Quanto al merito, per comprenderlo è centrale porre l’attenzione al rapporto tra istituti di garanzia della Costituzione e legge elettorale. Si dice oggi, tardivamente, che il taglio dei parlamentari sarebbe costituzionalmente sostenibile solo in presenza di una legge elettorale proporzionale. Questo stretto legame tra saldezza della Costituzione e materia elettorale è ben noto almeno dal 1993, quando il passaggio al maggioritario ha reso le maggioranze previste dalle norme sugli istituti di garanzia (revisione costituzionale, elezione del Presidente della Repubblica, dei giudici costituzionali, dei componenti laici del Csm) insufficienti a garantire scelte pienamente condivise e soddisfacenti.
Oggi, dopo un ondivago approccio al taglio dei parlamentari, non ci si dovrebbe accontentare di un adeguamento della legge elettorale, che possa garantire che ai ridotti numeri non corrisponda una totale esclusione delle minoranze, politiche, sociali, territoriali dal parlamento, ma si dovrebbe ampliare la discussione all’adeguamento dei regolamenti parlamentari, senza il quale la funzionalità dell’istituzione sarebbe compromessa. Per non dimenticare le già richiamate maggioranze previste per gli istituti di garanzia.
Le preoccupazioni sono dunque tante e condivise da tanti costituzionalisti. Questa volta però la scarsa attenzione dei mezzi di informazione sul referendum rende il compito veramente arduo. Abbiamo tutti bisogno dei media, pur nella consapevolezza del disperato ritardo della battaglia, per chiarire la posta realmente in gioco nel referendum costituzionale, e non abbiamo bisogno invece di polemiche strumentali sui costituzionalisti.
RIBADISCO QUINDI IL MIO “NO”, dovuto all’antiparlamentarismo alla base della riforma, e al suo non essere accompagnata da misure che valgano a rafforzare autorevolezza e funzionalità del parlamento, nel mentre se ne riducono le dimensioni. Un ultimo problema è quello per cui il taglio dei parlamentari è mal progettato: esso porterebbe infatti al risultato per cui alcune regioni vedrebbero il peso dei propri rappresentanti valere metà di quello di altre (es. Sardegna vs Trentino Alto Adige, Calabria ecc.).
Una riforma quindi che farebbe figli e figliastri, mentre il paese ha bisogno più che mai di un parlamento nel quale si produca unità e non divisione, e che ridiventi urgentemente il luogo centrale ove discutere ed assumere scelte cruciali, come anche l’emergenza che stiamo vivendo ha dimostrato.
( Roberta Calvano.* Professore Ordinario. Settore scientifico disciplinare Università di Roma Sapienza)

 

06 – Marco Bertorello, Danilo Corradi. * IL DOLLARO AL CAPOLINEA? E LA CINA CRESCE. NUOVA FINANZA PUBBLICA. PER I PAESI DELL’AREA ASIATICA L’INTERSCAMBIO CON LA CINA COSTITUISCE IL 40% DEI LORO VOLUMI DI SCAMBIO. PECHINO NON NASCONDE L’AMBIZIONE A DE-DOLLARIZZARE LA PROPRIA ECONOMIA E QUELLA DELL’AREA CIRCOSTANTE
L’ipotesi che il dollaro perda la sua leadership non è certamente nuova. Tale prospettiva troppe volte annunciata non si è mai verificata e con tutta probabilità non si verificherà nei termini con cui la sterlina venne sostituita dal dollaro come moneta di riserva globale. Una effettiva perdita di egemonia, però, potrebbe maturare dal combinato di molteplici fattori, a partire dalla crescita dell’economia cinese.

Una tale parabola non si determinerà meccanicamente dal differenziale della crescita con il principale rivale economico, ma certamente questo dato non è irrilevante. Il Fmi prevede per gli Usa nel 2020 un calo del Pil dell’8%, mentre per la Cina un aumento dell’1%. La crescita maggiore del Pil cinese significa certo un rafforzamento produttivo, commerciale e finanziario del gigante asiatico, ma il differenziale, che per altro nell’ultimo decennio è andato assottigliandosi, non basta a rendere conto di una crisi egemonica.

Dobbiamo volgere lo sguardo a tendenze economiche e politiche più complessive. Alla guerra commerciale tra i due colossi sembra seguire anche quella finanziaria, con una regolamentazione americana ostile alle imprese cinesi a cui segue una tendenziale loro uscita dai listini a stelle e strisce. D’altro canto il maggior dinamismo dell’economia asiatica spinge Cina e paesi dell’area a stringere rapporti commerciali sempre più stretti.

Per i paesi dell’area asiatica l’interscambio con la Cina costituisce il 40% dei loro volumi di scambio. Pechino non nasconde l’ambizione a de-dollarizzare la propria economia e quella dell’area circostante. Il reminbi potrebbe sostituire il dollaro in Asia come moneta di riserva, ma anche l’euro potrebbe giocare un ruolo chiave.

La Russia ha reso noto che dei quasi 50 mld di interscambi con la Cina meno della metà è ormai effettuato con la valuta americana, superata da reminbi ed euro che sono stati utilizzati per il 56%. Se si rafforzasse un’area monetaria a trazione euro-cinese si ridurrebbero progressivamente le risorse finanziarie disponibili in direzione degli Stati Uniti. Minori scambi commerciali denominati in dollari potrebbero significare meno flussi d’investimento anche verso i titoli di Stato statunitensi. I cinesi sono uno dei principali detentori esteri di Treasuries.

La Fed sarebbe costretta a stampare ancora più moneta per fronteggiare un debito pubblico crescente. Gli Usa sono già ora il principale paese che sta ricorrendo alla monetizzazione del debito, una strategia che denota insieme forza e debolezze del dollaro. La politica ultra espansiva della Fed è possibile anche in virtù del privilegio di detenere le leve della moneta mondiale, potendo scaricare all’esterno, almeno in parte, il costo della crisi interna. L’abuso di questo potere, però, potrebbe rafforzare la convinzione di molti paesi di accelerare la de-dollarizzazione della propria economia.

Inoltre lo scarso risparmio interno degli Usa rende il finanziamento del debito americano dipendente dai flussi finanziari esteri in alternativa alla sua monetizzazione. Nell’attuale fase in cui l’indebitamento sovrano va aumentando ovunque, la ricerca di risorse finanziarie per rendere il più possibile sostenibile ed «economico» il proprio debito diventa un tassello strategico. L’approvazione del Recovery Found europeo potrebbe generare ulteriori novità nel mercato dei titoli di debito considerati a basso rischio e aumentare il grado di competizione nella ricerca di risorse finanziarie.
Il Vecchio continente e la sua moneta unica, dunque, potrebbero rappresentare un’ulteriore spina nel fianco del dollaro. Se è vero che la crisi del dollaro come moneta mondiale non è dietro l’angolo (dopo la crisi del 2008 il dollaro ha perso solo un paio di punti percentuali in termini di riserve mondiali), è anche vero che dentro la competizione internazionale si gioca anche questa partita e l’esito questa volta non è scontato.
( Marco Bertorello- Economista, Danilo Corradi- insegna Filosofia. *

 

07 – Alfiero Grandi. ARTICOLO PUBBLICATO DAL FATTO QUOTIDIANO IL 20 AGOSTO CON IL TITOLO: TAGLIO PERCHE’ NO. Nota di presentazione:
Preferisco inviare a chi interessa la versione originale dell’articolo che non si rivolgeva, come si può vedere sotto, al direttore del Fatto Marco Travaglio, ma più semplicemente utilizzava lo spazio chiesto al quotidiano e concesso dal direttore per esporre le ragioni del No.
L’escamotage “caro direttore ” aggiunto in capo all’articolo è servito a Travaglio per intrecciare nel suo fondo una polemica astiosa, non gradevole sul piano personale, ma soprattutto con ironie e giudizi fuori luogo sul merito dell’articolo che espone semplicemente gli argomenti a favore del No.
L’obiettivo del mio articolo era portare sulle pagine del Fatto posizioni che finora non hanno avuto ospitalità perchè il quotidiano sostiene esplicitamente il Si e vi compaiono solo queste posizioni.
Travaglio ha scelto, purtroppo, di rispondere con una stroncatura dell’articolo, tradendo un nervosismo esagerato sul referendum costituzionale. Alla matita rossa e blu usata a sproposito, tra cui falsi che vede solo lui, si può rispondere con Totò: ma mi faccia il piacere.
Per sostenere le ragioni del No, di cui sono convinto, scriverei su qualunque giornale, le conseguenze non mi interessano.
Alfiero Grandi
TAGLIO PERCHE’ NO (titolo del quotidiano).Le ragioni del referendum costituzionale sono quasi ignote.
Sull’onda di un populismo montante è stato individuato nel taglio dei parlamentari l’obiettivo principale. E’ vero: i parlamentari non hanno fatto molto per dimostrare che il loro ruolo è decisivo per la democrazia, arrivando a votare la legge per il taglio del 36,5% del parlamento per opportunismo, per incapacità di opporsi, per obbedienza ai capi. Forse pensando possa essere un deterrente per far durare questa legislatura.
Tuttavia il ruolo del parlamento va al di là dei suoi componenti, che possono essere non adeguati, perchè la nostra democrazia, fondata sulla Costituzione, non sarebbe più tale senza il suo asse portante.
I colpevoli ? Anzitutto leggi elettorali che assegnano da anni ai capi partito la nomina di deputati e senatori e l’hanno tolta ai cittadini che non possono scegliere chi verrà eletto. Gli attuali partiti sono in sostanza macchine elettorali e di potere, incapaci di un confronto politico sulle scelte che la nostra società dovrebbe fare per il futuro. Pesa una società frantumata, ripiegata, preda di interessi vecchi e nuovi.
Tagliare il parlamento non gli ridarà un ruolo centrale, anzi peggiorerà la situazione. Il parlamento dipinto come casta serve a nascondere il ruolo accresciuto del potere dei governi, comprese le nomine che effettuano. Il maggior potere dell’esecutivo è a spese del parlamento, che è sottoposto alla grandinata dei decreti, dei voti di fiducia, sotto la minaccia costante di una crisi, e di elezioni anticipate.
Il parlamento è ridotto a ratificare le decisioni del governo che ne dilatano il ruolo e che da controllato diventa potere imposto alla rappresentanza, lo dimostrano provvedimenti monstre e leggi approvate senza nemmeno essere lette.
Il M5Stelle vuole mettere alla gogna il parlamento, mentre invece il suo ruolo dovrebbe essere rilanciato, dimenticando che ruolo di governo e potere lo hanno assimilato sempre più alla cosiddetta casta, come dimostra la difesa del suo ruolo di governo.

Il Movimento è succube di una ideologia che ha spinto Davide Casaleggio a parlare di un prossimo superamento del parlamento, offrendo una cornice teorica che rende inquietante il taglio attuale.
Il resto della maggioranza ha subito la scelta sull’altare del governo, capovolgendo posizioni precedenti. In campagna elettorale al No basterebbe ricordare le ragioni dei voti contrari iniziali di Pd e Leu, quando la sinistra in parlamento era contro.
La Costituzione non doveva entrare in un accordo di governo. Così è evidente che il M5Stelle ha modificato posizioni precedenti, ora perfino i due mandati e le alleanze con partiti.
La nuova maggioranza ha votato il testo concordato dalla precedente maggioranza Lega M5Stelle con in cambio improbabili riequilibri: altre modifiche costituzionali e una nuova legge elettorale, dimenticate per un anno. Ricordo che Calderoli impose il voto sulla sua legge elettorale, ora in vigore, insieme alla terza lettura del taglio.
La discussione sul taglio del parlamento è immiserita da una ridicola promessa di risparmio proprio quando l’Italia aumenta il deficit di 100 miliardi e avrà aiuti europei per centinaia di miliardi. Nessun serio accenno al rilancio del ruolo del parlamento.
Non a caso la destra ha riesumato il suo vecchio obiettivo presidenzialista, raccogliendo firme, chiedendo pieni poteri, con l’obiettivo di arrivare ad un Presidente non più garante ma capo della fazione vincente.
L’assetto attuale del parlamento è immodificabile ? No. A condizione che sia parte di un rilancio del suo ruolo e della democrazia.
Il confronto europeo non lascia dubbi, l’Italia ha un rapporto eletti/elettori in linea con i grandi paesi europei. Per gli altri il confronto è fin troppo favorevole, soprattutto se il confronto è tra le “camere basse”. Resta il problema delle camere alte. Non tutti le hanno e le origini sono diverse. In Italia se ne è discusso senza trovare consensi sufficienti. Nel 2016 fu bocciata la proposta Renzi. Se vincerà il No sarà sempre possibile ragionare su una differenziazione dei compiti, mentre se il taglio passerà avremo 2 camere con poteri identici ma con numeri che ne renderanno difficile funzionamento e ruolo. Sarà impossibile la proporzionalità al Senato in almeno 9 regioni. Il taglio del parlamento limiterà la presenza a 3, massimo 4 partiti, gli altri elettori non saranno rappresentati e tanti territori, più gli italiani all’estero, saranno sotto rappresentati.
Fermare il taglio era meglio, bocciarlo il 20/21 è indispensabile.”
Alfiero Grandi

 

08 – Lucrezia Ricchiuti* QUELLA PATOLOGICA DISTANZA TRA ELETTORI ED ELETTI. REFERENDUM. AVENDO FATTO IL CONSIGLIERE COMUNALE, DI OPPOSIZIONE E DI MAGGIORANZA, PER MOLTI ANNI E POI LA SENATRICE, SO DI CHE PARLO QUANDO DICO CHE LA RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA È UN CARDINE FONDAMENTALE DELLA NOSTRA REPUBBLICA
Agli interventi di esperti e docenti di diritto costituzionale che il manifesto ospita a sostegno del No al referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari, vorrei aggiungere alcuni argomenti, che derivano dalla mia esperienza politica. L’esperienza di militante prima, di esponente negli organi elettivi locali poi e di senatrice, da ultimo.
Ovviamente, il 20 settembre voterò No: ma non per le ragioni legate alla mancata riforma della legge elettorale (come ha sostenuto Goffredo Bettini su Repubblica, mostrando un politicismo che ignora la gerarchia delle fonti del diritto e quindi dei valori costituzionali).
Avendo fatto il consigliere comunale, di opposizione e di maggioranza, per molti anni e poi la senatrice, so di che parlo quando dico che la rappresentanza democratica è un cardine fondamentale della nostra Repubblica.
Eleggere persone vere, saperle riconoscere per strada, conoscere i loro pensieri e azioni, poterne discernere meriti ed errori, rivolgersi loro per esporre problemi, sofferenze, aspirazioni, interessi e culture. Di tutto questo si nutre una democrazia autentica. Nella mia vita politica ho conosciuto migliaia di donne e uomini che si rivolgevano a me, sapendo chi ero: sono stata applaudita, aiutata e sostenuta molte volte; molte altre criticata e derisa (legittimamente) oltre che insultata e minacciata (meno legittimamente).
Durante il mio mandato parlamentare ho incrociato operai di imprese delocalizzate, donne vittime di violenza, giornalisti intimoriti dalle mafie. Da questo ascolto ho tratto materia per centinaia di atti come proposte di legge, emendamenti, interrogazioni, interventi in Commissione d’inchiesta e quant’altro. Insomma, la rappresentanza parlamentare è molto importante e amputarla brutalmente è profondamente sbagliato perché equivale a ridurre i reali spazi di confronto sociale e i meccanismi democratici.
All’esito del referendum, se vinceranno i Sì, avremmo un indebolimento del Parlamento e un rafforzamento ulteriore del Governo. Già oggi (lo scrivo per esperienza diretta) vi sono Commissioni parlamenta praticamente colonizzate dall’esecutivo.
Le Commissioni Bilancio, per esempio, sono legate al Mef e alla Ragioneria dello Stato in modo tale che i rappresentanti eletti non possono proporre quasi nulla senza il consenso della tecnocrazia ministeriale, la quale non risponde a nessuno se non a se stessa.
Discorso analogo vale per le Commissioni Difesa, militarmente (è il caso di dire!) controllate dall’establishment legato all’industria degli armamenti e presso le quali nessuno si azzarda più a criticare l’Amministrazione della difesa (qualcuno per caso ha visto qualche reazione degna di rilievo sullo scandaloso caso di Piacenza?), o – ad esempio – a proporre tagli alle spese per la difesa perché il Governo non vuole inimicarsi quel mondo (a proposito, che fine ha fatto l’avversione del Movimento 5 stelle agli F35?).
Con 345 parlamentari in meno, le probabilità di avere in Parlamento persone preparate e indipendenti nel giudizio, con la schiena dritta e la voglia di fare seria rappresentanza saranno nettamente minori. I pochi posti rimasti a disposizione saranno appannaggio delle segreterie dei partiti e dei loro finanziatori privati. Rischiamo di avere un Parlamento “sull’attenti” più di quanto già non sia”.
*Senatrice XVII legislatura

 

09 – Fabrizio Tonello*. I LADRI DI POLLI LEGHISTI E LA MATRICE PUBBLICA DELLA CORRUZIONE. LA BAGARRE SUI POLITICI CHE HANNO PRESO IL BONUS DI 600 EURO, TRA I QUALI SI DISTINGUONO OVVIAMENTE I LEGHISTI, RISCHIA DI FAR DIMENTICARE COLPEVOLI BEN PIÙ IMPORTANTI E OSCURARE IL CARATTERE STRUTTURALE DELLA CORRUZIONE NEL TARDO CAPITALISMO.
Avremo un’Italia più pulita, più giusta, più credibile quando sapremo i nomi di tutti i parlamentari e i consiglieri regionali che hanno chiesto e ottenuto il bonus da 600 euro destinato alle partite Iva in difficoltà? C’è da dubitarne. La caccia ai ladri di polli, tra i quali si distinguono ovviamente i leghisti, rischia di far dimenticare colpevoli ben più importanti e oscurare il carattere strutturale della corruzione nel tardo capitalismo.

Prima di tutto ci serve una definizione di corruzione più ampia di quella normalmente usata: al di là della sua definizione nel codice penale occorre prendere in considerazione il sistematico tradimento della fiducia e della moralità pubblica nel perseguimento del successo e dell’arricchimento personale o istituzionale. In questo senso, la possibilità di piccoli e grandi guadagni materiali per il singolo dipende agli attuali rapporti tra economia e politica.
Il miglior esempio è Donald Trump: i suoi guadagni sono sempre avvenuti in settori fortemente regolati dalle autorità, come l’edilizia o l’industria dei casinò. Sono attività dove concessioni, licenze, autorizzazioni sono determinanti nel successo o nel fallimento di un’impresa. Trump non ha inventato il microchip, né il personal computer, né lo smart phone: ha invece perfezionato modi per arricchirsi (peraltro non si sa se i suoi miliardi siano reali o fittizi, un’immensa facciata di cartapesta dietro la quale stanno solo debiti verso le banche) grazie ai suoi rapporti legali e illegali con la politica di New York.
Il suo precursore italiano Silvio Berlusconi, come ben si sa entrato in politica per difendere le sue reti televisive, è perfettamente riuscito nel suo intento ed è sopravvissuto perfino a una condanna definitiva per evasione fiscale, la stessa sorte che attende Trump quando lascerà la Casa Bianca. Ma esaminiamo più da vicino un caso italiano di ben altre dimensioni rispetto allo scandalo dei bonus, quello delle dighe mobili a difesa della laguna di Venezia, il cosiddetto Mose, su cui il governo ha avviato proprio in questi giorni una procedura per completare le opere e mettere in funzione le paratie.
Giovanni Benzoni e Salvatore Scaglione hanno pubblicato recentemente una preziosa ricostruzione del sistema di potere e di corruzione cresciuto attorno al progetto in oltre mezzo secolo (Sotto il segno del Mose. Venezia 1966-2020, La Toletta edizioni). Dal loro libro emerge che, fin dall’inizio, il Consorzio Venezia Nuova, appaltatore unico dell’opera, era sostanzialmente un’organizzazione a delinquere, la cui forza risiedeva nella capacità di corrompere chiunque potesse rallentare, ostacolare, o anche solo criticare il progetto.
Quindi metteva a libro paga politici e funzionari per assicurarsi che il flusso di denaro continuasse senza intoppi: da Giancarlo Galan, presidente della Regione veneto e ministro, a Patrizio Cuccioletta, ex presidente del Magistrato alle acque di Venezia, da Emilio Spaziante, ex generale della Guardia di Finanza, a Renato Chisso, assessore ai Trasporti del Veneto. Nessuno di costoro è finito in carcere. Tutte le pene detentive sono state sospese e lo Stato si è accontentato di confiscare una parte del maltolto: 2,6 milioni a Galan, 750.000 euro a Cuccioletta, 500.000 euro a Spaziante e 2 milioni a Chisso.

Il problema con le ricostruzioni giudiziarie delle vicende di corruzione, siano infime come i bonus dei deputati leghisti o assai lucrose e durevoli come nel caso di Venezia, è che non spiegano le origini profonde della corruzione, che è un fenomeno sistemico, non individuale. Come diceva un celebre gangster americano, lui rapinava le banche “perché i soldi stanno lì” e, nel caso degli stati moderni, i soldi stanno proprio lì, in quel 40-55% del prodotto interno lordo che costituito dalla spesa statale (dati Ocse 2019).
È più facile impadronirsi di una fetta degli stanziamenti per i camici destinati agli ospedali che progettare e commercializzare un nuovo camice adatto alla protezione contro il Covid-19. È più facile “privatizzare” beni pubblici esistenti che crearne di nuovi, come gli oligarchi russi hanno ampiamente dimostrato. Tutto questo era vero prima che l’epidemia facesse esplodere la spesa pubblica, quindi è prevedibile che la percentuale del Pil in qualche modo transitata per lo Stato nei prossimi anni risulterà ancora superiore.
Le Autorità anticorruzione e gli scandali di Ferragosto cambieranno ben poco finché resterà valida l’intuizione di Brecht che fondare una banca è assai più profittevole che rapinare una banca. Come rileva il sociologo tedesco Wolfgang Streeck nel suo libro How Will Capitalism End?, la corruzione sistemica genera però una demoralizzazione di massa e una delegittimazione del sistema politico che, a loro volta, producono nuovi comportamenti corruttivi, apatia politica e la tentazione di cercare soluzioni autoritarie. Il pericolo per la democrazia viene da qui.
( da Il Manifesto Fabrizio Tonello.)

 

10 – Nicola Sellitti. MAI PIÙ TORCIDA: UN CALCIO A BOLSONARO SPORT. IL PRESIDENTE UTILIZZA LA STORICA MAGLIA GIALLO ORO A SCOPI PROPAGANDISTICI. UNA PETIZIONE PER PROTESTA CHIEDE DI TORNARE ALLA PRIMA CASACCA BIANCO BLU DEL 1914.
La maglia carioca, testimone della grandezza di Pelè, Ronaldo, Romario, Neymar potrebbe presto finire in archivio. Nel Brasile da migliaia di casi quotidiani di Covid-19 e di un governo che consente partite con in campo atleti positivi al virus, prende corpo l’idea di disfarsi della casacca della nazionale verdeoro, il sogno di quasi ogni calciatore in ogni angolo del mondo. E questo perché da un paio di anni la torcida che sostiene Jair Bolsonaro durante eventi pubblici, manifestazioni, ha preso a indossare la maglia del Brasile. Tutti per Jair, come fosse Pelè o Ronaldinho. L’epitome dell’orgoglio nazionale, la maglia della nazionale più famosa al mondo sta divenendo un vessillo di parte. A questo punto, come riporta Cnn, è partita la campagna, sostenuta da João Carlos Assumpção, giornalista, regista e autore di Gods of Soccer, un libro sulla storia politica, sociologica ed economica del Brasile,per abbandonare del tutto la maglia gialla e tornare alla classica divisa bianca e blu, la prima divisa del Brasile, targata 1914.

MA C’È UN PROBLEMA: era il colore della divisa del Brasile che perse la finale dei Mondiali del 1950 al Maracanà, conosciuta come il Maracanazo, forse la batosta meno attesa e più pesante della gloriosa nazionale sudamericana, assieme ai sette gol subiti ai Mondiali casalinghi con la Germania, sei anni fa. Insomma, nulla di irrisolvibile per qualche colosso dell’abbigliamento sportivo e un evento che sarebbe storico con un colpo all’appeal di Bolsonaro, che per la sua elezione alla presidenza di due anni fa ha potuto contare su un esercito di famosi calciatori. Il suo rapporto con il calcio quindi traballa al punto che i tifosi delle quattro squadre di San Paolo, Corinthians, Palmeiras, San Paolo e Santos, si sono riuniti (mettendo da parte inimicizie decennali) per le strade per protestare contro i tifosi di Bolsonaro. Senza dimenticare che la maglia della nazionale spesso si è intrecciata alla politica: 50 anni fa Joao Saidanha, tecnico della nazionale che poi vinse i Mondiali messicani, una delle figure che hanno gettato le basi della società democratica brasiliana capace di uscire dalla dittatura militare, fu allontanato dalla squadra per ordine del generale Medici, il presidente di quel regime sanguinario.

 

11 – Marina Catucci*. I SANDERISTI: «VOTIAMO BIDEN, CI HA CONVINTO DONALD TRUMP. CONVENTION DEMOCRATICA. CHE NON SIANO TEMPI NORMALI LO SI È VISTO DAL NUMERO DI INTERVENTI DI EX SOSTENITORI DI TRUMP PENTITI CHE SONO INTERVENUTI A UNA CONVENTION CHE SEMBRA AVER FATTO PROPRIO LO SLOGAN DI BERNIE SANDERS, «NOT ME, US», «NON IO, NOI»
La convention democratica ha preso il via su internet senza pubblico, delegati, giornalisti, ma in uno studio da dove Eva Langoria Baston, attrice e sostenitrice del partito, ha fatto da padrona di casa introducendo i contributi, registrati e live. Di fronte c’è la vera, reale, «catastrofe Trump» ben presente nella prima serata di convention intitolata «We the people», come recita la prima frase della Costituzione Usa.
«OGNI QUATTRO ANNI ci riuniamo per riaffermare la nostra democrazia, quest’anno siamo venuti per salvarla», ha detto Langoria. A usare esplicitamente la metafora della catastrofe è stato il governatore di New York, Andrew Cuomo, che ha paragonato questa presidenza al Covid-19, al quale un corpo sano reagisce meglio di uno con problemi pregressi. Tutto vero, ma, ha sottolineato Cuomo, per gli Usa i problemi pregressi non sono certo pochi, per questo l’impatto del virus Trump è devastante e bisogna liberarsi di lui.

A giudicare dal numero di tweet partiti dall’account di Trump, quello di Cuomo è stato l’intervento gradito meno dal presidente e il suo staff, seguito da quello dell’ex governatore repubblicano dell’Ohio, John Kasich, che si è presentato come «repubblicano da sempre ma Trump ha tradito tutti gli ideali conservatori. Ecco perché ho scelto di partecipare a questa convention. In tempi normali non sarebbe mai successo, ma questi non sono tempi normali».
Che non siano tempi normali lo si è visto dal numero di interventi di ex sostenitori di Trump pentiti che sono intervenuti a una convention che sembra aver fatto proprio lo slogan di Bernie Sanders, «Not me, us», «Non io, noi». La faccia dell’America che viene fotografata e proposta è quella che Trump vorrebbe cancellare: multiculturale, inclusiva, aperta.
I TEMI sono quelli della diseguaglianza sociale ed economica e l’intervento di Sanders non è racchiuso solo nei minuti a sua disposizione, ma è percepibile dalla direzione verso cui sta andando il partito.
«I nostri temi – ha detto Bernie – sono passati dall’essere radical all’essere mainstream» e si è rivolto alla sua base esortandoli ad andare a votare per il ticket Biden/Harris, spiegando che il compito del movimento, qui ed ora, è quello, e ha affermato: «Lavorerò con i progressisti, con i moderati e anche con i conservatori per salvare il Paese dalla minaccia di Donald Trump. Trump gioca a golf come Nerone cantava durante l’incendio di Roma».
Questa volta sembra che il messaggio stia raggiungendo la sua base. «Nonostante Sanders l’appoggiasse, 4 anni fa non ho votato per Clinton – dice Sue, 32enne, militante di Sanders dell’Oregon – ma quest’anno voterò per Biden, perché a convincermi è stato Trump, più di Bernie. Vedere l’incompetenza unita all’autoritarismo in azione è spaventoso». Questo binomio è stato presente nel lungo intervento di Michelle Obama, che si è presentata con al collo una collana i cui pendagli formano la parola «Vote», «vai a votare».
IL SUO DISCORSO è l’ideale continuazione di quello di 4 anni fa in cui aveva avvertito che un candidato, diventato presidente, non si trasforma, e a posteriori la mancanza di competenza, decenza, empatia, di Trump sono evidenti. Ora bisogna usare l’empatia attivamente: agendo come diceva John Lewis, , ha ricordato Obama, e votando.
«Mettetevi scarpe comode, portatevi un panino per cena e uno per colazione perché si potrebbe restare in fila tutta notte, ma andate a votare come avete fatto nel 2008 e nel 2012» ha detto l’ex first lady rivolgendosi agli elettori afroamericani: «Neanche io amo la politica, sono qui, una donna nera alla convention democratica: bisogna votare e farlo in massa».
(da Il Manifesto Marina Catucci).

 

12 – PERCHÉ TRUMP STA FACENDO LA GUERRA ALLE POSTE AMERICANE. IL PRESIDENTE PROVA A METTERE I BASTONI FRA LE RUOTE AL POSTAL SERVICE PER TIMORE DEL VOTO PER CORRISPONDENZA A NOVEMBRE, E IN EFFETTI NON È DETTO CHE VADA TUTTO LISCIO: LA POLITICA AMERICANA È TUTT’ALTRO CHE SCONTATA QUANDO SI PARLA DI VINCITORI.
La settimana scorsa in America hanno iniziato a circolare su Twitter diverse immagini curiose. Alcune foto scattate in Oregon, e in particolare a Portland, mostravano alcuni camion del servizio postale nazionale che, letteralmente, portavano via le cassette della posta. Le foto sono diventate virali e in breve si è parlato di sabotaggio, soprattutto in vista delle prossime elezioni presidenziali, che si terranno a novembre e probabilmente per corrispondenza a causa della pandemia.
La rimozione delle cassette postali ha scatenato il panico sui social media; panico che il servizio postale nazionale ha cercato immediatamente di sedare, sospendendo tutte le operazioni di rimozione a livello nazionale. “Non rimuoveremo più nessuna casella postale” ha dichiarato venerdì scorso il portavoce dell’ente, Rod Spurgeon. Nonostante le poste abbiano fatto sapere che le cassette vengono spostate frequentemente a seconda del volume postale, la reazione sottolinea la maggiore sensibilità del pubblico intorno a un’agenzia che è stata nel mirino del presidente Donald Trump fin da maggio.
Il presidente sostiene che le poste non siano in grado di gestire il voto. È falso, non c’è alcuna ragione per pensarlo: certo, come il resto dell’economia americana sono state danneggiate dall’epidemia da Covid-19, eppure dal punto di vista del volume della corrispondenza nessuno dubita che il servizio postale possa gestire il voto. Le elezioni sono effettivamente un grande evento, ma in termini di volume non sono un evento eccezionale. Ogni anno, ad esempio, solo nella settimana prima di Natale l’agenzia gestisce oltre tre miliardi di missive. Quello che più si teme sono piuttosto le complicazioni create dal nuovo capo dell’agenzia postale statunitense, Louis DeJoy.

Nominato il 15 giugno scorso, DeJoy è stato uno dei maggiori sostenitori del presidente Trump durante la campagna del 2016. Appena è stato eletto ha messo mano al servizio postale, iniziando una vera e propria campagna di tagli al servizio. DeJoy ha affermato che i cambiamenti sono necessari per aiutare il servizio postale a diventare finanziariamente stabile. Tuttavia, secondo un promemoria pubblicato dal Washington Post, agli impiegati postali è stato ordinato di lasciare la posta in ufficio piuttosto che effettuare un viaggio in più per garantire la consegna puntuale, e questo sta causando ritardi in tutto il paese. Inoltre il prossimo mese il servizio postale è pronto a rimuovere il 10 per cento delle macchine che utilizza per lo smistamento automatico della posta. Il che potrebbe portare a ulteriori ritardi, proprio nei mesi a ridosso dell’elezione. DeJoy ha fatto sapere che “per evitare persino l’apparenza di qualsiasi impatto sul voto per corrispondenza” sospenderà la campagna di tagli al servizio postale fino a che le elezioni non saranno concluse.

Il dibattito polarizzante attorno al voto per posta sta però distogliendo l’attenzione dalla realtà. Se è vero che è il modo più sicuro per votare in una nazione che ad oggi conta 5 milioni e mezzo di infetti, è anche vero che, se si temono brogli, il modo più sicuro per votare è recarsi direttamente al seggio. In questo senso le primarie del marzo scorso in Wisconsin sono state descritte con toni apocalittici. A un certo punto è parso che gli elettori dovessero scegliere fra il voto e la propria vita. Le foto delle lunghe code sembravano presagire un’esplosione di casi. Esplosione che non è mai avvenuta, come ha dimostrato uno studio condotto dai ricercatori del dipartimento di salute della città di Milwaukee. Sappiamo che il coronavirus si diffonde quando le persone hanno un contatto prolungato al chiuso, in ambienti come ristoranti, bar, in casa o in ufficio. Come hanno dimostrato anche le grandi manifestazioni in seguito all’uccisione di George Floyd – per cui si temeva la nascita di enormi focolai mai avvenuta – la pandemia è un problema al chiuso e non all’aperto.

Tuttavia è anche vero che la facilità del voto per posta potrebbe portare a votare l’elettorato meno bianco di sempre, che è stato sistematicamente escluso dalla possibilità di votare in modo facile e sicuro. Inoltre secondo un’analisi del Washington Post, solo un repubblicano su cinque voterà per corrispondenza.

Per questo motivo sono mesi che il presidente Trump sta facendo di tutto per indebolire il servizio postale e assicurarsi che i voti per posta non vengano contati. Si è opposto al finanziamento di 25 miliardi di dollari al servizio postale prima delle elezioni, perché “se noi non accetteremo un accordo, loro non riceveranno i soldi. E quindi non potrà esserci un voto universale per posta”. “È una nuova forma di soppressione di massa del voto, e sta succedendo davanti ai nostri occhi”, ha sottolineato Gerry Connolly, deputato democratico della Virginia, presidente della sottocommissione del Congresso che si occupa del servizio postale.

In gioco c’è l’integrità delle elezioni, che in generale si basa sulla possibilità che decine di milioni di schede possano arrivare nelle caselle postali degli statunitensi per poi essere consegnate ai seggi in tempo utile per lo spoglio. Perché nonostante il servizio postale si dica pronto alle elezioni, i ritardi nel conteggio potrebbero esserci eccome. A New York, ad esempio, durante le scorse primarie ci sono stati enormi ritardi; il servizio postale ha avuto difficoltà a elaborare le schede degli elettori e, di conseguenza, un numero imprecisato di voti potrebbe essere stato considerato ingiustamente nullo. Questo ha provocato l’immediata reazione di Trump, che ha ripetutamente fatto riferimento alle primarie della grande mela, avvertendo come “la stessa cosa avverrà, ma su vasta scala” in tutto il paese con l’Election Day.
A oggi non si può dire con certezza cosa accadrà: gli Stati Uniti sono un paese complesso soprattutto quando si parla di elezioni. Non esiste un sistema centralizzato, ad esempio, che si occupa di regolare le elezioni a livello federale, ma sono quasi 4mila i sistemi elettorali presenti sul territorio statunitense. Come ha dimostrato il caso delle presidenziali del 2006, quando Trump vinse su Hillary Clinton nonostante avesse collezionato 3 milioni di voti in meno; o come ha dimostrato il democratico Pete Buttigieg durante le primarie democratiche, proclamandosi vincitore in Ohio nonostante si stessero ancora contando le schede, la politica americana è tutt’altro che scontata quando si parla di vincitori. Come ha dimostrato il caso delle presidenziali del 2000, quando per una decisione della Corte suprema Al Gore non ottenne il riconteggio delle schede elettorali in Florida, perdendo così le elezioni.
Quello che più si teme, per concludere, è che Trump la notte delle elezioni, con un numero decisivo di voti per posta ancora da conteggiare, e in stretto vantaggio su Biden, possa dichiarare vittoria, magari con un tweet, citando irregolarità nei voti per corrispondenza. In un modo per altro simile a come fece nel 2018, quando durante l’elezione del senatore della Florida il risultato non era ancora stato deciso.

 

13 – Claudia Fanti*. MAPUCHE, VERSO L’ACCORDO FINALE. LA VITA DEL MACHI CELESTINO CÓRDOVA È SALVA. DOPO UN LUNGO NEGOZIATO CON UN GOVERNO CHE HA GIOCATO FINO ALL’ULTIMO CON LA SUA VITA E CON QUELLA DEGLI ALTRI DETENUTI MAPUCHE, L’AUTORITÀ SPIRITUALE HA ANNUNCIATO MARTEDÌ DI AVER MESSO FINE A 107 GIORNI DI SCIOPERO DELLA FAME.
Una bella notizia appena offuscata dal contenuto dell’accordo raggiunto, molto distante dalle rivendicazioni iniziali: il machi potrà sì recarsi al suo rewe (l’altare mapuche che simboleggia la connessione con il cosmo), ma solamente per 30 ore, anziché per i sei mesi richiesti. E potrà anche richiedere il trasferimento a uno dei centri di educazione e lavoro previsti dall’ordinamento penitenziario per il reinserimento sociale dei detenuti.

Riguardo agli altri prigionieri politici in sciopero della fame, l’accordo stabilisce che non potranno essere oggetto di sanzioni disciplinari e prevede facilitazioni per il loro ingresso nei programmi di studio e lavoro, la creazione di «moduli speciali» nelle carceri per i rappresentanti dei popoli originari, la possibile revisione delle misure cautelari (con gli arresti domiciliari in sostituzione della carcerazione preventiva), la continuità dei «Dialoghi interculturali» mirati a una modifica dei regolamenti carcerari per i popoli indigeni.
«Ho apportato il mio umile granello di sabbia alla lotta del popolo mapuche», ha dichiarato Celestino Córdova in un comunicato letto dalle sue portavoce Cristina Romo e Giovanna Tafilo. L’autorità spirituale riconosce che i risultati ottenuti «non sono soddisfacenti nella loro totalità», ma, prosegue, «ho assunto lo sciopero della fame con dignità, ponendo la mia vita a disposizione della nostra lotta, allo scopo di avanzare un passo alla volta». Con ciò, conclude, «la lotta non è terminata, né quella dei prigionieri politici, mapuche e non mapuche, né quella del nostro popolo, né quella di tutti i popoli oppressi del mondo».
Soddisfazione per l’accordo raggiunto è stata espressa dal presidente Piñera, il quale ha persino rivendicato il rispetto della sempre calpestata Convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro sui popoli indigeni. E ciò benché il suo articolo 10, che raccomanda sanzioni penali alternative per i rappresentanti dei popoli originari, in considerazione delle loro caratteristiche economiche, sociali e culturali, non sia mai stato applicato dai tribunali nei 12 anni passati dalla sua ratifica. ( Claudia Fanti*. da Il Manifesto).

 

14 – Marina Catucci*. L’ALLARME DI OBAMA NEL GIORNO DI KAMALA HARRIS
IL TERZO GIORNO DELLA CONVENTION DEM VERRÀ RICORDATO PER IL DISCORSO CON IL QUALE KAMALA HARRIS HA ACCETTATO L’INVESTITURA UFFICIALE A CANDIDATA VICEPRESIDENTE E PER IL DISCORSO DELL’EX PRESIDENTE BARACK OBAMA, IL PIÙ FORTE ED ALLARMANTE DI TUTTA LA SUA CARRIERA. Harris, per presentarsi, non ha sottolineato l’immagine del procuratore di ferro per cui è nota, abbracciando invece un tono caldo e familiare parlando di sé, ma ricordando che «non c’è vaccino contro il razzismo, ci dovremo pensare noi» e che «riconosco un predatore, quando ne vedo uno».
A cento anni esatti dall’approvazione dell’emendamento della Costituzione che concede il voto alle donne, Trump è stato attaccato da tutte le figure femminili di spicco del Partito Democratico, dalla sua ex sfidante Hillary Clinton, che ha invitato ad andare a votare in quanto «Biden potrebbe perdere le elezioni anche prendendo tre milioni di voti più di Trump», alla sua arcinemica Nancy Pelosi, alla senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren.
«L’ignoranza e l’incompetenza di Donald Trump sono sempre stati un pericolo per il nostro Paese – ha detto Warren – l’emergenza Covid è stato il suo banco di prova. Ed ha fallito. Miseramente». E poi è arrivata la voce di Obama. Il suo discorso era previsto come ultimo, per concludere la giornata, ma l’ex presidente ha chiesto di lasciare la chiusura a Kamala Harris, per marcare il passaggio di ruoli.
Solitamente alle convention gli ex presidenti parlano in appoggio al candidato del loro partito, e non si ricorda nella storia Usa un ex presidente che ad una convention abbia pronunciato un’arringa tanto accusatoria e di condanna senza attenuanti nei confronti del presidente in carica, ma, come ha detto il repubblicano John Kasich, «questi non sono tempi normali».
Obama ha suonato tutte le sirene d’allarme, con in tono cupo e preoccupato che non aveva mai usato prima, parlando di un presidente che «farebbe qualunque cosa pur di prevalere, anche compromettere la nostra democrazia. Avevo sperato che Donald Trump potesse interessarsi a questo incarico seriamente. Ma non lo ha mai fatto, non ha imparato il suo ruolo di presidente perché non è in grado di farlo. Le conseguenze di questo fallimento sono severissime: 170 mila morti. Milioni di posti di lavoro persi. I nostri peggiori istinti sciolti, la nostra orgogliosa reputazione nel mondo gravemente compromessa e le nostre istituzioni democratiche minacciate come mai era avvenuto prima». Se tutta questa convention è un lunghissimo spot per chiedere ai cittadini di andare a votare, Obama l’ha motivato senza mezzi termini spiegando che in ballo c’è il concetto stesso di sopravvivenza della democrazia.
«Se prendi sul serio la nostra democrazia – ha scritto Obama il giorno seguente in una mail ai sostenitori del partito- non puoi permetterti di restare in disparte in queste elezioni».
( da Il Manifesto di Marina Catucci*.)

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