20 .01. 11 – Rassegna NEWS

01 – L’MPEGNO POLITICO VA INSIEME ALLA CAPACITÀ D’AMARE. COME POCHI ALTRI, GRAMSCI HA SAPUTO CONIUGARE LE FORTI PASSIONI E UNA LUCIDA INTELLIGENZA POLITICA Nelle lettere a Giulia Schucht, Antonio Gramsci rivela un aspetto originale ed estremamente valido per interpretare oggi la crisi della sinistra. Non ci si può interessare di una collettività, diceva, «SE NON SI È MAI AMATO PROFONDAMENTE DELLE SINGOLE CREATURE UMANE»

02 – La nascita della sinistra. Per creare la sinistra che non è mai esistita è necessario che la politica faccia ricerca. Che studi e comprenda la realtà umana per quella che veramente è. E non per quella che chi gestisce un potere vuole che si creda che sia. NON SOLO STRAORDINARIA POSSIBILITÀ DI CURA. LA TEORIA DELLA NASCITA È IL FONDAMENTO PER UNA NUOVA VISIONE POLITICA.

03 – L’Italia dica no alla guerra. Mentre Salvini si congratula con Trump per l’attacco terroristico ingiustificabile sul piano del diritto internazionale, chi si riconosce nei principi della Costituzione ha il dovere di mobilitarsi perché prevalgano le ragioni della pace

04 – Scetticismo da parte dell’intelligence: «Non c’è conoscenza dell’avversario». L’Iran funesta. l presidente ha messo a rischio «non solo le truppe ma anche le città americane», di Marina Catucci

05 – Italia anni Settanta, se si trattò di complotto, l’origine fu nelle nostre tare. Storia recente.

06 – ITALIA ANNI SETTANTA, RIVOLUZIONATA LA CONVIVENZA CIVILE LA CLASSE POLITICA TENTÒ DI ADEGUARSI. STORIA RECENTE. VIAGGIO NELLA MEMORIA DI FATTI E VICENDE CHE SFUGGONO ALLA CATEGORIA, UN PO’ INVASIVA E OPPRIMENTE, DI «CRISI»: «UN PAESE IN MOVIMENTO»

01 –  L’ MPEGNO POLITICO VA INSIEME ALLA CAPACITÀ D’AMARE. COME POCHI ALTRI, GRAMSCI HA SAPUTO CONIUGARE LE FORTI PASSIONI E UNA LUCIDA INTELLIGENZA POLITICA Nelle lettere a Giulia Schucht, Antonio Gramsci rivela un aspetto originale ed estremamente valido per interpretare oggi la crisi della sinistra. Non ci si può interessare di una collettività, diceva, «SE NON SI È MAI AMATO PROFONDAMENTE DELLE SINGOLE CREATURE UMANE» ( da Left di Giuseppe Benedetti e Donatella Coccoli). I l 14 ottobre 1926 Antonio Gramsci scrisse una lettera a Giulia in cui scherza su un assurdo concorso del quotidiano II Piccolo intorno ai diversi gradi di felicità delle donne sposate, chiamando in causa Alexsandra Kollontaj, la rivoluzionaria russa che auspicava un cambiamento nelle relazioni tra uomini e donne al tempo del sogno socialista. Nello stesso giorno Gramsci scrisse un’altra lettera, di ben diverso tenore, indirizzata a Paimiro Togliatti, a Mosca, affinché recapitasse al Comitato centrale del partito comunista russo il suo chiaro messaggio: non fate una scissione adesso perché avete una responsabilità enorme nei confronti delle masse popolari e degli altri partiti comunisti. In questo contesto storico si dipana la storia d’amore tra il comunista sardo e la giovane Giulia Schucht, conosciuta in Russia alla fine del 1922, mentre Gramsci si trovava a Mosca per partecipare ai lavori dell’Internazionale comunista. Dal 1922 al 1937, l’anno della morte di Antonio dopo undici anni di carcere, i due vissero uno straordinario e intenso rapporto da cui nacquero due figli. A parte i brevi periodi in cui poterono frequentarsi, tra il soggiorno di lui a Mosca fino a quasi tutto il 1923 e quello di lei a Roma nel 1923, la loro storia d’amore si manifestò tutta attraverso uno scambio epistolare. Può una raccolta di lettere d’amore contenere anche un significato politico dirompente? Leggendo le lettere d’amore, fervide e appassionate, di Antonio Gramsci a Giulia Schucht, si ha l’impressione di ritrovare, come sottotraccia e attraverso percorsi laterali e indiretti, diverse testimonianze del pensiero politico di chi le ha scritte. Probabilmente perché sono opera di un uomo in cui pensiero e azione sono stati coerenti e anche nelle riflessioni politiche ha trasferito una caldissima passione. Gramsci ha saputo coniugare, come raramente è accaduto nella storia della sinistra italiana, le forti passioni e la lucida intelligenza politica, la costruzione di una forte identità personale, la ricerca di un rapporto d’amore profondo e un’instancabile attività politica, l’«io» e il «noi». E di questo offre una testimonianza soprattutto nelle lettere del periodo pre carcerario, quello che va dal ’24 al ’26. Nel 1924, per esempio, in pochi mesi Gramsci attraversa tappe di vita fondamentali: a febbraio da Vienna fonda l’Unità, a maggio viene eletto deputato e in agosto è segretario del Partito comunista. Tanto chi sia incuriosito soprattutto dall’uomo quanto chi sia interessato al pensatore e provi ad arrivare alle origini della filosofia della praxis trova nelle lettere d’amore a Giulia dei documenti di importanza cruciale. Più volte nella storia le testimonianze d’amore hanno assunto un forte significato politico. I poeti del dolce stilnovo ridefinirono le gerarchie sociali collocando al vertice chi avesse la gentilezza, cioè la capacità di amare, e con l’esaltazione di una qualità umana contribuirono al declino dell’aristocrazia feudale. I poeti romantici sostennero il primato della sensibilità individuale sulla ragione, di cui denunciarono i limiti anche nell’azione politica, facendo intendere come mai i principi illuministici che avevano acceso la rivoluzione francese si fossero spenti nella dittatura di Napoleone. Con Gramsci la conoscenza è intimamente legata alla vita concreta, il sapere è raccordato al sentire degli esseri umani, la fantasia – come capacità di ricostruire in sé le vite degli altri – viene messa in cima alle qualità che dovrebbe possedere chi fa politica. Pertanto Gramsci non poteva rassegnarsi all’antipolitica dell’ideologia religiosa che rimanda in un altro tempo e in un altro luogo il riscatto degli oppressi né poteva evitare di denunciare l’immobilismo e la subalternità teorica dei socialisti, accecati dalla fede positivistica, paralizzati dalla credenza in un’evoluzione sociale naturale al primo sorgere del sol dell’avvenire. Poi restò deluso dall’astrattezza dell’idealismo, che pure gli aveva indicato la via per liberarsi dai limiti del positivismo. E proprio mentre maturava il distacco da Croce, scrisse la famosa lettera a Giulia del 6 marzo 1924 in cui esplicitava il nesso tra azione politica e capacità d’amare: «Ma quante volte mi sono domandato se legarsi a una massa era possibile quando non si era mai voluto bene a nessuno, neppure ai propri parenti, se era possibile amare una collettività se non si era amato profondamente delle singole creature umane». La sua identità sempre più solida si rafforzava insieme alla consapevolezza politica. Un precedente in Leopardi, quando scriveva all’amata Fanny Targioni Tozzetti (5 dicembre 1831): -Rido della felicità delle masse, perché il mio piccolo cervello non concepisce una massa felice, composta di individui non felici». Anche in questo caso la fantasia e la capacità d’amare andavano di pari passo con una lucidissima coscienza civile. Leopardi combatteva una solitaria battaglia culturale contro i conservatori e i progressisti, apparentemente in competizione ma in realtà allineati nell’incapacità cronica di mettere a fuoco le questioni che direttamente investono la felicità o l’infelicità degli esseri umani. Quasi un secolo dopo Gramsci visse la sua passione per Giulia mentre in Russia il movimento rivoluzionario era già in affanno e in Italia avanzava il movimento fascista approfittando della crisi di immobilismo dei socialisti e dei liberali. Nel caos politico di inizio secolo la bussola di Gramsci è stata la ricerca della verità, una rivoluzione concreta e duratura, da perseguire attraverso la conoscenza. E il sapere in lui è sempre stato legato alla vita, agli affetti, ai rapporti. Una componente fondamentale del conoscere è, secondo Gramsci, il sentire, che, appunto, consente di connettere la conoscenza alla vita. Nella conoscenza è basilare la consapevolezza di sé e della propria trasformazione nei rapporti con gli altri, sentire di essere un prodotto della storia di questi rapporti e cambiamenti molecolari. Così nel rapporto con Giulia, anche attraverso le lettere, Gramsci ha mirato alla ricerca della verità. La sua scrittura è sangue, carne viva, pensieri, immagini. Non c’è neanche l’ombra di una finzione letteraria. Non c’è l’enfasi – ovviamente, per quel che s’è detto – di un D’Annunzio, ma neanche la retorica, più ingenua ma altrettanto costruita, di un’autodidatta come la conterranea Grazia Deledda. L’epistolario di Gramsci è un libro vivente, con entusiasmi e malinconie, tenerezze e rigidità. Nelle sue lettere si coglie la voce di chi non si rassegna a quella sconfitta che si prefigurava nella subalternità socialista all’ideologia religiosa. Nel romanzo E le stelle stanno a guardare (1935) Cronin racconta il fallimento del deputato socialista David, che, pur avendo lavorato in miniera e pur conoscendo molto bene i problemi e l rivendicazioni dei minatori, tuttavia non riesce a guadagnare la loro fiducia, rassegnandosi perciò alla constatazione che in fondo alle persone, nella parte più intima del cuore di ciascuno, c’è qualcosa di inconoscibile e di immodificabile. Gramsci non perse mai la convinzione che fosse un obbligo per un politico, così come per gli altri, arrivare al cuore delle persone, per comprenderne le ragioni e le esigenze più profonde. Quello che è mancato e manca alla sinistra, condannandola molte volte alla indifferenziazione dalla destra e, pertanto, al fallimento. Riprendere la lezione di Gramsci, dalla capacità d’amare come impegno politico alla conoscenza come sentire, potrebbe aprire una nuova ricerca per la sinistra.

 

02 – LA NASCITA DELLA SINISTRA. PER CREARE LA SINISTRA CHE NON È MAI ESISTITA È NECESSARIO CHE LA POLITICA FACCIA RICERCA. CHE STUDI E COMPRENDA LA REALTÀ UMANA PER QUELLA CHE VERAMENTE È. E NON PER QUELLA CHE CHI GESTISCE UN POTERE VUOLE CHE SI CREDA CHE SIA. NON SOLO STRAORDINARIA POSSIBILITÀ DI CURA. LA TEORIA DELLA NASCITA È IL FONDAMENTO PER UNA NUOVA VISIONE POLITICA. La ricostruzione della sinistra, questa attività che ormai in tanti danno per essere qualcosa di inutile, legato ad una idea utopica di società, è qualcosa che forse va chiamata in un altro modo. Si tratta in realtà della costruzione ex novo e non di ricostruzione di qualcosa. Va infatti pensato che la sinistra, con le sue varie e diversissime forme in cui si è manifestata nel corso di oltre due secoli, sia qualcosa che in realtà deve ancora nascere. I due secoli sono chiaramente quelli che iniziano con la Rivoluzione francese e con il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali. Quelli che oggi nessuno (o quasi nessuno) si sogna di mettere in discussione, almeno in principio. In particolare, la libertà e l’uguaglianza che sono a fondamento dei diritti universali dell’essere umano che a loro volta sono a fondamento delle carte costituzionali di gran parte dei Paesi del mondo. Va però compreso che quelle due parole, da sole, non sono sufficienti ad affermare un diritto. Perché non spiegano su cosa si fonda quel diritto e quale sostanza esso abbia, di cosa sia in realtà fatto. Sicuramente c’è nella Rivoluzione francese e nei principi che porta un’universalità che prima non c’era, quando afferma che quei diritti riguardano tutti gli uomini. Peccato che, appunto, quelle affermazioni avessero dimenticato le donne e i bambini… e riguardassero soltanto gli uomini, intesi come esseri umani di sesso maschile. L’universalismo del diritto era basato sull’idea che ci fosse una caratteristica comune a tutti gli uomini che però non era sviluppata nelle donne e nei bambini. Questa caratteristica sarebbe la ragione. Allora così come ciò che faceva i cittadini romani uguali tra loro e più uguali di quelli che erano schiavi era per l’appunto essere civis ro- manus, allo stesso modo ciò che farebbe uguali tra loro tutti gli esseri umani sarebbe la ragione. Chi non ha quella caratteristica comune non è uguale agli altri, è di fatto un essere sicuramente inferiore che come tale può essere trattato. La logica porta con sé che non essendo veramente un essere esso è di fatto un non essere. Non esiste infatti compromesso per la ragione. L’uguaglianza tra pochi pari ha come conseguenza che la libertà è qualcosa di riservato solo alla élite degli uguali. Non ha senso pensare ad una libertà per gli altri, perché essi in realtà non sono. Nel corso del XIX secolo, la grande rivoluzione portata dalle idee della Rivoluzione francese nella forma degli Stati e nel riconoscimento di nuovi diritti dove non ce n’erano e contemporaneamente l’impetuoso sviluppo delle economie in conseguenza delle innovazioni portate dalle straordinarie scoperte scientifiche da Newton in poi, determinano un generale aumento del benessere e la formazione di quella che si sarebbe poi chiamata la classe media. Ma accanto a questo sviluppo c’è anche la comparsa della classe operaia. Enormi quantità di persone si spostano dalle campagne alle città, che diventano sempre più grandi, attirate dalla possibilità di maggiore guadagno che nel lavoro dei campi ma anche, evidentemente, dall’idea di un futuro diverso, di un miglioramento delle proprie condizioni di vita. E in questo periodo che si sviluppano le idee che poi diventeranno fondanti per la sinistra attuale. Sono idee che si sviluppano come opposizione a ingiustizie evidenti, a negazioni di quei principi di libertà e uguaglianza affermati, seppur con tutti i limiti detti prima, dalla Rivoluzione francese. Opposizione ad una universalità affermata ma non rispettata veramente. L’analisi politica, la ricerca di strumenti per opporsi, lavora sugli aspetti economici e dimentica che l’universalità dei diritti di libertà e uguaglianza della Rivoluzione francese era basata sulla universalità della ragione, su una cosa che sarebbe caratteristica esclusiva dell’essere umano e comune a tutti. In altre parole, la base della Rivoluzione francese, del suo straordinario successo, era prima di tutto un’idea di essere umano. La società, che poi è quella in cui noi tutti viviamo tutt’oggi, è conseguenza di quell’idea di essere umano. Io credo che il grande errore sia non aver compreso questo. È necessario prima avere un’idea di essere umano, di quale è la verità della sua realtà. Solo in conseguenza di questo è possibile pensare ad un modello di società diverso. È facile vedere che le forze politiche di destra hanno una visione dell’essere umano come violento e sopraffattore. Quella sarebbe la natura umana e la politica quindi deve prendere atto di questa natura e agire coerentemente. Si potrebbe quindi ingenuamente pensare che le forze politiche di sinistra non la pensino così, che pensino ad una realtà umana che sia al fondo buona. In realtà non è così. Purtroppo, il pensiero di sinistra non ha compreso questo passaggio fondamentale e si è lasciato ingannare sul pensiero sulla natura umana. Infatti, anche a Sinistra si pensa ad una realtà umana che al fondo sarebbe cattiva e il cui unico scopo sarebbe quello di sfruttare e sopraffare gli altri. Se questo è il pensiero sull’essere umano, l’uguaglianza sarebbe qualcosa che in realtà non esiste ma che va costruito. Qualcosa di artificiale di cui lo stato è garante. E il motivo è debolissimo: perché sarebbe più giusto così. L’uguaglianza diventa così una cosa astratta che non avrebbe in realtà alcun fondamento. Non si capisce da cosa deriverebbe l’uguaglianza.

 

03 – L’ITALIA DICA NO ALLA GUERRA. MENTRE SALVINI SI CONGRATULA CON TRUMP PER L’ATTACCO TERRORISTICO INGIUSTIFICABILE SUL PIANO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE, CHI SI RICONOSCE NEI PRINCIPI DELLA COSTITUZIONE HA IL DOVERE DI MOBILITARSI PERCHÉ PREVALGANO LE RAGIONI DELLA PACE di Maurizio Acerbo La condanna della folle iniziativa dell’amministrazione USA non può che essere senza se e senza ma. L’assassino del generale Soleimani può scatenare una guerra con l’Iran ed investire l’intero Medio Oriente, incluso il Mediterraneo. L’attacco statunitense, in disprezzo della sovranità dell’Iraq, colpisce anche le speranze e le lotte del popolo iracheno che in questi mesi è sceso in piazza pagando un duro prezzo di sangue per rivendicare la fine di una politica fondata sulle divisioni settarie e uno sviluppo democratico e misure sociali. L’appartenenza dell’Italia alla NATO e la presenza nel nostro paese di basi militari statunitensi e dell’alleanza atlantica accresce i timori di un coinvolgimento del nostro Paese nel conflitto. L’Italia e gli altri governi dell’Unione Europea non sono tenuti a seguire Trump in questa escalation militare che ha suscitato un coro di proteste anche negli Stati Uniti. Il nostro governo e l’Unione Europea devono invece attivarsi in un ruolo di pace, frenando le spinte belliciste della Casa Bianca ed agendo con gli altri attori internazionali per l’avvio di un dialogo con l’Iran, a partire dalla rimessa in discussione delle sanzioni comminate unilateralmente dagli Usa. Occorre evitare qualsiasi coinvolgimento dell’Italia in uno scenario di guerra. Esigiamo per questo che si ritirino le truppe incautamente inviate in Iraq e si assuma un’iniziativa diplomatica forte verso tutti i soggetti coinvolti. Sul piano politico e etico va evitato di essere di nuovo complici di guerre e azioni di terrorismo internazionale. Come ha giustamente evidenziato oggi l’editoriale di Tommaso Di Francesco sul Manifesto è doveroso che il governo italiano dichiari l’indisponibilità delle basi militari che si trovano sul territorio italiano – da Aviano a Sigonella – per le operazioni che gli USA stanno conducendo in Medio Oriente. L’Italia non deve dare nessun sostegno diretto o indiretto alla guerra di Trump. In Friuli abbiamo lanciato un’assemblea per venerdì 10 gennaio dal titolo “Il Friuli non è una rampa di lancio” che si terrà a Pordenone il prossimo 10 gennaio. Anche a livello nazionale è indispensabile che partiti, sindacati, associazioni e movimenti si uniscano su questa elementare richiesta al governo italiano. Ci rivolgiamo all’ANPI, all’Arci, alla Cgil, al sindacalismo di base, all’associazionismo pacifista, a tutta la sinistra, al mondo cattolico e a tutte le persone e le soggettività che si riconoscono nell’articolo 11 della Costituzione nata dalla Resistenza. L’Italia dica no alla guerra.

 

04 – SCETTICISMO DA PARTE DELL’INTELLIGENCE: «NON C’È CONOSCENZA DELL’AVVERSARIO». L’IRAN FUNESTA. L PRESIDENTE HA MESSO A RISCHIO «NON SOLO LE TRUPPE MA ANCHE LE CITTÀ AMERICANE», di Marina Catucci Voci scettiche riguardo l’operazione che ha ucciso Soleimani si sono alzate anche tra i membri o ex tali dell’Intelligence Usa. L’ex funzionario Cia in Medio Oriente e veterano delle operazioni clandestine Robert Baer, ha affermato che l’uccisione di Soleimani è stata «come colpire un nido di calabroni con una mazza da baseball. Non lo fai se non sei pronto ad andare in guerra con i calabroni». Secondo Baer è molto probabile che la reazione di Teheran possa essere quella di inasprire rapidamente le tensioni tra Stati Uniti ed Iran, a cui sarà difficile farvi fronte, in quanto «la Cia non ha reali operazioni di intelligence all’interno dell’Iran, e nessuno nell’amministrazione Trump capisce la mentalità iraniana». Baer ha aggiunto che l’omicidio ha messo a rischio sia le truppe che i cittadini statunitensi in Iraq in quanto gli Stati Uniti non hanno truppe da combattimento in Iraq e l’esercito iracheno è troppo debole per difendere l’ambasciata Usa o altri interessi degli Stati Uniti in quel territorio. Il sentimento di scetticismo è condiviso dall’ex vicedirettore della Cia Michael Morell, secondo il quale l’Iran ucciderà civili americani; un tale attacco potrebbe verificarsi in pochi giorni e in qualsiasi città dove l’Iran ha cellule terroristiche dormienti. «Il posto più probabile dovrebbe essere l’Iraq – ha detto Morell all’emittente televisiva Cbs – ma anche le principali città degli Stati Uniti possono essere un obiettivo. Soleimani era un genio malvagio, aveva molto sangue americano sulle sue mani. Il mondo è un posto migliore senza di lui. Il problema è che tutto ciò ha un costo molto elevato. A causa di ciò ci saranno morti di americani civili. È da temere che il gruppo militante Hezbollah sostenuto dall’Iran, che è stato definito dal governo degli Stati Uniti come un’organizzazione terroristica, possa avere cellule dormienti negli Usa, pronte ad agire. Hezbollah libanese, che è uno degli alleati più stretti dell’Iran, ha piani di emergenza che includono gli Stati Uniti o contro obiettivi statunitensi». L’ex ufficiale delle operazioni della Cia Sam Faddis, è dello stesso parere: «È più che possibile che Hezbollah abbia celle dormienti negli Usa pronte a colpire. In base a ciò che sappiamo possiamo presumere che vogliano colpire obiettivi sul suolo degli Stati Uniti in qualsiasi momento e senza preavviso». Sebbene l’Iran non possa competere militarmente con gli Usa, «è un maestro della guerra asimmetrica e ha trascorso decenni a creare una rete di milizie regionali alleate, celle dormienti e agenti segreti in grado di eseguire attacchi che non possono essere facilmente rintracciati nell’Iran stesso. A differenza di altri Stati l’Iran ha formato gruppi dotati di attrezzature e conoscenze, consentendo loro di eseguire in modo indipendente attacchi sofisticati, tra cui la attacchi informatici contro le banche e reti elettriche». A maggio un tribunale federale di New York ha condannato un uomo di origini libanesi con l’accusa di guidare una cellula dormiente di Hezbollah istituita per compiere futuri attacchi terroristici. Matthew Levitt, ex agente antiterrorismo presso l’Fbie il Dipartimento del Tesoro ed esperto di Hezbollah ha specificato: «Un attacco sul suolo americano non può essere escluso».

 

05 – ITALIA ANNI SETTANTA, SE SI TRATTÒ DI COMPLOTTO, L’ORIGINE FU NELLE NOSTRE TARE. STORIA RECENTE. NEL SAGGIO EINAUDIANO DI MIGUEL GOTOR, «L’ITALIA DEL NOVECENTO» , IL SECOLO SCORSO, CHE QUI APPARE LUNGHISSIMO, RESISTE AL TENTATIVO DI ESSERE CONSEGNATO A UNA STORIA DEFINITIVAMENTE CHIUSA. Esce, inoltre, la monumentale edizione critica del «Memoriale di Aldo Moro 1978», da De Luca edizioni d’arte Francesco Arena, «La prigione di Aldo Moro, 3,24 mq» 2004 di Adriano Prosperi «Durante il caso Moro ho avuto la certezza di essere dentro un complotto di cui era impossibile arrivare a capo, di cui non sarei mai riuscito a capire nulla»: con queste parole Cesare Garboli spiegò quale fosse lo stato d’animo che lo aveva spinto a lasciare per sempre Roma e a rifugiarsi nella solitudine di Vado di Camaiore. Allora, fummo in molti a pensarla così. E se ci vollero ancora tante altre convulsioni e tanti altri rivolgimenti non solo italiani – a partire dal crollo del muro di Berlino – non c’è dubbio che cominciò proprio allora a muoversi la grande slavina che doveva seppellire la «prima Repubblica». La metafora della slavina ci viene riproposta da Miguel Gotor nel volume L’Italia del Novecento Dalla sconfitta di Adua alla vittoria di Amazon (Einaudi, pp. XVIII – 590, € 22,00) per connotare la scomparsa totale di Pci (1991), Dc e Psi (1994) insieme a tutto l’assetto del sistema dei partiti. E tuttavia anche quella morte dei partiti era cominciata nel ’78, col caso Moro. Era stato l’episodio terminale della guerra a colpi di bombe e di terrorismo cominciata nel 1969 con la strage della Banca dell’Agricoltura. Fu quello il «momento umano» in cui, secondo la definizione di Marc Bloch, tanti processi e avvenimenti giunsero a stringersi «nel nodo possente delle coscienze». Nessuna occasione recente si presta come altrettanto ideale a verificare la celebre tesi del grande storico francese circa la natura psicologica dei fatti storici. Oggi, il tentativo di gettare lo sguardo al di là di quella frontiera sembra quasi una forma di archeologia, un campo ancora aperto alla curiosità ma a una curiosità fredda, senza passione. È il segno del tempo che passa e ci costringe a vederci – noi vecchi – per quello che siamo: dei sopravvissuti. Di fatto, solo Mario Deaglio, in La bomba Cinquant’anni di Piazza Fontana (Feltrinelli) fra i tanti che ne hanno parlato in questa fase di bilanci e ricorrenze, ha scritto pagine veramente appassionate, traboccanti d’ira e di dolore: forse perché ormai guarda all’Italia da una distanza non solo temporale ma anche geografica, che riaccende il fuoco di un amore deluso. VERITÀ FIGLIA DEL TEMPO Oggi, anche i preparativi della ricorrenza cinquantenaria della strage del 12 dicembre 1969 hanno avuto la compostezza e l’ufficialità riservate alle ricorrenze storiche di eventi vetusti. Sappiamo da tempo, ormai, che quella fu una dichiarazione di guerra alla Repubblica nata dalle Resistenza. Da allora, il nostro paese non è più tornato a una normale temperatura di convivenza civile. Tuttavia è un fatto che la nebbia di allora si è in gran parte dissolta. Verità, figlia del tempo, così dicevano gli antichi. Del nostro tempo, comunque, non dei secoli che ci sono voluti per leggere i documenti del caso Galileo. Tornando all’ampia sintesi storica di Miguel Gotor in L’Italia del Novecento, questo libro rovescia il paradigma del mai citato «secolo breve» di Eric Hobsbawm. Il secolo scorso, che appare qui lunghissimo, resiste ancora al tentativo di essere consegnato a una storia finalmente e definitivamente chiusa, per non parlare delle eterne risse di cui ogni testimone di quegli anni – e Gotor era fra questi – porta ancora l’eco. La materia italiana è come un magma sotterraneo ancora ribollente. Ci sono protagonisti vivi e attivi: quanti dei lettori capiranno che Franco Freda, colpevole acclarato, impunito e impenitente di quell’attentato, resta tale insieme al defunto Giovanni Ventura per un balletto di vicende giudiziarie che definire vergognoso è insufficiente. E vive e scrive Adriano Sofri, colui che condannato sulla base di un processo che seppe di vendetta, come dimostrò uno storico dell’acume di Carlo Ginzburg, si rifiutò di fuggire davanti alla dura pena carceraria. A una volontà di conoscenza particolare risponde la monumentale, accuratissima edizione critica del cosiddetto Memoriale di Aldo Moro 1978 (a cura di Francesco M. Biscione, Michele Di Sivo, Sergio Flamigni, Miguel Gotor, Ilaria Moroni, Antonella Padova, Stefano Twardzik, De Luca editori d’arte) coordinato da Michele Di Sivo, che riconosce come «dei precedenti inquisitori di antico regime quel processo aveva le caratteristiche essenziali», essendo il documento prodotto di un autore inquisito, capace di redigere un «raffinato e ponderato ragionamento» destinato a essere gestito da parte dei suoi carcerieri in un tempo più lungo di quello del gioco politico immediato a cui furono destinate le sue lettere. Edizioni di processi celebri della stessa dimensione e curati con lo stesso ricorso a filologia e ricerca storica furono quelli dell’Inquisizione a imputati eccellenti: a Galileo Galilei, per esempio, o a Giordano Bruno, che col caso Moro hanno in comune qualcosa che va al di là delle moltissime differenze, per riguardare piuttosto il sentimento di vergogna di chi ha voluto i processi: da un lato l’Inquisizione cattolica, dall’altro le Brigate rosse. NESSUNA SCOPERTA L’ombra di Giordano Bruno e quella di Galileo hanno certamente occupato le menti di chi, a distanza di tempo, si è trovato davanti all’errore compiuto e ha lottato in tutti i modi contro la sopravvivenza della memoria e la conoscenza di quelle carte. Con tutte le differenze del caso, forse qualcosa di simile ha riguardato anche la vicenda delle carte di questo processo. Il sedicente «tribunale del popolo» nel celebrarlo annunciò solennemente che vi si sarebbe accertata la verità su errori e delitti come la bomba di Piazza Fontana e che quella verità sarebbe stata annunciata. Ma non ci fu nessuna verità da comunicare: l’imputato fu ucciso e le carte del processo restarono invisibili. Quando apparve alla luce, nel 1978, abbandonato nel «covo» milanese di via Montenevoso, il Memoriale aveva la forma di un dattiloscritto: del quale, va ricordato, si sono perdute le tracce. Passarono non pochi anni. Ma fu ancora in quel «covo» che nel 1990 una ispezione fortemente richiesta e voluta da Sergio Flamigni fece scoprire dietro una intercapedine la fotocopia di un originale manoscritto. All’inizio preso in carico dal generale Alberto Dalla Chiesa, questo documento è stato oggetto di un versamento anticipato da parte della Procura di Roma all’Archivio di Stato di Roma grazie all’interessamento di Michele Di Sivo, esperto studioso di processi storici, e viene adesso pubblicato: una grande opera elaborata con studi pazienti e approfonditi che trasforma quella serie non organica di fotocopie di un documento scritto in condizioni di violenza e di drammatica tensione in pagine di stampa dall’aria definitiva. L’immagine di copertina mostra un Aldo Moro solenne e profetico. Ci si chiede se possiamo davvero dirci nella condizione di consegnare questo documento «alla storia». Le ragioni sono diverse, alcune di dettaglio ma non trascurabili, intanto, perché quelle fotocopie casualmente accozzate corrispondono a documenti autentici che forse sopravvivono, e chissà quante sono le persone ancora in vita che potrebbero completare, arricchire o almeno contestualizzare meglio il dossier. Ma è la natura stessa di quel documento a contrastare la voglia di leggerlo come una profezia. Il lettore si sente combattuto e perplesso davanti alla domanda su chi sia l’Aldo Moro di questo scritto: se il testimone e protagonista di una durissima battaglia politica ancora aperta, oppure il martire designato che guarda al futuro di un mondo senza di lui e lascia in eredità ai posteri la sua profezia. Se scegliamo questa seconda via, Moro si distacca dalla scena di lotte non solo intellettuali per il possesso e la gestione del potere politico e si sposta di lato per unirsi a una ben diversa e più solenne compagnia: quella delle grandi ombre della tradizione intellettuale e religiosa italiana che hanno avuto nella prigione il loro luogo di macerazione e di sacrificio. GRAFIA DI STATI D’ANIMO Un fatto è certo: Moro scrisse queste pagine nella fase in cui si preparava a una liberazione attesa a giorni, ricorrendo a stilemi a lui familiari e ad argomenti degni di un congresso della sua Dc, per giocare le proprie carte politiche in una partita viva come non mai. Su questo i curatori sembrano concordi. Michele Di Sivo pone correttamente il dilemma sulla natura del lavorio di Moro quando si chiede se il Memoriale fosse «il frutto di una manipolazione», oppure espressione «della capacità di Moro di vigilare il testo». E ricorda quale fosse la natura della risposta scritta di Moro alle domande dei carcerieri: una natura speciale, non di immediato consumo politico ma di più duratura e di lunga gestione, simile in questo alle confessioni dei prigionieri del carcere segreto dell’Inquisizione ecclesiastica. Chi lo scrisse dovette elaborarlo come un testo che non si esponesse a smentite nell’immediato, ma anche tale da poter circolare di lì a non molto nel contesto di una battaglia nel paese da condurre in prima persona: non ha il tono, dunque, della profezia di una vittima in procinto di immolarsi. Di fatto, quando Antonella Padova cerca – nel volume – di cogliere dai segni grafici lo stato d’animo d ello scrivente, registra una vera e propria veemenza di toni alti nel rispondere a chi aveva dichiarato non autentiche le sue scritture. L’autografia, secondo Padova, rivela l’ansia di decidere se potesse apparire più convincente e personale una calligrafia incerta e tremolante o una copiatura accurata e leggibile. Di nuovo – noi che fummo testimoni di quei lunghissimi giorni – ci troviamo davanti alla polemica suscitata allora dalla sciagurata dichiarazione di diversi «amici di Moro», persone peraltro note e rispettabili che sottoscrissero un pubblico disconoscimento dei suoi messaggi, in uscita dalla prigione brigatista. Un dato è indiscutibile: l’atroce ambiguità della posizione di Aldo Moro, che mentre ha davanti a sé le domande dei carcerieri, sa anche che quanto scriverà potrà essere reso noto e tornargli indietro con gli esiti e le risposte del mondo esterno – quelle dei compagni di partito e quelle di una opinione pubblica sconcertata, spaventata, non tutta disposta a simpatizzare per lui. Non gli resta se non una soluzione: parlare di politica nel modo che gli è familiare e che gli ha consentito di esercitare sul suo partito una egemonia intellettuale e sull’opinione pubblica una funzione quasi soporifera, anestetizzante, ambedue in funzione del suo progetto di lentissimo avvicinamento – le allora famose e fumose «convergenze parallele» tra forze moderate cattoliche e masse comuniste. Se ne ha un buon campione nella risposta alla domanda sulla strage di Banca dell’Agricoltura: era questo un argomento su cui i brigatisti avevano promesso di scoprire la verità e di rivelarla al «popolo» di cui si autonominavano tribunale. Ma non raccontarono nulla di quanto Moro scrisse e oggi leggiamo nel Memoriale. Perché: ecco la domanda da rivolgere a chi ancora conserva ricordi e carte e responsabilità di cose e fatti. UNA SINTESI INFEDELE Una sola verità ci resta, sulla strategia della tensione e sulla vicenda Moro: il complotto che allora ci apparve così enorme da evocare oscure potenze straniere in lotta sul corpo del paese Italia ha finito con lo svelare quasi soltanto volti familiari e le già conosciute tare radicate nella nostra società. Questa verità, tuttavia, non è diventata patrimonio delle nuove generazioni. Come ha scritto Antonio Carioti: «SE CHIEDI A UNO STUDENTE CHE COSA È SUCCESSO QUEL 12 DICEMBRE 1969, LUI TI GUARDA PERPLESSO: LE BRIGATE ROSSE, RISPONDE».

 

06 – ITALIA ANNI SETTANTA, RIVOLUZIONATA LA CONVIVENZA CIVILE LA CLASSE POLITICA TENTÒ DI ADEGUARSI. STORIA RECENTE. VIAGGIO NELLA MEMORIA DI FATTI E VICENDE CHE SFUGGONO ALLA CATEGORIA, UN PO’ INVASIVA E OPPRIMENTE, DI «CRISI»: «UN PAESE IN MOVIMENTO» di Simona Colarizi, Laterza La ricostruzione della sinistra, questa attività che ormai in tanti danno per essere qualcosa di inutile, legato ad una idea utopica di società, è qualcosa che forse va chiamata in un altro modo. Si tratta in realtà della costruzione ex novo e non di ricostruzione di qualcosa. Va infatti pensato che la sinistra, con le sue varie e diversissime forme in cui si è manifestata nel corso di oltre due secoli, sia qualcosa che in realtà deve ancora nascere. I due secoli sono chiaramente quelli che iniziano con la Rivoluzione francese e con il riconoscimento di alcuni diritti fondamentali. Quelli che oggi nessuno (o quasi nessuno) si sogna di mettere in discussione, almeno in principio. In particolare, la libertà e l’uguaglianza che sono a fondamento dei diritti universali dell’essere umano che a loro volta sono a fondamento delle carte costituzionali di gran parte dei Paesi del mondo. Va però compreso che quelle due parole, da sole, non sono sufficienti ad affermare un diritto. Perché non spiegano su cosa si fonda quel diritto e quale sostanza esso abbia, di cosa sia in realtà fatto. Sicuramente c’è nella Rivoluzione francese e nei principi che porta un’universalità che prima non c’era, quando afferma che quei diritti riguardano tutti gli uomini. Peccato che, appunto, quelle affermazioni avessero dimenticato le donne e i bambini… e riguardassero soltanto gli uomini, intesi come esseri umani di sesso maschile. L’universalismo del diritto era basato sull’idea che ci fosse una caratteristica comune a tutti gli uomini che però non era sviluppata nelle donne e nei bambini. Questa caratteristica sarebbe la ragione. Allora così come ciò che faceva i cittadini romani uguali tra loro e più uguali di quelli che erano schiavi era per l’appunto essere civis ro- manus, allo stesso modo ciò che farebbe uguali tra loro tutti gli esseri umani sarebbe la ragione. Chi non ha quella caratteristica comune non è uguale agli altri, è di fatto un essere sicuramente inferiore che come tale può essere trattato. La logica porta con sé che non essendo veramente un essere esso è di fatto un non essere. Non esiste infatti compromesso per la ragione. L’uguaglianza tra pochi pari ha come conseguenza che la libertà è qualcosa di riservato solo alla élite degli uguali. Non ha senso pensare ad una libertà per gli altri, perché essi in realtà non sono. Nel corso del XIX secolo, la grande rivoluzione portata dalle idee della Rivoluzione francese nella forma degli Stati e nel riconoscimento di nuovi diritti dove non ce n’erano e contemporaneamente l’impetuoso sviluppo delle economie in conseguenza delle innovazioni portate dalle straordinarie scoperte scientifiche da Newton in poi, determinano un generale aumento del benessere e la formazione di quella che si sarebbe poi chiamata la classe media. Ma accanto a questo sviluppo c’è anche la comparsa della classe operaia. Enormi quantità di persone si spostano dalle campagne alle città, che diventano sempre più grandi, attirate dalla possibilità di maggiore guadagno che nel lavoro dei campi ma anche, evidentemente, dall’idea di un futuro diverso, di un miglioramento delle proprie condizioni di vita. E in questo periodo che si sviluppano le idee che poi diventeranno fondanti per la sinistra attuale. Sono idee che si sviluppano come opposizione a ingiustizie evidenti, a negazioni di quei principi di libertà e uguaglianza affermati, seppur con tutti i limiti detti prima, dalla Rivoluzione francese. Opposizione ad una universalità affermata ma non rispettata veramente. L’analisi politica, la ricerca di strumenti per opporsi, lavora sugli aspetti economici e dimentica che l’universalità dei diritti di libertà e uguaglianza della Rivoluzione francese era basata sulla universalità della ragione, su una cosa che sarebbe caratteristica esclusiva dell’essere umano e comune a tutti. In altre parole, la base della Rivoluzione francese, del suo straordinario successo, era prima di tutto un’idea di essere umano. La società, che poi è quella in cui noi tutti viviamo tutt’oggi, è conseguenza di quell’idea di essere umano. Io credo che il grande errore sia non aver compreso questo. È necessario prima avere un’idea di essere umano, di quale è la verità della sua realtà. Solo in conseguenza di questo è possibile pensare ad un modello di società diverso. È facile vedere che le forze politiche di destra hanno una visione dell’essere umano come violento e sopraffattore. Quella sarebbe la natura umana e la politica quindi deve prendere atto di questa natura e agire coerentemente. Si potrebbe quindi ingenuamente pensare che le forze politiche di sinistra non la pensino così, che pensino ad una realtà umana che sia al fondo buona. In realtà non è così. Purtroppo, il pensiero di sinistra non ha compreso questo passaggio fondamentale e si è lasciato ingannare sul pensiero sulla natura umana. Infatti, anche a Sinistra si pensa ad una realtà umana che al fondo sarebbe cattiva e il cui unico scopo sarebbe quello di sfruttare e sopraffare gli altri. Se questo è il pensiero sull’essere umano, l’uguaglianza sarebbe qualcosa che in realtà non esiste ma che va costruito. Qualcosa di artificiale di cui lo stato è garante. E il motivo è debolissimo: perché sarebbe più giusto così. L’uguaglianza diventa così una cosa astratta che non avrebbe in realtà alcun fondamento. Non si capisce da cosa deriverebbe l’uguaglianza, E questo può portare (e ha portato) alle distorsioni estreme delle giacchette grigie, per cui saremmo uguali solo quando vivremo tutti vite materialmente uguali… Tornando al punto di partenza è allora evidente cosa sia necessario fare per costruire la sinistra. E necessario prima di tutto comprendere la realtà umana. Come essa si forma, come si sviluppa e quale sia il suo scopo. Dobbiamo iniziare comprendendo che ciò che fa l’essere umano diverso dagli animali non è la ragione. Se definiamo infatti la ragione come ciò che serve per l’utile e la sopravvivenza, tutto ciò che permette all’individuo di affermare la propria esistenza nel mondo, è banale osservare che l’essere umano ha delle caratteristiche che non sono ragione in quanto non servono per l’utile e la sopravvivenza. Bisogna quindi considerare anche questa realtà in ciò che fa l’essere degli esseri umani e non soltanto la ragione. Per far questo bisogna prima liberare il proprio pensiero da tante idee che la nostra società e la nostra cultura considera come assolute e incontestabili. Bisogna fare ricerca sulla realtà umana. Una ricerca che la politica e i politici non fanno mai. Il pensiero politico sugli esseri umani non può esaurirsi in una astratta questione morale che dice “non .si ruba” o peggio appiattirsi sul pensiero cristiano-cattolico per quello che riguarda la realtà umana. Questo giornale ha ospitato ogni settimana per 11 anni il pensiero e la ricerca di Massimo Fagioli, uno straordinario psichiatra che nella sua vita ha fatto una ricerca originalissima sulla realtà del pensiero umano e la sua origine. Nel 1965 ha scoperto una dinamica invisibile, mai vista prima, che ha scoperto essere alla base della formazione del pensiero umano: alla nascita fisica del feto si accompagna una dinamica psichica che fa una differenza totale nel bambino nato rispetto al feto che era un’istante prima. Ha scoperto come dalla realtà biologica umana, una realtà materiale, si forma una realtà non materiale, il pensiero, che prima, nel feto, non esisteva. Non c’è nulla di soprannaturale. È la realtà della biologia umana. È la reazione della materia cerebrale umana che allo stimolo della luce reagisce con la pulsione di far sparire il mondo che è, nello stesso istante, vitalità, movimento, esistenza, tempo, capacità di immaginare… Nel far questo Fagioli ha dovuto resistere al pensiero dominante che diceva che la realtà umana è soltanto ragione dell’individuo maschio e adulto. Ha dovuto resistere al pensiero che la natura umana è spontaneamente violenta e cattiva. Ha dovuto resistere all’idea dell’esistenza di una realtà inconoscibile dentro di noi, una realtà animale che sarebbe incontrollabile, un Mr Hyde sempre pronto a uccidere senza un perché. Ha dovuto resistere all’idea dell’anima che scenderebbe nel corpo correggendone la natura spontaneamente malvagia e corruttibile della “carne”. La scoperta della dinamica della nascita nel 1965 ha portato alla scrittura di un primo libro nel 1971, Istinto di morte e conoscenza, e poi di altri 2 libri nel 1975, La marionetta e il burattino e Teoria della nascita e castrazione umana. E poi un quarto nel 1980, Bambino donna e trasformazione dell’uomo. Nel 1975 sono iniziati dei seminari che poi sono stati chiamati seminari di Analisi collettiva nei quali Massimo Fagioli interveniva come medico della mente in pubblico, all’Università di Roma, su sconosciuti che chiedevano la cura, senza chiedere un pagamento ossia senza un contratto prestabilito. Era iniziata una rivoluzione per cui il pensiero millenario che la mente umana è sacra, immodificabile e malvagia veniva messo in crisi non solo teoricamente nei libri ma anche nel concreto della pratica medica psichiatrica di cura. Ma veniva messo in crisi anche il pensiero politico per cui la realtà umana è nella razionalità ed è quella che farebbe l’uguaglianza. Non è così. Il fondamento dell’uguaglianza è la dinamica della nascita che è assolutamente uguale per tutti, a prescindere da qualunque caratteristica fisica e di luogo di nascita. Siamo tutti uguali perché la nascita è uguale per tutti. L’essere umano è tale perché ha un pensiero. Quel pensiero si forma alla nascita ed è un pensiero che è prima di tutto amore per gli altri esseri umani. Il rapporto con il mondo, il pensiero razionale, verrà molto dopo nello sviluppo del bambino. Non è quindi la caratteristica fondamentale degli esseri umani. Se lo si pensa, si rimane in realtà ottusi sulla realtà umana. Per creare la sinistra che non è mai esistita è necessario che la politica faccia ricerca. Che studi e comprenda la realtà umana per quella che veramente è. E non per quella che chi gestisce un potere vuole che si pensi che sia. Nel 2006 Fagioli ha iniziato a scrivere per Left. In pubblico, come nell’Analisi collettiva, Fagioli ha fatto ricerca in psichiatria in modo accessibile a tutti. E la sua ricerca psichiatrica è diventata ricerca politica qui sulle pagine di Left per 11 anni. Perché la ricerca psichiatrica è anche politica quando è ricerca della verità umana. Una ricerca ancora oggi accessibile a tutti perché raccolta in 11 volumi editi dall’Asino d’oro. Da ultimo vorrei dire ai politici di sinistra che stanno leggendo queste righe una considerazione molto semplice: non si può avere lo stesso pensiero della destra sulla natura umana! Perché se è così è ovvio che vinceranno sempre loro nella misura in cui le politiche di destra sono coerenti con una visione dell’essere umano naturalmente violento. La grande scoperta di Fagioli è che la realtà umana è invece spontaneamente tendente ad amare l’altro. Con la teoria della nascita abbiamo per la prima volta nella storia una struttura teorica per affermare con certezza questa cosa. E cioè che l’uomo è un animale sociale non per il logos, per la ragione, ma per la sua capacità di amare. Questo è qualcosa che tutti gli artisti hanno sempre saputo e sostenuto a modo loro. Anche se ho scoperto recentemente, grazie ad un libro appena pubblicato (Dimmi tutto ciò che senti, a cura di Donatella Coccoli e Giuseppe Benedetti, L’Asino d’oro edizioni) che Gramsci sosteneva che è necessario saper amare, intendendo con questo il rapporto d’amore tra due persone, per poter fare una politica realmente di sinistra. La teoria della nascita, oltre che una straordinaria possibilità di cura della malattia mentale, è anche il fondamento di una nuova visione politica. È una costruzione teorica che permette di avere tutti gli strumenti per opporsi al pensiero dominante, che è un pensiero fondamentalmente di destra, potendo dialettizzare in maniera inoppugnabile ogni obiezione e dando sostanza a concetti e parole che altrimenti rimarrebbero sospesi e senza un oggetto. Tutti gli esseri umani sono uguali perché sono nati uguali.

LA LIBERTÀ È L’OBBLIGO DI ESSERE ESSERI UMANI.

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