9 Maggio 2020 NEWS DAI PARLAMENTARI ELETTI ALL ESTERO ED ALTRE COMUNICAZIONI

01 – Coronavirus, INAIL: “tra fine febbraio e il 4 maggio 37.352 contagiati sul lavoro. Più del 70% nella sanità”.
02 – Schirò (Pd): ho chiesto Mef e agenzia delle entrate di correggere l’anomalia dell’accordo fiscale tra Italia e Bulgaria,
03 – A. Negri: quello che Trump non dice del laboratorio di Wuhan Virus Connection. Americani e francesi per anni hanno finanziato a Wuhan gli esperimenti sui virus, anche quelli che forse a casa loro non potevano fare
04 – Schirò (Pd): la corte di giustizia europea ritiene legittima la tassazione alla fonte delle pensioni pubbliche
05 – Alfiero Grandi. Ora basta chiamare governatori i presidenti di Regione. E il Parlamento riprenda la sua centralità nella pandemia.
06 – URUGUAY | Montevideo, il virus non ferma il nuovo Consolato. Sottosegretario Merlo: “Avanti tutta”. La nuova sede si svilupperà su 750 metri quadrati di superficie. Sarà più sicura, moderna, dotata delle ultime tecnologie.
07 – Cuba «battagliera» resiste anche al Covid. Cuba. Nonostante le difficoltà imposte dall’embargo Usa L’Avana ha contrastato efficacemente l’epidemia.
08 – Attenzione sinistra, il populismo non è un virus. «Fase 2» . Nella ripresa il paese si ritroverà dilaniato da contraddizioni e difficoltà ancora maggiori di quella in cui versava prima della pandemia. Se per ora il pericolo dei populismi sembra scampato la sinistra deve attivarsi per rispondere alle esigenze dei poveri.

 

01 – CORONAVIRUS, INAIL: “TRA FINE FEBBRAIO E IL 4 MAGGIO 37.352 CONTAGIATI SUL LAVORO. PIÙ DEL 70% NELLA SANITÀ”.
L’analisi territoriale evidenzia che quasi otto denunce di infezione su 10 sono concentrate nel Nord-Ovest (53,9% del totale) e nel Nord-Est (25,2%), con gli altri casi distribuiti tra il Centro (12,5%), il Sud (6,0%) e le Isole (2,4%). Primato negativo alla Lombardia
Fase 2, Alto Adige accelera riaperture e il governo impugna l’ordinanza. Marcucci (Pd): “Riaprire tutto dal 18 dove il contagio è sotto controllo”
Coronavirus, i Navigli di Milano come Napoli o il lockdown ha fatto cadere i pregiudizi?
Coronavirus, “Testare, tracciare, trattare”: le tre T della strategia della Toscana per abbassare la curva
Coronavirus, l’ultimo scontro Livorno-Pisa: il sindaco leghista riapre il litorale pisano solo ai residenti. Salvetti (Pd): “Visione medievale”
Coronavirus, Mattarella: “Fuori dalla fase critica grazie a coesione, medici e operatori sanitari. Ora progettare la ripartenza”
Coronavirus, Brusaferro (Iss): “La prossima settimana dati sulle riaperture. In base a quelli, si valuteranno le decisioni per la Fase 2. Numeri più bassi in tutte le regioni, inclusa la Lombardia”
Con 79 tamponi di media, la Lombardia è penultima.

 

TRENTASETTEMILA TRECENTO CINQUANTA DUE. Tanti sono i contagi da Covid avvenuti sul lavoro tra fine febbraio e il 4 maggio scorso. Il dato deriva dalle denunce presentate all’Inail ed evidenzia un incremento di 9mila unità rispetto ai 28.381 casi registrati nella precedente rilevazione che era datata 21 aprile.
I casi mortali segnalati all’Istituto nazionale per gli infortuni sul lavoro nello stesso periodo sono 129,31 in più rispetto al monitoraggio precedente. Al contrario di quanto osservato sul complesso delle denunce, in cui la quota femminile con il 71,5% dei casi prevale rispetto a quella maschile (28,5%), l’82,2% dei decessi hanno interessato i lavoratori e il 17,8% le lavoratrici.
Il nuovo report elaborato dalla Consulenza statistico attuariale dell’Inail conferma poi la maggiore esposizione al rischio del personale sanitario e socio-assistenziale. Il 73,2% delle denunce e quasi il 40% dei casi mortali, infatti, riguardano il settore della sanità e assistenza sociale.
La categoria professionale dei tecnici della salute, che comprende infermieri e fisioterapisti, con il 43,7% dei casi segnalati all’Istituto (e il 18,6% dei decessi) è quella più colpita dai contagi, seguita dagli operatori socio-sanitari (20,8%), dai medici (12,3%), dagli operatori socio-assistenziali (7,1%) e dal personale non qualificato nei servizi sanitari e di istruzione (4,6%). L’analisi territoriale evidenzia invece che quasi otto denunce di infezione su 10 sono concentrate nel Nord-Ovest (53,9% del totale) e nel Nord-Est (25,2%), con gli altri casi distribuiti tra il Centro (12,5%), il Sud (6,0%) e le Isole (2,4%). Tra le regioni il primato negativo spetta alla Lombardia, con oltre una denuncia su tre (34,2%) e quasi il 43% dei casi mortali, seguita da Piemonte (14,9%), Emilia Romagna (10%), Veneto (8,9%), Toscana (5,8%) e Liguria (4,2%). L’età media dei contagiati è di 47 anni per entrambi i sessi, ma sale a 59 anni (58 per le donne e 59 per gli uomini) se si concentra l’attenzione sui soli casi mortali. A ulteriore conferma della maggiore vulnerabilità al virus delle fasce di età più elevate della popolazione, il 43,1% delle denunce e oltre due decessi su tre riguardano i lavoratori di età compresa tra i 50 e i 64 anni. Più del 20% dei casi mortali, inoltre, ricade nella fascia di età oltre i 64 anni

 

02 – SCHIRÒ (PD): HO CHIESTO A MEF E AGENZIA DELLE ENTRATE DI CORREGGERE L’ANOMALIA DELL’ACCORDO FISCALE TRA ITALIA E BULGARIA, 7 MAGGIO 2020
Una anomalia normativa nella convenzione contro le doppie imposizioni fiscali italo-bulgara sta provocando notevoli disagi per tanti pensionati italiani residenti in Bulgaria. Infatti a causa di un perverso intreccio tra le norme convenzionali e le interpretazioni delle istituzioni competenti italiane e bulgare, le pensioni dell’Inps di cittadini italiani residenti in Bulgaria vengono tassate alla fonte, e cioè in Italia, in palese contraddizione con lo spirito e il dettato della convenzione.
Per questo motivo sono intervenuta presso il Dipartimento delle Finanze del MEF, l’Agenzia delle Entrate e l’Inps illustrando il problema e chiedendo una soluzione. Ma quale è il problema? In base alla convenzione fiscale tra Italia e Bulgaria le pensioni dell’Inps pagate ad un residente della Bulgaria devono essere tassate dalla Bulgaria (fanno eccezione le pensioni dei dipendenti pubblici che vengono tassate invece dallo Stato che le eroga).
Tuttavia per poter ottenere la detassazione dall’Inps il pensionato che risiede all’estero in uno dei Paesi con cui l’Italia ha stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni fiscali deve chiedere formalmente alla Struttura INPS che ha in gestione la prestazione, l’applicazione della normativa prevista dalla specifica convenzione utilizzando un apposito modulo.
NELLO SPECIFICO CASO DELLA BULGARIA LE AUTORITÀ FISCALI DI QUESTO PAESE NON UTILIZZANO IL MODULO ITALIANO MA PREDISPONGONO L’ATTESTAZIONE ADOPERANDO LA PROPRIA MODULISTICA.
L’Autorità fiscale bulgara rilascia due tipologie di certificati di residenza fiscale:
1. certificato attestante la qualità di “residente fiscale”, ai sensi della convenzione per evitare la doppia imposizione fiscale in vigore tra la Repubblica di Bulgaria e uno Stato straniero;
2. certificato attestante la qualità di “residente fiscale”, ai sensi dell’articolo 4 della legge interna bulgara sui redditi delle persone fisiche. L’Inps ha deciso di considerare utile ai fini del buon esito delle domande di esenzione dall’imposizione in Italia delle pensioni delle gestioni previdenziali dei lavoratori privati soltanto le certificazioni attestanti espressamente la qualità di residente fiscale ai sensi della convenzione per evitare la doppia imposizione in vigore tra l’Italia e la Repubblica di Bulgaria.
Per poter ottenere tale certificato, tuttavia, il pensionato interessato deve avere la nazionalità bulgara. Lo stabilisce, ed è qui l’anomalia, l’articolo 1 della Convenzione che statuisce al comma 2, lettera b, che una persona fisica per essere considerata residente fiscale della Bulgaria deve possedere la nazionalità bulgara.
Cosa significa ciò? Che le Agenzie fiscali bulgare, a meno che non contravvengano ai dettati della Convenzione, non possono rilasciare il certificato attestante la qualità di “residente fiscale” in Bulgaria, ai sensi della convenzione per evitare le doppie imposizioni fiscali, e cioè quel certificato riconosciuto dall’Inps ai fini della detassazione alla fonte, ai residenti in Bulgaria, compresi i pensionati italiani, che non siano cittadini bulgari.
E PER QUESTO MOTIVO I PENSIONATI ITALIANI INPS RESIDENTI IN BULGARIA VENGONO TASSATI ALLA FONTE DALL’INPS E NON INVECE DETASSATI.
Alla luce di questa situazione penalizzante e ingiusta per i nostri pensionati residenti in Bulgaria, e considerata soprattutto l’impraticabilità di una pronta modifica dell’articolo 1, comma 2, lettera b, succitato della convenzione, ho chiesto al MEF e all’Agenzia delle Entrate di dare disposizioni all’Inps, e alle sue strutture territoriali, di considerare utile al buon esito delle domande di esenzione dall’imposizione in Italia di pensione delle gestioni previdenziali dei lavoratori privati la certificazione attestante la qualità di residente fiscale in Bulgaria rilasciata dalle competenti autorità fiscali bulgare anche se essa non contiene il riferimento alla convenzione per evitare la doppia imposizione in vigore tra l’Italia e la Repubblica di Bulgaria. In questo modo l’Inps sarà in grado di detassare la pensione degli italiani residenti in Bulgaria, così come d’altronde previsto dalla convenzione contro le doppie imposizione fiscali e così come è giusto che sia.
Angela Schirò Deputata PD – Rip. Europa – Camera dei Deputati
Piazza Campo Marzio, 42 – 00186 ROMA Tel. 06 6760 3193 Email: schiro_a@camera.it

 

03 – QUELLO CHE TRUMP NON DICE DEL LABORATORIO DI WUHAN VIRUS CONNECTION. AMERICANI E FRANCESI PER ANNI HANNO FINANZIATO A WUHAN GLI ESPERIMENTI SUI VIRUS, ANCHE QUELLI CHE FORSE A CASA LORO NON POTEVANO FARE, di Alberto Negri
Le prove della Virus Connection di Wuhan ci sono, eccome, non quelle però che «non» ci hanno fatto ancora vedere Trump e il suo scudiero Mike Pompeo quando accusano Pechino di avere «fabbricato» il Covid-19.
Sono le prove della collaborazione, a colpi di milioni di dollari, tra Stati Uniti, Francia e Cina proprio nei laboratori di massima sicurezza di Wuhan per lo studio dei virus animali. Su alcune queste ricerche Obama aveva messo una moratoria di quattro anni, riprese poi qualche tempo dopo con il convinto sostegno di Anthony Fauci, il boss da oltre 40 anni dell’epidemiologia americana. Americani e francesi per anni hanno finanziato a Wuhan gli esperimenti sui virus, anche quelli che forse a casa loro non potevano fare
Questa è la Virus Connection che si nasconde nel rimbalzo tra le accuse di Trump e le repliche di Pechino sulle origini del Covid-19, ritenuto di origine naturale dalla maggior parte degli scienziati e non un esperimento da laboratorio.
Tira aria da guerra fredda tra Usa e Cina. In un discorso all’Onu nel 1974 Deng Xiapoing, allora inviato di Mao, affermò: «Mai la Cina ambirà a diventare una superpotenza». Oggi tutti pensano il contrario: Pechino nella crisi del coronavirus ha sbalzato gli Usa come nazione-guida.
L’ambiguità di fondo è come la Cina sia diventata una superpotenza: con la nostra complicità. Il Covid-19 è una vicenda emblematica. Tutto comincia quando i francesi nel 2004 avviano la costruzione a Wuhan un laboratorio di massima sicurezza per la ricerca dei virus animali. Gli scienziati cinesi per anni vengono addestrati all’Istituto Jean-Merieux di Lione sostenuto da Sanofi Pasteur, la più grande società di vaccini mondiale.
Nel 2017 il laboratorio di Wuhan viene inaugurato ma i cinesi tengono fuori i 50 ricercatori francesi che dovevano accedervi secondo gli accordi stipulati da Parigi. I francesi subiscono uno scacco imprevisto ma nella vicenda si inseriscono da protagonisti gli americani: a guidare l’operazione-Wuhan è proprio Anthony Fauci, l’uomo che Trump qualche settimana fa voleva licenziare, capo da 40 anni della sanità americana, consigliere di tutti i presidenti a partire da Reagan. Un esperto di virus ma anche di potere.
Ed ecco la Wuhan Connection. Nel 2019 Anthony Fauci, come capo del National Institutes of Allergy and Infectious Disease (Niaid), finanzia con 3,7 milioni di dollari un progetto sui virus proprio a Wuhan. E non erano certo i primi finanziamenti Usa: negli anni precedenti erano già arrivati altri 7,4 milioni. La ricerca è diretta dalla capa del laboratorio P4 Shi Zheng Li, la «signora dei pipistrelli», specializzata a Montpellier e a Lione. Decorata con la Legione d’Onore insieme al capo di tutti i laboratori cinesi, Yuan Zhiming. Insomma gli americani avevano fregato ai francesi la «loro» migliore scienziata in materia di virus da pipistrelli.
La collaborazione Usa-Cina doveva continuare quest’anno con una ricerca su come mutano i coronavirus quando attaccano l’uomo. Il progetto a Wuhan della EcoHetalth Alliance è stato cancellato soltanto il 24 aprile scorso, quando Trump, Macron e Merkel hanno cominciato ad accusare Pechino, ma anche l’Oms, di scarsa trasparenza sui dati della pandemia.
Ma qui di trasparenza se n’è vista poca anche in Occidente. Diversi scienziati americani avevano criticato la collaborazione con i cinesi perché in alcuni casi implicava la manipolazione genetica dei virus e rischi di «fuga» dai laboratori.
Un’eventualità che l’epidemiologa americana Jonna Mazet esclude decisamente su Business Insider: «Non c’è stata nessuna falla nel laboratorio: io stessa ho collaborato con i cinesi sui protocolli di sicurezza». E aggiunge un’informazione preziosa: «Ho parlato con Shi Zheng Li (la signora dei pipistrelli n.d.r.) e mi ha assicurato che nessuno aveva identificato il Covid-19 prima dell’esplosione di questa epidemia».
Ma la stessa scienziata americana ammette che non ha mai visitato personalmente il laboratorio P4 di Wuhan. Come i francesi anche gli americani che finanziavano Wuhan, pur conoscendo personalmente gli scienziati cinesi, ci avevano messo il piede dentro una volta sola.
Il problema è che la Wuhan Connection è una bomba politica. E ci racconta una storia un po’ diversa da quella ufficiale: i francesi e successivamente gli americani volevano fare in Cina esperimenti ad alto rischio vietati o sui quali erano stati espressi seri dubbi per motivi di sicurezza.
Nel 2014 sotto pressione dell’amministrazione del presidente Barack Obama il NIH aveva sospeso alcuni tipi gli esperimenti in corso sui virus. Al termine della moratoria, nel dicembre del 2017, Fauci fa riprendere gli esperimenti di ingegneria genetica. Ma in segreto. Viene infatti convocato un comitato a porte chiuse per esaminare i rischi dell’operazione che incontra l’opposizione di diversi scienziati. E per aggirarla Fauci finanzia i cinesi.
Non possiamo sapere, al momento, cosa sia accaduto a Wuhan. Ma una cosa è certa: soltanto adesso, con la pandemia del Covid-19, è affiorata la storia inquietante della Wuhan Connection.
( A. Negri da IL MANIFESTO)

 

04 – SCHIRÒ (PD): LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA RITIENE LEGITTIMA LA TASSAZIONE ALLA FONTE DELLE PENSIONI PUBBLICHE, 4 MAGGIO 2020. Quasi tutte le convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali stipulate dall’Italia stabiliscono che le pensioni del settore privato (Inps) devono essere tassate dal Paese di residenza e quelle del settore pubblico (Inpdap) devono essere tassate alla fonte, cioè dal Paese erogatore.
I cittadini italiani residenti all’estero ed ex dipendenti pubblici hanno sempre denunciato una disparità di trattamento e richiesto una modifica della normativa (ed è naturale e comprensibile che lo abbiano fatto perché le aliquote fiscali italiane sono tra le più alte del mondo).
In una recentissima Sentenza (Cause riunite C-168 e C-169) la Corte di Giustizia Europea ha praticamente chiuso il contenzioso – prendendo lo spunto da due casi che riguardavano la convenzione italo-portoghese relativi a pensionati italiani che si erano trasferiti in Portogallo – sentenziando che il fatto che i pensionati del settore privato e quelli del settore pubblico siano assoggettati a normative tributarie differenti in virtù di una convenzione bilaterale non viola i principi di libera circolazione e di non discriminazione sanciti dai Trattati comunitari.
La Corte ha quindi legittimato la tassazione alla fonte, così come stabilito dalle convenzioni fiscali, delle pensioni degli ex dipendenti pubblici ricordando anche la propria giurisprudenza secondo la quale gli Stati membri sono liberi, nel quadro delle convenzioni contro le doppie imposizioni, di stabilire i criteri di ripartizione tra loro della competenza fiscale secondo la quale tali convenzioni non hanno lo scopo di garantire che l’imposta applicata in uno Stato non sia superiore a quella di un altro Stato, ma hanno semplicemente lo scopo di evitare la doppia imposizione fiscale.
Nei casi esaminati i pensionati italiani ex dipendenti pubblici che si erano trasferiti in Portogallo se avessero acquisito invece la cittadinanza portoghese (ma non l’avevano fatto) avrebbero avuto la pensione tassata in Portogallo e non Italia, come stabilito dalla Convenzione tra i due Paesi, e avrebbero goduto quindi (come i pensionati del settore privato) dei benefici fiscali offerti dal Portogallo.
Sono molte infatti le Convenzioni che prevedono la tassazione nel Paese di residenza degli ex dipendenti pubblici a patto tuttavia che tali pensionati abbiano la nazionalità del Paese di residenza. E’ opportuno, infine, ricordare che il rinvio pregiudiziale (da parte di un Tribunale nazionale) alla Corte di Giustizia europea consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti (in questo caso era stato un tribunale della Regione puglia ad adire la Corte), di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione.
La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile. Angela SchiròDeputata PD – Rip. Europa -Camera dei Deputati

 

05 – ALFIERO GRANDI. ORA BASTA CHIAMARE GOVERNATORI I PRESIDENTI DI REGIONE. E IL PARLAMENTO RIPRENDA LA SUA CENTRALITÀ NELLA PANDEMIA
Antonio Esposito, presidente emerito di Sezione della Cassazione, ha messo in evidenza, con rigore, un punto solo apparentemente di forma linguistica e cioè che è sbagliato definire Governatori i Presidenti delle Giunte regionali. In questo si distinguono anche troppi giornalisti che usano – per ignoranza? per piaggeria? – la definizione Governatori che nella nostra Costituzione non esiste. I Governatori sono una figura istituzionale degli Usa, stato federale, a differenza dell’Italia. Esposito ha ricordato che la Costituzione parla di Presidenti delle Giunte delle Regioni e aggiungo che la loro elezione diretta non cambia la sostanza della funzione che svolgono. Non a caso l’articolo 121 della Costituzione afferma, ad esempio, che il Presidente dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica. Inoltre i poteri sostitutivi sono attribuiti dall’articolo 120 al Governo, quando lo richiedono l’incolumità e la sicurezza pubblica e sono vietati provvedimenti che ostacolano la libera circolazione delle persone e delle cose. Questi concetti sono il contrario di quanto abbiamo potuto ascoltare, in diverse occasioni, da alcuni Presidenti.
In troppe occasioni è risultato evidente che la pandemia è stata vista da alcune Regioni come occasione per rivendicare/strappare più poteri in contrasto con il ruolo dello Stato. Ci sarà tempo per vedere meglio se l’Italia può continuare ad accettare 20 sistemi regionali diversi e comportamenti istituzionali che hanno finito per indebolire il contrasto alla diffusione del virus, o almeno lo hanno reso più confuso, a volte aumentando inevitabilmente il numero delle vittime, come è accaduto nelle Rsa e nelle case di riposo. In questo momento è prioritario fronteggiare la pandemia. È il minimo che dobbiamo al sacrificio dei sanitari che hanno lavorato in prima linea, con un numero di morti che ha raggiunto livelli inaccettabili. La leale collaborazione tra i livelli istituzionali dovrebbe essere la naturale conseguenza dopo questi sacrifici. Un segnale certamente utile sarebbe archiviare definitivamente, da subito, l’autonomia regionale differenziata, che è un segnale nella direzione opposta a quanto è necessario.
Nella cosiddetta fase 2 vengono al pettine diversi nodi. Un conto è adottare misure straordinarie di limitazione della libertà delle persone per una fase di emergenza e seguire regole semplificate di adozione, tuttavia dopo due mesi occorre delineare un percorso verso la normalità del funzionamento delle istituzioni. Anche perché l’uso ripetuto dei Dpcm, pur legittimati da una fonte legislativa come un decreto legge, finisce con il creare una modalità che è rapida quanto un decreto legge, con la differenza che quest’ultimo è modificabile in sede di conversione e fa entrare in scena il parlamento. Il vero problema è che il decreto legge presuppone un percorso parlamentare di approvazione e quindi è soggetto alle turbolenze parlamentari di una maggioranza non molto stabile, difficoltà che un Dpcm non ha perchè si tratta di un’azione delegata. Il parlamento deve riprendere il suo ruolo di rappresentanza del paese. È vero che questo parlamento è il frutto di una legge elettorale che lo ha separato largamente dalla rappresentanza dei cittadini, tuttavia è lecito attendersi malgrado questo difetto originale una maggiore consapevolezza sul ruolo dei singoli parlamentari e della Camera e del Senato. La pandemia non giustifica tutto e comunque non può giustificare modalità eccezionali per periodi lunghi, per questo occorre puntare ad un percorso di rientro nella normale dialettica tra le istituzioni, i loro ruoli, che è fondamento della democrazia.
Altrimenti si può diffondere un veleno che potrebbe mettere in discussione il ruolo stesso del parlamento che nella nostra Costituzione è architrave del sistema istituzionale, con conseguenza che non è difficile immaginare. Non possiamo dimenticare che pende tuttora il referendum costituzionale sul taglio del parlamento, per ora rinviato all’autunno, che deve decidere proprio sul ruolo del parlamento in Italia. È vero che le urla di Salvini e Meloni sulla democrazia in pericolo sono strumentali e non credibili, tuttavia in un paese colpito dalla pandemia e dal contraccolpo di una crisi economica e sociale senza precedenti dal dopoguerra lo smarrimento è forte e anche chi non condivide la strumentalità ha bisogno di risposte politiche e di interventi rapidi. Ad esempio la strumentalità non compensa i ritardi, che esistono, nell’applicazione delle misure di sostegno al reddito, alle imprese. La fase di avvio della chiusura delle attività ha dovuto fare i conti con novità e quantità che non hanno precedenti, questo va ricordato, ora tuttavia occorre fare funzionare le misure di sostegno con la massima rapidità possibile. Conte avrebbe dovuto dedicare più attenzione a questo aspetto davanti alle Camere.
Occorre fare corrispondere gli impegni ai fatti, al massimo possibile. Forse è troppo dire con il Manzoni che “il fulmine tenea dietro al baleno”, tuttavia un disagio diffuso per i ritardi, la sensazione di essere abbandonati può accumulare un risentimento sociale sordo e pericoloso. Inoltre la polemica sguaiata della destra sovranista contro il governo punta a coprire il clamore dei comportamenti di regioni come la Lombardia e rappresenta una sorta di preparazione di un assalto che sarà molto più pesante tra qualche settimana in occasione delle decisioni che il parlamento dovrà adottare sull’adozione degli strumenti europei di sostegno ai paesi più colpiti dalla pandemia e in crisi economica. Far montare la protesta e il malcontento rappresenta una sorta di esercitazione sovranista in vista dello scontro finale, o almeno di quello che essi sperano diventerà tale. Togliere argomenti è giusto anzitutto perché vuol dire risolvere i problemi ma nello stesso tempo è importante perché eviterebbe all’Italia una fibrillazione politica pericolosa.
Sure, Bei, Mes, interventi della BCE, Recovery fund sono fondamentali per affrontare una crisi senza precedenti. Se saranno strumenti di un sostegno reale ai paesi più esposti il risultato potrà essere positivo e quindi è importante arrivare presto ad una soluzione. Va aggiunto che l’Italia non può e non deve solo restare in attesa delle misure europee, per quanto importanti, ma deve avviare un proprio progetto di ripresa economica che non è fatto solo di riaprire quello che è rimasto di ciò che avevamo prima, già abbastanza ammaccato. Solo un intervento pubblico programmatico può decidere investimenti in settori di punta come l’innovazione tecnologica, la sistemazione del territorio, la salvaguardia dell’ambiente, la riparazione di infrastrutture che crollano, il rientro del decentramento produttivo dall’estero, una revisione della tassazione che trasferisca dai ricchi a chi ha bisogno, dalla rendita al produttivo, una gestione del debito pubblico che copiando l’esperienza tedesca costruisca una società pubblica con il compito di tenere più bassi possibili i tassi sul debito, cercando di tenere sotto controllo lo spread. Occorre coraggio e respiro politico, altrimenti il logoramento potrebbe diventare per il Governo insostenibile. Alfiero Grandi.

 

06 – URUGUAY | MONTEVIDEO, IL VIRUS NON FERMA IL NUOVO CONSOLATO. SOTTOSEGRETARIO MERLO: “AVANTI TUTTA”. LA NUOVA SEDE SI SVILUPPERÀ SU 750 METRI QUADRATI DI SUPERFICIE. SARÀ PIÙ SICURA, MODERNA, DOTATA DELLE ULTIME TECNOLOGIE
Nonostante l’emergenza coronavirus, a Montevideo si procede spediti verso la costruzione del nuovo Consolato. E’ stato infatti pubblicato sul sito dell’Ambasciata d’Italia in Uruguay l’avviso di manifestazione di interesse per la realizzazione dei lavori di “costruzione di un nuovo edificio da adibire a cancelleria consolare dell’Ambasciata d’Italia a Montevideo”, si legge.
La nuova sede, fortemente voluta dal Sottosegretario agli Esteri Sen. Ricardo Merlo, fondatore e presidente del MAIE – Movimento Associativo Italiani all’Estero, si svilupperà su 750 metri quadrati di superficie: sarà più sicura, moderna, dotata delle ultime tecnologie. Soprattutto, avrà lo spazio necessario per poter mantenere le distanze sociali, una misura di prevenzione dal virus che ci accompagnerà per diverso tempo.
Pensate: fino a un anno fa i connazionali venivano ricevuti in una saletta di pochi metri quadrati. “Proprio per questo lo scorso agosto – ricorda il Sottosegretario Merlo – abbiamo inaugurato un nuovo ufficio consolare a Montevideo, uno spazio di 200 metri quadrati, che si aggiungono ai 15 della stanza della attuale cancelleria Consolare dove vengono offerti i servizi ai connazionali dopo la chiusura del Consolato nel 2015”. Chiusura che all’epoca sollevò forti proteste da parte della comunità italiana, circa 150mila connazionali regolarmente iscritti all’AIRE.
“Ringrazio l’Ambasciatore d’Italia Giovanni Battista Iannuzzi per l’impegno e la tenacia con cui porta avanti il proprio lavoro a favore della collettività, anche al tempo del coronavirus”, aggiunge il Sottosegretario Merlo avviandosi alla conclusione: “Presto inizieranno i lavori per la costruzione del nuovo edificio e finalmente gli italiani di Montevideo potranno avere un Consolato degno di tale nome”.Fonte: ItaliaChiamaItalia

 

URUGUAY | MONTEVIDEO, EL VIRUS NO PARA AL NUEVO CONSULADO. SUBSECRETARIO MERLO: “ADELANTE”. LA NUEVA SEDE SE VA A DESARROLLAR SOBRE 750 METROS CUADRADOS DE SUPERFICIE: SERÁ MÁS SEGURA, MODERNA, DOTADA DE LAS ÚLTIMAS TECNOLOGÍAS.
A pesar de la emergencia coronavirus, en Montevideo se avanza hacia la construcción del nuevo consulado. De hecho, se ha publicado en el sitio de la Embajada de Italia en Uruguay el anuncio de manifestación de interés para la realización de los trabajos de “construcción de un nuevo edificio para la cancillería consular de la Embajada de Italia en Montevideo”.
La nueva sede, fuertemente deseada por el Subsecretario de Asuntos Exteriores Sen. Ricardo Merlo, fundador y Presidente del MAIE – Movimiento Associativo Italianos en el Exterior, se desarrolla sobre 750 metros cuadrados de superficie: será más segura, moderna, dotada de las últimas tecnologías. Sobre todo, tendrá el espacio necesario para poder mantener las distancias sociales, una medida de prevención del virus que nos acompañará durante algún tiempo.
Hasta hace un año, los compatriotas eran recibidos en una sala de unos metros cuadrados. “Precisamente por esto el pasado mes de agosto – recuerda el Subsecretario Merlo – inauguramos una nueva sede consular en Montevideo, un espacio de 200 metros cuadrados, que se añaden a los 15 de la sala de la actual Cancillería Consular donde se ofrecen los servicios a los compatriotas después del cierre del Consulado en 2015”. Cierre que en aquella época suscitó fuertes protestas por parte de la comunidad italiana, unos 150.000 compatriotas inscritos regularmente en el AIRE. “Doy las gracias al Embajador de Italia, Giovanni Battista Iannuzzi, por el empeño y la tenacidad con que lleva adelante su trabajo en favor de la colectividad, incluso en el tiempo del coronavirus”, comenta el Subsecretario Merlo, dirigiéndose a la conclusión: “Pronto comenzarán los trabajos para la construcción del nuevo edificio y finalmente los italianos de Montevideo podrán tener un consulado digno de tal nombre”.

 

07 – CUBA «BATTAGLIERA» RESISTE ANCHE AL COVID. CUBA. NONOSTANTE LE DIFFICOLTÀ IMPOSTE DALL’EMBARGO USA L’AVANA HA CONTRASTATO EFFICACEMENTE L’EPIDEMIA, di Roberto Livi, L’AVANA
Tutti a casa il primo maggio a Cuba, nonostante una lunga tradizione di manifestazioni gigantesche nelle piazze per celebrare il socialismo cubano. Mi casa es mi plaza, è stata la parola d’ordine: così, in tempo di coronavirus e di isolamento, ogni casa si è trasformata in luogo di celebrazione.
Venerdì scorso alle otto di mattina da balconi e finestre, addobbati con bandiere cubane di varia dimensione, si è cantato l’inno nazionale seguito poi da applausi per medici, personale sanitario e lavoratori impegnati in compiti strategici per il mantenimento della vita nell’isola. Televisione e reti sociali hanno fatto da collegamento a un nuovo tipo di manifestazione di massa estesa a tutta Cuba.
Si è dimostrata efficace l’azione decisa dal governo per contenere l’espansione del virus, impostata come una battaglia nella quale sono stati impiegati migliaia fra medici, personale sanitario e di supporto e di studenti di medicina e di odontoiatria.
Questi ultimi hanno formato brigate che hanno percorso tutta l’isola con ogni mezzo, compresi cavalli e muli, per raggiungere anche i posti più sperduti per controllare lo stato di salute della gente, alla quale era stato chiesto di rimanere in isolamento nelle proprie case.

Oltre a una serie di ospedali nelle maggiori città, anche centri di salute, presidi universitari e centri educativi (ogni villaggio nell’isola ha una scuola) sono stati trasformati in una sorta di ospedali da campo riservati ai casi sospetti. In media sono stati presi più di ottocento tamponi al giorno, esaminati in tre laboratori specializzati all’Avana, Santiago e Villa Clara (nel centro dell’isola).
In ogni quartiere delle città viene condotta un’indagine a tappeto, casa per casa, sullo stato di salute degli abitanti.

Nei quartieri più colpiti e per gli anziani il personale sanitario consiglia (non si impone) l’applicazione di una medicina omeopatica il Prevengo-Vir che rafforza la risposta del sistema immunitario. Come cura per i contagiati vengono adoperati anche prodotti brevettati dai laboratori cubani come l’antiretrovirale Kaletra e l’Interferon Alfa 2B – usato e prodotto anche in Cina, il vaccino CIGB2020 – che ha lo scopo di aumentare la risposta immunitaria nelle persone nella prima fase dell’infezione, come pure la validità del vaccino cubano contro la meningite Va-Mengoc Bc, sempre per rafforzare il sistema immunitario. In alcuni ospedali viene sperimentato l’uso di plasma del sangue di persone guarite. Tutta l’assistenza medica è gratuita.

Ogni giorno in televisione il responsabile della Salute pubblica, dottor Durán riferisce sulla situazione. Domenica vi era un accumulato di 1649 contagiati dal 23 marzo, quando si registrò a Cuba il primo caso (importato) di Covirus-19.

Di questi 827 erano stati già dimessi, mentre 67 erano le morti causate dal virus. Secondo i matematici dell’Università dell’Avana -come Carlos Sebranco- che sono impegnati a sviluppare modelli matematici sul comportamento del coronavirus la campagna di contenimento ha funzionato: i dati del numero di ricoverati al giorno si mostrano conformi alla curva più favorevole, che prevede nel suo picco un massimo di 1000 ricoverati.

Secondo questa tesi, Sebranco sostiene che «è stato raggiunto il picco» del contagio «in anticipo almeno di una settimana rispetto alle previsioni basate sui dati internazionali» che lo prevedevano a metà maggio.
Se questa ipotesi sarà confermata e «se continuerà a funzionare la politica di contenimento» si può sperare che il fattore di diffusione del virus sarà ridotto a meno di uno o a zero verso la metà di giugno.
È questa un’ipotesi che molti si augurano veritiera. Cuba è stata colpita dalla pandemia in una fase di crisi economica resa più acuta e pericolosa dall’inasprirsi delle misure dell’embargo Usa decise con feroce accanimento dall’amministrazione Trump. Come conseguenza vi era scarsezza sia di combustibile che di generi di prima necessità. Col paese bloccato – aeroporti chiusi, come pure alberghi, bar e ristoranti; trasporto pubblico bloccato, produzione ridotta al minimo- la scarsezza di generi alimentari e per la pulizia corporale e della casa è arrivata a livelli molto pericolosi.

La gran parte dei cittadini è costretta ogni giorno a lunghe, stressanti e pericolose code dove spesso interviene la polizia o l’esercito per far rispettare un minimo di distanza di sicurezza. Sotto un sole già feroce le code possono durare ore con l’amara sorpresa poi di dover constatare che il prodotto è esaurito.
Il 70% dei lavoratori appartiene al settore statale: le imprese o gli uffici chiusi continuano a pagare gli stipendi ai lavoratori. Ma il salario medio è basso, poco più di trenta dollari, e costringe le famiglie a comprare prodotti giorno per giorno. Peggio stanno i lavoratori nel settore privato – cuentapropistas, circa 500.000 persone- che praticamente non hanno fonte di reddito.

 

08 – ATTENZIONE SINISTRA, IL POPULISMO NON È UN VIRUS. «FASE 2» . NELLA RIPRESA IL PAESE SI RITROVERÀ DILANIATO DA CONTRADDIZIONI E DIFFICOLTÀ ANCORA MAGGIORI DI QUELLA IN CUI VERSAVA PRIMA DELLA PANDEMIA. SE PER ORA IL PERICOLO DEI POPULISMI SEMBRA SCAMPATO LA SINISTRA DEVE ATTIVARSI PER RISPONDERE ALLE ESIGENZE DEI POVERI, di Pier Giorgio Ardeni
Attenzione, sinistra, il populismo non è un virus, non contagia per contatto o vicinanza! Prende piede nel disagio, quando i bisogni reclamano risposte e le promesse di sostegno vengono disattese. Se è vero che, per un po’ almeno, «nulla sarà più come prima», non illudiamoci, le premesse ci sono già perché tutto cambi perché tutto torni com’era prima. Alle vecchie disuguaglianze se ne aggiungono delle nuove e se la sinistra non saprà arginarle, il populismo ritroverà più linfa ad alimentare il suo consenso.
Siamo entrati nel lockdown con una società che era diseguale in (quasi) tutto, con enormi disparità economiche, sociali e culturali. Se prima della pandemia la percezione del futuro era fosca, per molti, abbacinata dal turbinio tecnologico dove «tutto cambia troppo in fretta» e il mondo sembrava sempre più piccolo, oggi quella percezione si è fatta vuota, il mondo in cambiamento appare sfuggito di mano per milioni di persone che devono «ricominciare da zero». Il Bel Paese è oggi come davanti a un muro, di là c’è il nulla, ma «guarda il muro e si guarda le mani, convinto di avere delle idee», per non avere paura.
La prospettiva mozza il fiato. E smettiamola di parlare di guerra (una metafora abusata), che stavolta non stiamo avendo la meglio su un nemico né siamo forti di essere dalla parte del giusto. Stiamo pagando, sì, la nostra cecità verso la degradazione ambientale, la distruzione della biodiversità, il proliferare di patogeni e fauna in un mondo in cui la natura è stata mercificata, essa stessa resa industria. E però, se tanta è la fiducia che oggi riponiamo in scienziati ed esperti su questo contagio, perché mai non abbiamo ascoltato – noi, i nostri governanti – gli appelli a fermare, subito, prima che fosse troppo tardi il riscaldamento globale?
L’Italia che torna al lavoro incerta – combattuta tra esigenza di evitare il contagio affidandosi alla «responsabilità» e agognato ritorno alla «normalità» – è un’Italia fiaccata dalle disparità che va più presa per mano che sgridata. È l’Italia in preda all’ansia per come sbarcare il lunario che andrà accudita, se non vogliamo che esploda di frustrazione e rabbia. L’Italia dei ceti medi impoveriti che rialza la testa stordita. Nel suo ultimo rapporto, nel pieno dell’emergenza, l’Ocse ci ricordava che, prima della pandemia, eravamo il Paese con il tasso di fiducia nei suoi governanti più basso di tutti, secondi solo alla Grecia. Eppure, abbiamo seguito a testa bassa le disposizioni vigenti.
Eravamo il Paese con un tasso di disuguaglianza tra i più alti in Europa, dove 3 cittadini su 10 faticavano ad arrivare a fine mese, dove il 10% più ricco aveva in mano più della metà della ricchezza totale e un quarto della popolazione era a rischio di povertà. Da noi, ben una famiglia su sette viveva in abitazioni sovraffollate (meno di una stanza a testa) e una quota appena superiore spendeva più del 40% del reddito solo per affitto, utenze e spese domestiche. I nostri ragazzi, tra i loro coetanei europei, avevano tra i punteggi più bassi in abilità di lettura, calcolo e discipline scientifiche.
E più erano modeste le condizioni economiche delle loro famiglie, peggiore era il loro rendimento. E gli adulti erano ancora più indietro: tra gli italiani, uno su sei era «analfabeta funzionale» come o peggio di Messico, Cile, Turchia o Spagna. E i figli di genitori con bassi livelli di scolarità erano quelli con meno opportunità di accedere a livelli di scolarità superiori. L’Italia, peraltro, era già un Paese dove chi ha livelli di scolarità più bassi si ammala di più (e ha una speranza di vita di qualche anno inferiore).
Il lockdown, poi, ha fatto il resto, investendo un Paese povero nelle sue fasce e zone più deboli – prive di mezzi culturali e di conoscenza, angustiate da disoccupazione, inattività, disagevoli condizioni abitative e di vita, soprattutto nelle aree rurali, marginali e periferiche. Ma se il Paese ricco oggi scalpita irrequieto, c’è anche il Paese dei giovani precari, dei ragazzi lasciati a casa, delle scuole chiuse, delle lezioni «on-line» per due terzi di essi, quando va bene, delle famiglie abbandonate a se stesse, dei disabili senza assistenza.
Eppure, questo era il Paese che dopo la crisi del 2008 aveva ancora creduto nella promessa riformista – la via italiana al blairismo in salsa dem – per ricredersi poi quando l’austerity europea era stata sposata dalla sinistra e dando credito, nel 2013, al confuso populismo «egalitario» pentastellato.
Le persistenti disuguaglianze, il mancato sviluppo e la stasi successiva avevano fatto il resto, permettendo l’exploit populistico-sovranista nel 2018. Se i populisti al governo hanno poi fallito, la sinistra sonnambula non è però ancora uscita dal suo torpore e ora gli ingredienti ci sono tutti perché quello possa trovare nuova linfa se non viene preso di petto e affrontato.
L’occasione è propizia, come si augurano in tanti. Non sarà la «fine del capitalismo», né la rinascita dello Stato sociale modello «anni gloriosi». Ma non si può pensare che il Paese si rimetta in piedi da solo perché da solo ce la farà chi ha i mezzi. Dovremo creare opportunità, azzerare sperequazioni di condizione.
Uno Stato innovatore, sì, manche equalizzatore. Non solo – e questo sarebbe già apprezzabile – per ragioni di equità morale. Ma perché se non vogliamo poi piangere sulla rivincita dei populismi dovremo poter dire che al disagio abbiamo provato a dare risposta. È il momento per la sinistra per ritrovare la sua identità: lo sviluppo sarà «sostenibile» solo se sarà inclusivo, pena ritrovarci su di un pianeta deserto, forse debellato dal virus, ma più cattivo e invivibile di prima.

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